L’assegnazione della casa familiare determina una perdita di valore in sede di divisione?

Giulio Montalcini
19 Settembre 2022

Le Sezioni Unite chiariscono quale rilevanza economica abbia l'assegnazione della casa familiare in sede di giudizio di divisione dell'immobile.
Massima

In tema di scioglimento della comunione legale, per il caso di attribuzione, in sede di divisione, dell'immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge che non era assegnatario dello stesso, si realizza una situazione simile a quella del terzo acquirente dell'intero; permanendo pertanto il vincolo derivante dall'assegnazione, il suddetto condividente diventerà titolare di un diritto di proprietà il cui valore dovrà essere decurtato dalla limitazione delle facoltà di godimento da correlare all'assegnazione stessa dell'immobile al coniuge affidatario della prole, con i relativi effetti pregiudizievoli derivanti anche dalla sua trascrizione ed opponibilità ai terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c.

Il caso

Un marito conviene in giudizio la moglie, dalla quale è separato, per chiedere lo scioglimento della comunione legale, di cui fa parte l'immobile ex casa familiare. La moglie si oppone, chiedendo in subordine che si proceda alla divisione del compendio immobiliare, tenuto conto del vincolo di assegnazione in suo favore della casa, nonché della coabitazione con i figli.

Espletata una ctu estimativa, il tribunale ordina lo scioglimento della comunione, assegnando l'intero immobile alla convenuta, tenuta a versare al marito un adeguato conguaglio, secondo le stime del perito.

Non soddisfatta della valutazione effettuata in sede peritale, la moglie propone appello avverso la sentenza del tribunale, chiedendo al giudice del gravame di riordinare una nuova consulenza tecnica, che attribuisse valore economico al provvedimento di assegnazione, procedendosi così ad una rideterminazione del conguaglio da versarsi al marito. Il marito resiste in giudizio, chiedendo la reiezione dell'appello; propone altresì appello incidentale, per sentire, all'opposto, accertare il deprezzamento occorso all'immobile, per effetto del provvedimento di assegnazione, con incremento del conguaglio da versarsi in suo favore.

La Corte territoriale respinge l'appello principale, dichiarando assorbito quello incidentale ed aderendo all'impostazione della sentenza di primo grado, che aveva aderito al principio secondo cui l'assegnazione della casa familiare non può essere considerata, in occasione della divisione dell'immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore di mercato del bene qualora la proprietà venga, in seguito, attribuita ad uno di questi in sede di divisione.

La moglie propone allora ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico complesso motivo, cui il marito resiste con controricorso. La seconda sezione della Suprema Corte, ravvisando un contrasto giurisprudenziale sulla questione dedotta a fondamento dell'impugnazione in sede di legittimità, rimette gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, successivamente attenzionate sulla seguente questione.

La questione

In sede di divisione di un immobile in comproprietà di due coniugi legalmente separati, oggetto in assegnazione ad uno di questi nell'interesse dei figli conviventi, occorre tenere conto della diminuzione del valore commerciale del cespite, conseguente alla permanenza del vincolo di assegnazione, pure nel caso in cui questo sia attribuito, in via definitiva, al coniuge già assegnatario e, dunque, determinando per questo un conguaglio ridotto, rispetto al valore venale del bene?

Le soluzioni giuridiche

Con un unico complesso motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione e la falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 337-sexies, comma 1, c.c., e 6, comma 6, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonché degli artt. 1116, 720 e 726 c.c., oltre che dell'art. 3 Cost. Essa ha insistito in una diversa interpretazione della fattispecie, in forza della quale, in caso di divisione tra ex coniugi della casa familiare, oggetto di assegnazione in favore dell'uno o dell'altro, occorra tenere conto dell'incidenza negativa del diritto sul valore del bene, ancorché il procedimento di divisione si concluda con l'attribuzione dell'intero cespite al coniuge assegnatario.

