Quando il diritto del minore alla sua libertà di religione passa dall'intermediazione del genitore

Giuseppina Pizzolante
18 Agosto 2022

Il genitore può impartire il proprio credo religioso alla figlia senza il consenso espresso della stessa e quello della madre?
Massima

Una misura dell'autorità giurisdizionale nazionale, finalizzata esclusivamente a preservare la libertà di scelta di un minore ed assunta nel suo superiore interesse, volta a vietare ad un testimone di Geova di coinvolgere attivamente il figlio, educato al cattolicesimo, nella sua pratica religiosa, non viola l'art. 14, in combinato disposto con l'art. 8, interpretato alla luce dell'art 9 CEDU. Trattasi difatti di un provvedimento revocabile e rivedibile che non produce restrizioni sui principi educativi da impartire al minore, sull'affidamento del richiedente o sul diritto di visita e che non reca alcuna differenza di trattamento tra i genitori.

Il caso

Il caso riguarda una controversia relativa all'educazione religiosa di un minore. Il ricorrente, T.C., è un cittadino italiano che ha intrapreso una relazione con SG nel 2004. Nel 2006 è nata la loro figlia. Dopo la rottura del loro rapporto, nel 2008, i genitori sono ricorsi all'autorità giurisdizionale per risolvere questioni sull'affidamento della figlia e sull'organizzazione del diritto di visita. Durante il procedimento è emerso che il ricorrente, nel frattempo divenuto testimone di Geova, senza il consenso della madre, conduceva la figlia alle funzioni religiose e a distribuire riviste per strada.

I tribunali non si sono pronunciati su questo tema, chiedendo ai servizi sociali di valutare l'impatto delle attività religiose di entrambi i genitori sulla vita della minore. Nel gennaio 2015 il Tribunale di Livorno, con ordinanza, ha statuito che il ricorrente dovesse astenersi dal coinvolgere attivamente la minore nelle pratiche religiose. Il Tribunale ha assunto la sua decisione, ritenendo, alla luce dell'interesse superiore del minore e della circostanza che il ricorrente avesse occultato all'ex compagna la partecipazione a quelle attività, che la tipologia di coinvolgimento fosse stressante e destabilizzante per la minore.

Nel febbraio 2016 la Corte d'Appello di Firenze ha respinto il ricorso del ricorrente, precisando che con la sentenza di primo grado non si impediva che egli potesse parlare delle sue convinzioni religiose alla figlia. Nel maggio 2018 anche la Corte di Cassazione ha confermato la statuizione.

La questione

Lamentando la violazione dell'art. 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), interpretato alla luce dell'art. 9 (libertà di religione) CEDU, il ricorrente ha sostenuto di essere stato trattato in modo differente, per motivi di religione, dall'ex compagna. Egli ha lamentato altresì di non aver ricevuto un processo equo ex art. 6, par. 1 (diritto a un processo equo) CEDU, poiché i tribunali nazionali non hanno deciso la questione con urgenza.

Le soluzioni giuridiche

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto che le doglianze del ricorrente dovessero essere esaminate ai sensi dell'art. 14, in combinato disposto con l'art. 8, come interpretato e applicato alla luce dell'art. 9 CEDU. Ha dichiarato irricevibili il resto delle domande.

Secondo il giudizio della Corte, l'ordinanza nazionale, con l'obiettivo di preservare la libertà di scelta della minore, ha realizzato il suo superiore interesse ed in particolare l'interesse a crescere in un ambiente aperto e sereno, bilanciando allo stesso tempo i diritti e le convinzioni di entrambi i genitori.

D'altro canto, secondo il giudizio della Corte, l'ordinanza, che può sempre essere oggetto di riesame, non ha vietato al ricorrente di impartire alla figlia i propri principi educativi né ha limitato l'affidamento o il diritto di visita.

Così, con la sentenza del 19 maggio 2022, T.C. c. Italia, ricorso n. 54032/18, la Corte ha ritenuto, a maggioranza, che, rispetto all'ordinanza in causa, non vi è stata alcuna differenza di trattamento tra il ricorrente e l'ex partner per motivi religiosi, per cui non si è realizzata alcuna violazione dell'art. 14, in combinato disposto con l'art. 8, interpretato alla luce dell'art. 9 CEDU.

Il giudice Raffaele Sabato ha espresso un'opinione concorrente mentre i giudici Péter Paczolay e Gilberto Felici hanno espresso un'opinione congiunta dissenziente.

