La rilevanza della coabitazione nella convivenza more uxorio

Paola Silvia Colombo
06 Settembre 2022

Quando la convivenza more uxorio è determinante per la fissazione dell'assegno?
Massima

In materia di revoca dell'assegno divorzile disposto per la istaurazione da parte dell'ex coniuge beneficiario di una convivenza more uxorio con un terzo, il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, della eventuale coabitazione di essi, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l'insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al giudizio nei modi ammessi dalla legge processuale, nonché gli ulteriori eventuali argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale

Il caso

Tizio chiedeva con ricorso la revoca dell'assegno divorzile disposto a favore della sua ex moglie dal Tribunale di Ascoli Piceno con sentenza dichiarativa di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

A fondamento della domanda avanzata, il ricorrente deduceva:

  1. l'istaurazione da parte della sua ex moglie di una convivenza more uxorio;
  2. la sua condizione di disoccupato intervenuta dopo il licenziamento.

Il Tribunale di primo grado respingeva la domanda di modifica delle condizioni di divorzio per assenza di prove delle circostanze sopra dedotte. Tizio appellava la sentenza, rilevando di aver provato il suo stato di disoccupazione e l'istaurazione di una convivenza da parte della sua ex moglie, mediante la produzione di una videoregistrazione comprovante la suddetta relazione nonché tramite la richiesta di escussione di taluni testimoni. La Corte D'appello di Ancona confermava tuttavia la decisione in primo grado, giudicando ininfluenti il licenziamento e la supposta convivenza more uxorio rispetto all'esiguo ammontare dell'assegno divorzile. Tizio proponeva pertanto ricorso per Cassazione. La Suprema Corte accoglieva il ricorso richiamando il principio giurisprudenziale per cui “ai fini della revoca dell'assegno divorzile è sufficiente che l'obbligato dimostri l'istaurazione di una stabile convivenza tra l'ex coniuge e il nuovo partner”. Riassunto il giudizio, la Corte d'Appello, dopo aver ammesso la prova per testimoni, rigettava il reclamo in ragione del mancato raggiungimento della prova di una effettiva coabitazione tra la ex moglie e il nuovo presunto compagno, da cui, secondo la Corte territoriale, si sarebbe desunta la convivenza tra i due. Avverso questo provvedimento, Tizio, elaborando cinque distinti motivi, proponeva ricorso per Cassazione che veniva accolto.

La questione

Quali sono gli elementi rilevanti per accertare la convivenza more uxorio? La coabitazione rappresenta un elemento indiziario o un requisito indispensabile, la cui mancanza è tale da escludere la sussistenza di una convivenza more uxorio? È rilevante la convivenza senza coabitazione in sede di giudizio di revoca dell'assegno divorzile?

