La revocazione della donazione (indiretta) non scatta in caso di adulterio “normale”

Gabriele Mercanti
24 Agosto 2022

La vertenza in questione attiene alla revocazione di una donazione indiretta per ingratitudine dovuta a grave ingiuria.
Massima

Ai fini della revoca della donazione per ingratitudine, non basta ad integrare l'ingiuria la mera relazione extraconiugale (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che la circostanza che l'adulterio fosse maturato all'interno del nucleo familiare ristretto dei due coniugi e il fatto che si fosse sviluppato nella cornice di un comune ambiente lavorativo valessero a connotare in termini di gravità l'offesa all'onore patita dalla coniuge e ad evidenziare, nel marito, un atteggiamento di noncuranza e di assenza di rispetto nei confronti della dignità della moglie).

Il caso

Dopo aver effettuato nel corso degli anni attribuzioni patrimoniali a titolo di liberalità indiretta a favore del marito, la moglie adiva il Tribunale al fine di vederle revocate per ingratitudine stante il di lui adulterio (nello specifico, parte attrice aveva individuato il presupposto dell'ingiuria grave di cui all'art. 801 c.c. nella relazione extraconiugale che il marito avrebbe intrattenuto con la cognata all'interno della realtà aziendale in cui le rispettive famiglie lavoravano; dalla ricostruzione fattuale riassunta dalla sentenza in commento parrebbe che il fatto in sé non fosse contestato, ma che fosse discussa la sua minore o maggiore platealità). All'esito del giudizio, il Giudice di prime cure accolse la domanda di revocazione ritenendo provate sia la sussistenza delle donazioni indirette dalla moglie al marito sia l'ingiuria grave arrecata dal marito alla moglie stante la di lui condotta infedele. A fronte dell'appello promosso dal marito avverso la citata sentenza, la Corte d'Appello - al fine di confermare la revocazione - ha preso posizione su due tematiche: quanto all'adulterio, ha sostenuto che lo stesso connotasse gli estremi della grave ingiuria proprio perché posto in essere in ambito familiare (così da avere conseguenze particolarmente nefaste sulle dinamiche di coppia, essendo coinvolta nel tradimento la cognata della moglie) e lavorativo (così da compromettere, una volta inevitabilmente scoperto, l'immagine della moglie datrice di lavoro agli occhi del personale dipendente); quanto alle donazioni indirette, ne ha affermato la sussistenza reputando provata la provenienza della provvista in capo alla moglie per provvedere agli acquisti immobiliari ed indimostrata una correlata capacità reddituale del marito di provvedere a simili investimenti.

A questo punto il marito soccombente ricorreva in Cassazione fondando le proprie doglianze su due motivi: con il primo asseriva - al fine di negare la congruità motivazionale relativa alla gravità dell'ingiuria ascrittagli così adducendo violazione e/o falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. in relazione all'art. 801 c.c. - da un lato che il rapporto tra i coniugi fosse già in stato di crisi irreversibile al momento del tradimento e dall'altro che la relazione extraconiugale fosse stata intessuta con modalità tali da essere mantenuta segreta; con il secondo (ancorchè in ordine logico fosse in realtà pregiudiziale rispetto al primo) che fosse stata omessa la valutazione di fatti storici decisivi risultanti dagli atti di causa in ordine all'insussistenza di una liberalità indiretta a suo favore, in quanto la dimostrazione della stessa sarebbe dovuta conseguire alla prova in positivo dell'animus donandi e non a contrario dalla carenza di capacità reddituale in capo all'asserito donatario.

La questione

La vertenza in questione attiene alla revocazione di una donazione indiretta per ingratitudine dovuta a grave ingiuria di modo che occorre analizzare dapprima il funzionamento dell'istituto in sé e successivamente le sue eventuali specificità scaturenti dalla particolare tipologia del negozio impugnato.

