Opportune puntualizzazioni della Cassazione sul ruolo dell’Organismo di Vigilanza in azienda

Ciro Santoriello
29 Agosto 2022

La sentenza della Cassazione con cui si è concluso il procedimento nei confronti della società Impregilo in relazione ai reati di aggiotaggio commessi dal presidente del Consiglio di Amministrazione e dall'amministratore delegato, esamina anche il profilo attinente al ruolo dell'Organismo di Vigilanza nell'ambito dell'ente ed i suoi rapporti rispetto alle scelte gestorie dei vertici aziendali.
Premessa. La vicenda Impregilo: un breve riassunto

Con la sentenza n. 23401 della VI sezione, la Cassazione (depositata il 15 giugno 2002) ha messo la parola fine alla cd. vicenda Impregilo. Prima di esaminare, la portata e l'importanza – considerevoli – di questa pronuncia, è opportuno tuttavia riassumere la vicenda, tanto con riferimento ai profili di fatto che in relazione allo svolgimento del processo penale.

La società era imputata per l'illecito da reato in relazione al reato di aggiotaggio commesso dai suoi vertici (in particolare il presidente del Consiglio di Amministrazione e l'amministratore delegato), i quali avevano diffuso un comunicato contenente notizie false ed idonee a provocare una alterazione del valore delle azioni della stessa società, dopo aver sostituito i dati elaborati dai competenti organi interni. In sede di merito la società era stata assolta, in quanto, pur riconosciuta la commissione del reato-presupposto da parte dei vertici societari nell'interesse dell'ente, si riteneva da un lato che l'ente aveva adottato un modello organizzativo idoneo, secondo una valutazione da effettuarsi ex ante e non ex post, alla prevenzione del reato di aggiotaggio – essendo lo stesso conforme alle Linee-Guida elaborate da Confindustria e nel quale era prevista un'apposita procedura di formazione dei comunicati stampa ed era stato costituito un Organismo di Vigilanza monocratico nella persona del responsabile del servizio di internal auditing - e dall'altro che nella concreta vicenda vi era stata un'elusione fraudolenta dello stesso come dimostrato dalla scelta dei vertici societari di non seguire il previsto iter per la formazione delle comunicazioni “price sensitive”, posto che gli amministratori avevano omesso di coinvolgere gli uffici interni della società, competenti secondo le previsioni del Modello a realizzare gli studi e le valutazioni preliminari ai comunicati stampa.

Tale decisione di assoluzione è stata però annullata una prima volta dalla Cassazione. In quell'occasione i giudici di legittimità sostennero che la condotta del presidente e dell'amministratore delegato, che, si ripete, si erano limitati a sostituire i dati elaborati dai competenti organi interni e nel diffondere un comunicato contenente notizie false ed idonee a provocare una alterazione del valore delle azioni della stessa società, non potesse costituire una elusione fraudolenta del modello organizzativo. Inoltre, il modello organizzativo adottato dall'imprese venne ritenuto inadeguato in quanto non prevedeva che il comunicato stampa, poi rivelatosi mendace, fosse sottoposto all'esame dell'Organismo di Vigilanza.

Con la citata decisione, invece, la Cassazione, chiamata nuovamente ad intervenire sulla vicenda su ricorso del Procuratore generale dopo che il giudice del rinvio aveva ribadito l'infondatezza dell'accusa, ha confermato la sentenza di assoluzione formulando alcune interessanti osservazioni sul ruolo dell'Organismo di Vigilanza nel sistema 231. A questo argomento sono dedicate le riflessioni che seguono.

Ruolo e funzioni dell'organismo di vigilanza. Gli equivoci della giurisprudenza di merito…

