Oltre Lisbona: il parlamento europeo apre i cantieri delle riforme costituzionali

Giuseppe Bronzini
Giuseppe Bronzini
06 Settembre 2022

Il Lisbon Treaty riflette un'Europa che non c'era già più quando fu approvato; le sue norme sono disegnate su un'Unione a 15, relativamente omogenea (salvo la ribelle Gran Bretagna) che poteva ancora riconoscersi nello spirito dei founders e nella conduzione franco-tedesca. Le sue norme organizzative e sostanziali sono in buona sostanza quelle disegnate dalla seconda Convenzione nel 2002/2003 prima che si operasse il grande allargamento del 2004 includendo paesi dalle tradizioni molto dissonanti da quelle liberal-democratiche (con qualche venatura progressista) sul cui ethos ha viaggiato il processo di integrazione...
Premessa

Il Trattato di Lisbona ha ormai 15 anni, se teniamo conto dell'anno di sottoscrizione (2007), ed oltre 13 dal momento della sua entrata in vigore (1.12.2009); a ben vedere, nonostante sia il frutto di un difficilissimo lavoro di tessitura normativa e di equilibrio diplomatico che ha recuperato gran parte dell'originario Trattato costituzionale bocciato nei referendum in Francia ed in Olanda del 2005, testimonia proprio una drammatica empasse nel Progetto europeo rallentato, dopo una fase “eroica” nel volgere di millennio con l'approvazione della Carta dei diritti, dagli egoismi nazionali dei cittadini di due paesi fondatori. Il Lisbon Treaty riflette un'Europa che non c'era già più quando fu approvato; le sue norme sono disegnate su un'Unione a 15, relativamente omogenea (salvo la ribelle Gran Bretagna) che poteva ancora riconoscersi nello spirito dei founders e nella conduzione franco-tedesca. Le sue norme organizzative e sostanziali sono in buona sostanza quelle disegnate dalla seconda Convenzione nel 2002/2003 prima che si operasse il grande allargamento del 2004 includendo paesi dalle tradizioni molto dissonanti da quelle liberal-democratiche (con qualche venatura progressista) sul cui ethos ha viaggiato il processo di integrazione.

La scommessa di Lisbona che l'allargamento potesse essere riassorbito istituzionalmente e che Berlino e Parigi potessero rimanere una guida salda ed egemone, nonostante l'abnorme numero degli stati aderenti in molte e strategiche materie dotati di potere di veto, è stata smentita duramente oltre che dalla fronda britannica, dalla nascita di alleanze politiche dentro l'Unione apertamente euroscettiche (come quella di Visegrad, cui oggi si aggiunge un'alleanza scandinava contraria ad evoluzioni del sistema U.E. in senso federale) ed anche dall'assenza di regole efficaci per implementare progetti comuni in caso di blocchi nazionali o di esercizio di poteri di veto (basterà pensare che, da sola, l'Ungheria sta impedendo l'introduzione della tassazione comune minima proposta dall'OCSE). Il Consiglio europeo che doveva prevalentemente adottare le linee strategiche dell'Unione (art. 15 TUE) ha certamente consentito di centralizzare (contro la lettera e lo spirito dei Trattati) soluzioni molto difficili negli anni di crisi, ma ha, alla fine, mostrato il deficit di trasparenza e di accountability decisionale dell'Unione in quanto l'elemento della intergovernalità ha prevalso su quello sovranazionale (1).

Per citare Jὕrgen Habermas una sorta di “federalismo” sì, ma degli esecutivi che ha marginalizzato il Parlamento europeo (ed la stessa Commissione europea), ad esempio sulla questione delle politiche di austerity, gestite prevalentemente con strumenti propri del diritto internazionale con nuovi Trattati (tipicamente quello del MES) al di fuori dell'architettura dell'Unione e con meccanismi di attuazione, dal timbro autoritario e repressivo, degli aiuti agli stati indebitati, in plateale tensione con le proclamazioni della Carta dei diritti. Il raggelamento gerarchico nei rapporti tra gli stati (nella crisi sono stati gli stati più forti anche dal punto di vista fiscale a dettare le scelte), ha certamente concorso a rafforzare i partiti euroscettici e i processi di caduta della fiducia popolare nel sistema nel suo complesso (che presuppone un minimo di solidarietà e di coesione tra gli attori di una costellazione istituzionale denominata “Unione”).

