Diritto di detrazione, IVA in regime di contabilità di cassa e chiusura della partita IVA

Aurelio Cappabianca
Aurelio Cappabianca
15 Settembre 2022

Ai sensi dell'art. 167 della direttiva IVA, il diritto alla detrazione dell'imposta dovuta a monte non può sorgere ed essere esercitato al momento della realizzazione dell'operazione, nel caso in cui l'imposta diventi esigibile nei confronti del fornitore di beni o del prestatore di servizi solo al momento dell'incasso del corrispettivo e quest'ultimo non sia stato precedentemente versato.Ai sensi degli artt. 168, l'art. 214, § 1, e della direttiva IVA nonché del principio di neutralità dell'IVA, non è illegittima una normativa nazionale che consenta all'amministrazione fiscale d'imporre l'obbligo di riscuotere l'IVA dovuta sulle operazioni imponibili ad un soggetto passivo che continui ad esercitare la propria attività nonostante l'avvenuto annullamento della sua identificazione a fini IVA, purché sia garantita a tale soggetto la possibilità di richiedere una nuova identificazione a fini IVA e di detrarre l'imposta assolta a monte.
I principi

Con sentenza 10 febbraio 2022 in causa C-9/20, Grundstücksgemeinschaft Kollaustraße 136, la Corte di Giustizia U.e., investita in via pregiudiziale dal giudice tedesco, ha affermato che l'art. 167 della direttiva IVA (1) osta a una normativa nazionale che prevede che il diritto alla detrazione dell'imposta dovuta a monte sorga e vada esercitato al momento della realizzazione dell'operazione, nel caso in cui, in forza di una deroga nazionale ai sensi dell'art. 66, comma 1 lettera b), della direttiva medesima, l'imposta diventi esigibile nei confronti del fornitore di beni o del prestatore di servizi solo al momento dell'incasso del corrispettivo e quest'ultimo non sia stato ancora versato.

Con sentenza 18 novembre 2021 in causa C-358/20, Promexor Trade, la Corte di Giustizia U.e., investita in via pregiudiziale dal giudice rumeno, ha affermato che l'art. 168, l'art. 213, § 1, l'art. 214, § 1, e l'art. 273 della direttiva IVA (2) nonché il principio di neutralità dell'IVA - letti alla luce dei principi di certezza del diritto, di tutela del legittimo affidamento e di proporzionalità - non ostano ad una normativa nazionale che consenta all'amministrazione fiscale d'imporre l'obbligo di riscuotere l'IVA dovuta sulle operazioni imponibili ad un soggetto passivo, che continui ad esercitare la propria attività nonostante l'avvenuto annullamento della sua identificazione a fini IVA, purché sia garantita a tale soggetto la possibilità di richiedere una nuova identificazione a fini IVA e di detrarre l'imposta assolta a monte.

Le motivazioni

La prima decisione - in relazione a fattispecie in cui, alla stregua del diritto nazionale, l'amministrazione tributaria tedesca aveva negato il diritto di detrazione ad una società che, autorizzata alla contabilità iva per cassa, lo aveva esercitato nel periodo d'imposta, nel quale, avendo percepito il corrispettivo, era divenuta debitrice dell'imposta e non in quello in cui aveva eseguito la prestazione - si fonda sulle considerazioni che seguono.

Ai sensi dell'art. 63 della direttiva IVA, la nascita dell'obbligazione tributaria e l'esigibilità di questa coincidono temporalmente e vanno (entrambe) collegate al momento in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi (3).

L'art. 66, primo comma lettera b, della direttiva prevede, tuttavia, che, in deroga alla previsione del successivo art. 63, gli Stati membri possano stabilire che, per talune operazioni o per talune categorie di soggetti passivi, l'esigibilità dell'imposta sia temporalmente sfasata rispetto all'insorgenza dell'imposta stessa (per come inderogabilmente fissata dall'art. 63) e si verifichi successivamente alla realizzazione dell'operazione, purché non oltre il momento dell'incasso del prezzo (4).

In tema di diritto alla detrazione, l'art. 167 della direttiva pone, inequivocabilmente quanto perentoriamente, la regola generale secondo la quale il diritto alla detrazione dell'IVA a monte, per il destinatario di beni o servizi, sorge al momento in cui l'IVA corrispondente diventa esigibile nei confronti del fornitore di beni o del prestatore di servizi (5).