L'importanza della decisione in esame emerge sotto diversi profili, ma uno dei principali è senz'altro rappresentato dalla ricostruzione del ruolo dell'Organismo di Vigilanza nell'ambito delle società ed in particolare con riferimento ai rapporti fra quest'ufficio dell'ente e gli organi apicali. Nella precedente decisione della Cass. pen., n. 4677/2014, i giudici di legittimità nell'escludere l'applicabilità dell'esimente dell'elusione fraudolenta del modello evidenziarono – quale ulteriore criticità nel sistema di compliance – la mancata previsione della facoltà, in capo all'Organismo di Vigilanza, di esprimere una dissenting opinion sul contenuto del comunicato stampa, atto pacificamente di competenza dell'organo di gestione. In particolare, secondo la Corte di Cassazione, la funzione di controllo dell'organismo di vigilanza, così come delineata nel modello organizzativo dell'azienda coinvolta, non era sufficientemente incisiva dal momento che le bozze dei comunicati stampa predisposte dalle strutture amministrative potevano essere modificate dagli apicali, senza che «all'organo di controllo [fosse] concesso di esprimere una dissenting opinion sul “prodotto finito” [il comunicato]»: nonostante le considerazioni in senso contrario svolte nella parte introduttiva della sentenza (dove si legge che «la responsabilità dell'ente, ai sensi della l. n. 231/2001, non trova certamente fondamento nel non aver impedito la commissione del reato (ai sensi dell'art. 40 comma 2 c.p.)»), la Corte nelle parti successive della pronuncia sembrava in realtà attribuire all'Organismo di Vigilanza una vera e propria funzione impeditiva dell'evento-reato, affermando che la vigilanza si riduce ad un “mero simulacro” se non si estrinseca in un controllo sui più importanti atti di gestione (queste considerazioni sono state in qualche modo riprese in sede di merito, in particolare dal Tribunale di Milano, cfr. sentenza sez. II pen., 7 aprile 2021, Viola + altri).

La dottrina ha osservato come questa impostazione comportasse il rischio di far smarrire all'Organismo di Vigilanza la sua natura di organo di controllo di II^ livello all'interno dell'azienda, cui è rimesso il compito di garantire (non la prevenzione del reato in sé ma) il rispetto delle misure preventive del modello organizzativo – a loro volta intese non ad escludere la commissione di ogni forma di illecito, ma a ridurre il rischio che ciò si verifichi a mezzo di una eliminazione e/o controllo dei fattori di facilitazione della verificazione del reato. In effetti, seguendo l'impostazione sopra indicata, l'Organismo di Vigilanza sarebbe tenuto ad assumere determinati comportamenti a tutela non della società nel cui ambito opera (e che dovrebbe mantenere esente da responsabilità ai sensi del d.lgs. n. 231/2001), ma a garanzia di soggetti esterni all'ente, i cd. stakeholders e di conseguenza l'OdV non dovrebbe limitarsi a sottolineare le violazioni della procedura ma la commissione del fatto di reato.

Tuttavia, in questo modo, richiedendo all'Organismo di Vigilanza l'adozione di un controllo nel merito sull'operato degli amministratori della società, con conseguente insorgenza, quantomeno potenziale, in capo ai relativi componenti di un obbligo di impedimento del reato (dal cui inadempimento possono derivare conseguenze penali), si attribuisce a questo collegio un ruolo di sindacato diretto e totale sulle scelte gestorie dell'azienda e dei suoi vertici. Un conto è dire che l'organismo di vigilanza deve vigilare sul rispetto del modello, altro conto è dire che, per risultare il modello efficace, l'OdV debba essere messo in condizione di impedire il reato: nel primo caso, tale organo per adempiere ai propri compiti deve eventualmente evidenziare che una procedura prevista nel modello per arginare un rischio-reato non è stata rispettata, ma non è tenuto a formulare alcuna valutazione sulle conseguenze di questa violazione ed in particolare non è assolutamente obbligato ad evidenziare la portata criminogena dell'inosservanza; altra cosa è ritenere che, unitamente al riscontro circa la violazione della procedura, i componenti dell'Organismo debbano segnalare la commissione (avvenuta o possibile in futuro) di un illecito, segnalazione in mancanza della quale si deve concludere nel senso della inefficienza ed inefficacia del modello perché non ha consentito all'organismo di vigilanza di impedire la commissione di reato o di evidenziare il verificarsi dello stesso.

La seconda prospettiva pare assai lontana dal ruolo proprio dell'OdV, che deve essere quanto più estraneo rispetto alla gestione dell'impresa. In effetti, la non ingerenza nelle scelte degli amministratori è condicio sine qua non di autonomia e indipendenza, requisiti che devono sempre connotare i componenti dell'Organismo di Vigilanza e, conseguentemente, l'organismo stesso, il quale può adempiere correttamente ai propri compiti solo nella misura in cui è separato rispetto alla gestione della società e si limiti a verificare, in maniera indipendente per l'appunto, l'adozione e l'attuazione dei modelli organizzativi. I compiti dell'OdV sono di generica prevenzione, prospettici e organizzativi, non volti ad impedire singoli eventi lesivi ma connotati da una «finalità preventiva indiretta [per] assicurare l'effettività dei modelli di organizzazione e di gestione adottati», senza pretendere di «impedire concreti episodi delittuosi», per cui, qualora riscontrino criticità e difetti del modello organizzativo, i componenti dell'organismo di vigilanza non devono intervenire direttamente ma devono limitarsi a riferire all'organo di gestione, che provvede eventualmente a deliberare e ad adottare le misure correttive necessarie.