Quindi una tensione al cambiamento della cornice costituzionale dell'Unione si è manifestata ormai da anni, portando ad una sorta di legislazione d'eccezione che si è fatta strada, nelle pieghe dei Trattati e talvolta anche al di fuori di questi, sotto le spinte dell'emergenza che ha operato come levatrice costituzionale portando a innovazioni istituzionali (alcune discutibili) sino ad oggi impensabili come le politiche della BCE a sostegno dell'euro oppure l'utilizzazione (in parte) di risorse proprie per coprire le ingenti risorse predisposte per il Recovery Plan (non a caso in occasione della sua approvazione si è parlato di hamiltonian moment dell'Unione). Ma appare evidente che questo modo di procedere è troppo rischioso per lo stesso futuro dell'Unione, troppo incerto e troppo irrazionale, portando il terreno delle regole fondamentali del gioco politico-istituzionale sovranazionale (che dovrebbe guidare l'evoluzione del suo ordinamento) ad essere la posta in campo, nella “lotta delle interpretazioni” tra gli stati membri. Ciononostante, e ripetiamo sotto la spinta dalle emergenze, l'Unione ha saputo negli ultimi anni, sotto la guida della nuova Commissione presieduta dal Ursula von der Leyen e della sua maggioranza più larga e dal chiaro orientamento pro-europe (2), ad aprire una stagione di riforme e di interventi strategici a largo raggio per disciplinare (anche alla luce della Carta dei diritti) il mondo digitale e la stessa intelligenza artificiale con il cosidetto Digital Compass , che ha portato a Luglio 2022 all'approvazione da parte del P.E. del Digital Markets Act e del Digital Services Act, mentre appare vicinissimo a concludersi la trattativa sul cosidetto Artificial Intelligence Act, provvedimento più delicato per la tutela dei diritti fondamentali, a partire da quello della protezione dei dati personali. Sul fronte sociale nel Marzo del 2022 è stato varato un piano di attuazione del Social pillar, nelle sue complesse articolazioni, con l'indicazione di un calendario per la presentazione delle varie iniziative. È atteso per settembre il voto definitivo sul salario minimo europeo, dopo un non facile negoziato tra Consiglio, Commissione e Parlamento, così come il Parlamento europeo voterà a dicembre sulla proposta di direttiva sul lavoro intermediato da piattaforme (3), ma molte altre misure sono in calendario a cominciare da un'ambiziosa proposta di direttiva sulla due diligence, sul dovere cioè delle aziende più gradi (più di 500 dipendenti) di sorvegliare sul rispetto dei diritti fondamentali del lavoro, anche nelle catene globali della fornitura (4).

La Corte di giustizia è molto energicamente intervenuta a protezione del valore dello stato di diritto. Dal 2016 a partire dalla sentenza sui giudici contabili portoghesi la Corte ha connesso, in un crescendo rossiniano garantista, la tutela “anticipata” dei valori dell'Unione (art. 2 TUE) all'applicazione della Carta dei diritti e, in particolare, del suo art. 47 superando le impraticabili procedure dell'art. 7 (basate sull'unanimità). Il valore dello stato di diritto è stato così reso inaggirabile per lo meno sul versante dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura attraverso l'applicabilità diretta dell'art. 19 TUE che obbliga gli stati membri ad assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione, il che presuppone -però -sistemi efficienti e rispettosi dei principi di terzietà del giudice in generale in ogni stato membro. L'ordinamento dell'Unione, così come interpretato dalla Corte, ha assunto una indubbia ulteriore coloritura costituzionale (implicita nelle norme della Carta) certamente eccedente i confini di un complesso di regole concernenti il mercato e la concorrenza come vorrebbero talune Corti costituzionali di alcuni paesi dell'Est che a questa vigorosa giurisprudenza si sono ribellati (5).

L'Avvocato generale Giovanni Petruzzella ha così sintetizzato questo passaggio in un recente saggio << l'ultima tappa nella costante evoluzione dell'Unione europea porta a configurarla come una “comunità di valori” che sono soprattutto quelli consacrati dall'art. 2 TUE tra i quali spicca quello dello “stato di diritto”. Dall'Europa del mercato si è passati all'Europa dei diritti per poi giungere alla comunità di valori, in un processo in cui ogni fase conserva ed arricchisce l'aquis della fase precedente>> (6).

