Rapporti patrimoniali tra coniugi: aspetti giuridici e fiscali

14 Settembre 2022

La disciplina a favore dei coniugi si pone lo scopo di rendere più semplice l'iter di separazione o divorzio, in modo tale da addivenire a una migliore e più pronta soluzione della crisi coniugale.
I trasferimenti patrimoniali in sede di separazione e divorzio

Quando i coniugi maturano la decisione di voler addivenire alla separazione o al divorzio, una delle problematiche principali da affrontare concerne la regolamentazione dei loro rapporti patrimoniali nell'ambito della crisi matrimoniale.

Nell'ambito delle procedure di separazione consensuale o divorzio congiunto dei coniugi, per giurisprudenza consolidata, è possibile includere nella redazione dell'accordo negoziale clausole che prevedono trasferimenti di proprietà o di altri diritti reali immobiliari da un coniuge all'altro o a favore di terzi (normalmente i figli) al fine di regolamentare i rapporti economici collegati alla crisi del matrimonio.

Sono, infatti, ritenute valide le clausole a contenuto patrimoniale dell'accordo di separazione e/o divorzio:

- che riconoscono ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili;

- che prevedono il trasferimento di beni a favore di uno dei coniugi al fine di assicurarne il mantenimento o anche il trasferimento di un bene immobile da parte di un genitore in favore dei figli quale l'assolvimento dell'obbligo di mantenimento di essi;

-che prevedano l'impegno dei coniugi a compiere trasferimenti immobiliari successivi al decreto di omologa.

Dette clausole sono considerate espressione tipica dell'autonomia contrattuale delle parti volta a comporre al meglio i loro reciproci interessi nella gestione della crisi del rapporto coniugale.

Si tratta di veri e propri contratti “consensuali” di natura economica - che trovano la propria causa nella necessità di risolvere la crisi coniugale - la cui efficacia è però, in caso di separazione, subordinata all'omologazione del Tribunale e, in caso di divorzio, al recepimento in sentenza previa verifica da parte dell'Ufficio giudiziario competente che gli stessi non siano in contrasto con gli interessi degli figli minori, ove presenti.

Le attribuzioni patrimoniali rientrano in quello che viene definito “contenuto eventuale” dell'accordo di separazione o di divorzio.

Una parte della giurisprudenza tende a qualificare i trasferimenti patrimoniali pattuiti dai coniugi nell'ambito delle condizioni economiche della separazione e divorzio come veri e propri contratti atipici diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico ai sensi dell'art. 1322 c.c. (cfr. Cass. civ., 23 marzo 2004 n. 5741; Tribunale Firenze Sez. III, 19/06/2018; Tribunale Varese Ord. 23/01/2010; Corte d'Appello Milano Decr., 12/01/2010).

Altra parte della giurisprudenza (Cass. Civ. n. 5473 del 14.3.2006) ritiene, invece, che gli accordi di separazione e divorzio in ambito patrimoniale abbiano una loro causa specifica, e precisamente una “causa familiare”, di norma onerosa, che trova il suo fondamento normativo negli artt. 711 c.p.c. e 4, comma 16 della legge sul divorzio.

Tale tesi trae fondamento dalla unitarietà della causa come elemento incollante delle diverse fattispecie negoziali inerenti gli accordi di separazione e divorzio volti a definire gli aspetti patrimoniali della crisi coniugale.

Tali accordi possono definirsi, pertanto, come “contratti della crisi coniugale” aventi come causa tipica quella di definire globalmente ed in modo non contenzioso i rapporti patrimoniali dei coniugi con soluzioni “solutorie-compensatorie” ampie e complessive.

