È possibile comprovare in forma analogica le notificazioni telematiche eseguite prima del 31 marzo 2021?

13 Settembre 2022

La Corte di Cassazione si è interrogata sulla idoneità della sentenza notificata telematicamente a far decorrere il termine breve di impugnazione, nonché sulla validità della prova analogica per l'esecuzione della notifica eseguita a mezzo PEC.
Massima

È idonea a far decorrere il cd. termine breve di impugnazione la notificazione via PEC della sentenza di appello, quando essa ed il deposito della relativa documentazione con modalità analogica (ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, L. n. 53/1994) siano avvenuti prima del 31 marzo 2021.

Il caso

Con sentenza pubblicata il 12 settembre 2016 la Corte d'Appello di Bologna respingeva il gravame principale proposto dalla società Alfa avverso la decisione del Tribunale di Rimini, accogliendo invece l'appello incidentale di Tizia.

In data 17.9.2016 detto provvedimento veniva notificato con modalità telematica (ai sensi dell'art. 3-bis della L. n. 53/1994) dal difensore della parte vittoriosa agli avvocati di quella soccombente.

Avverso la sentenza d'appello Alfa interponeva ricorso per cassazione il 25 settembre 2017, deducendo cinque motivi.

In sede di controricorso (risalente all'autunno 2017) Tizia eccepiva preliminarmente la decadenza di Alfa per tardività del ricorso, in quanto notificato dopo lo spirare del termine di 60 giorni previsto dal combinato disposto degli artt. 325, secondo comma, e 326 c.p.c.; a tal fine, ella depositava nella cancelleria del Supremo Collegio una copia analogica del messaggio di posta elettronica certificata (completo degli allegati esemplari di sentenza d'appello e relazione di notifica), della ricevuta di accettazione e della ricevuta di avvenuta consegna via posta elettronica certificata (“PEC”) del plico informatico ai procuratori costituiti in II grado di Alfa, attestandone la conformità a norma di legge.

Con la memoria ex art. 380-bis c.p.c. (presentata nella primavera 2022) i legali di Alfa:

  • negavano di aver ricevuto dall'avvocato di Tizia la notifica della sentenza della Corte d'Appello di Bologna;
  • contestavano – disconoscendola anche ai sensi dell'art. 2719 c.c. – la documentazione prodotta dalla controricorrente al riguardo;
  • asserivano che nulla sarebbe stato dimostrato a proposito del perfezionamento e buon esito della notifica in discussione.
La questione

La Suprema Corte si è (implicitamente) chiesta, con riguardo alla vicenda devoluta alla propria cognizione:

  • se fosse possibile far decorrere il cd. termine breve di impugnazione notificando con modalità telematica la sentenza di riferimento;
  • se – e come – fosse legittimo fornire prova analogica della notifica eseguita ex art. 3-bis L. n. 53/1994.

La soluzione giuridica

La Corte di Cassazione ha statuito quanto segue:

  • lo strumento informatico s'appalesa ormai da anni pienamente utilizzabile (anche) per notificare i provvedimenti giudiziari, con funzione acceleratoria del contenzioso attraverso l'impulso alla celere instaurazione dell'impugnativa o – in mancanza – al passaggio in giudicato della decisione resa;
  • la controricorrente ha

    soddisfatto le prescrizioni

    di cui agli

    artt. 3-bis

    ,

    6

    e

    9 della L. n. 53/1994

    , avendo prodotto in copia cartacea il messaggio di trasmissione a mezzo PEC, le ricevute di avvenuta consegna e accettazione e la relata di notificazione firmata digitalmente dal difensore, oltre ad aver debitamente

    allegato la copia conforme

    della sentenza (già notificata in formato elettronico), dopo averla estratta su supporto analogico e attestata conforme in ossequio all'

    art. 16-undecies del D.L.n. 179/2012

    (conv. dalla

    L. 17.12.2012, n. 221

    );

  • l'avvocato attestatore di conformità

    (oltre che chi notifica in proprio; cfr.

    art. 6, comma 1, L. n. 53/1994

    )

