Le procedure liquidatorie negli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza

Alberto Crivelli
19 Settembre 2022

Analisi delle procedura liquidatorie alla luce della volontà del legislatore del Codice della crisi di favorire la continuità dell'impresa. Nel presente articolo si studiano le diverse ipotesi normative applicabili.
Premessa

È ben evidente il disegno del legislatore del codice della crisi di favorire, ad ogni costo, la continuità dell'impresa, sia essa diretta o indiretta, sebbene essa sia pur sempre subordinata all'interesse dei creditori (benché in negativo ormai, nel senso che il soddisfacimento deve essere assicurato in misura non inferiore a quello derivante dall'alternativa liquidatoria, art. 84 comma 4 CCII).

Tuttavia ci si è dovuti arrendere alla necessità del fatto che non sempre tale risultato può essere raggiunto, in particolare non può esserlo neppure attraverso quella particolare forma di liquidazione che chiamiamo continuità indiretta con cessione d'azienda, che certo liquida più che l'impresa l'imprenditore, ma che per ciò presuppone un effettivo interesse del mercato per quell'impresa, che invece non sempre c'è e che allora viene surrogato dalla alienazione atomistica dei beni, che dell'azienda sono singole componenti materiali.

Tali situazioni ricevono ora regolamentazione tramite una serie di istituti che, come vedremo, attraversano l'intero panorama degli strumenti di regolazione, fuoriuscendo peraltro dall'oggetto di queste brevi note gli strumenti statisticamente principali, cioè la liquidazione giudiziale e quella controllata, sebbene sia evidente che – nell'ottica di privilegiare comunque gli strumenti di regolazione, il ricorso agli stessi costituisce un'extrema ratio, rispetto alle altre alternative liquidatorie che qui esamineremo.

Del pari non si tratterà del concordato in corso di liquidazione giudiziale. Vediamo quindi, in sede di prima lettura, queste varie ipotesi normative.



Il concordato liquidatorio

L' art. 84, comma 4, CCII prevede anzitutto il concordato liquidatorio. In conformità alla già premessa preferenza del legislatore per la continuità aziendale, l'ammissibilità della relativa domanda è subordinata alla sussistenza di “risorse” esterne, le quali devono essere idonee a incrementare di almeno il dieci per cento l'attivo presente al momento della domanda.

La precisazione in ordine al momento in cui si deve guardare per stabilire l'incremento rispetto all'attivo appare intanto inutile, visto che si tratta pur sempre di una domanda giudiziale.

Riservando poi al successivo paragrafo la questione della prevalenza, che condiziona enormemente il ricorso alle regole del concordato liquidatorio, altra condizione di ammissibilità della forma di concordato in parola è costituita dal fatto che lo stesso sia idoneo a soddisfare i crediti chirografi e quelli declassati del venti per cento almeno. Si fa riferimento per quest'ultima percentuale all' “ammontare complessivo”, ma l'espressione non è più seguita, come nelle precedenti versioni della disposizione, dalla proposizione “credito chirografario”, e non avrebbe sotto questo profilo alcun senso riferire la stessa al precedente termine “creditore”.

L'aggettivo “complessivo” peraltro non può logicamente alludere al singolo credito in sé, per cui ad esempio in caso di degrado basterebbe che lo stesso venisse soddisfatto del venti per cento anche se a mezzo della prelazione.

Per dare allora un significato all'aggettivo “complessivo” si deve intendere forse che esso non impedisca il soddisfacimento di singoli crediti chirografari o degradati in misura inferiore al venti per cento, purché poi nel complessoil venti per cento delchirografo sia soddisfatto (consentendo così una maggior diversificazione fra classi chirografarie). Se non fosse così, oltre che sfornire a questo punto di significato l'aggettivo in parola, si costringerebbe il debitore a proporre un concordato monoclasse, oppure a dare più del venti per cento (perché altrimenti si dovrebbero pagare tutte le classi al venti per cento). Infatti proponendo più classi (alcune delle quali, come prescritto dall' art. 85, comma 2, CCII sono obbligatorie) anche una minima diversificazione implicherebbe l'offerta di una percentuale maggiore e quindi di fatto la percentuale del venti per cento si riferirebbe solo al concordato monoclasse (appunto spesso non praticabile), mentre in tutti gli altri casi la stessa dovrebbe essere maggiore.

D'altro canto, va ricordato che sempre, a proposito della disciplina dell'ammissione del concordato, quando si parla di crediti il riferimento è all'ammontare complessivo (cioè al passivo concordatario), mentre la rilevanza del soddisfacimento del singolo credito si ha solo, e significativamente, in sede di disciplina dell'omologazione ed in particolare del giudizio di cd “cram down”.

Tutto quanto precede sta a significare, a parere di chi scrive, che il debitore dovrà trovare risorse esterne per il dieci per cento dell'ammontare del proprio attivo; ed in ogni caso garantire il pagamento del venti per cento della porzione chirografaria dell'ammontare complessivo del proprio passivo.

Importante, peraltro, la precisazione successiva: con le risorse esterne, come già si ricavava dalla legge fallimentare, si può scegliere di pagare i creditori a prescindere dai diritti di prelazione, ma comunque dev'essere garantito il venti per cento.

Ciò significa che se le risorse interne, provenienti dalla liquidazione dei beni, già garantissero la soglia del venti per cento, il debitore potrà limitarsi ad aumentare l'attivo di un due per cento con risorse esterne (quindi in totale, in questo caso, ventidue per cento), mentre ove l'attivo non raggiungesse la soglia del venti, le risorse esterne devono consentire il raggiungimento di tale percentuale, anche ove occorresse incrementare l'attivo di ben oltre il dieci per cento (e in ogni caso almeno in tale misura anche se bastasse meno) ai fini dell'ammissibilità.