Le soluzioni giuridiche

Nel provvedimento in esame, la Suprema Corte fornisce innanzitutto un'approfondita disamina circa il confine che sussiste tra il concetto di convivenza e quello di coabitazione. La coabitazione è uno tra gli obblighi matrimoniali sanciti espressamente all'art. 143 comma 2 c.c., mentre l'art. 1 comma 36 della legge n. 76/2016 definisce conviventi di fatto “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio e da un'unione civile”. Sebbene la convivenza abbia da sempre costituito un fenomeno c.d. atipico e di difficile identificazione, il legislatore con la legge n. 76/2016 (legge Cirinnà) ha finalmente chiarito che le “fondamenta” della convivenza sono da ravvisarsi esclusivamente nella sussistenza di un legame affettivo stabile, volto alla reciproca e spontanea assistenza morale e materiale. Partendo dal dato normativo la Suprema Corte evidenzia dunque che il legislatore non ha annoverato tra i requisiti essenziali della convivenza, a differenza che per il matrimonio o per le unioni civili, la coabitazione né abbia mai fatto menzione della stessa nella l. n. 76/2016, se non indirettamente al comma 53 dell'art. 1 ove viene specificato testualmente che “il contratto di convivenza può contenere l'indicazione della residenza”. L'utilizzo del verbo “potere” e non “dovere” in tale disposizione sta indubbiamente a significare la mera facoltà e non l'obbligo dei conviventi a mantenere un'unica residenza. Se la legge n. 76/2016 avesse voluto riconoscere la coabitazione quale requisito essenziale della convivenza lo avrebbe indicato chiaramente, senza lasciare spazio a interpretazioni, tanto che in materia di unioni civili il comma 12 dell'art. 1, afferma testualmente ed esplicitamente che: “le parti fissano la residenza comune”, rendendo così la coabitazione un obbligo reciproco delle parti unite civilmente, esattamente come nel matrimonio. A conferma di ciò, si evidenzia il fatto che anche la Suprema Corte con svariate pronunce (v. Cass. 13 aprile 2018, n. 9178; Cass. 21 marzo 2013 n. 7128; Cass. 7 luglio 2010 n. 16018) aveva già avuto modo di chiarire che: “la convivenza more uxorio deve essere intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale senza che la coabitazione possa assumere il rilievo di un requisito indispensabile all'integrazione del fatto giuridico”. Sul punto, pertanto, l'ordinanza in commento, oltre a ribadire e richiamare quanto indicato nelle sopraddette pronunce nonché nell'art. 1 della legge n. 76/2016, ha riconosciuto alla coabitazione, ai fini dell'accertamento della convivenza more uxorio, il valore di mero elemento indiziario, da valutarsi “non atomisticamente, ma nel contesto e nelle circostanze in cui si inserisce”. Ciò sta a significare che sebbene l'assenza di coabitazione non esclude la configurabilità della convivenza, viceversa ne rappresenta un indizio che dovrà essere sempre valutato dal giudice congiuntamente agli altri elementi indiziari. Dunque, il giudice di merito dovrà sempre procedere alla valutazione complessiva di tutti gli elementi in suo possesso qualora non vi sia la prova diretta della coabitazione, considerandoli come elementi indiziari e rilevanti da esaminare e considerare nella loro unitarietà. Nel caso in commento, a giudizio della Suprema Corte, la Corte d'Appello di Ancona è giunta erroneamente a respingere la domanda, considerando la coabitazione quale elemento essenziale e costitutivo della convivenza e valutando gli altri elementi istruttori, quali ad esempio la videoregistrazione o la testimonianza resa della figlia delle parti, singolarmente e in maniera superficiale senza considerarli nella loro globalità.

Osservazioni

L'ordinanza in commento rappresenta un precedente significativo che si fonda su un assunto corretto, ossia che la convivenza more uxorio tra due individui può prescindere dalla coabitazione degli stessi. Sempre più spesso difatti nella società odierna, per molteplici motivi economici, lavorativi, socioculturali e personali, la stabilità di una relazione di coppia non va di pari passo con la residenza anagrafica comune. Dall'altro lato talvolta può accadere invece che due individui decidano, in virtù della stabile relazione affettiva che li lega, di coabitare nella medesima abitazione, condividendo ad esempio le spese delle utenze mensili, senza che vi sia una formale registrazione di residenza presso il comune. Di conseguenza, appare evidente come la prova della coabitazione rappresenti da sempre, stante le molteplici variabili umane relazionali, una c.d. probatio diabolica, estremamentedifficile da dimostrare, tanto da non poter logicamente costituire elemento essenziale di altro fatto giuridico, parimenti difficile da provare. Tale ardua tematica rappresenta il cuore della pronuncia in commento, la quale, se da un lato riconosce definitivamente, per i motivi sopraddetti, la coabitazione quale mero elemento indiziario per l'accertamento della convivenza more uxorio, dall'altro sembra tenti indirettamente e in via del tutto innovativa di fornire all'interprete un modus operandi per verificare, ove possibile, la sussistenza di tale requisito, valutandolo singolarmente e poi complessivamente insieme a tutti gli altri elementi indiziari, al fine non di provare ma di avvalorare l'accertamento della convivenza. Oltre a ciò occorre evidenziare che sebbene la giurisprudenza si fosse già pronunciata in passato sul requisito della coabitazione in relazione all'accertamento della convivenza more uxorio (Cass. 21 marzo 2013, n. 7128), la peculiarità dell'ordinanza in esame sta nel fatto che per la prima volta la Corte ha esaminato la sopraddetta questione con riferimento all'assegno divorzile, andando così ad incidere inevitabilmente sulla concreta applicazione della disciplina in essere. A tal proposito, la pronuncia in commento fornisce all'interprete gli strumenti necessari per comprendere quali siano gli elementi probatori anche indiziari da valorizzare al fine di poter provare la convivenza more uxorio, prova necessaria secondo la giurisprudenza consolidata, al fine della revoca o delle modifiche delle attribuzioni economiche mensili eventualmente riconosciute in sede di separazione e divorzio.