    è, nell'esercizio di detta funzione, considerato pubblico ufficiale

    (v. il comma 3-

    bis

    del citato

    art. 16-undecies D.L. n. 179/2012

    ), sicché le fotocopie estratte ed attestate autentiche – come nella vicenda in esame – possiedono la medesima efficacia degli originali, proprio a norma dell'

    art. 2719 c.c.

    invocato dalla ricorrente;

  • nessun rilievo ha la circostanza che, in base all'

    art. 221, comma 5, del D.L. n. 34/2020

    (conv. dalla

    L. n. 77/2020

    e vigente

    exart. 16

    , primo alinea, del

    D.L. n. 228/2021

    [conv. dalla

    L. n. 15/2022

    ] fino al 31 dicembre 2022), a decorrere dal 31 marzo 2021 sia diventato possibile depositare telematicamente atti e documenti nei procedimenti dinanzi alla Corte di Cassazione: a quella data, invero, la prova della notifica della sentenza d'appello era già stata fornita ritualmente in forma analogica, secondo la regola applicabile

    pro tempore

    , e “

    nulla impone di rinnovare l'acquisizione

    stessa – già definitivamente perfezionata con tali modalità – con una

    ulteriore produzione

    secondo le

    modalità telematiche

    successivamente entrate in vigore.”.

Alla luce dei suestesi rilievi, il ricorso di Alfa è stato dichiarato inammissibile, col corollario dell'addebito ad essa – in aggiunta a compensi e spese di lite (liquidati in favore di Tizia) – di un importo pari al contributo unificato di iscrizione a ruolo (ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002).

Osservazioni

L'ordinanza in commento appare pienamente condivisibile, perché costituisce lucida e convincente applicazione di uno dei princìpi-cardine dell'ordinamento processuale italiano, qual è quello consacrato nel brocardo tempus regit actum”.

Occorre infatti ricordare che, a norma dei commi 1-bis e 1-ter dell'art. 9 della L. 21.1.1994, n. 53, in materia di notificazioni telematiche, “Qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell'atto notificato a norma dell'articolo 3-bis, l'avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82.” e “In tutti i casi in cui l'avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis.”

Quando – nell'autunno 2017 – il difensore della controricorrente ha eccepito la tardività del ricorso, ha assolto l'onere probatorio relativo alla notifica della sentenza d'appello nell'unico modo possibile a quell'epoca dinanzi al Supremo Collegio: ossia depositando le copie analogiche degli esemplari informatici concernenti l'avvenuta notificazione telematica ed attestandole conformi ai sensi di legge. Non è certo suscettibile di riverberarsi a suo detrimento la modifica normativa intervenuta più di tre anni dopo, dovendosi altrimenti ammettere – il che confliggerebbe col canone dell'irretroattività dianzi rammentato – la sussistenza di un dovere di adeguarsi ex tunc ad incombenze formali neppure praticabili al momento (l'unico da prendere in considerazione) dell'esecuzione dell'atto (= deposito dei documenti riferiti alla notifica).

A contrario, ed in via speculare, merita di essere sottolineato come dal 31 marzo 2021 (ed anche dopo il 31 dicembre 2022, stante l'estensione dell'obbligatorietà del deposito telematico ai procedimenti dinanzi al Supremo Collegio, contemplata dall'art. 194-quater disp. att. c.p.c. contenuto nello schema di decreto legislativo di riforma di cui alla L. n. 206/2021) l'uso dell'informatica nel procedimento notificatorio (riguardi esso il provvedimento da impugnare, il ricorso od il controricorso) imponga poi alla parte, che se ne è avvalsa, di optare per il deposito telematico nella cancelleria della Corte di Cassazione, se essa non vuol correre il rischio di vedersi preclusa la prova dell'esistenza e validità della notifica ex art. 3-bis L. n. 53/1994: ciò in quanto, potendosi da detta data depositare telematicamente atti e documenti anche nel giudizio di legittimità, non v'è più spazio per l'operatività del meccanismo certificativo analogico di cui ai summenzionati commi 9-bis e 9-ter dell'art. 9 L. n. 53/1994.