Da ultimo in risposta alla pandemia l'Unione ha varato un piano di aiuti agli stati con pochi precedenti (se non nel lontano Piano Marshall di matrice comunque USA) implementato con caratteristiche inedite e molto avanzate. Non solo prestiti (comunque concessi anche a fini meramente di sostegno sociale) ma anche erogazioni a fondo perduto, secondo il principio del bisogno dei paesi aderenti e non in proporzione della loro popolazione, erogati al di fuori degli schemi appena riformati del MES e sulla base di una condizionalità “ buona” cioè progettuale e ricostruttiva non semplicemente ricavata dalla possibilità di solvibilità dei debitori (incentrata sulle catch words della transizione verde, digitale e della sostenibilità della sociale) ed addirittura di natura costituzionale come nella clausola sullo “stato di diritto” del regolamento di attuazione del Recovery. L'Unione si è spinta a mettere in campo l'attivazione di “risorse proprie” in modo da dispiegare al meglio la potenza di fuoco delle istituzioni sovranazionali; ha valorizzato alcune previsioni dei Trattati come l'art. 122 del TFUE (pensato per fronteggiare calamità naturali come le inondazioni, certo non una pandemia) come deroga all'arcigno 125 TFUE sul divieto di coprire i debiti pubblici nazionali, per superare la crisi dopo la sospensione del Patto di stabilità. Si è alluso, come detto, ad una nuova architettura dell'Unione, fondata sulla coesione tra gli stati membri e su politiche pubbliche capaci di realizzare obiettivi di rango continentale (progetti verdi, digitalizzazione dell'economia, nuovi lavori di alta qualificazione assistiti dalle tutele riconosciute dalla Carta dei diritti).

Infine il Regolamento europeo 2092/2020 condiziona l'attribuzione di risorse da parte dell'Unione, in specie quelle dei Fondi di coesione così come quelle erogate nel quadro del Recovery Plan, al rispetto dello stato di diritto nei suoi molteplici profili: i ricorsi di Polonia e Ungheria per l'annullamento del detto Regolamento sono stati respinti dalla Corte di giustizia con due sentenze gemelle del 16.2.2022 sicché, agli inizi di Marzo, la Commissione ha potuto rendere note le sue Guidelines avvisando gli stati dei rischi che corrono nel calpestare i principi della rule of the law. È stata resa nota l'intenzione, in applicazione delle Guidelines, di chiedere al Consiglio europeo la sospensione dei fondi destinati all'Ungheria.

Tuttavia il quadro raggiunto (“nel progresso” potremmo dire con il linguaggio dei Trattati) è ancora molto incerto ed instabile: il “salto” normativo e strategico, forse praeter legem, utilizzando ogni margine creativo nelle pieghe dei Trattati, si è realizzato per l'emergenza in modo efficace ma non è detto che possa stabilizzarsi in nuove regole valide per nuove situazioni di crisi e per l'approntamento di politiche di interesse generale dell'Unione anche sul piano dell'investimento comune in “beni pubblici” di rilievo continentale. L'arcigno patto di stabilità è stato solo sospeso ma il fronte del rigore non sembra volersi arrendere; il vigoroso piano di attuazione del Social Pillar sembra avere difficoltà a guadagnare le prime conquiste normative con la proposta di salario minimo europeo stante anche la necessità, oggi, di aggirare la disposizione di cui all'art. 153.5 che inibisce l'Unione dall'adottare prescrizioni minime in tema di retribuzioni; le Corti costituzionali di Polonia, Ungheria e Romania contestano le decisioni della Corte di giustizia e negano il primato del diritto dell'Unione in materia di organizzazione giudiziaria, ritenendola materia di competenza nazionale, così come alcuni paesi scandinavi appaiono molto freddi sul punto dell'applicabilità diretta dell'art. 21 della Carta o delle stesse direttiva antidiscriminatorie e si potrebbe continuare.

Rimane quindi più che urgente rivedere i termini del grande compromesso di Lisbona tenuto conto anche del fatto che, nel frattempo, il deflagrare della guerra in Ucraina, la crisi energetica, il rinascere dell'inflazione hanno prepotentemente messo sul tappeto questioni prioritarie rispetto alla quale quel compromesso offre canali istituzionali del tutto inadeguati e poco trasparenti.

È questo lo scenario sullo sfondo del quale il Parlamento ha attivato la procedura di revisione (in forma non semplificata) dei Trattati (TUE e TFUE), cogliendo l'occasione “politica” delle conclusioni della Conferenza sul futuro dell'Europa.

