Mutui espressi in valuta estera: se il consumatore vi si oppone, il giudice nazionale non può sostituire una clausola abusiva

La Redazione
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10 Settembre 2022

Il contratto di mutuo, se non può sopravvivere senza tale clausola, deve essere dichiarato nullo.

In Polonia, diversi consumatori hanno sottoscritto mutui ipotecari espressi in franchi svizzeri (CHF), ai fini dell'acquisto di beni immobili. In sostanza, tali mutui sono stati registrati in CHF e messi a disposizione dei consumatori in zloty polacchi (PLN), con applicazione, quale prezzo di conversione, del tasso di cambio di acquisto del CHF rispetto allo PLN. Per contro, al momento del rimborso delle rate mensili dei mutui, il prezzo di conversione corrispondeva al tasso di cambio di vendita del CHF rispetto allo PLN.

Tali consumatori hanno adito il Tribunale circondariale di Varsavia-Centro cittadino chiedendo l'accertamento, in forza della direttiva sulle clausole abusive nei contratti conclusi da consumatori, del carattere abusivo delle clausole relative al citato meccanismo di conversione, che costituivano parte integrante dei loro rispettivi contratti di mutuo. Tale giudice chiede se la direttiva osti a una giurisprudenza nazionale secondo la quale il giudice nazionale può, dopo aver accertato la nullità di una clausola abusiva contenuta in un contratto concluso da consumatori che determini la nullità di tale contratto nel suo complesso, sostituire la clausola dichiarata nulla vuoi interpretando le dichiarazioni di volontà delle parti, vuoi applicando alla clausola abusiva dichiarata nulla una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, qualora il consumatore non desideri mantenere valido il contratto.

Inoltre, il giudice polacco chiede alla Corte se, nell'ambito dell'eliminazione di una clausola abusiva, il giudice nazionale possa limitarsi a eliminare la parte effettivamente abusiva della clausola oppure, al contrario, debba eliminare integralmente tale clausola. Inoltre, esso chiede altresì precisazioni quanto al dies a quo del termine di prescrizione del diritto al rimborso di cui gode il consumatore in seguito all'eliminazione di una clausola abusiva.

Con l'odierna sentenza la Corte ricorda, in primo luogo, che la possibilità eccezionale di cui dispone il giudice nazionale di sostituire una clausola abusiva dichiarata nulla con una disposizione nazionale di natura suppletiva è limitata alle ipotesi in cui l'eliminazione di tale clausola abusiva obblighi detto giudice a dichiarare invalido il contratto nella sua interezza, esponendo in tal modo il consumatore a conseguenze particolarmente dannose. Orbene, nel caso in cui il consumatore sia stato informato delle conseguenze connesse alla dichiarazione di nullità del contratto nel suo complesso e abbia acconsentito a una siffatta dichiarazione di nullità, non sembra che sia soddisfatta la condizione secondo cui la dichiarazione di nullità del contratto nel suo complesso lo esporrebbe a conseguenze particolarmente dannose. Di conseguenza, la direttiva non consente l'applicazione di una giurisprudenza nazionale secondo la quale il giudice nazionale può, dopo aver accertato la nullità di una clausola abusiva contenuta in un contratto concluso da consumatori che determini la nullità di tale contratto nel suo complesso, sostituire la clausola abusiva dichiarata nulla con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, qualora il consumatore si opponga a una siffatta soluzione.

Parimenti, la direttiva non consente di sostituire una clausola abusiva dichiarata nulla con un'interpretazione giudiziaria, poiché i giudici nazionali sono tenuti unicamente a disapplicare la clausola abusiva, senza essere autorizzati a rivederne il contenuto.

In secondo luogo, la Corte rileva che la direttiva osta a una giurisprudenza nazionale che consenta al giudice nazionale di eliminare solo la parte effettivamente abusiva di una clausola, mantenendola efficace per il resto, qualora una simile eliminazione equivalga a modificare il contenuto di tale clausola, incidendo sulla sua sostanza.

In terzo luogo, la Corte constata che un termine di prescrizione relativo ai diritti del consumatore può essere compatibile con il diritto dell'Unione unicamente se quest'ultimo ha avuto la possibilità di conoscere i suoi diritti prima che tale termine inizi a decorrere o scada. Orbene, l'opposizione di un termine di prescrizione a una domanda di restituzione proposta dal consumatore in seguito all'eliminazione di una clausola abusiva, che inizi a decorrere dalla data di esecuzione di ciascuna prestazione da parte di tale consumatore, quand'anche quest'ultimo non avesse conoscenza, in tali date, del carattere abusivo di detta clausola, non è idonea a garantire al consumatore una tutela effettiva. Ne consegue che il diritto dell'Unione osta a una giurisprudenza nazionale che consenta una siffatta prassi.

IMPORTANTE: Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell'ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all'interpretazione del diritto dell'Unione o alla validità di un atto dell'Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.