Interessante poi la precisazione della nozione di risorse esterne, che in realtà è utilizzabile al di là dell'ipotesi del concordato liquidatorio. Secondo la definizione di cui al terzo periodo dell' art. 84 comma 4 CCII, le stesse sarebbero costituite dagli apporti effettuati dai soci, senza corrispettivo o collocandosi essi per gli stessi come creditori postergati, quindi neutri per il soddisfacimento della massa dei creditori.

In realtà non si vede il motivo di limitare gli apporti ai soli soci. Intanto la precisazione forse vuole essere nel senso che non è finanza esterna quella apportata dall'imprenditore individuale, visto che è il fallito, mentre è tale quella apportata dal socio illimitatamente responsabile. Ma nulla toglie che essa possa provenire da terzi soggetti. Diversa la situazione quando l'apporto viene da un assuntore, perché quella, in base alla nozione di cui all'art. 84 comma 1 CCI, è una diversa forma di concordato, in cui l'assuntore apporta risorse, ma in cambio dell'attivo patrimoniale.

Ora se il concordato per assunzione può talora assumere il contenuto di concordato in continuità (ove l'assuntore prosegua cioè l'attività aziendale) ciò non mi pare possibile ritenere con riferimento al concordato liquidatorio.

Infatti, in tal caso la liquidazione non avviene a mezzo delle procedure competitive, ma in blocco in favore dell'assuntore versando egli il corrispettivo alle casse della procedura. Qui la competitività non può che essere assicurata tramite il ricorso al procedimento delle proposte concorrenti, come del resto già ritiene la giurisprudenza formatasi nel vigore della legge fallimentare (Trib. Milano 6 settembre 2021, in questo portale, 17 settembre 2021; Trib. Bergamo 30 settembre 2020; Trib. Monza, 31 ottobre 2018).

Altra caratteristica del concordato liquidatorio, che lo differenzia ulteriormente invece da quello in continuità, è costituita dalla sua universalità oggettiva.

In argomento il principio generale è nel senso che, ferma in base all' art. 2740 c.c la responsabilità del debitore rispetto ai creditori con tutti i beni del proprio patrimonio, le deroghe devono essere espressamente prevedute, come accade in tema di concordato in continuità, rispetto al quale, attesane l'essenza, è ammesso che alcuni dei beni, quelli strategici, possano essere conservati dal debitore.

In effetti la proposta di concordato liquidatorio è caratterizzata, oltre che dalla speciale previsione della soglia minima di soddisfacimento, addirittura da un'aggiunta necessaria tramite risorse esterne, e ciò conferma la necessità dell'offerta ai creditori dell'intero patrimonio. Dunque, l'esclusione di una parte di esso sarebbe chiaramente in contraddizione con la premessa e determinerebbe l'inammissibilità della proposta.

A questo punto però occorre chiarire cosa intende la disposizione allorché stabilisce che le risorse esterne possono essere distribuite, pur osservando il limite del venti per cento di soddisfacimento dei creditori chirografari, anche in deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c.

Sulla seconda disposizione nulla quaestio: una volta che vengono soddisfatti i crediti nel venti per cento, la finanza esterna come detto si utilizza per soddisfare i creditori senza vincoli, provenendo le risorse dall'esterno rispetto al patrimonio, e quindi non essendo per definizione assistite da diritti di prelazione (salvo l'ipotesi del terzo datore d'ipoteca, ma si tratta evidentemente di tutt'altro argomento).

Invece il riferimento all' art. 2740 c.c. lascia intendere una deroga al principio della responsabilità del debitore con tutto il proprio patrimonio. Deve escludersi però, in virtù della natura universale del concordato liquidatorio e del riferimento della norma alle risorse esterne, che essa sia ricollegabile al patrimonio dell'imprenditore. Piuttosto allora essa potrebbe far riferimento a quello del socio illimitatamente responsabile.

Quanto alla natura e forza del vincolo di soddisfacimento nella misura minima stabilita, rispetto alla precedente, più semplice versione, viene inserito il verbo “assicurare” in relazione alla percentuale minima.

Sembrerebbe allora superata ogni incertezza in ordine al fatto che anche con il codice della crisi sarà sufficiente, ai fini dell'ammissibilità, l'assunzione del vincolo obbligatorio da parte del proponente, nel senso che la proposta sia caratterizzata dall'assunzione del vincolo sulla base di un piano non manifestamente inidoneo, salvo il voto e poi l'eventuale rilevanza dell'inadempienza ai fini del giudizio di risoluzione, eliminando nel nostro caso il potere di verificare se effettivamente la percentuale sia fattibile con le risorse poste in campo in termini di ragionevole sicurezza. A mio parere invece, fermo restando che la percentuale suddetta dev'essere oggetto dell'assunzione di una specifica obbligazione, come appunto discende ora anche dall'utilizzo del verbo “assicurare”, resta ferma la verifica di fattibilità nei termini di cui agli artt. 47 e 87 CCII, il che significa che se non sussisteranno elementi oggettivi che dimostrino tale misura di soddisfacimento, il concordato sarà inammissibile. Ovviamente la valutazione andrà effettuata, sotto il profilo della relativa fattibilità, nei limiti previsti dalle norme appena richiamate (in termini dunque di non manifesta inattitudine a raggiungere il risultato)

Quanto alle forme di soddisfacimento, il riferimento all' “ammontare” (pur curiosamente riferito ai creditori) dovrebbe escludere ogni possibilità di adempimento della percentuale minima con mezzi diversi da quello pecuniario. Resta forse la possibilità di prevedere che il suddetto soddisfacimento avvenga in alternativa attraverso accollo, cessione di beni, azioni, quote obbligazioni o altri strumenti finanziari, visto che la relativa previsione di cui all'art. 87, comma 1, lett. d) CCII si riferisce genericamente al soddisfacimento dei “crediti”. Ma senz'altro deve escludersi la diversa forma di cui all' art. 84, comma 3, CCII le c.d. “utilità diverse”, non solo perché riferita al concordato in continuità, ma perché relativa al soddisfacimento dei creditori e non all'ammontare.