Va precisato che le attribuzioni patrimoniali tra coniugi in sede di separazione non costituiscono donazioni - sfuggendo, in quanto tali, alle connotazioni classiche dell'atto di donazione vero e proprio (tipicamente estraneo di per sé a un contesto, quello della separazione personale, caratterizzato dalla dissoluzioni delle ragioni della convivenza materiale e morale) ne possono considerarsi tout court atti di compravendita (non essendo necessariamente legate alla presenza di uno specifico corrispettivo) ma “rispondono piuttosto a un più specifico e più proprio e originario spirito degli accordi di sistemazione dei rapporti tra i coniugi in occasione dell'evento di separazione consensuale”(Cfr. Cass. sez. I, 23 marzo 2004, n. 5741).

Il procedimento consensuale di separazione e divorzio diventa, quindi, lo strumento per porre in essere questa negoziazione globale finalizzata non solo a regolamentare compiutamente gli interessi economici dei coniugi ma anche ad assicurare agli stessi maggiore serenità nei rapporti futuri.

Il fondamento di siffatto potere dei coniugi va ricercato nell'autonomia contrattuale ad essi attribuita la quale ben può estrinsecarsi, anche ai fini della definizione della crisi coniugale, sia con riferimento alla scelta fondamentale di interrompere la convivenza e vivere separati, sia con riferimento alle conseguenze economiche di detta scelta.

L'efficacia degli accordi patrimoniali attuati nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio. Gli orientamenti della giurisprudenza

Un tema estremamente dibattuto è stato quello relativo all'efficacia degli accordi mediante i quali la proprietà o un altro diritto reale su cosa altrui viene trasferito (o costituito) da un coniuge a favore dell'altro o a favore dei figli, allo scopo di regolamentare i rapporti patrimoniali in occasione della crisi matrimoniale.

Gran parte della giurisprudenza di legittimità̀ propende per la tesi dell'efficacia traslativa immediata. Se si considerano, infatti, i trasferimenti patrimoniali di natura immobiliare pattuiti in sede di separazione consensuale o divorzio congiunto come negozi giuridici ad efficacia reale, non vi è alcun bisogno per le parti di rivolgersi successivamente al notaio per perfezionarli dal momento che il verbale omologato che li recepisce o la sentenza diventa atto pubblico ai sensi di cui all'art. 2699 c.c., e dunque titolo idoneo per la trascrizione del negozio traslativo, in forza dell'art. 2657 c.c. (Cfr. Cass. Civ., 15 maggio 1997, n. 4306; Cass. Civ., 16 settembre 1999, n. 9917; Cass. Civ., 12 aprile 2006, n. 8516; Cass. Civ., 13 maggio 2008, n. 11914.).

La giurisprudenza di merito considera, invece, le pattuizioni prevedenti il trasferimento di diritti reali immobiliari nell'ambito di procedimenti in materia di famiglia come impegni preliminari di vendita e acquisto (anziché trasferimenti immobiliari definitivi con immediato effetto traslativo) con la conseguenza che i coniugi dovranno a chiusura del procedimento affidarsi inevitabilmente ad uno studio notarile per dare concreta attuazione alle intese raggiunte (ex plurimis, Trib. Milano, 06/12/2009, in Fam. dir., 2011, 937; Trib. Milano, 21/05/2013, in Fam. Dir., 2014, 600 e ss.; Trib. Firenze, 29/09/1989, in Riv. not., 1992, 595; Trib. Firenze, 07/02/1992, in Dir. fam e pers., 1992, 731; Trib. Napoli, 16/04/1997, in Fam. Dir., 1997, 420; Tribunale di Pesaro n. 933/2016;Corte d'Appello di Ancona n. 583/2017).

Viene valorizzata così la c.d. procedura “bifasica”, rappresentata dall'assunzione dell'obbligo di trasferire in sede giudiziale e dalla successiva redazione dell'atto notarile in esecuzione dell'obbligo assunto.

Molti Tribunali, tra cui anche quello di Milano, hanno preferito optare per questa ultima impostazione ritenendo che l'accordo prevedente trasferimenti di diritti reali dovesse essere inteso come negozio ad effetti meramente obbligatori che richiede il successivo intervento notarile per porre in essere un atto traslativo trascrivibile e quindi opponibile anche ai terzi (Tribunale di Milano, sez. IX, 21/5/2013).