Dalla Conferenza sul futuro dell'Europa (CoFoE) un segnale di “più Europa”

La Conferenza sul futuro dell'Europa (CoFoE), conclusasi il 9 maggio del 2022 (7) con la presentazione di 49 proposte delle società civile europea (che prospettano ben 325 iniziative da parte degli organi di Bruxelles), voluta dal Presidente francese Macron e per molti mesi proseguita nell'indifferenza dell'opinione pubblica ed anche con una partecipazione modesta, nell'ultimissimo periodo ha visto un importante cambio di passo (8). I convegni ed i lavori dei partecipanti (con modalità inedite come la partecipazione ad un innovativo portale) si sono fatti più affollati (alla fine con più di 7.000 iniziative con oltre 700.000 partecipanti) e le proposte più concrete con maggiore attenzione per l'attuale trama costituzionale dei Trattati e per le specificità e i principi del diritto dell'Unione (9). Coloro che per le istituzioni nazionali e sovranazionali (ad esempio i Comitati scientifici delle varie delegazioni nazionali, in genere esperti del processo di integrazione) erano i facilitatori dell'intera operazione sono riusciti in realtà a convogliare le richieste verso sentieri più chiari e percorribili rendendo sempre di più i partecipanti attivamente costruttivi nelle loro prospettive. La prima consultazione pubblica dei cittadini europei ha in effetti dato risultati insperati e per certi versi sorprendenti. Nonostante molti media, ed anche una certa letteratura socio-politica, insista da anni sul tema della caduta di legittimazione delle istituzioni europee e sulla correlata necessità di ridimensionare le ambizioni di parte federalista (tanto che in un volume (10) che ha visto, forse, un immeritato successo di pubblico si suggeriva che ormai le politiche europee sono solo costrette a “guadagnare tempo” in attesa dell'inevitabile crollo) i cittadini europei, consultati secondo moduli partecipativi molto inclusivi e non gerarchici, hanno richiesto nel complesso più Europa e avanzato proposte che appaiono in sintonia con le attuali policies sovranazionali, con le priorità scelte dall'attuale Commissione ed anche con le posizioni politiche e culturali più disponibili all'intensificazione del legame comunitario (tipicamente quella del filosofo Jὕrgen Habermas, sebbene non possa essere definita “federalista” nell'accezione prevalente e forse un po' dogmatica del termine).

Certamente una consultazione del genere non avrebbe portato ad analoghe conclusioni ove si fosse svolta negli anni terribili della crisi dell'euro e del varo delle politiche di austerity nei confronti dei paesi più indebitati, in particolare la Grecia. Hanno giocato un ruolo rassicurante le imponenti misure, cui si è già accennato, adottate per fronteggiare la pandemia e il correlato blocco dei processi produttivi prima con lo SURE (e con il temporary framework sugli aiuti di stato) e poi con lo spettacolare Recovery Plan e l'assunzione di un vero principio di solidarietà paneuropeo che prevede sostegni in proporzione non della popolazione dello stato sovvenzionato ma delle sue necessità (per quasi la metà a fondo perduto), principi in realtà propri di uno stato federale e non così facilmente ricavabili dai testi dei Trattati. Peraltro si tratta di sostegni erogati con criteri che sembrano l'opposto di quelli alla base dei piani di rientro dal debito eccessivo promossi dal MES durante la crisi post 2008; mentre quest'ultimi erano ( e sono, ove attivati nuovamente) subordinati al ridimensionamento della spesa pubblica (anche attraverso la limatura delle prestazioni sociali), i primi sono invece orientati alla crescita ed allo sviluppo, essendo modulati su di una “condizionalità buona“ basata sui tre pilastri della digitalizzazione, delle politiche green e dell'inclusione sociale. Il Recovery Plan è quindi coerente con le nuove (o rinnovate) strategie generali adottate dalla Commissione sul fronte del digitale e dei diritti sociali. Ci sembra indubitabile che anche il clima di estrema attenzione per le dinamiche sociali ed il rilancio con iniziative come quelle sul lavoro su piattaforma (che dovrebbe come settore arrivare in pochi anni a coinvolgere circa 40 milioni di persone) che raccolgono molti suggerimenti del sindacato europeo da parte dell'Esecutivo dell'Unione abbiano alla fine determinato quel clima di fiducia che emerge dall'elaborato finale della Conferenza. Le proposte avanzate appaiono interessanti e dense di significato sotto un duplice profilo. Da un lato confermano le grandi traiettorie regolative già percorse dalla Commissione, nella radicalizzazione di qualche misura ma in una logica sostanzialmente costruttiva, soprattutto sul fronte sociale: anche ai cittadini pare che il salario minimo, il reddito minimo garantito (con qualche sfumatura verso il reddito di base), le garanzie per il lavoro tramite piattaforme, il controllo sull'utilizzazione dei dati e sulle decisioni degli algoritmi siano delle priorità dell'agenda europea così come le misure per frenare il riscaldamento globale ed l'obbligatorietà dell'utilizzo delle fonti rinnovabili. Sono i sentieri che già gli organi dell'Unione hanno individuato e che si stanno percorrendo nelle complesse e farraginose procedure applicative, nella mediazione continua con gli interessi nazionali che frenano quello europeo.