D'altronde nell'interpretazione della norma ci si deve indubbiamente far guidare dalla legge di delegazione, la quale infatti con riferimento al concordato liquidatorio prevede che il venti per cento sia oggetto di “pagamento”. Peraltro, il differenziale, cioè ciò che viene assicurato oltre il venti per cento, potrebbe invece essere costituito da un'utilità diversa. Se poi si parte dalla premessa qui accolta in ordine all'interpretazione del termine ammontare “complessivo”, con riferimento ai singoli crediti (se l'aggettivo complessivo ha un senso), si potranno ancheattribuire a singoli creditori solo utilità diverse, sempre purché nel complesso il venti per cento del debito chirografario/degradato venga pagato in denaro.

Circa la disciplina dedicata al concordato liquidatorio, a parte il già commentato art. 84, comma 4, CCII altre disposizioni del codice fanno riferimento allo stesso.

Va anzitutto menzionato l'art. 47, comma 1, lett. a) CCII relativo alla fase di ammissione del concordato liquidatorio. In base a tale disposizione in tale fase va effettuata la verifica dell'ammissibilità, nell'ambito del cui giudizio come già visto rientra la previsione del dieci per cento di incremento a mezzo di risorse esterne e il conferimento dell'intero patrimonio del debitore, oltre che dell'assicurazione del pagamento del venti per cento del debito chirografario, anche della fattibilità della proposta, intesa qui, come nella fase dell'omologazione, come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi (si noti che per il concordato in continuità, la successiva lett. b) della stessa disposizione, usa una dizione diversa: verifica della ritualità e “comunque” inammissibilità se il piano è manifestamente inidoneo a soddisfare i creditori come da proposta e a conservare i valori aziendali).

Disposizioni speciali riguardano il nostro concordato anche in tema di procedura di voto. Infatti, si applica l'art. 109, comma 1, CCII che prevede l'approvazione in caso di voto favorevole della maggioranza dei crediti, sostituita da quelle di teste se la maggioranza è di uno solo, e, ove presenti, si richiede altresì la maggioranza delle classi. È così escluso il sistema dell'unanimità delle classi e, all'interno di ciascuna, della maggioranza dei crediti o dei due terzi (però dei soli votanti, ma con la precisazione che ciò vale a condizione che abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe), previsto dal comma 5 per l'ipotesi della continuità.

Per quanto riguarda il procedimento di omologazione, in caso di opposizione il tribunale procederà al cram down, come già accadeva in generale in base alla legge fallimentare, ove la stessa sia spiegata da parte di un dissenziente appartenente alla classe dissenziente, o in mancanza di classi, vi sia stato un dissenso pari almeno al venti per cento del totale dei crediti.

Quanto al contenuto del relativo giudizio, occorrerà verificare che il creditore opponente abbia avuto un trattamento non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale. Ciò si concilia con la necessaria previsione di un incremento del dieci per cento a mezzo della finanza esterna, col fatto che, come visto, tale incremento può andare a beneficio di chiunque dei creditori, senza vincolo di prelazione.

Di fatto, quindi, basterà che la liquidazione giudiziale non possa garantire oltre il venti per cento. Peraltro, vi è un ulteriore margine di non omologabilità, perché come abbiamo visto al singolo creditore potrebbe essere assicurato meno del venti per cento purché sia rispettato il venti per cento del totale dei crediti.

Al di là delle disposizioni che richiamano direttamente il concordato liquidatorio, è interessante effettuare una prima, sommaria verifica delle disposizioni applicabili al concordato in parola.

Sarà intanto inapplicabile l' art. 85, comma 3, CCII sulla previsione obbligatoria delle classi in tema di continuità, ma invece è applicabile il precedente l'art. 85, comma 2, CCII, relativo a singole ipotesi di obbligatorietà delle stesse: crediti tributari e previdenziali non integralmente pagati; crediti garantiti da fideiussioni; crediti soddisfatti con utilità diverse (nei limiti in cui ciò è possibile come visto sopra); creditori proponenti il concordato.

Inapplicabile è poi l'art. 86 CCII in tema di moratoria nel pagamento dei creditori prelazionari.

Applicabile formalmente è invece l' art. 87, comma 1, lett. c), CCII relativo alla necessaria indicazione del valore del patrimonio nel piano; regola che vale per tutti i concordati, ma direi soprattutto per quello in continuità e per quello con assunzione.

Pare sostanzialmente inapplicabile invece l'art. 87, comma 2, CCII inerente all'indicazione dei motivi per cui è preferibile il concordato rispetto ad altre soluzioni. Infatti nel caso del concordato liquidatorio l'unica preferenza discende dall'aggiunta della finanza esterna, che però è già nell'in se della proposta, mentre altri profili di preferenza non possono che concernere le diverse ipotesi della continuità ed eventualmente dell'assunzione (per vero si assiste spesso a proposte di concordato liquidatorio in cui si indica come criterio di preferenza la minor incidenza della prededuzione, o anche dei costi di vendita, in aperto contrasto col buon senso prima che con qualsiasi indicazione pratica).