Osservazioni

Tralasciando le motivazioni della sentenza riassunte nella massima che risultano piuttosto pacifiche, uno degli aspetti del caso in esame che va focalizzato e che è stato messo bene in luce dal Tribunale di Livorno riguarda la questione della continuità. Nell'ordinanza si legge molto opportunamente che appare pregiudizievole per la bambina una pratica religiosa diversa da quella vissuta nell'ambiente familiare e sociale dove la stessa è inserita, in virtù del “principio di continuità” che deve presiedere all'educazione religiosa del minore, al fine di evitare allo stesso turbamenti e confusioni in una fase di ricerca e sviluppo della propria identità.

È utile chiarire infatti che al momento della separazione, il ricorrente non praticava la nuova religione e la bambina seguiva fondamentalmente il percorso religioso concordato precedentemente da entrambi i genitori. Questo principio della continuità va particolarmente apprezzato poiché, nell'età minore della fanciulla, la religione rientra soprattutto nella sfera del benessere e della socializzazione anche nel confronto coi coetanei che hanno maturato le stesse scelte.

Viceversa, l'opinione dissenziente dà rilievo alla circostanza che la minore fosse stata de facto condotta a cerimonie dei testimoni di Geova, circostanza che non avrebbe arrecato alcun nocumento ma piuttosto avrebbe rappresentato un arricchimento per la stessa minore.

La Corte europea, sottolineano i giudici Paczolay e Felici, ha già chiarito che esporre i giovani alle idee di diversità, uguaglianza e tolleranza può solo favorire la coesione (Corte edu, 20 giugno 2017, 67667/09, Bayev e altri c. Russia, par. 82). La stessa Corte europea ha statuito che il pluralismo si basa anche sul riconoscimento e sul rispetto per le diversità e le dinamiche delle tradizioni culturali, delle identità etniche, delle credenze religiose, dei concetti artistici, letterari e socioeconomici. In particolare, l'interazione armoniosa delle persone e gruppi con identità diverse è essenziale per raggiungere la coesione sociale.

Secondo tale opinione, ritenendo che una religione diversa dal cattolicesimo romano avrebbe recato nocumento all'interesse della bambina, in ragione del contesto familiare e sociale in cui era stata cresciuta, le autorità giurisdizionali italiane hanno realizzato una disparità di trattamento di natura discriminatoria manifestando un pregiudizio nei confronti della religione del ricorrente, segnalandosi che lo stesso ricorrente, al contrario, aveva accettato che sua figlia, se lo avesse desiderato, avrebbe potuto continuare a fruire dei precetti cattolici romani.

In realtà l'opinione dissenziente pone la questione in un'ottica, quella del pluralismo e della tolleranza, che vista in astratto non può che essere condivisa, ma è un problema mal posto nel senso che non è pertinente con la nostra vicenda. La soluzione di questo complesso caso si ritrova piuttosto nell'opinione concorrente del giudice Sabato. Egli muovendo dalla scelta della maggioranza della Corte di esaminare le doglianze del ricorrente ai sensi degli articoli 14 e 8 della Convenzione, sebbene “alla luce dell'art. 9”, mette in evidenza, invece, che l'art. 9 CEDU, dedicato alla libertà di religione, doveva ritenersi applicabile parallelamente all'art. 8. Questa scelta avrebbe permesso di adoperare l'art. 9 CEDU per indagare sul ruolo dell'accordo dei genitori nelle scelte religiose riguardanti i figli, valorizzando l'art.14 della Convenzione sui diritti dell'infanzia del 1989, che al par. 1, prescrive che gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.

Alla luce di questa norma internazionale, la scelta della madre in causa di voler impedire alla figlia quella frequentazione assidua deve essere interpretata quale espressione del pensiero della minore che va tutelata tra l'altro rispetto al diritto alla sua libertà religiosa. In una fase di età non sufficientemente matura, il genitore deve esercitare la propria responsabilità genitoriale in modo coerente con le esigenze – anche anagrafiche – del minore, ergendosi talvolta a mero intermediario di quelle esigenze.

A questo riguardo è utile chiarire che la minore, che era stata ascoltata, aveva espresso la sua preferenza a non partecipare a quelle riunioni per salvaguardare, tra l'altro, le frequentazioni con i suoi coetanei. Attraverso l'ascolto, invero, il minore partecipa attivamente all'assunzione delle decisioni che lo riguardano in un determinato momento di crisi della famiglia.

L'affermazione del diritto alla libertà di religione del minore e conseguentemente del suo diritto all'autodeterminazione è la reale sfida di società sempre più multietniche e multiculturali quali sono oramai quelle degli Stati della CEDU. Tale affermazione vede nel principio di continuità e nella intermediazione per un uso ragionato e consapevole dei diritti che attengono alla sfera del minore, basi solide per confermare statuizioni come quelle del Tribunale di Livorno.

Riferimenti

M. Distefano, Il diritto dei minori alla libertà religiosa: tra norme e prassi internazionali, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2020, n. 19, reperibile online al sito www.statoechiese.it.