Ma a sorprendere davvero sono le proposte istituzionali che vengono dalla Conferenza: l'allusione ad un'Europa che vuole decidere, in tempi rapidi e con la massima efficacia, l'insoddisfazione per gli attuali equilibri visti come paralizzanti, lacci e laccioli superflui che mortificano le ambizioni dei cittadini. È certamente impreciso definire come “federalista” il sentire comune che emerge dal documento conclusivo visto che su certe materie le proposte sono addirittura di riduzione delle competenze dell'Unione ma c'è uno slancio complessivo verso un rilancio della progettualità continentale e verso nuove istituzioni più chiare, democratiche, trasparenti e quindi capaci di dare un pronto riscontro alla volontà popolare. Quello che emerge con forza è la sfida di interpretare direttamente una visione europea comune, che trascende quella nazionale persino quanto si suggerisce che siano i singoli paesi su alcune materie a dovere legiferare. Tuttavia va detto che su alcuni temi istituzionali la Conferenza si mostra favorevole ad alcune riforme dei Trattati di significato federale (o almeno radicalmente pro-europe) come nel suggerire che venga superata la regola dell'unanimità per tutti i settori, che venga stabilita l'applicabilità universale della Carta dei diritti (oltre l'art. 6 TUE, quindi), che venga resa più precisa e più stringente la procedura di cui all'art.7 per la violazione dei valori dell'Unione di cui all'art. 2 TUE, che venga stabilito il potere di iniziativa legislativa del Parlamento europeo, che vengano rafforzate le competenze sociali dell'Unione, abolendo i tabù vigenti che riguardano le materia della retribuzione e dello sciopero, che si individui la competenza, per lo meno condivisa, nei settori energetico e sanitario etc. La Conferenza, per implementare i progetti che avanza, rileva la necessità, su punti qualificanti, di riformare i Trattati a cominciare dai veti nazionali che ne affettano l'operatività. È infatti certamente paradossale che la sofferta direttiva sul salario minimo non consentirà di obbligare a fare alcunché l'unico paese OCSE che ha visto diminuire nell'ultimo trentennio il livello dei suoi salari (e cioè l'Italia). Stante il divieto posto dall'art. 153.5 di legiferare in materia retributiva (almeno utilizzando la speciale procedura previsti all'art. 153, cioè nell'ambito del capitolo sociale dell'Unione)- non è stato possibile fissare alcuna soglia salariale obbligatoria per gli stati i quali hanno così il solo dovere, sintetizzando al massimo, per quelli che hanno un sistema di salario minimo di fonte contrattuale come il nostro, di estendere la copertura dei CCNL ma non di raggiungere livelli di decenza alla stregua degli indicatori internazionali. La Commissione (aiutata dal P.E.) ha fatto i miracoli per far passare un provvedimento che tuttavia, stante la debolezza della base giuridica, parte azzoppato, il che dimostra l'inadeguatezza dei Trattati in materia sociale.

Rese note le conclusioni della Conferenza e le sue proposte il Parlamento ha subito tratto spunto per chiedere una riforma costituzionale dell'Unione: con una prima Risoluzione del 4 maggio, prendendo atto delle richieste dei cittadini, ha sottolineato come l'attuazione di queste, in particolare di quelle più significative ad esempio sul superamento del voto all'unanimità in materie nevralgiche ove il Trattato di Lisbona lo ha mantenuto, presuppone che si modifichino i Trattati. Pertanto questa prima Risoluzione prospetta già l'attivazione della procedura di cui all'art. 48 TUE di revisione dei Trattati (suggerendo la nomina da parte del Consiglio di una terza Convenzione) sui punti che abbiamo prima indicati, secondo una linea di approfondimento ed intensificazione del processo di integrazione europea, quantomeno di sua razionalizzazione (maggiore trasparenza, semplicità e snellezza nei momenti decisionali, una più chiara ripartizione della competenze con un rafforzamento di quelle dell'Unione a cominciare dal settore sociale, rilancio della costituzionalizzazione dell'ordinamento sovranazionale attraverso l'applicabilità diffusa della Carta dei diritti e sanzioni più energiche per la violazione dei valori europei etc.).