Inapplicabile è senz'altro l'art. 94 bis CCII espressamente inerente alla sola continuità. Peraltro ciò dimostra che, poiché essa riconnette il divieto di risoluzione o di eccezione d'inadempimento, per i contratti in corso d'esecuzione, al solo fatto del deposito della domanda o del decreto d'apertura o ancora della concessione della misura protettiva, ovvero (ma la norma riguarda solo i contratti essenziali) all'inadempimento di debiti pregressi, allora i divieti in oggetto (peraltro di portata limitata, visto che l'art. 54 CCII allude a misure temporanee per prevenire “azioni” dei creditori) non possono neppure essere stabiliti ai sensi dell'art. 54 CCII, allorché appunto si tratti di un concordato liquidatorio. Il che significa che la relativa richiesta presuppone una forma di discovery in ordine alla natura del piano che si intende proporre.

Come si ricava dalla norma, totalmente inapplicabile è pure la disciplina dei finanziamenti in esecuzione del piano (art. 101 CCII). Ciò vale del resto anche per il precedente art. 100 CCII in tema di pagamento dei debiti pregressi relativi a fornitori strategici.

Si è già detto della disciplina applicabile con riferimento al voto ed all'omologazione.

Quanto invece all'esecuzione, risultaapplicabile al solo concordato liquidatorio l' art. 114 CCII, che rinvia le forme di liquidazione a quelle previste per la liquidazione giudiziale. Non si applica dunque l'84, comma 8, che è riferito alla sola liquidazione nel concordato in continuità, come dimostra il fatto che tale disposizione disciplina le forme competitive delle vendite che effettua il liquidatore in tal caso, normativa che non avrebbe senso se avesse un campo di applicazione coincidente con l'art. 114 CCI.

Circa l' art. 118, n. 4, CCII concernente il potere surrogatorio del commissario giudiziale, la disposizione è inapplicabile perché l'art. 114 CCII affida la liquidazione al liquidatore, mentre l'art. 118 CCII presuppone che l'esecuzione del concordato sia ritardata dall'imprenditore. Piuttosto, nel nostro caso la reazione alle lentezze del liquidatore sarà rappresentata dalla revoca e successiva surroga del liquidatore.

Altrettanto non applicabile l' art. 53, comma 5 bis, CCII che prevede la conferma della sentenza di omologazione del concordato in sede di reclamo nonostante l'accoglimento di questo, sempre che si tratti di concordato in continuità, purché ciò risponda all'interesse generale dei creditori e sia assicurato al vincitore il risarcimento del danno.


La liquidazione nel concordato in continuità

Un aspetto rilevantissimo però va sottolineato rispetto alla precedente versione dell' art. 84 CCII. Il nuovo testo ha infatti eliminato ogni riferimento al criterio della prevalenza, ed anzi ha espressamente stabilito al comma 3 che sia da considerare in continuità anche il concordato in cui con il relativo ricavato siano soddisfatti i creditori in misura recessiva.

Ciò significa che il concordato liquidatorio sarà senz'altro e comunque puro, senza contaminazioni di continuità. Sarà cioè sufficiente che una sola parte del piano concordatario preveda la continuità aziendale, diretta o indiretta che sia, per far sì che l'intera procedura sia considerata come in continuità, col solo limite dell'abuso dello strumento processuale, e per contro con la possibilità di soddisfare i creditori, anche per la porzione liquidatoria, con una percentuale ben inferiore a quella di cui al comma 4, purché anche qui non irrisoria.

Il legislatore ha dunque sposato un più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 15 gennaio 2020, n. 734), che però si basava su una lettura particolare dell' art. 186 bis. l.fall.

Il che dimostra ancora una volta la preferenza che il legislatore ha per tale ultima forma di concordato, al punto da spingere il debitore a seguirla anche se in piccola parte, premiandolo con la disciplina più favorevole per lui (non foss'altro esentandolo dall'apporto necessario di finanza esterna e da una percentuale minima).

Emerge allora ancor più rilevante la questione della gestione della liquidazione nella continuità, che potrebbe essere anche tale da generare la maggior parte del ricavato, col solo limite dell'abuso dello strumento processuale.

Certo la liquidazione in un concordato in continuità non è una novità, non foss'altro perché pacificamente in passato si riteneva che la stessa potesse essere ammessa ove dalla medesima si ricavasse una parte (non prevalente) delle risorse destinate ai creditori. Ed è noto che, per tale porzione minoritaria, la giurisprudenza aveva ammesso anche la nomina, foss'anche d'ufficio, di un liquidatore (Cass. 10 agosto 2017, n. 19925).

Pacifica pareva per la liquidazione di quei beni l'applicabilità dell' art. 182, comma 5, l.fall., sostanzialmente riproposto dall' art. 114 CCII.

Inoltre, una forma di liquidazione nel concordato in continuità è in realtà rappresentata dalla continuità indiretta, ove la stessa assuma la forma della cessione dell'azienda.Tale forma è però interamente disciplinata dalle regole generali sulla continuità, con l'unica particolarità che – per essere essa rappresentata solitamente dalla presenza di un'offerta d'acquisto dell'azienda da parte di un soggetto determinato – la stessa viene assoggettata alle offerte concorrenti di cui all'art. 91 CCII (come in passato all' art.163 bis l.fall.).