Tesi questa che trova fondamento nel fatto che il Giudice:

- non può svolgere alcun potere certificativo e attributivo della pubblica fede alle dichiarazioni negoziali delle parti;

- non è pubblico ufficiale con poteri certificativi e/o roganti: non può accertare l'identità delle parti, la relativa legittimazione a disporre, non può adeguare le dichiarazioni dei coniugi alla normativa vigente né accertare l'effettiva titolarità del bene o la sua libertà da vincoli, ipoteche, oneri o trascrizioni pregiudizievoli ovvero la sua conformità catastale.

- non può effettuare il controllo di legalità, diversamente da quanto espressamente stabilito per il notaio ex art. 28 l. notarile (Cfr. anche Trib. Genova, sez. V, 21 dicembre 2017).

L'intervento del Notaio è quindi necessario perché offre maggiori garanzie alle parti le quali, attraverso il rogito, potranno sanare eventuali carenze che avrebbero potuto determinare la nullità dell'atto di trasferimento.

La posizione dominante dei giudici merito — che ha come corollario che l'atto di trasferimento sia rogato dal notaio — è basata, come visto, su numerosi argomenti, tra i quali quello, che pare essere insormontabile, basato sull'art. 29 l. n. 52/1985, come novellato dall'art. 19, comma 14, d.l. 31 maggio 2010, n. 78.

Dalla lettura della norma emerge in modo univoco e limpido che il legislatore — nel più ampio contesto delle misure urgenti intese a contrastare l'elusione fiscale e contributiva — ha espressamente demandato al «notaio» (e non ad altri operatori) il compito dell'individuazione e della verifica catastale nella fase di stesura degli atti traslativi, così concentrando, nell'alveo naturale del rogito notarile, il controllo indiretto statale a presidio degli interessi pubblici coinvolti.

Ne consegue, pertanto, che il controllo del notaio non può essere sostituito da quello del Giudice della separazione o del divorzio (e men che meno da quello del PM, in caso di negoziazione assistita) ostandovi, da un lato, l'evidente quanto pacifica diversità di ruolo e funzioni e, dall'altro, l'assoluta mancanza nel procedimento “giurisdizionale” delle garanzie del rispetto della normativa urbanistica (con riferimento alle menzioni previste dalla legge a pena di nullità dell'atto di trasferimento immobiliare) e di quella tributaria.

Si ricorda, da ultimo, che su tale dibattuta e controversa questione è intervenuta anche la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 21761 del 29 luglio 2021 chiarendo che “Le clausole dell'accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio (che, rispetto alle pattuizioni relative alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa) ovvero dopo l'omologazione, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c., presupponendo la validità dei trasferimenti l'attestazione del cancelliere che le parti abbiamo prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui all'art. 29, comma 1-bis, della l. n. 52 del 1985, mentre non produce la nullità del trasferimento il mancato compimento, da parte dell'ausiliario, dell'ulteriore verifica soggettiva circa l'intestatario catastale dei beni e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.

Con tale provvedimento, che ha fatto molto discutere, le Sezioni Unite hanno in sostanza evidenziato come l'atto giudiziario che ratifica l'accordo di separazione o di divorzio consenta di trasferire i beni immobili da un coniuge all'altro o a favore dei figli, senza passare obbligatoriamente dal notaio.

L'accordo con il quale i coniugi operano trasferimenti immobiliari avrebbe, quindi, la medesima validità ed efficacia di un atto pubblico redatto da un notaio e sarebbe, quindi, titolo per la trascrizione nei pubblici registri, purché detto trasferimento immobiliare sia inserito nel verbale di separazione consensuale omologato o nella sentenza che recepisce gli accordi del divorzio raggiunti fra le parti.