Ne consegue che, perché si abbia un'interpretazione del combinato disposto dagli artt. 63 e 66, primo comma lettera b), della direttiva IVA coerente con la previsione del successivo art. 167 (per cui il diritto a detrazione sorge quando l'imposta diventa esigibile), deve necessariamente concludersi che, quando, ai sensi dell'art. 66, primo comma lettera b, si rompe la coincidenza temporale tra nascita ed esigibilità dell'obbligazione tributaria, è al momento dell'esigibilità dell'imposta nei confronti del fornitore di beni o del prestatore di servizi (momento non successivo a quello dell'incasso del prezzo) che va ricollegata l'insorgenza del diritto alla detrazione in favore del cessionario o del committente.

Essendo quello indicato il nucleo fondamentale posto a base della decisione, la Corte ulteriormente rileva che la conclusione risponde all'obbiettivo della direttiva IVA di uniformare al massimo, per la funzionalità del sistema le nozioni di “fatto generatore” e di “esigibilità dell'imposta” (6).

Puntualizza, inoltre, che la conclusione non è contraddetta dal fatto che essa svuoterebbe di contenuto, rendendola superflua, la previsione dell'art. 167-bis della direttiva (7). Tale disposizione infatti - consentendo agli Stati membri di imporre a un soggetto passivo che, in qualità di fornitore, utilizza la contabilità di cassa dell'IVA assolta a valle, di utilizzare tale metodo contabile anche per procedere alla detrazione dell'IVA assolta a monte per i beni o servizi a sua volta ricevuti - si inserisce nella deroga già prevista dal combinato disposto dagli artt. 167 e 66, primo comma lettera b, con ambito di applicazione, rispetto ad essa, autonomo e complementare.

La conclusione, quindi, è che l'articolo 167 della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che prevede che il diritto a detrazione dell'imposta assolta a monte sorga al momento della realizzazione dell'operazione nel caso in cui, in forza di una deroga nazionale ai sensi dell'art. 66, primo comma lettera b), della stessa direttiva, l'imposta diventi esigibile nei confronti del fornitore di beni o del prestatore di servizi solo al momento dell'incasso del corrispettivo e quest'ultimo non sia stato ancora versato.

La seconda decisione - intervenuta in relazione a fattispecie in cui una società rumena – alla quale era stata in precedenza annullata d'ufficio (8) l'identificazione IVA (per aver presentato, per sei mesi consecutivi, dichiarazioni IVA non menzionanti operazioni soggette all'imposta) aveva continuato ad esercitare la propria attività, emettendo fatture al netto dell'IVA - si sviluppa nelle considerazioni che seguono.

Il diritto dei soggetti passivi, previsto dagli artt. 167 e seguenti della direttiva 2006/112, di detrarre dall'IVA a carico l'IVA dovuta o assolta a monte, per i beni acquistati e per i servizi ricevuti, non può, in linea di principio, essere soggetto a limitazioni, poiché costituisce il perno dell'intero sistema comune dell'IVA. Attraverso di esso si realizza, infatti, il completo sgravio dell'imprenditore dall'onere dell'IVA dovuta o pagata nell'ambito del complesso delle sue attività economiche e si attua il coessenziale principio della neutralità dell'imposizione per tutte le attività economiche, indipendentemente dalla loro funzione e dai loro risultati, purché, di per sé stesse, soggette ad IVA.

Il richiamato fondamentale principio di neutralità, comporta che il diritto alla detrazione non può, in linea di principio, essere negato se non per carenze di carattere non esclusivamente formale; con la conseguenza che, il diritto alla detrazione è suscettibile di disconoscimento solo se una violazione di carattere formale, non sia semplicemente tale, ma interferisca, nel contempo, sui requisiti sostanziali del diritto, ostando all'acquisizione della prova della relativa ricorrenza e mai, ove l'amministrazione competente disponga di tutte le informazioni necessarie per accertare che i requisiti sostanziali sono soddisfatti (9).

Nell'indicato contesto, l'identificazione ai fini dell'IVA, prevista all'art. 214 della direttiva IVA, nonché l'obbligo per il soggetto passivo di dichiarare l'inizio, la variazione e la cessazione delle proprie attività, sancito dall'art. 213, della direttiva medesima, costituendone requisiti puramente formali, non possono interferire con il diritto alla detrazione dell'IVA, se di questo ricorrano le condizioni sostanziali.

In tale prospettiva, non si può impedire ad un soggetto passivo di esercitare il suo diritto alla detrazione con la motivazione che lo stesso non si sarebbe registrato a fini IVA prima di utilizzare i beni acquisiti nell'ambito della sua attività imponibile; viceversa, non può considerarsi incompatibile con il diritto eurounitario, una normativa nazionale che consenta all'amministrazione fiscale di negare ad un soggetto passivo il diritto alla detrazione dell'IVA assolta a monte, se, a causa di inadempimenti (formali) di detto soggetto, l'amministrazione fiscale non abbia potuto disporre delle informazioni necessarie per accertare la ricorrenza dei requisiti sostanziali del diritto alla detrazione o per escludere che il soggetto passivo abbia agito in modo fraudolento (10).