Venendo invece alla liquidazione vera e propria in ambito di concordato in continuità, la regola fondamentale è rappresentata dal fatto che il ricavato della porzione liquidativa dovrà essere distribuito rispettando le cause di prelazione, mentre al contrario, quello della continuità basta che soddisfi meglio la classe superiore rispetto all'inferiore, applicandosi il c.d. relative priority rule (art. 84, comma 6, CCII), salvo per i crediti dei lavoratori.

Ciò significa che, pur a fronte di privilegio, si potranno soddisfare parzialmente, purché in misura maggiore rispetto ai creditori che abbiano un privilegio inferiore, quelli aventi una prelazione di rilievo anteriore. Ma che invece, quanto al ricavato della liquidazione, pur nell'ambito del concordato in continuità, non si potrà soddisfare il creditore ulteriore fino al completo soddisfacimento di quello anteriore.

La regola ovviamente non si applica in caso di finanza esterna: per essa non c'è una graduazione di classi, né esistono i vincoli di soddisfacimento sanciti dall'art. 84, comma 4, CCII e quindi col ricavato di tali apporti (si trattasse pure di beni da liquidarsi) si paga con la gradualità liberamente stabilita nella proposta.

Altra regola fondamentale per la liquidazione in ambito di continuità è data dal fatto che si applicheranno alle cessioni le forme di cui all'art. 84, comma 8, CCII.

In base a tale disposizione dovrà essere nominato dal tribunale un liquidatore, superandosi così le incertezze attualmente esistenti per la porzione liquidativa del concordato in continuità (v. retro), per la quale si è talora sostenuto che le alienazioni andrebbero effettuate a cura dell'imprenditore.

Questo liquidatore però dovrà vendere rispettando i principi essenziali della competitività (trasparenza e pubblicità) in un contesto di efficienza e celerità. È espressamente assicurata la natura di vendita forzata delle cessioni visto che si richiamano gli artt. 2919 - 2929 c.c.

Tali forme competitive, e in generale la disposizione appena citata, andrà applicata anche ove si tratti di liquidare beni costituenti apporti di finanza esterna, a meno che il terzo non garantisce l'apporto di una somma che poi, fatto irrilevante per la procedura, egli si procurerà alienando propri beni. Ma particolare attenzione andrà posta a tali indicazioni, specie se il terzo sia un socio illimitatamente responsabile, visto che il suo patrimonio, al pari di quello della società debitrice, è posto a garanzia dei creditori sociali.

Appare originale la scelta di non applicare alla liquidazione in parola direttamente il disposto dell'art. 114 CCII. Fatto sta che la volontà è evidentemente quella a) sottrarre all'esecuzione a cura del debitore la porzione liquidativa; b) prevedere per il piano una maggior libertà di forme e modalità di vendita e gestione dei beni liquidabili rispetto alle previsioni dell' art. 114 CCII, che quindi restano applicabili al solo concordato liquidativo.

Va peraltro notato che la disposizione in esame riceve applicazione anche in caso di continuità indiretta con cessione d'azienda, di cui s'è detto sopra, salvo appunto l'ipotesi di offerente già individuato, per la quale ipotesi, come anticipato, trova applicazione il disposto dell'art. 91 CCII, che peraltro assicura del pari la natura competitiva dell'alienazione.

È infatti noto che le forme competitive ivi previste, rimandando al disposto dell'art. 216 CCII, sono piuttosto vincolanti nelle forme.

Comunque, poiché la scelta della competitività è ben chiara anche sulla base dell' art. 84, comma 8, CCIII, alla stessa dovranno applicarsi i principi caratteristici che qualificano le vendite appunto come competitive. In proposito deve ricordarsi che la competitività è connotata dai seguenti requisiti:

  • adeguata pubblicità, in guisa da prevenire la discrezionalità nella scelta del contraente;
  • massima apertura al pubblico, che involge un meccanismo di trasparenza in base al quale tutte le parti siano a conoscenza dei passaggi e dei risultati;
  • selezione in base a un sistema imperniato sulla gara o comunque sulla miglior offerta, anche qui tramite criteri predeterminati.

Non credo poi che alle forme competitive in commento possa essere sottratta l'applicabilità del disposto di cui all'art. 217 CCII, ed in particolare le disposizioni ivi contenute in tema di sospensione della vendita, tanto più che la norma disciplina anche il decreto di cancellazione delle formalità, che senz'altro sarà applicabile.

In generale la disciplina di tale concordato è senz'altro quella del concordato in continuità, e ciò varrà anzitutto per le regole procedurali (es. si applicheranno gli art. 47, lett. b) , 109, comma 5, (in tema di calcolo delle maggioranze), 112, comma 3, CCII (in tema di opponibilità diffusa). Ma non senza particolarità: ad esempio la condizione di ammissibilità di cui all' art. 47, lett. b), CCII sarà riferita alla sola porzione in continuità effettiva.

Non sarà invece possibile, se un bene dovrà liquidarsi, applicare il disposto sulla moratoria di cui all'art. 86 CCII al relativo ricavato, il quale dunque dovrà essere assegnato al prelazionario senz'alcuna moratoria.

Sarà poi interessante vedere come si strutturerà l'indicazione di cui all'art. 87, comma 2, CCII in tema di convenienza dell'ipotesi concordataria rispetto a quella della legge fallimentare, nell'ipotesi di continuità quantitativamente recessiva, visto che non si applica il limite di cui all' art. 84, comma 4, CCII

Sarà poi inapplicabile, a causa del disposto dell'art. 84, comma 8, CCII, l'art. 118, comma 4, CCII. Anche qui infatti la porzione liquidativa dovrà essere curata da un liquidatore: le inadempienze ed i ritardi dell'imprenditore saranno fuori gioco.