… e le precisazioni della sentenza n. 23401/2022

L'impostazione ora illustrata sembra decisamente superata con la decisione in esame, in cui il ruolo dell'Organismo di Vigilanza è ridisegnato in termini radicalmente diversi, prestando per l'appunto attenzione a non conferire a tale collegio poteri che possono ostacolare le attività gestorie ed interferire con le decisioni spettanti in via esclusiva agli organi dirigenziali dell'impresa.

A fronte della precedente decisione che chiedeva ai giudici di merito di verificare se all'organo di controllo fosse almeno consentito di esprimere una sorta di dissenting opinion sul testo della comunicazione approvato dai vertici societari, prima della sua divulgazione, la pronuncia del 2022 replica evidenziando come «risulta, però, di difficile individuazione l'utilità e la concreta attuazione di un siffatto potere, in quanto l'eventuale opinione dissenziente non potrebbe investire il merito della comunicazione, perché l'amministrazione e le scelte operative della società non possono certo essere appannaggio dell'organismo di vigilanza e la verifica dell'operato degli amministratori spetta all'assemblea e dagli altri organi societari, entro limiti e procedure stabiliti dalla legge e dallo statuto... diversamente, l'organismo di vigilanza finirebbe per trasformarsi in una specie di supervisore dell'attività degli organi direttivi e d'indirizzo della società, inserendosi, di fatto, nella gestione di quest'ultima ma, in tal modo, esorbitando dal compito affidatogli dall'art. 6, lett. b), d.lgs. 231/2001, che è solamente quello di individuare e segnalare le criticità del modello e della sua attuazione, senza alcuna responsabilità di gestione. Peraltro, un potere così pervasivo risulterebbe attribuito a tale organo con esclusivo riferimento al profilo della responsabilità da reato, dando così luogo ad un groviglio di competenze e ad un'evidente disarmonia di sistema, dal momento che, in ordine agli effetti civili di quegli stessi atti, quell'organismo non avrebbe poteri interdittivi o d'interlocuzione. Invero, l'organismo di vigilanza non può avere connotazioni di tipo gestorio, che ne minerebbero inevitabilmente la stessa autonomia: ad esso spettano, piuttosto, compiti di controllo sistemico continuativo sulle regole cautelari predisposte e sul rispetto di esse nell'ambito del modello organizzativo di cui l'ente si è dotato».

Non solo. La decisione è di significativo interesse anche nella parte in cui esamina l'effettiva rilevanza da riconoscere, nello svolgimento della concreta vicenda criminosa, alla circostanza della mancanza, in conseguenza del modello adottato, di un'adeguata garanzia di autonomia dei membri dell'Organismo di Vigilanza. Concordando con quanto ritenuto dai giudici che si erano pronunciati sul punto nelle precedenti decisioni, anche nella sentenza analizzata la Corte di legittimità ribadisce che l'Organismo di Vigilanza istituito all'interno della società imputata era da ritenere privo del requisito della necessaria autonomia rispetto ai vertici aziendali: il collegio, infatti, era a composizione monocratica e l'unico membro era posto, nell'organigramma aziendale, «alle dirette dipendenze» del presidente; al contempo, tuttavia, non viene attribuito a tale dato alcuna rilevanza posto che nel caso di specie la non indipendenza dell'OdV non aveva in fatto esplicato alcuna incidenza sui delitti di aggiotaggio commessi da presidente ed amministratore delegato, giacché costoro avrebbe potuto in ogni caso diffondere le false informazioni sulle condizioni patrimoniali dell'impresa, quale che fosse la composizione e l'autonomia dell'organismo di vigilanza.