Perché ciò sia possibile, la Corte di Cassazione ha precisato anche che il verbale di separazione consensuale o o la sentenza che recepisce l'accordo devono includere l'identificazione catastale dell'immobile, le planimetrie depositate in catasto, la dichiarazione di conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie (art. 19, comma 14, d.l. n. 78/2010).

Il trattamento fiscale dei trasferimenti patrimoniali pattuiti nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio

I trasferimenti patrimoniali attuati da un coniuge verso l'altro in esecuzione degli accordi di separazione o dello scioglimento del vincolo matrimoniale godono di uno speciale regime fiscale agevolato previsto espressamente dall'art. 19 l. n. 74/1987, che testualmente recita: “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6, 1 dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”.

In sostanza, detti trasferimenti non sono soggetti alle imposte e tasse previste per i trasferimenti immobiliari, ovvero l'imposta di registro, ipotecaria e catastale.

Si tratta di un trattamento tributario agevolativo la cui ratio va ravvisata nell'intenzione del legislatore di favorire la complessiva sistemazione dei rapporti tra i coniugi in occasione della crisi, non sottoponendo quindi a tassazione i trasferimenti patrimoniali tra i coniugi compiuti nel difficile momento della separazione e del divorzio, trasferimenti che, inoltre, non sono ragionevolmente indice di capacità contributiva (Cfr. a Cass. Civ. 7966/2019; Cass. Civ. 3074/2021).

Lo scopo della norma è infatti quello di favorire la sistemazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in crisi, escludendo che derivino loro conseguenze fiscali sfavorevoli da tali accordi (Cass. 8104/2017; Cass. 13340/2016).

La famiglia rientra, del resto, in quel sistema di valori costituzionali, di cui agli artt. 29 e 31 Cost., e sovranazionali meritevoli di tutela e, nel perseguimento di un obiettivo di chiara matrice garantistica, il legislatore ha previsto misure di sostegno anche sotto forma di agevolazioni fiscali.

L'idea alla base della tutela della famiglia è, da un lato, di incentivarne la formazione e lo sviluppo e, dall'altro, di assicurarne un'adeguata protezione sociale, anche tramite il ricorso a misure di sostegno fiscali. (A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto costituzionale, Bologna, 2012, pp. 214-215; D. Cardamone, La famiglia nella Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo: strumenti di tutela e linee evolutive, in questa Rivista, 2020, 1, p. 3 ss; Si veda anche M. Muscolino, Tassazione separata dei componenti della famiglia, in GT – Riv. giur. trib., 2004, 10, p. 939 ss.; F. Pepe, Vantaggi, criticità ed implicazioni sistematiche dell'istituendo “assegno unico e universale per figli a carico”, in Riv. dir. trib., supplemento online, 9 ottobre 2020, p. 1 ss).

Va subito precisato che la norma di cui all'art. 9 della Legge n. 74/1987 , pur riferendosi esclusivamente al divorzio, si applica anche nel caso di separazione, in base alla sentenza della Corte Costituzionale del 10 maggio 1999, n. 154, che ha equiparato il trattamento fiscale degli atti relativi al divorzio a quelli relativi alla separazione evidenziando, inoltre, che il fine della norma è quello di agevolare l'accesso alla tutela giurisdizionale.

I tributi

L'esenzione si estende a ogni tipo di “tassazione”, indipendentemente dalla natura di “imposta” o “tassa” in senso proprio del tributo concretamente in discussionee si applica a tutti i trasferimenti che vengono eseguiti o programmati dai coniugi — tra loro o anche in favore dei figli — purché vengano contemplati espressamente nell'accordo di separazione o divorzio (Cfr. Circ. MEF 16 marzo 2000, n. 49).

Oltre alle tasse e alle imposte indirette vengono, quindi, in considerazione anche le imposte dirette se afferenti agli atti e documenti che, nascendo dalla crisi del matrimonio, tendono a dare nuova sistemazione agli interessi patrimoniali dei coniugi nelle diverse fasi della crisi stessa.