La normativa di cui agli artt. 94 bis e 100 CCII non sarà applicabile se i contratti concernono un ramo d'azienda del quale si prevede la chiusura e semmai la vendita atomistica dei singoli beni, ma si applicheranno in caso di cessione d'azienda, perché allora come noto si rientra nella continuità indiretta, e il valore aziendale sarà propriamente rilevante.

Sarà poi applicabile l'art. 53, comma 5 bis, CCII di cui s'è detto, poiché in ogni caso quello deve comunque essere qualificato come concordato in continuità.


Altre ipotesi di liquidazione

Il concordato liquidatorio e la liquidazione in ambito di concordato in continuità non esauriscono peraltro le forme liquidative in ambito di strumenti di composizione previsti dal codice della crisi. Passiamo brevemente in rassegna gli altri casi disciplinati.

(Segue). La liquidazione nel concordato semplificato

Il concordato semplificato, che consegue a un tentativo di composizione negoziata non riuscito nonostante correttezza e buona fede nelle trattative ma a fronte dell'impraticabilità delle soluzioni di cui all'art. 23 CCII, è disciplinato dall'art. 25 sexies CCII, ed ha espressamente natura liquidatoria. Comprendendo una disciplina di fatto compiuta, ed escludendo il voto, tale forma ingloba anche la continuità indiretta, che viene qui riportata nell'alveo suo proprio della liquidazione. Tanto che il deposito della relativa domanda dev'essere accompagnato da un piano liquidativo e questo deve comprendere le modalità della liquidazione.

L'esecuzione di tale concordato, caratterizzato dall'assenza di voto e dall'opponibilità diffusa all'omologazione, esattamente come nel caso del concordato liquidatorio di cui all'art. 84, comma 4, CCII è disciplinata dall'art. 114 CCII, in quanto compatibile, come disposto dall'art. 25 septies CCII, sebbene sia direttamente la disposizione a stabilire la nomina del liquidatore.

E' invece la stessa norma appena citata ad assicurare la competitività in tal caso della cessione d'azienda a soggetto predeterminato, quindi senza rinvio alla disposizione di cui all'art. 90 CCII, anche se sulla base di un analogo criterio ispiratore.

In tal modo si avrà una nuova forma di concordato liquidatorio, accomunato dalla stessa disciplina esecutiva, ma cui non sono applicabili i limiti previsti dall'art. 84, comma 4, CCII, in tema di soddisfacimento dei creditori.

Certamente tale forma concordataria risponde a regole proprie, a parte quelle procedurali già sommariamente ricordate: prevede un giudizio di ammissibilità (con una particolare attenzione al contraddittorio visto che qui manca il voto) che appunto prescinde da garanzie di soddisfacimento, sostituite dalla verifica che esso assicuri a ciascun creditore un'utilità (quindi non necessariamente un pagamento); uno di fattibilità (che direi non dissimile da quello proprio del concordato liquidatorio) e ulteriormente di non pregiudizio rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale, riferito alla generalità dei creditori.

Ritengo inoltre che in questo caso non siano prescritte classi obbligatorie, visto che l'art.25-sexies CCII espressamente ammette che esse possano essere previste, ma senza obbligo alcuno, e che in ogni caso debba essere rispettato il criterio dell'absolute priority rule, visto che tra le altre cose il Tribunale deve controllare il rispetto delle cause di prelazione, e che l'art. 84, comma 6, CCII lo si veda come si vuole, deroga platealmente allo stesso.

(Segue). La liquidazione negli accordi di ristrutturazione

Anche gli accordi di ristrutturazione (compresi quelli agevolati ai sensi dell'art. 60 CCII, per i quali è sufficiente l'adesione del trenta per cento dei creditori e sempre che non siano chieste misure protettive e sia esclusa la moratoria per i creditori estranei) possono avere contenuto liquidatorio. Invece in base all'art. 61, comma 2, lett. b), CCII non possono esserlo quelli ad efficacia estesa, a meno che l'estensione non concerna il solo ceto bancario (comma 5).

Ancora una volta il legislatore tenta quindi di condizionare un'evidente norma di favore alla continuità aziendale, come sempre compresa quella indiretta con cessione.

Nei limiti in cui l'accordo può avere contenuto liquidatorio, atteso che allo stesso deve essere riconosciuta natura di procedura concorsuale (Cass. n. 9087/2018) – caratterizzata essenzialmente da: i) un'interlocuzione con l'autorità giudiziaria, in termini protettivi (nella fase iniziale) e di controllo (nella fase conclusiva); ii) il coinvolgimento formale di tutti i creditori (sia pure, per alcuni, gli estranei, anche solo per attribuire loro determinate conseguenze); iii) una qualche forma di pubblicità – sorge l'interrogativo in ordine alle forme delle relative cessioni, se cioè debbano essere caratterizzate dalla competitività.

Pare peraltro che ciò non sia, poiché per i creditori aderenti vi è un vincolo di natura contrattuale rispetto alla proposta, mentre per gli altri è prevista solo una breve moratoria: decorsa la stessa o essi vengono integralmente pagati, quindi non avranno nulla di cui dolersi; ovvero in caso di inadempienza potranno liberamente aggredire i beni con l'esecuzione individuale. Mi pare però che nei loro confronti, se la proposta preveda il relativo pagamento con il frutto di cessioni (ad esempio si pensi a smobilizzo di un magazzino o comunque a beni mobili), queste non potranno che essere di natura competitiva ai sensi dell'art. 114 CCII (norma di carattere generale).