La ricorrente ha sostenuto che, ove si avvallasse l'interpretazione dei giudici di merito, non tenendo conto del deprezzamento occorso all'immobile, si determinerebbe un'indebita locupletazione a favore del coniuge non assegnatario, che si vedrebbe assegnato un conguaglio maggiore, in cambio della cessione della sua quota, rispetto a quello che riceverebbe nel caso di divisione mediante vendita dell'immobile a terzi. Ciò contrasterebbe con il principio secondo cui il giudizio di divisione mira alla formazione di porzioni corrispondenti alle quote dei condividenti al tempo della comunione.

Chiamate a fornire un'interpretazione della questione, le Sezioni Unite, dopo ampio excursus normativo e giurisprudenziale in merito all'istituto dell'assegnazione della casa familiare, hanno ribadito come il coniuge assegnatario sia titolare di un diritto di godimento personale atipico, trascrivibile ed opponibile a terzi, che postula una detenzione qualificata sul bene immobile.

Nel rispondere al quesito, le Sezioni Unite hanno passato in rassegna gli opposti orientamenti, che hanno generato il contrasto giurisprudenziale (e che pare utile ripercorrere).

Il primo, cui aveva aderito la Corte territoriale, afferma che il provvedimento di assegnazione della casa familiare non verrebbe ad incidere sul valore di mercato del cespite nell'ipotesi in cui l'immobile, in sede di divisione, venga attribuito in proprietà al coniuge affidatario della prole, in ragione del fatto che l'assegnazione della casa è, prima di tutto, strumentale a preservare i figli (e non il coniuge) dall'esito prevedibile della crisi genitoriale, offrendo loro un “riparo” dalla stessa e mantenendo una continuità con il loro habitat familiare. In secondo luogo, con l'attribuzione in proprietà al coniuge affidatario e/o collocatario della prole, il diritto di godimento generato dall'assegnazione verrebbe a estinguersi, per confusione, con il diritto di proprietà.

L'orientamento opposto ritiene, invece, che l'assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l'immobile non appartenga in via esclusiva, instauri un vincolo, idoneo a generare una decurtazione del valore della proprietà, sia totalitaria che parziaria di cui è titolare l'altro coniuge, il quale risulterebbe, come gli altri terzi acquirenti, astretto da quel vincolo sintanto che lo stesso avrà a perdurare. Del “peso” economico di quel vincolo si dovrebbe, dunque, tenere conto, a prescindere che l'immobile venga attribuito all'uno e/o all'altro.

Secondo la sentenza in commento “va affermato che l'attribuzione dell'immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva del già assegnatario in sede di divisione configura una causa automatica di estinzione del diritto di godimento con tale destinazione, che comporta il conferimento allo stesso immobile di un valore economico pieno corrispondente a quello venale di mercato”.

Le Sezioni Unite concludono per l'irrilevanza, ai fini economici e di ricalcolo del conguaglio, del vincolo di assegnazione nel caso in cui l'intero cespite, in sede di divisione, venga attribuito al coniuge già assegnatario, giacché in tale occasione il diritto di godimento, derivante dalla precedente assegnazione della casa, si estingue, in quanto assorbito dal più ampio diritto di proprietà.

Esse rilevano, peraltro, come vi sia completa autonomia tra l'istituto dell'assegnazione della casa familiare e quello della divisione dell'immobile adibito a tale destinazione conseguente allo scioglimento della comunione; l'assegnazione potrà semmai assumere rilevanza ai fini del riequilibrio tra gli obblighi di mantenimento a carico dei genitori.

Ridurre il conguaglio dovuto al coniuge condividente in forza dell'esistenza dell'assegnazione, andrebbe, poi, a generare un ingiustificato arricchimento a favore di quello assegnatario, che diverrebbe pieno proprietario, senza alcun vincolo di destinazione.

In una situazione opposta, invece, nell'ipotesi di comunione immobiliare che vada a sciogliersi con l'attribuzione al coniuge non assegnatario, quest'ultimo si troverà in una situazione del tutto comparabile a quella del terzo acquirente dell'intero, ovverosia diventerà titolare di un diritto di proprietà il cui valore dovrà essere decurtato per effetto della persistenza del vincolo di assegnazione in favore dell'altro coniuge.