Il 9 maggio, come accennato, venivano presentati i risultati della Conferenza ai tre Presidenti. Molto energica e determinata la reazione del Parlamento europeo già anticipata dalla Risoluzione del 4 maggio ed anche quella della Commissione che si impegnava a dare un follow up in tempi brevissimi prendendo così l'impegno a concretizzare il più possibile le richieste dei cittadini in iniziative legislative adeguate. L'intervento più ambizioso e di un certo spessore storico è stato quello del Presidente di turno Emmanuel Macron (sul quale per ragioni di spazio non mi dilungherò) che non solo si è detto disponibile alla riforma dei Trattati ( già anticipata dal Cancelliere Scholtz all'atto del suo insediamento, con l'aggiunta preziosa di un riferimento alla Carta dei diritti come orizzonte valoriale) ma ha anche delineato una propria visione di tre Europe a cerchi concentrici, una prima che coprirebbe l'area degli attuali aderenti all'Unione incentrata sulle attuali competenze razionalizzate e rese più pragmaticamente implementabili, una seconda composta dagli stati che intendono “andare avanti” verso mete di tipo federalista (i così detti stati pionieri di cui parlava Romano Prodi) ed infine una Comunità politica europea che riunirebbe, in un cerchio molto più vasto, anche i paesi che attendono di ottenere l'adesione all'U.E., in particolare quelli balcanici, l'Ucraina, la Georgia e forse anche la Gran Bretagna. Nel suo discorso del 29.8.2022 all'Università di Praga anche il Cancelliere tedesco Olaf Scholtz (reperibile su internet), pur insistendo su tempi rapidi per l'adesione di alcuni paesi dei Balcani e dell'Ucraina, ha accettato l'idea di Macron della Comunità politica per far nascere la quale dovrebbero tenersi riunioni ufficiali già in Autunno. Il collante di questa ultima costellazione dovrebbe costituirsi attorno ad assi strategici come la difesa comune, l'ambiente, l'energia etc. I meccanismi istituzionali per far convivere in una certa coerenza tra loro queste tre Europe sono, però, ancora rimasti nel vago così come non è chiaro in questo scenario che ruolo avrebbe il Consiglio d'Europa e la sua Corte di Strasburgo, certamente oggi in forte crisi anche d'autorità per la guerra in Ucraina e la defezione della Federazione russa e della Bielorussia.

Emerge dal 9 maggio la disponibilità dei paesi maggiori dell'Unione di voler modificare i Trattati (anche il Presidente Draghi si è poi aggiunto a Scholtz e Macron e non vi è dubbio che il Governo spagnolo sia schierato in questa direzione), cui si aggiunge un Parlamento europeo molto combattivo, la cui maggioranza (con qualche prudenza dei popolari) ha radicalizzato nell'ultimo periodo in senso anti sovranistale sue posizioni (11); la Presidente della Commissione anche se per ora le dichiarazioni rese appiaono piuttosto caute.nel discorso sullo stato dell'Unione del 14.9.2022 ha detto espressamente “che è il momento di una Convenzione europea”.

Il 9 giugno il P.E. è tornato sulla questione o con una nuova Risoluzione la cui intestazione questa volta è inequivoca “ richiesta di convocare una Convenzione per la revisione dei Trattati”, cioè dell'attivazione (cui il Parlamento è abilitato) dell'art. 48.3 del TUE che prevede, laddove non si proceda attraverso una procedura semplificata (ex art. 48.6 possibile solo per la terza parte del TFUE ed all'unanimità), che il Consiglio europeo valuti preventivamente a maggioranza qualificata i progetti di revisione presentati e nomini una Convenzione (12). È evidente che la portata delle modifiche richieste (ancora in via generica con l'indicazione dei temi generali) implica obiettivamente la nomina di una Convenzione visto che si tratterebbe di mutamenti di grande rilievo che potrebbero interessare non solo il TFUE ma anche il TUE (13).