Le soluzioni giuridiche

Sul tema della revocazione, l'art. 800 c.c. sancisce a livello generale che «la donazione può essere revocata per ingratitudine o per sopravvenienza di figli», mentre il successivo art. 801 c.c. - dedicato nello specifico alla revocazione per ingratitudine - prevede che la revocazione possa essere domandata allorquando il donatario si sia reso, tra l'altro, «colpevole d'ingiuria grave verso il donante». Posto che la donazione, come si evince dalla nozione datane dall'art. 769 c.c., è un contratto - come tale vincolante tra le parti - potrebbe destare un certo sconcerto che un evento successivo al suo perfezionamento nonché del tutto estraneo al suo meccanismo genetico-funzionale sia suscettibile di determinarne la caducazione: la previsione de quo viene tradizionalmente letta in ottica «sanzionatoria», poiché ripugna alla coscienza sociale che colui che è stato patrimonialmente avvantaggiato dalla spontanea condotta altrui non solo non abbia un senso di gratitudine, ma - addirittura - si macchi di comportamenti palesemente ostili verso il donante (tra i tanti, B. Biondi, Donazione, in Nss. dig. it., VI, Torino, Tipografia sociale torinese, 1957, 251: «ripugna infatti alla coscienza sociale che il donatario debba conservare la liberalità qualora si sia reso colpevole di gravi atti contro la persona o il patrimonio del donante»). Sul punto il legislatore ha utilizzato il contenitore di ampia portata dato dalla grave ingiuria che, in termini generali, secondo l'interpretazione datane dalla giurisprudenza deve consistere in una «manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece improntarne l'atteggiamento» (Cass., Sez. II, 29 aprile 2022, n. 13544; Cass., Sez. II, 13 agosto 2018, n. 20722; Cass., Sez. II, 31 ottobre 2016, n. 22013; Cass., Sez. II, 31 maggio 2012, n. 8752; Trib. Benevento, 27 agosto 2021; Trib. Ivrea, 19 ottobre 2020, n. 784; App. Catania, 31 gennaio 2020; Trib. Ascoli Piceno, 18 ottobre 2019; Trib. Trapani, 2 agosto 2019; Trib. Savona, 17 dicembre 2018; Trib. Lucca, 28 novembre 2018; Trib. Aosta, 18 gennaio 2016; Trib. Roma, 3 novembre 2009, n. 22492; Trib. Roma, 22 luglio 2009, n. 16274); inoltre, tale presupposto «non può essere desunto da singoli accadimenti che, pur risultando di per sé censurabili, per il contesto in cui si sono verificati e per una situazione oggettiva di aspri contrasti esistenti tra le parti, non possono essere ricondotti ad espressione di quella profonda e radicata avversione verso il donante che costituisce il fondamento della revocazione della donazione per ingratitudine» (Cass., Sez. II, 31 maggio 2012, n. 8752; Cass., Sez. II, 24 giugno 2008, n. 17188; Trib. Bari, 11 febbraio 2009).

Quando il donante è ancora in vita la scelta di agire in giudizio e la valutazione dei presupposti che consentono di agire spettano unicamente allo stesso, trattandosi di scelta conseguente a valutazioni strettamente personali (in tal senso è stato ritenuto che l'azione non possa essere intrapresa sulla base di una procura generale, ma che rientri - ove il donante sia stato successivamente interdetto - nei poteri del tutore, Cass., Sez. VI, 15 giugno 2012, n. 9915); quando il donante è morto la scelta di agire in giudizio compete ai suoi eredi.

Sono stati reputate fattispecie di ingratitudine:

- la relazione extraconiugale intrattenuta dal coniuge donatario se accompagnata da un atteggiamento di disistima ed avversione da parte del donante (Cass., Sez. II, 10 ottobre 2018, n. 24965);

- la relazione extraconiugale ostentata dal donatario, anche fra le mura della casa coniugale, in presenza di una pluralità di estranei e, talvolta, anche del marito (Cass., Sez. II , 31 ottobre 2016, n. 22013);

- la relazione adulterina del donatario quando il tradimento si traduce in abbandono di persona bisognosa e, quindi, in mancanza di solidarietà e riconoscenza tale da assurgere ad ingiuria grave (Cass. Sez. II, 4 novembre 2011, n. 22936);

- l'atteggiamento della donataria complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito, all'insaputa del quale si univa con l'amante nell'abitazione coniugale (Cass., Sez. II, 28 maggio 2008, n. 14093);

- le condotte verbali lesive della dignità personale, umana (quale donna) e genitoriale (quale madre) del donante sia in occasione di relazioni con terzi sia davanti alla prole in età minore, essendo irrilevante la relazione extraconiugale del donante e/o la sopravvenuta separazione (Trib. Bologna, 28 aprile 2014).

In particolare, è stato sostenuto che l'adulterio debba essere rigorosamente provato non essendo sufficiente «che di esso il donante abbia vaghe e generiche notizie, essendo invece necessaria la completa conoscenza di fatti e circostanze tali da determinare in lui la certezza di aver subito la lamentata ingiuria grave da parte del donatario» (Trib. Bassano del Grappa, 27 febbraio 2010; Cass., Sez. II, 3 giugno 1993, n. 6208; Cass., Sez. II, 7 dicembre 1989, n. 5410).

Non sono stati reputate fattispecie di ingratitudine:

- il rifiuto del donatario di prestare qualsiasi forma di aiuto e di assistenza al donante, che ha formulato reiterate richieste in tal senso (Cass., Sez. II, 10 novembre 2011, n. 23545);

- il comportamento del donatario che, di fronte alla sopravvenuta intollerabilità della convivenza tra i due genitori e nella pendenza del giudizio di separazione personale con addebito instaurato dalla madre, aveva invitato il padre, con una lettera formale, a lasciare l'immobile di sua proprietà, destinato a casa familiare, acquistato con il denaro ricevuto dalla liberalità paterna e materna (Cass., Sez. II, 31 marzo 2011, n. 7487);

- la denuncia presentata nei confronti del donante per lesioni personali sulla base di indizi insufficienti quando non è dimostrata la totale infondatezza dell'accusa (Cass., Sez. II, 5 novembre 2001, n. 13632);

- la vendita dell'appartamento ricevuto in donazione con contestuale presentazione all'autorità di pubblica sicurezza di un esposto contro il donante per far cessare un comportamento illegittimo di quest'ultimo nei confronti del donatario (Cass., Sez. II, 29 maggio 1998, n. 5310).