Rientrano, pertanto, nel trattamento fiscale agevolato oltre alle tasse e alle imposte di bollo e di registro, le imposte ipotecarie e catastali, quella sull'incremento del valore degli immobili, l'imposta sul valore aggiunto e ogni imposta diretta che abbia attinenza agli atti, documenti e provvedimenti connessi ai procedimenti previsti dalla norma.

Più nel dettaglio i trasferimenti immobiliari a titolo oneroso scontano:

  • L'imposta sulla registrazione degli atti.

Essa è disciplinata dal Dpr n. 131/1986 (Testo Unico dell'imposta di registro). Ha il duplice scopo di fornire un'entrata fiscale e di remunerare lo Stato per il servizio che offre ai privati (conservare traccia di particolari atti in modo da conferire loro certezza giuridica).

Il Registro è tenuto presso un apposito Ufficio dell'Agenzia delle Entrate e riporta in ordine cronologico tutti gli atti sottoposti a registrazione. L'imposta di registro è un'imposta indiretta, ovvero colpisce i trasferimenti di ricchezza come, ad esempio, l'acquisto di una casa, ed è dovuta per la registrazione di una scrittura, pubblica o privata.

  • L'imposta ipotecaria e catastale.

La fonte normativa dell'imposta ipotecaria e catastale è il decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347 (TUIC - testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecari e catastali).

- L'imposta ipotecaria ha per oggetto il trasferimento di immobili, sia a titolo gratuito sia a titolo oneroso, o la costituzione su di essi di ipoteche o di diritti, ad esempio il diritto di usufrutto (che consiste nel diritto di usare e godere di un bene di cui non si è proprietari). E' dovuta ogni qual volta si debbano eseguire le formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione presso i pubblici registri immobiliari. L'imposta colpisce in sostanza il passaggio di proprietà di un immobile, nonché l'iscrizione di un diritto o di qualsiasi vincolo (ad esempio, una ipoteca) su di esso.

- L'imposta catastale è correlata all'imposta ipotecaria ed ha presupposti e caratteristiche analoghe.

E' dovuta sulle volture catastali per il trasferimento di immobili, sia a titolo gratuito sia a titolo oneroso, o seguenti la costituzione su di essi di ipoteche o di diritti, ad esempio il diritto di usufrutto.

Gli atti oggetto di esenzione

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l'esenzione dall'imposta di bollo, di registro e da qualsiasi altro tributo, prevista dall'art. 19 l. 6 marzo 1987, n. 74, si applica a tutti i trasferimenti effettuati o programmati dai coniugi in sede di separazione o divorzio, anche a quelli che non sono strumentali all'adempimento degli obblighi di mantenimento, alla regolamentazione dell'affidamento dei minori e al godimento della casa familiare, atteso che, comunque, si tratta di accordi diretti ad una sistemazione transattiva globale e definitiva della crisi coniugale (Cass. Civ, 3 febbraio 2016, n. 2111; Cass. Civ., 17 febbraio 2016, n. 3110).

Negli atti oggetto di esenzione vanno ricompresi anche gli accordi che contengono il riconoscimento o attuino il trasferimento della proprietà di beni mobili ed immobili all'uno o all'altro coniuge (Cass. Ord. 4144/2021)

Il fulcro di tale principio va individuato nella centralità dell'accordo tra le parti nella definizione della crisi coniugale, con riguardo tanto agli atti separativi di contenuto “necessario”, quali ad esempio l'affidamento dei figli, quanto a quelli di contenuto “eventuale”, compresi gli accordi patrimoniali del tutto autonomi conclusi dai coniugi per l'instaurazione del regime di vita separata (Cfr. Cass. Civ. 17.2.2021 n. 4144; Circ. n. 27/E del 21 giugno 2021).

Nel nuovo contesto normativo, deve quindi riconoscersi il carattere di “negoziazione globale” a tutti gli atti posti in essere dalla coppia per gestire la crisi coniugale.