L'ortodossia della pronuncia qui illustrata è apprezzabile pure sul piano del diniego di efficacia del disconoscimento effettuato ex art. 2719 c.c.; anche se a venire in rilievo non è tanto tale disposizione, bensì il dettato del primo comma dell'art. 23 d.lgs. n. 82/2005 (cd. codice dell'amministrazione digitale, d'ora in poi “CAD”): quelle afferenti alla notificazione telematica della sentenza, infatti, sono “copie su supporto analogico di documento informatico”, aventi “la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”: com'è appunto, nel caso in parola, l'avvocato munito di procura ad litem nell'àmbito del processo sfociato nella sentenza d'appello poi notificata alle controparti.

In tema di valore probatorio della ricevuta di avvenuta consegna del messaggio PEC di notifica telematica, la giurisprudenza di legittimità (v. ad esempio Cass. civ., Sez. VI – 1, ord., 1.3.2018, n. 4789, adesiva rispetto a Cass. civ., Sez. I, 21.7.2016, n. 15035) sembra orientata ad escluderne la pubblica fede e, dunque, ad esigere per la sua contestazione la querela di falso, sulla base del duplice assunto secondo cui (i) manca una espressa previsione normativa in tal senso e (ii) il gestore di posta elettronica certificata non è un pubblico ufficiale, né svolge un'attività delegata da un pubblico ufficiale.

Detto ragionamento non convince sino in fondo, atteso che:

  • un'attenta lettura dell'art. 2699 cod. civ. conduce ad escludere la necessità di un'esplicita qualificazione come “atto pubblico”, apparendo indispensabile – ma sufficiente – solo il requisito della provenienza dell'atto da un pubblico ufficiale nell'esercizio della potestà certificativa attribuitagli;
  • l'avvocato notificante in proprio (che, come si è visto supra, assume la veste di pubblico ufficiale), si avvale – per il compimento dell'attività di invio e recapito del messaggio PEC – dei gestori inclusi in apposito elenco ex 14, D.P.R. 11.2.2005, n. 68, alla stessa stregua dell'ufficiale giudiziario che nella notificazione tramite posta cartacea (al di fuori della zona territoriale di competenza per la notifica a mani) fruisce degli operatori del servizio postale; e se l'avviso di ricevimento del plico raccomandato contenente un atto giudiziario è considerato un atto pubblico, in quanto ritenuto porzione integrante della relazione di notificazione redatta dall'u.g. (col corollario della superabilità delle risultanze ivi riportate solo a mezzo di querela di falso: v., tra le più recenti, Cass. civ., Sez. V, ord., 24 dicembre 2020, n. 29537; Cass. civ., Sez. VI - 2, 21 marzo 2019, n. 8082), non si vede perché non lo sia la ricevuta di avvenuta consegna del messaggio PEC (infra “RAC”), quale parimenti parte integrante della relata confezionata dal difensore, tenuto oltretutto presente che la trasmissione di un documento informatico via PECequivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta” (art. 48, comma 2, d.lgs. n. 82/2005, le cui disposizioni si applicano “al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico” [art. 2, c. VI, CAD]), e che “Le persone addette ai servizi di notificazione a mezzo posta sono considerate pubblici ufficiali a tutti gli effetti.” (art. 18, comma 1, d.lgs. 22 marzo 1999, n. 261).

Peraltro, l'ampliamento della platea dei mezzi di contestazione delle risultanze della RAC non mina, in concreto, la portata probatoria di essa, posto che:

  • la data e ora di formazione di detto documento informatico sono opponibili ai terzi (costituisce validazione temporale anche il riferimento ottenuto attraverso l'uso della posta elettronica certificata: cfr. art. 41, comma 4, lett. c), D.P.C.M. 22.2.2013);
  • una volta acquisita al processo la prova dell'esistenza della RAC, grava sul destinatario della notifica l'onere di provare con rigore eventuali malfunzionamenti dei sistemi informatici impeditivi della visibilità di quanto notificato (così Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2021, n. 15001; Cass. civ., sez. I, 24 settembre 2020, n. 20039; addirittura, secondo Cass. civ., sez. lav., 21 febbraio 2020, n. 4624 [conf. Cass. civ. n. 21560/2019], “Spetta quindi al destinatario, in un'ottica collaborativa, rendere edottoil mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all'utilizzo dello strumento telematico” ed all'eventuale sua inerzia consegue il perfezionamento della notifica).

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