In ogni caso la previsione delle cessioni dovrà superare il vaglio della fattibilità della proposta, e quindi quantomeno occorreranno delle stime indipendenti, i cui valori potrebbero anche essere sorretti da offerte predeterminate.

Altra questione attiene all'applicabilità della regola della continuità “qualitativa”, che come visto nel concordato determina la sua classificazione come in continuità anche ove dalla stessa derivi una porzione minore del ricavato devoluto ai creditori.

Tale regola difficilmente può ritenersi di carattere generale, visto che espressamente si riferisce al concordato (art. 84 comma 3: “Nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta”); d'altra parte sembrerebbe che quella appena descritta sia un'opzione del legislatore perfettamente compatibile anche con altri istituti che possono essere caratterizzati tanto dalla continuità come dalla natura liquidatoria.

(Segue). Piani di ristrutturazione omologati liquidativi?

Dote tutt'altro che scontata dell'ultima versione del codice della crisi, tra l'altro sospetta di illegittimità costituzionale (visto tra l'altro che si prevede la possibilità di derogare agli artt. 2740 e 2741 c.c.), è costituita dai piani di ristrutturazione omologati di cui agli artt. 64-bis, 64-ter e 64-quater CCII.

Non è questa la sede per analizzare questo nuovo istituto, un incrocio di istituti che vorrebbe dare il “bollino” dell'autorità giudiziaria a soluzioni creative (per dir così) dell'imprenditore. In ogni caso, già dal nome l'istituto in parola dovrebbe essere caratterizzato da un forte impronta di continuità aziendale, sia essa diretta od indiretta, e ciò trova poi conferma in varie norme della relativa disciplina, come ad esempio in tema di voto e maggioranze, dove è ricalcata quella propria appunto del concordato in continuità.

Ciò non toglie che un contenuto liquidatorio, al pari del concordato in continuità, possa averlo anche il p.r.o., ma al solito solo parzialmente. Lo si comprende dal rinvio all'applicabilità dell'art. 84, comma 8, CCII. Ciò significa che la liquidazione deve essere accompagnata da un contenuto in continuità.

Il rinvio a tale disposizione vuole comunque imporre anche qui la nomina di un liquidatore e forme di competitività semplificate rispetto a quelle previste dall'art. 114 CCII, espressamente inapplicabile in base all'art. 64 bis, comma 9, CCII.

Quel che la norma non dice è se anche qui basta una porzione pur minima di continuità, o se viceversa occorra che essa caratterizzi davvero la proposta.

Partendosi dalla finalità (almeno teorica) di favorire la continuità aziendale, e trattandosi di un istituto sui generis, in quanto tra l'altro costituisce una plateale deroga ai diritti di prelazione stabiliti dal codice civile, pare – a differenza della situazione meno netta che si ha in tema di accordi di ristrutturazione - che si possa fin d'ora ritenere che per potervi accedere occorra che la proposta sia caratterizzata (in prevalenza) dalla continuità. D'altronde l'art. 64-bis, comma 9, CCII che pure rinvia a numerose disposizioni in tema di concordato, non menziona l'art. 84, comma 3, CCII che prevede appunto la qualifica di continuità anche ove il concordato non assicuri il soddisfacimento in misura prevalente tramite il prodotto della continuità aziendale.

Il concordato minore liquidatorio

L'alternativa fra concordato liquidatorio e in continuità (oltre che con quello per assunzione, per questo lavoro di minor rilievo) si riproduce anche in seno alla composizione della crisi da sovraindebitamento, e pertanto in tema di concordato minore di cui agli artt. 74-83 CCII.

Anche nel caso del concordato minore la modalità preferenziale è quella della continuità, come sancisce l'ultima parte del primo comma dell'art. 74 CCII. Scelta che rendeva anche sotto tal profilo obbligata l'esclusione del consumatore fra i legittimati alla procedura in esame.

Esplicitamente ora la norma (art. 74 CCII) estende la modalità anche al professionista, sebbene poi alcune norme in tema di continuità siano riservate al solo imprenditore (come la maggioranza «coatta» di cui all'art. 80, comma 3, CCII e la possibilità di pagamento integrale del mutuo ipotecario gravante sui beni strumentali, art. 75, comma 3, CCII).

La continuità, mancando una norma che lo impedisca, potrà anche essere indiretta.

Sempre in conformità con la nuova disciplina del concordato preventivo, si prevede peraltro la possibilità, a carattere strettamente residuale, di un concordato liquidatorio a condizione che sussista l'apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori.

Ciò significa che, ferma restando l'insussistenza di una percentuale minima di soddisfacimento, il concordato minore liquidatorio dovrà comunque garantire un quid pluris.

Lo stesso apporto potrebbe peraltro essere costituito, attese le libertà delle forme, da utilità diverse, essendo solo il risultato della liquidazione in sé necessariamente espresso in denaro (esattamente come accade nell'ipotesi analoga del concordato preventivo).