Rispetto alla precedente Risoluzione quella del 9 giugno è più forte sul fronte sociale; non solo si insiste per l'integrale attuazione del Social Pillar che peraltro regola allo stato molti settori ancora di competenza nazionale, ma allude a un Protocollo sul progresso sociale che, pur estraneo ai Trattati (come la Carta dei diritti), verrebbe richiamato all'art. 9 del TFUE (la così detta clausola sociale, norma già citata in alcune sentenze della Corte di giustizia). Non è chiaro in che cosa dovrebbe consistere questo Protocollo, sebbene una proposta che sembra molto vicina è quella coltivata dal sindacato europeo (ETUC) negli ultimi anni secondo la quale dovrebbe definire i termini della necessaria prevalenza dei diritti fondamentali sociali su quelli di libertà economica ed impedire il regresso nelle tutele lavoristiche e/o di sicurezza sociale. Certamente è una direzione di lavoro interessante sempre che non si pretenda di indicare alla Corte di giustizia come realizzare un bilanciamento tra queste due categorie di diritti ove in conflitto tra loro, che sarebbe lesiva dell'autonomia e del prestigio della Corte dell'Unione, soprattutto nell'applicazione della Carta di Nizza (di cui il Parlamento rivendica un'applicazione generalizzata). In ogni caso sarà interessante vedere come verrà elaborata la proposta di un Protocollo sociale che potrebbe integrare molti suggerimenti che la dottrina ha elaborato in questi anni come l'indicazione più chiara di un divieto di regresso nelle protezioni sociali oppure meccanismi di social imbalances che valutino, in sede di definizione delle politiche del semestre europeo, anche gli squilibri ( o i pericoli di squilibrio ) sociale con la stessa forza con cui vengono valutati quelli di bilancio.

Il Consiglio Europeo aprirà alle aspettative di cambiamento?

Ora spetta, secondo quel che emerge nel momento in cui si scrive, alla Commissione affari costituzionale del P.E. elaborare specifici e dettagliati Progetti di modifica dei Trattati (come richiede l'art. 48 TUE) che seguano le linee delineate dall'Assemblea nella Risoluzione che dovranno essere votati nel Gennaio del 2023 e poi trasmessi al Consiglio per la valutazione che dovrà, quindi, stabilire- a maggioranza qualificata- se i Progetti del P.E. meritino attenzione e nominare, in caso affermativo, una Convenzione.

In conclusione, certamente le conclusioni della CoFoE hanno suscitato nel vecchio continente una ventata costituzionale, indubbiamente accresciuta dalle dinamiche connesse alla guerra in Ucraina che genera spinte centripete alla ricerca di un ruolo forte ed autorevole di mediazione dell'Unione che almeno ponga fine ai combattimenti. Tuttavia, il collo di bottiglia dell'attuale art. 48 TUE per arrivare a modificare la trama dei Trattati (salvo la procedura semplificata che è già stata utilizzata, ma sotto la diversa spinta della crisi dell'euro e che comunque non può riguardare le norme del TUE) è difficile da superare. Ammesso che il Consiglio dichiari degni di attenzione le proposte del P.E. e che su queste vi sia un sollecito e razionale lavoro di scrittura da pare della Convenzione il Testo finale dovrà essere votato all'unanimità dal Consiglio e poi ratificato dai 27 paesi membri. A parte i tempi necessari ed il rischio che le negoziazioni previste facciano smarrire lo spirito di riforma originario si tratta di un obiettivo molto difficile da realizzare, nonostante il clima storico favorisca obiettivamente i processi di trasformazione istituzionale europei. Va anche sottolineato che, dopo il 9 maggio e la prima Risoluzione del P.E., è circolato un documento di ben 13 paesi (con due blocchi quello del gruppo di Visegrad e quello scandinavo) che si sono dichiarati piuttosto scettici (come la nuova Presidenza ceca cui seguirà quella di un altro paese piuttosto ostile ai mutamenti istituzioali radicali come la Svezia) sull'ipotesi di modifica costituzionale. A fronte di queste difficoltà che oggi appaiono difficilmente superabili prima della fine della legislatura europea esistono importanti posizioni come quelle del Movimento europeo (14) che invitano il Parlamento a seguire un'altra strada, che già Altiero Spinelli promosse spingendo l'organo democratico a mandato universale dell'Unione dal 1979, alla scrittura di un Progetto di Trattato che fu approvato all'unanimità il 14 febbraio 1984, che avrebbe gettato le basi di una costellazione costituzionale inedita post- nazionale. Insomma, l'idea alternativa, rispetto l'azione di blocco che già moltissimi paesi mostrano di valer praticare sulla necessaria riforma dei Trattati, sarebbe quella di prefigurare, anche grazie ad una mobilitazione della sfera pubblica europea in occasione delle elezioni del 2024, una stagione costituente che davvero sappia recepire le richieste dei cittadini durante la CoFoE in un disegno organico di costruzione di un futuro comune, democratico e sociale, dei cittadini del vecchio continente.

Note

(1) Su questo aspetto insiste S. Fabbrini Sdoppiamento, Roma, Bari, 2017; cfr, anche (a cura di A. Guerra, M.C. Marchetti), Dialoghi sull'Europa, Roma, 2022.

(2) Cfr. G. Bronzini Europa verso la riforma dei Trattati? Cominciare a parlarne, in Questione giustizia; G. Bronzini Il senso di Ursula per la solidarietà. Verso un welfare paneuropeo, in Questione giustizia.