Sulla base delle esposte premesse e tenuto conto anche dei principi di affidamento e di proporzionalità, la corte è pervenuta alla conclusione della compatibilità con il diritto eurounionale di una normativa nazionale che consenta all'amministrazione fiscale d'imporre l'obbligo di riscuotere l'IVA dovuta sulle operazioni imponibili ad un soggetto passivo, che continui ad esercitare la propria attività nonostante l'avvenuto annullamento della sua identificazione a fini IVA, a condizione che a tale soggetto sia garantita la possibilità di chiedere una nuova identificazione a fini IVA e di detrarre l'imposta assolta a monte.

Considerazioni

Secondo la prima delle due decisioni in rassegna - nel caso in cui, in forza di deroga nazionale ai sensi dell'art. 66, comma 1 lettera b, della Direttiva IVA, l'esigibilità dell'imposta sia sfasata rispetto al tempo dell'insorgenza dell'obbligo tributario (immancabilmente collegato all'effettuazione dell'operazione) e differita a quello dell'incasso del corrispettivo - è a quest'ultimo momento (e non a quello dell'esecuzione della prestazione) che, alla stregua della normativa unionale, va ricollegato il diritto alla detrazione dell'imposta dovuta a monte.

La seconda decisione - sulla premessa implicita, dell'assoggettamento ad IVA di ogni operazione che risponda ai correlativi presupposti di fatto (11) e su quella, espressa, dell'indissolubilità, sul piano del diritto europeo, del binomio obbligo di riscossione e versamento dell'IVA/diritto alla detrazione dell'imposta, salvo che in carenza dei requisiti sostanziali di quest'ultimo e in ipotesi di frode (12) - afferma, invece, che gli ordinamenti nazionali devono garantire il diritto alla detrazione IVA anche in relazione ad operazioni, sostanzialmente rientranti nell'ambito di applicazione dell'imposta e dunque implicanti l'obbligo di riscossione e di versamento, realizzate dopo l'annullamento dell'identificazione a fini IVA di cui all'art. 214 della Direttiva IVA, configurando, questa, adempimento di carattere puramente formale.

Le due decisioni assumono rilevanza ai fini dell'ordinamento nazionale. E non solo per l'evidenza costituita dalla presenza di una disposizione interna, che, prevedendo la chiusura d'ufficio delle partite IVA inattive (art. 35, comma 15quinquies, d.p.r. 633/1972), è specificamente rispondente alla norma rumena applicabile alla fattispecie oggetto della decisione 18 novembre 2021 in causa c-358/20, Promexor Trade.

In particolare, esse offrono riscontro, all'orientamento della corte di legittimità nazionale (13), che - in relazione ad ipotesi in cui, successivamente alla chiusura (in tal caso volontaria) della partita IVA, era avvenuta la sola corresponsione del compenso (14) - ha sostenuto che il compenso del professionista è assoggettato ad imposizione IVA anche se percepito dopo la cessazione dell'attività, nel cui ambito la prestazione è stata eseguita, ed alla relativa formalizzazione.

A tale conclusione, la giurisprudenza nazionale è, infatti, pervenuta proprio su presupposti, poi, asseverati delle riportate decisioni della Corte di giustizia.

In primo luogo, quello (condiviso dalla seconda delle decisioni in commento) dell'assoggettamento ad IVA di ogni operazione che risponda ai correlativi presupposti di fatto.

In secondo luogo, quello (condiviso dalla prima delle decisioni in commento) per cui l'ordinamento europeo (15) configura il “fatto generatore” dell'obbligazione tributaria IVA quale nozione concettualmente autonoma e distinta rispetto a quella di “esigibilità” (16) dell'imposta medesima (17) ed inderogabilmente lo ancora al dato del materiale espletamento dell'operazione (cessione del bene o prestazione del servizio), conferendo agli stati membri facoltà di modificare la disciplina unionale solo in merito alle condizioni di esigibilità dell'imposta. Con la conseguenza che, per non incorrere in incompatibilità con il diritto europeo, la disposizione di cui all'art. 6, comma 3, d.P.R. 633/1972, deve essere necessariamente letta nel senso che, quando, per le prestazioni di servizi, attribuisce rilevanza a fini impositivi al dato del pagamento del relativo corrispettivo, lo fa con riferimento esclusivo al dato dell'esigibilità dell'imposta e non a quello dell'insorgenza dell'obbligazione tributaria (18).