Circa l'entità di tale aggiunta, la norma si limita a disporre che la stessa dev'essere «apprezzabile», il che significa che la comparazione tra la percentuale che sarebbe soddisfatta tramite la mera liquidazione e quella tramite la finanza esterna deve essere non irrisoria, accantonandosi così per questa procedura la misura minimale del 10% (rispetto ai risultati di un'eventuale liquidazione giudiziale) stabilita invece dall'art. 84 CCII per il concordato preventivo liquidatorio, e consentendo un soddisfacimento minore (o anche sganciato da una definizione dello stesso in termini percentuali, per far riferimento a valori anche assoluti, ma si badi, sempre aggiuntivi rispetto al valore dei beni liquidabili facenti parte del patrimonio del debitore in misura non irrisoria).

Tale differenziale entrerà ovviamente nella verifica di ammissibilità del concordato, e non sarà quindi lasciato all'iniziativa dei creditori in sede di contestazione. È anche da ritenere che il giudice, nell'effettuare la verifica, non potrà negare l'ammissibilità ritenendo che un'eventuale continuità avrebbe dato risultati migliori, poiché è evidente che il giudizio di maggior soddisfacimento dev'essere effettuato appunto tramite la comparazione con l'alternativa liquidatoria.

L'apprezzabilità del maggior soddisfacimento nel concordato minore liquidatorio dovrà ovviamente essere oggetto di specifica assunzione d'obbligo vincolante da parte del debitore.

L'espressa indicazione della libertà di contenuto poi rende ancor più evidente l'ampiezza della stessa, aldilà del soddisfacimento parziale e della previsione della dilazione, includendo così quella del concordato misto e dunque, ad esempio, di un soddisfacimento combinato del credito e della previsione contestuale di una dilazione nonché di ulteriore soddisfacimento a mezzo della prosecuzione di rapporti contrattuali per una durata minima, o magari programmata per volumi; ma sempre col limite di un minimo soddisfacimento pecuniario.

Quanto alla modalità mista liquidatoria e in continuità, non può ritenersi che essa sia vietata.

Più complesso è stabilire se si applichi il criterio della prevalenza assoluta della continuità come declinata dal nuovo testo dell'art. 84 CCII. In effetti tale norma ormai stabilisce che nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta.

Tale modifica transita anche nella disciplina del concordato minore per il tramite dell'art. 74, comma 4, CCII che estende al concordato minore la disciplina di quello preventivo laddove manchi una disciplina specifica, e comunque in quanto compatibile. Essa è infatti un portato della spiccata preferenza che il legislatore dimostra per la continuità in tutto il codice, e quindi anche, come s'è visto, a proposito di concordato minore, né la struttura di questo mostra qualche incompatibilità con il suddetto principio.

Anche nel nostro caso si pone il problema del limite dell'abuso, posto che quanto meno nel concordato minore liquidatorio occorre procurarsi della finanza esterna per assicurare un soddisfacimento superiore a quello rinveniente dall'attivo.

Di grande importanza è stabilire poi se siano applicabili i commi 6 e 7 dell'art. 84 CCII, in tema di misura del soddisfacimento dei privilegiati e in particolare, come s'è visto a suo tempo, di relative priority rule, anche al caso del concordato minore in continuità.

Non pare però che qualcosa osti a ciò. Conferma dell'applicabilità di tali norme, d'altronde mi pare sia data dal richiamo da parte dell'art. 78, comma 2-bis, dell'art. 112, comma 2, CCII.

Parimenti mi pare che nulla osti all'estensione anche al concordato minore della nozione di finanza esterna di cui all'art. 84, comma 4, CCII, con tutte le precisazioni fatte a proposito del concordato preventivo.

Per quanto riguarda l'ipotesi, che a questo punto sarà tutt'altro che infrequente, di concordato minore in continuità con una porzione (più o meno rilevante) di natura liquidatoria, quest'ultima si sottrae alla norma più rilevante in argomento relativa al concordato preventivo, e cioè l'art. 84, comma 8, CCII, di cui s'è detto a suo luogo, posto che come noto nel concordato minore l'esecuzione è affidata di norma al debitore (art. 81 CCII), mentre la nomina del liquidatore, peraltro sempre in persona dell'OCC, dipende da una scelta del piano.

Per quanto riguarda le ipotesi di nomina del commissario di cui all'art. 78, comma 2-bis, CCII va sottolineato come tale figura (che la norma prevede di nomina giudiziale e sostitutiva a quel punto dello stesso OCC), sia prevista – nel caso di concordato minore liquidatorio – allorché sia disposto lo stay delle procedure esecutive individuali, e la nomina appaia utile nell'interesse dei creditori, nonché allorché la richiesta di nomina sia formulata dal debitore (si tralascia evidentemente qui l'ipotesi del concordato minore in continuità).

Come detto si pone poi la questione circa l'estensione anche al concordato minore della continuità indiretta, espressamente sancita in tema di concordato preventivo, al fine di equipararla dal punto di vista della disciplina alla continuità diretta.

La questione ovviamente attiene esclusivamente il piano del concordato minore presentato dall'imprenditore, non avendo senso con riguardo al professionista, proprio per la natura strettamente personale che caratterizza l'attività di quest'ultimo.

Se può trasparire dalle norme relative al sovraindebitamento una maggior attenzione alla specifica attività del debitore, in realtà l'art. 74, comma 2, CCII nel prevedere la continuità allude oggettivamente all'attività imprenditoriale, senza alcuno specifico riferimento al debitore presentatore del piano.

L'oggettiva riferibilità all'azienda appare confermata dalla disciplina unionale (Racc. UE 2014/135/UE del 12 marzo 2014; 10° considerando Reg. 2015/848).

In ogni caso, come premesso, non sussistono elementi o controindicazioni all'ammissione entro tali limiti della continuità indiretta anche per la nostra procedura.

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