(3) Cfr. G. Bronzini La proposta di direttiva sul lavoro nelle piattaforme tra esigenze di tutela immediata e le sfide dell'”umanesimo digitale in Diritti, Lavori, diritti Europa n. 1/2022.

(4) Sul tema e sulla proposta cfr. V. Brino Diritto del lavoro e catene globali del valore. La regolazione dei rapporti di lavoro tra globalizzazione e globalismo, Giappichelli, Torino, 2021.

(5) Ricordiamo le tre cruciali sentenze, sui giudici contabili portoghesi del 27.2.2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses/Tribunal de Contas, C-64/16 (la sentenza apripista), sulle riforme giudiziarie polacche (5.11.2019, Commissione c. Polonia, causa-192/2018, poi seguita da altre) ed infine con la decisione sui giudici maltesi del 20.4.2021, Repubblika, C-896/2019 del 20.4.2021.

(6) G. Pitruzzella L'Unione europea come “comunità di valori” e la forza costituente del valore dello stato di diritto, in Federalismi 15.12.202; cfr anche G. Bronzini La giurisprudenza della Corte di giustizia e la protezione anticipata dello stato di diritto. Il ruolo delle norme dei Trattati e della Carta dei diritti, in corso di pubblicazione su La cittadinanza europea.

(7) M. Ferrera Europa, le riforme necessarie (abbandonando l'unanimità), in il Corriere della sera, 9 maggio 2022; S. Fabbrini Come uscire dalla trappola dell'unanimità, in Il sole24ore, 9 maggio 2022.

(8) Al link LA "CONFERENZA SUL FUTURO DELL'EUROPA" (movimentoeuropeo.it) a cura del Movimento europeo si possono trovare tutti i più rilevanti Documenti e prese di posizioni in ordine alla CoFoE.

(9) Tutte le tappe e le modalità di discussione della Conferenza sono analiticamente descritti dal Report sulla Conferenza rinvenibile nel sito ufficiale della stessa (https://futureu.europa.eu/?locale=en) che da pag. 42 in poi descrive le 49 proposte presentate il 9.maggio 2022 ai tre Presidenti del Parlamento europeo, della Commissione e di turno (Il Presidente francese E. Macron).

(10) V. Streeck Tempo guadagnato, Feltrinelli, Milano, 2013; cfr. anche (a cura di G. Fazio) J. Habermas, W. Streeck Oltre l'austerità. Disputa sull'Europa, Castelvecchi, Roma, 2020.

(11) Cfr. M. Sorace European Parlament brings decision closer to the public, in socialeurope (www.socialeurope.org).

(12) Salvo decidere a maggioranza qualificata e previa approvazione del P.E. che non sia necessaria una Convenzione se l'entità delle modifiche non lo giustifica.

(13) “Sottopone al Consiglio, secondo la procedura di revisione ordinaria di cui all'articolo 48 TUE, le seguenti proposte di modifica dei trattati, tra cui: rafforzare la capacità dell'Unione di agire riformando le procedure di voto, anche consentendo decisioni in seno al Consiglio a maggioranza qualificata anziché all'unanimità nei settori pertinenti, quali l'adozione di sanzioni e le cosiddette clausole passerella e in caso di emergenza; adeguare le competenze conferite all'Unione nei trattati, in particolare nei settori della salute e delle minacce per la salute a carattere transfrontaliero, nel completamento dell'unione dell'energia basata sull'efficienza energetica e sulle energie rinnovabili, in linea con gli accordi internazionali per mitigare i cambiamenti climatici, nella difesa e nelle politiche sociali ed economiche; garantire la piena attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, e integrare il progresso sociale nell'articolo 9 TFUE collegato a un protocollo sul progresso sociale nei trattati; sostenere il rafforzamento della competitività e della resilienza dell'economia dell'UE, prestando un'attenzione particolare alle piccole e medie imprese e ai controlli della competitività, e promuovere investimenti proiettati al futuro e incentrati sulle transizioni giusta, verde e digitale”. Si aggiunge “conferire al Parlamento pieni diritti di co-decisione sul bilancio dell'UE e il diritto di avviare, modificare o abrogare atti legislativi e rafforzare la procedura di protezione dei valori su cui si fonda l'UE e chiarire l'accertamento e le conseguenze delle violazioni dei valori fondamentali (articolo 7 TUE e Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea)”.

(14) Cfr. il testo dell'11.3.2022 del Presidente del Movimento europeo Piervirgilio Dastoli leggibile in Movimento europeo.