L'esenzione ricomprende, quindi, tutti gli atti relativi ai procedimenti di separazione o divorzio strumentali all'adempimento, da parte dei coniugi, delle obbligazioni assunte per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche quelli i cui effetti siano favorevoli ai figli (cfr. Cass., Sez. T, 30 maggio 2005, n. 11458 e Cass., Sez. T, 28 giugno 2013, n. 16348)

A prescindere dal tipo e contenuto dell'accordo (di separazione o “in occasione di separazione”), è necessario che questo sia volto, anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari, a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale.

L'Agenzia delle Entrate (Cfr. Agenzia delle Entrate, Circ. n. 27/E del 21 giugno 2012) ha precisato, inoltre, che per usufruire di tale regime è necessario che nel testo dell'accordo omologato dal Tribunale, in caso di separazione, o recepito in sentenza, in caso di divorzio, venga specificato che la disposizione patrimoniale è elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale.

Ove ciò̀ non dovesse accadere la giurisprudenza di merito ha comunque riconosciuto la possibilità̀ di correggere l'accordo mediante la rettifica posta in essere dal Notaio, su richiesta delle parti, adito per i trasferimenti, facendo riferimento all'art. 59-bis del d.lgs. 2 luglio 2010 n. 110, che prevede la facoltà̀ del notaio di rettificare, fatti salvi i diritti di terzi, un atto pubblico o una scrittura provata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell'esecuzione della pubblicità̀, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato (Cfr. Trib. Milano, Sez. IX, decreti del 7 maggio 2013 e del 7 aprile 2015 in Raccolta della giurisprudenza della sezione IX civile del Tribunale di Milano).

L'Agenzia delle Entrate può, in ogni caso, sempre procedere all'intimazione delle imposte dovute (per esempio imposta di registro) se dimostra che l'accordo tra i coniugi ha in realtà finalità elusive.

Si tratta, per esempio, dell'ipotesi in cui un coniuge cede all'altro un immobile, nell'ambito di una separazione consensuale simulata, al solo fine di non pagare i relativi tributi.

La speciale normativa fiscale sugli atti esecutivi di siffatti accordi impone, inoltre, che i soggetti che li pongono in essere siano gli stessi coniugi che li hanno conclusi, e non anche terzi (Cfr. Cass. Civ., 17 gennaio 2014, n. 860).

Ciò in quanto la logica dell'agevolazione fiscale mira a promuovere una soluzione idonea a garantire un nuovo equilibrio, anche economico, per i coniugi, di tal che l'inclusione di atti di diversa natura si presterebbe facilmente ad intenti elusivi, mirando, cioè, ad ottenere un'esenzione fiscale non spettante.

Spetta all'Amministrazione finanziaria (Cfr. Agenzia delle Entrate, Circ. n. 27/E del 21 giugno 2012) svolgere indagini e compiere valutazioni sul contenuto di questi accordi, seguendo le consuete regole di legge in materia di accertamento e contestazione delle violazioni fiscali e dimostrando se sussistono finalità elusive che consentano di operare il recupero a tassazione delle imposte non pagate in virtù dell'esenzione.

Il regime di esenzione previsto dall'art. 19 l. n. 74/1987 è applicabile anche:

a) ad accordi di natura patrimoniale aventi ad oggetto disposizioni in favore dei figli in quanto comunque finalizzati alla sistemazione degli interessi familiari (Cfr. Corte Cost., 11 giugno 2003, n. 202; Cass. Civ., 2 marzo 2005, n. 11458; Circ. n. 27/E del 2 giugno 2012).