L'inscindibilità del legame intercorrente tra obbligo di riscossione e versamento dell'IVA e diritto alla sua detrazione, ribadito dalla seconda decisione, comporta poi quale indefettibile corollario, anche nella situazione considerata, che il soggetto (professionista), che abbia riscosso e versato l'IVA, ha diritto (solo così garantendosi la coerenza del sistema impositivo) alla corrispondente detrazione ovvero al relativo rimborso (rappresentando detrazione e rimborso d'imposta modalità alternative di esercizio del medesimo diritto al recupero dell'eccedenza IVA detraibile) (19). Mentre per altro verso, come specificamente emerge dalla seconda delle decisioni in esame, l'assolvimento dell'obbligo di riscossione e versamento dell'imposta e l'esercizio del correlativo diritto di detrazione transitano, in concreto, attraverso formalità a ciò strumentali: riapertura della partita I.V.A., fatturazione, dichiarazione, ecc.

Note

(1) Direttiva 28 novembre 2006 n. 2006/112/CE del Consiglio, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 13 luglio 2010 n. 2010/45/UE del Consiglio.

(2) V. nota precedente.

(3) L'art. 63 della direttiva IVA dispone: “Il fatto generatore dell'imposta si verifica e l'imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi”.

(4) L'art. 66 della medesima direttiva IVA così precisa: “In deroga agli articoli 63…, gli Stati membri possono stabilire che, per talune operazioni o per talune categorie di soggetti passivi, l'imposta diventi esigibile in uno dei momenti seguenti: a) […]; b) non oltre il momento dell'incasso del prezzo; c) […]”.

(5) L'art. 167 della direttiva IVA così recita: “Il diritto a detrazione sorge quando l'imposta detraibile diventa esigibile”.

(6) Secondo il considerando 24 della direttiva IVA: “Le nozioni di fatto generatore ed esigibilità dell'imposta dovrebbero essere armonizzate affinché l'introduzione e le modificazioni successive del sistema comune di IVA abbiano effetto in tutti gli Stati membri alla stessa data”.

(7) L'art. 167bis, comma 1, della Direttiva IVA è del seguente tenore: “Gli Stati membri possono prevedere, nel quadro di un regime opzionale, che il diritto a detrazione, di un soggetto passivo per il quale l'IVA diventa esigibile solamente a norma dell'articolo 66, lettera b), sia posposto fino al pagamento, al suo fornitore/prestatore, dell'IVA relativa ai beni ceduti o servizi resi a detto soggetto passivo”.

Dal Considerando 4 della direttiva 2010/45 risulta, peraltro, che l'articolo 167bis è stato inserito nella direttiva IVA per aiutare le piccole e medie imprese che hanno difficoltà a pagare l'IVA all'autorità competente prima di aver ricevuto i pagamenti dai loro acquirenti o destinatari e consentire agli Stati membri di introdurre un regime facoltativo di contabilità di cassa che non andrà a incidere negativamente sui flussi di cassa legati alle loro entrate IVA.

(8) Ai sensi dell'art. 153, paragrafi 9 l. 571/2003 (recante il codice fiscale rumeno).

(9) V. i punti 33 e 34 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata.

(10) V. i punti 35, 36 e 37 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata.

(11) In tal senso, risulta da tempo affermata la rilevanza fiscale a fini IVA, da un lato, delle operazioni meramente propedeutiche ad un'attività imprenditoriale e ciò, anche nel caso che questa, in assenza di frode e di abusi, successivamente abortisca: cfr. C.G.U.E. 14 febbraio 1985 in causa C-268/1985, Bozdag; C.G.U.E. 29 febbraio 1996 in causa C-110/94, Intercommunale voor zeewaterontzilting: dall'altro, delle operazioni funzionali a detta attività, ma successive alla sua cessazione: cfr. C.G.U.E. 3 marzo 2005 in causa C-32/03, I/S Fini H.

(12) V., da ultimo, anche C.G.U.E. 11 novembre 2021 nella causa C‑281/20, Ferimet s.l. e C.G.U.E. 9.12.2021, in C-154/20Kemwater ProChemie.

(13) Cfr. Cass. 18081/21 e Cass., ss.uu., 8059/16.

(14) E non, come nella fattispecie oggetto della seconda delle decisioni in rassegna, anche l'esecuzione della prestazione professionale.

(15) V., in particolare, gli artt. 62 - 66 della Direttiva 2006/112/Ce.

(16) Da intendersi quale l'attitudine attuale dell'imposta ad essere pretesa in riscossione dall'erario.

(17) Così, pure, C.G.U.E. 19 dicembre 2012 in causa C-549/12, Orfey Balgaria.

(18) V. anche C.G.U.E. 26 ottobre 1995 in causa C-144/94, Italittica.

(19) V. Cass. 10570/20; Cass. 20040/11.