Sul tema della donazione indiretta (rectius, della liberalità diversa dalla donazione) l'art. 809 c.c. prevede che l'istituto della revocazione trovi applicazione anche ove si tratti di «atti diversi da quelli previsti dall'articolo 769»: ma in cosa consistono detti atti? Al fine di inquadrare l'impianto codicistico, appare calzante una raffigurazione (sotto) insiemistica: l'atto gratuito è il genus del quale la liberalità ne è una sottospecie a sua volta idealmente suddivisibile in quella donativa (cioè attuata attraverso il contratto di donazione) e quella non donativa (cioè risultante da atti diversi rispetto a quello di cui all'art. 769 c.c.). In sostanza, il medesimo risultato che si sarebbe ottenuto concludendo un contratto di donazione, può essere raggiunto attraverso un diverso meccanismo negoziale e, coerentemente, l'art. 809 c.c. parifica le due situazioni ai fini della loro revocabilità. La ricostruzione avallata dal pensiero prevalente opta per la riconduzione della figura de quo alla nozione di negozio indiretto in seno alla quale si è messa in luce la divergenza tra lo strumento (anomalo) utilizzato e lo scopo effettivamente perseguito, di modo che si realizzi il collegamento tra i cosiddetti negozio-mezzo e negozio-fine (su tutti, A. Torrente, La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schelisinger a cura di U. Carnevali e A. Mora, Milano, Giuffrè, 2006, 37: «le donazioni indirette presentano proprio questa singolarità: la funzione economico-sociale del negozio impiegato è diversa da quella della donazione, mentre il risultato (arricchimento altrui) è al di fuori della fattispecie negoziale e si realizza per la confluenza di elementi eventuali»). Esempio classico della fattispecie è quella della c.d. intestazione di un immobile a nome altrui che ricorre quando un soggetto (per rifarsi al caso oggetto della sentenza in commento la moglie) paga al venditore il prezzo della compravendita, ma - per spirito di liberalità verso altro soggetto (per rifarsi al caso oggetto della sentenza in commento, il marito) - decide di non rendersi acquirente del bene, bensì di far intervenire al rogito notarile, appunto quale acquirente, il soggetto che intende beneficiare (cioè il marito).

Il primo motivo di ricorso, inerente al ruolo dell'adulterio al fine di sancire la revocazione della donazione, è stato respinto dalla Suprema Corte dato che - a detta degli Ermellini - il Giudice di merito aveva sì rilevato come non bastasse ad integrare gli estremi della grave ingiuria la mera relazione extraconiugale, ma al tempo aveva correttamente valutato i fatti di causa dai quali era emerso come la circostanza di un adulterio maturato all'interno del nucleo familiare ristretto e nella cornice di un comune ambiente lavorativo «valessero a connotare in termini di gravità l'offesa all'onore patita dalla P. e ad evidenziare, nel B., un atteggiamento di noncuranza e di assenza di rispetto nei confronti della dignità della moglie». A nulla, quindi, sono valse le doglianze del ricorrente volte a sostenere che il rapporto tra i coniugi fosse già in stato di crisi irreversibile al momento del tradimento e che la relazione extraconiugale fosse stata intessuta con modalità tali da poter essere mantenuta segreta.

Il secondo motivo di ricorso, inerente alla sussistenza di donazioni indirette, è stato respinto dalla Suprema Corte dato che il Giudice di merito dato che - a detta degli Ermellini - il Giudice di merito aveva correttamente valutato i presupposti tali da legittimare la sussistenza delle liberalità indirette intercorse tra moglie e marito, essendosi il ricorrente limitato a richiedere «una non consentita nuova valutazione di merito, di segno contrario rispetto a quella effettuata dalla sentenza impugnata».

Osservazioni

La pronuncia de quo si innesta in un consolidato alveo interpretativo che attribuisce rilevanza all'infedeltà coniugale del donatario ai fini della revoca della donazione effettuata a suo favore: nel contesto in questione il concetto di «ingiuria grave» permane, quindi, saldamente ancorato alla violazione dell'obbligo matrimoniale di fedeltà (uno spunto di riflessione sorge: analogo orientamento troverebbe spazio anche ove la donazione venisse effettuata tra due uniti civilmente posto che - ai sensi dell'art. 1, comma 11, della l. 20 maggio 2016, n. 76 – tra di essi non sussiste obbligo legale di fedeltà?). Tuttavia, la giurisprudenza - prendendo forse fatalmente atto dell'ineluttabile erosione della stabilità affettivo-familiare immanente al nostro tessuto sociale - reputa decisorie le concrete modalità attuative della vicenda: il mero tradimento non è, quindi, sufficiente a scardinare l'assetto patrimoniale, ma occorre il quid pluris della sua lesività al decoro altrui.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.