Osservazioni

Dal punto di vista strettamente giuridico, la sentenza in commento offre notevoli spunti di riflessione, perché ha il merito di esaminare scrupolosamente l'istituto dell'assegnazione della casa familiare, dalla sua genesi storico-dogmatica, sino all'evoluzione nel diritto vivente.

Come affermato dalle Sezioni Unite, il diritto all'assegnazione della casa fonda la sua ratio nella tutela dell'ambiente domestico dei figli e perdura sintanto che gli stessi siano conviventi con il genitore assegnatario, ovvero permangano economicamente non autosufficienti, ovvero ancora fintanto che il genitore c.d. collocatario non contragga nuove nozze e/o instauri una convivenza more uxorio con altro partner.

Il diritto all'assegnazione è considerato, per giurisprudenza costante, un diritto personale di godimento tipico del diritto di famiglia, opponibile ai terzi, che può ad avere oggetto solamente la casa familiare (non seconde case).

Quando sul bene di proprietà e/o in comproprietà di uno dei coniugi gravi il vincolo di assegnazione in favore dell'altro, il proprietario non assegnatario subisce certamente una limitazione nel godimento dell'immobile conseguente all'assegnazione. L'immobile, ancorché assegnato, può essere chiaramente venduto a terzi da parte del proprietario oppure, in caso di comproprietà, essere oggetto di divisione con vendita a terzi, ferma tuttavia la permanenza del vincolo di assegnazione, opponibile ai terzi, anche senza trascrizione, per nove anni dalla data dell'emissione del relativo provvedimento (cfr. Cass. civ., S.U., 26 luglio 2002, n. 11096) e, oltre il novennio, se trascritto (cfr. Cass. civ., sez. I, 18 settembre 2009, n. 20144; cfr. più in generale, Gragnani A., Casa familiare: assegnazione, Bussola in ilFamiliarista).

Può esservi identità tra il soggetto titolare del diritto di proprietà e quello titolare del diritto all'assegnazione? La risposta è certamente affermativa in una situazione di comproprietà, nella quale diritto di proprietà e diritto di godimento convivono separatamente.

La questione al vaglio delle Sezioni Unite riguarda il caso di divisione dell'immobile casa familiare in comunione tra i coniugi, con trasferimento dell'intera proprietà dell'immobile in capo al coniuge già assegnatario della casa familiare. Essa è risolta, come anticipato, dalle Sezioni Unite nel senso di valorizzare, da un lato, la rilevanza economica del provvedimento di assegnazione nell'ambito del giudizio di divisione dell'immobile, azionato da uno dei coniugi separati e/o divorziati, quando il giudizio si concluda con l'assegnazione in favore del coniuge non assegnatario della casa.

In questo caso, il conguaglio dovuto all'altro coniuge risentirà della durata e del valore economico dell'assegnazione della casa.

Dall'altro lato, le Sezioni Unite propendono per l'irrilevanza, ai fini del calcolo del conguaglio, dell'assegnazione della casa familiare, quando la divisione si concluda con il trasferimento della piena proprietà in capo al genitore già assegnatario della casa, siccome, in questo caso, il diritto di godimento, che scaturisce dall'assegnazione viene ad estinguersi per confusione (il diritto di proprietà contiene al suo interno la facoltà di godere dell'immobile in via esclusiva). Vieppiù, in questo caso, l'assegnazione della casa potrà rilevare, in punto economico, nell'ambito dei reciproci doveri di mantenimento della prole in capo ad entrambi i genitori.

Siccome, invece, il vincolo di assegnazione è destinato a perdurare nel caso in cui la proprietà della casa si trasferisca, per intero, al genitore non assegnatario o ad un terzo (mediante vendita), il ragionamento della Corte è quello di riequilibrare lo svantaggio subito dall'acquirente che patisce, a causa dell'assegnazione, una contrazione delle sue facoltà dominicali. Il coniuge che vive con i figli e a cui è assegnata la casa, invece, acquisita in sede di divisione l'intera proprietà dell'immobile, ben potrebbe successivamente vendere quel bene a terzi, a valore pieno, generando così un'iniqua locupletazione a proprio vantaggio.

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