Il motivo che sorregge tale interpretazione si fonda in sostanza su due principi: la tutela dei figli nei procedimenti di separazione nonché la convinzione che spesso il trasferimento dei beni alla prole costituisca l'unica soluzione per placare le controversie coniugali e giungere a un accordo.

b) ai trasferimenti immobiliari previsti negli accordi di separazione e divorzio conclusi a seguito di convenzione di negoziazione assistita (in virtù della parificazione ex lege degli effetti dell'accordo ai provvedimenti giudiziali di separazione e di divorzio) sempreché dal testo dell'accordo medesimo, la cui regolarità è stata vagliata dal Procuratore della Repubblica, emerga che le disposizioni patrimoniali, contenute nello stesso, siano funzionali e indispensabili ai fini della risoluzione della crisi coniugale (Cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate 16 luglio 2015, n. 65/E; Cass. Civ., 3 febbraio 2016, n. 2111; Cass. Civ., 21 gennaio 2020, n. 1202).

La disciplina di favore riguarda, quindi, tutti gli accordi finalizzati a definire i rapporti in crisi, sia quindi gli atti di contenuto “necessario”, come l'affidamento del figlio o l'assegnazione della casa, sia quelli di contenuto “eventuale”, originati dalla separazione ma conclusi in via autonoma dai coniugi per realizzare il nuovo regime di vita (Cass. Civ. n. 4144/2021).

Sull'applicabilità del regime fiscale agevolato anche alle attribuzioni patrimoniali concordate nell'ambito dello scioglimento dell'unione civile non emerge dall'attuale assetto normativo alcuna indicazione espressa.

Si ritiene, tuttavia, che l'esenzione fiscale ex Legge n. 74/1987, prevista per gli atti ed i documenti relativi ai procedimenti di separazione personale dei coniugi e di divorzio, si estenda anche agli uniti civilmente considerato che le unioni civili sono state parificate dalla legge Cirinnà al matrimonio “ordinario”.

Sulla tematica è intervenuto anche il Consiglio del Notariato (Studio n. 31 – 2017/T) evidenziando che la suindicata esenzione fiscale trova applicazione a tutti gli atti relativi allo scioglimento delle unioni civili, sia quando il procedimento “si articoli in forme prettamente giurisdizionali”, sia laddove “si svolga secondo forme para-giurisdizionali, come appunto la negoziazione assistita”.

Stante il disposto dell'art. 19, L. 6 marzo 1987, n. 74 che stabilisce l'esenzione dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa di “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.” tale regime esentativo dovrebbe, quindi, trovare applicazione anche a tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento delle unioni civili.

Pertanto, gli orientamenti più permissivi espressi dall'A.F. e dalla giurisprudenza in materia dovrebbero agevolmente ritenersi estensibili anche alle unioni civili.

L'esenzione fiscale non trova, invece, applicazione ai conviventi di fatto che regolamentano i propri rapporti patrimoniali in vista di una eventuale chiusura del legame. (Cfr. Agenzia delle Entrate, Risposta a interpello n. 244 del 4 maggio 2022).

La legge n. 76 del 2016 non prevede, infatti, e non regolamenta alcuna modalità di scioglimento del "rapporto di convivenza".

In altri termini, non è previsto legislativamente alcun procedimento o tutela giurisdizionale o paragiurisdizionale per porre rimedio ad un'eventuale crisi tra i conviventi stessi.

Per questo motivo estendere l'esenzione da ogni tributo agli atti con cui i conviventi regolamentano i propri rapporti patrimoniali, anche in vista di una eventuale chiusura del legame, non pare allo stato attuale un' operazione possibile, in assenza di un espresso intervento legislativo.

Il contratto di mutuo stipulato per dare esecuzione agli accordi di separazione

In merito al regime di esenzione previsto dall'art. 19 l. n. 74/198, si segnala che l'Agenzia delle Entrate, con la recente risposta a interpello n. 260 dell'11 maggio 2022, ha chiarito che anche il mutuo contratto per dare esecuzione agli accordi di separazione può rientrare tra gli atti fiscalmente agevolati.