Secondo la Cassazione, dunque, la mancata autonomia dell'Organismo di Vigilanza non incide sulla responsabilità della persona giuridica quando si accerti che il verificarsi dell'illecito ha seguito cadenze comportamentali e temporali rispetto alle quali rimane del tutto indifferente il grado di indipendenza più o meno ampio riconosciuto ai membri del collegio. Questo approccio, assolutamente apprezzabile, consente di evitare che le valutazioni circa l'attività dell'OdV vengano condotte sulla base di considerazioni meramente formalistiche, non attente cioè alle concrete modalità con cui tale collegio ha operato all'interno dell'azienda: l'operato dell'Organismo di Vigilanza va giudicato non in relazione alla composizione di tale ufficio, ma in considerazione di come lo stesso abbia effettivamente operato in azienda ovvero valutando se un suo eventuale intervento (pur assente stante la mancata autonomia dei membri dell'Organismo di Vigilanza rispetto alla gestione aziendale) potesse o meno avere un'efficacia casuale sull'accaduto; quando una tale ipotetica incidenza dell'intervento dell'OdV non si possa riscontrare, la censurabile scelta dei soggetti che sono entrati a far parte dell'Organismo è circostanza irrilevante e che non può portare, di per sé sola, a riconoscere la responsabilità da reato della società.

In questo senso, la decisione di cui si tratta segna il superamento di alcune impostazioni formalistiche (presenti, ad esempio, nella sentenza del Tribunale di Vicenza n. 348 depositata il 19 giugno 2021) che intendono ricostruire l'adeguatezza e l'idoneità del sistema organizzativo limitandosi a verificare se tale collegio risultasse al momento dei fatti composto e nominato secondo le modalità richieste dalla legge, senza verificare invece come lo stesso abbia effettivamente operato in azienda: in questo modo, tuttavia, la responsabilità dell'ente finisce per essere riconosciuta sulla base di mere presunzioni, per cui, ad esempio, la presenza nell'Organismo di più soggetti non qualificabili come indipendenti renderebbe ex se l'OdV non funzionale (e conseguentemente il modello inidoneo), mentre invece potrebbe giungersi ad un giudizio diverso – che avrebbe un esito liberatorio per la società – qualora l'autorità giudiziaria accertasse che l'OdV, a prescindere dalla sua composizione, era comunque titolate di autonomi poteri di iniziativa e controllo, che tali poteri sono stati effettivamente esercitati, che i flussi informativi di cui l'OdV era destinatario erano idonei a garantire il controllo informato sulle diverse aree di rischio, che ci sono state diverse segnalazioni di eventuali violazioni ecc. il profilo attinente all'indipendenza dei componenti l'OdV non va esasperato giacché, a ben vedere, ciò che è necessario per escludere la responsabilità della società non è tanto che i soggetti nominati in tale ruolo siano indipendenti “in astratto” quanto che agiscano come tali ovvero che nella loro azione non si facciano condizionare da eventuali legami con l'ente presso il quale operano: il giudizio sull'indipendenza dei componenti dell'OdV non va operato in via preventiva ma alla luce di come gli stessi hanno svolto il loro compito ed alla luce di questa considerazione un riscontrato “legame” fra componenti dell'Organismo e vertici aziendali potrebbe essere una circostanza da valorizzare in sede probatoria piuttosto che un dato da valutare per giungere a concludere nel senso dell'inefficacia dell'operato del collegio. Detto altrimenti, ci pare che le motivazioni di un'eventuale condanna dell'ente non debbano far leva sulla circostanza che i membri dell'Organismo di Vigilanza presentavano non opportune relazioni con i titolari dei poteri di amministrazione dell'ente imputato quanto evidenziando come i componenti dell'organo di controllo non hanno esercitato correttamente i propri compiti, circostanza questa che si giustifica, presumibilmente, in ragione del fatto che non godevano della necessaria indipendenza rispetto ai soggetti da controllare.

Se dunque si vuol valorizzare, nel giudizio sulla responsabilità dell'ente, il ruolo che nella compliance svolge ed ha svolto l'Organismo di Vigilanza allora l'esame del giudice deve vertere sull'effettivo comportamento di tale organo, sull'attivismo che lo stesso ha o meno realmente riversato nello svolgimento dei propri compiti; in proposito, in dottrina si è richiamato il “criterio della proporzionalità”, con ciò volendo esprimere la necessità di dotare l'ente di un assetto organizzativo – ivi compreso, per l'appunto, il profilo attinente alla composizione dell'Organismo di Vigilanza – adeguato alle dimensioni ed alla effettiva complessità dell'ente stesso. D'altronde se, come si è detto, si ritiene che la decisione sulla colpevolezza della società debba passare per una verifica in ordine all'effettiva implementazione e rispetto del modello organizzativo, ad un tale approccio connotato da concretezza ed attenzione alle circostanze della vicenda non può sottrarsi anche il giudizio sulla condotta dei componenti dell'Organismo di Vigilanza.

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