La fattispecie su cui si è espressa l'Agenzia riguardava in particolare quella di due coniugi che avevano stipulato un accordo di separazione consensuale, chiedendone l'omologa al Tribunale, prevedente che l'immobile (residenza familiare e acquistato a suo tempo dai coniugi in regime di comunione di beni) venisse attribuito per intero al marito con l'obbligo dello stesso di corrispondere alla moglie, contestualmente all'atto di trasferimento, una somma destinata anche all'estinzione del finanziamento già contratto congiuntamente dai coniugi.

Il marito avrebbe, inoltre dovuto richiedere un nuovo finanziamento (interamente a lui intestato) al fine di dare esecuzione all'accordo.

Si è posto, quindi, il problema di capire se vi fosse la possibilità di inserire nell'ambito di applicazione delle agevolazioni fiscali di cui all' art.19 l. n. 74 del 1987 anche il mutuo contratto rendendolo così esente da imposta di bollo e di registro e dalle altre imposte.

L'agenzia delle Entrate, con l'interpello n. 260/2022, ricostruendo le posizioni della giurisprudenza maggioritaria sul tema, ha fornito risposta positiva precisando che se il mutuo costituisce condicio sine qua non per dare esecuzione agli accordi di separazione lo stesso può essere ricompreso tra i contratti della crisi coniugale, la cui causa è proprio quella di definire in modo non contenzioso e tendenzialmente definitivo la crisi e, pertanto, può rientrare a tutti gli effetti tra quelli che la giurisprudenza (Cass. Civ. 17 febbraio 2021 n. 4144), considera “atti realizzativi degli accordi coniugali” che debbono dunque farsi rientrare tra gli atti fiscalmente agevolati di cui all' articolo 19 l. n. 74 del 1987.

L'Agenzia delle Entrate ha precisato altresì che:

a) tale condizione deve risultare dalle clausole contenute nell'accordo di separazione omologato dal Giudice, finalizzato alla risoluzione della crisi coniugale;

b) il contratto di mutuo potrà rientrare nell'ambito di applicazione della disposizione agevolativa di cui all'articolo 19 l. n.74 del 1987, nei limiti dell'ammontare indicato dal predetto accordo di separazione.

A tale conclusione è giunta ribadendo che la norma di favore secondo cui “Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni […] sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa” (articolo 19 l. n. 74/1987)” ha portata estensiva e riguarda tutti gli atti, documenti e provvedimenti che i coniugi pongono in essere per regolare i rapporti giuridici ed economici e favorire la complessiva sistemazione dei rapporti in occasione della crisi.

Una interpretazione questa che risulta in linea anche con la giurisprudenza ormai consolidata secondo cui la ratio della norma è quella di favorire la complessiva sistemazione dei rapporti patrimoniali “senza alcuna distinzione tra atti eseguiti all'interno della famiglia e atti eseguiti nei confronti di terzi” (Cfr. Cass. Civ. 7966/2019).

Ne deriva, pertanto, che anche il contratto di mutuo, nonostante sia stipulato con una terza parte, ovvero la banca, può essere incluso tra gli “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio” volti a definire in modo non contenzioso e tendenzialmente definitivo la crisi, come indicato dalla norma di favore, è pertanto beneficia dell'esenzione dall'imposta di registro e di bollo.

Conclusioni

La posizione dell'Agenzia delle Entrate da ultimo richiamata rappresenta certamente un importante passo in avanti nell'interpretazione ed applicazione della normativa agevolativa considerato che nell'alveo applicativo dell'art. 19 l. n.74/87 vengono fatte rientrare negozi che saranno stipulati con terzi (motivate con il riferimento alla sistemazione di situazioni personali e finanziarie conseguenti e/o collegate con lo status di ‘separati' o di divorziati' dei coniugi contraenti) volti a consentire l'ottenimento della provvista per l'acquisto della quota di un bene immobile in contitolarità, per il pagamento di una somma al coniuge e/o all'eventuale acquisto di un altro immobile.

Prevale ancora una volta l'interpretazione estensiva della normativa in questione che risponde anche all'esigenza di agevolare e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l'adempimento delle obbligazioni.

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