Parità di trattamento: lavoratori somministrati e lavoratori direttamente impiegati dall'impresa utilizzatrice e indennità per ferie non godute

Alessandro Gasparini
16 Settembre 2022

La normativa europea osta a una disciplina nazionale in forza della quale l'indennità a cui i lavoratori tramite agenzia interinale hanno diritto, in caso di cessazione del loro rapporto di lavoro con un'impresa utilizzatrice, a titolo dei giorni di ferie annuali retribuite non godute e dell'indennità per ferie corrispondente, è inferiore all'indennità alla quale tali lavoratori avrebbero diritto, nella medesima situazione e allo stesso titolo, se fossero stati direttamente impiegati da tale impresa utilizzatrice per svolgervi il medesimo lavoro per la stessa durata, dovendo le predette indennità per ferie non godute ritenersi incluse nella nozione di «condizioni di base di lavoro e d'occupazione».
Il caso

Il Tribunale di Braga, giudice del lavoro di Barcelos (Portogallo) è stato chiamato a pronunciarsi sul diritto di due lavoratori portoghesi (ES e GD) che avevano stipulato rispettivamente il 9 e il 29 ottobre 2017 un contratto di lavoro interinale con la Luso Temp - Empresa de Tabalho Temporário SA (d'ora in avanti Luso Temp), nell'ambito del quale erano stati incaricati di svolgere una missione presso l'impresa utilizzatrice, conclusasi per il primo l'8 ottobre 2019 e il 28 ottobre 2019 per il secondo. I lavoratori, in seguito alla cessazione del loro rapporto di lavoro interinale, avevano proposto ricorso volto al recupero degli importi asseritamente non versati a titolo di giorni di ferie retribuite e di indennità per ferie corrispondenti dovuti per il periodo durante il quale erano stati impiegati da tale società.

Le parti sono in disaccordo circa il metodo di calcolo da applicare per determinare il numero di giorni di ferie retribuite e conseguentemente sull'importo dell'indennità per ferie corrispondente. Infatti, i ricorrenti sostengono che tale numero e tale importo dovrebbero essere determinati conformemente al regime generale delle ferie retribuite, previsto dagli articoli da 237 a 239 e dall'articolo 245 del codice del lavoro portoghese (L.7/2009), quindi, in applicazione di tali disposizioni, di aver diritto a un versamento equivalente rispettivamente a 65 e a 67 giorni di ferie retribuite, nonché all'indennità per ferie corrispondente (vale a dire per ciascun lavoratore: 4 giorni per i due mesi lavorati nel 2017 in base all'art. 239 par. 1, 44 giorni per i due anni lavorati maturati al 1º gennaio 2018 e al 1º gennaio 2019 ai sensi dell'art. 237 par. 1 e 238 par. 1 e per il restante periodo lavorato nel 2019, 17 giorni nel caso di ES e a 19 giorni in quello di GD ai sensi dell'art. 245, par. 1, lett. b).

Al contrario, la Luso Temp ritiene che il metodo di calcolo da applicare sarebbe quello previsto dal regime speciale in materia di ferie retribuite applicabile ai lavoratori tramite agenzia interinale, previsto dall'articolo 185, paragrafo 6, del codice del lavoro portoghese, secondo il quale i lavoratori tramite agenzia interinale hanno diritto a ferie retribuite e all'indennità per ferie corrispondente solo in proporzione alla durata del rispettivo contratto. Pertanto, ciascuno dei ricorrenti di cui al procedimento principale avrebbe diritto solo a 44 giorni di ferie retribuite corrispondente ai due anni di lavoro da essi effettuati.

Il giudice del rinvio considerato che l'articolo 185 del codice del lavoro è una norma specifica applicabile ai contratti di lavoro interinale, cosicché la sua applicazione prevale su quella delle norme generali previste da detto codice per la maggior parte dei contratti di lavoro, ha ritenuto infatti che a fronte della sua inserzione sistematica nel medesimo codice, sarebbe chiara la volontà del legislatore nazionale di voler escludere l'applicazione del regime generale delle ferie ai lavoratori interinali. La norma in esame dunque introdurrebbe una differenza di trattamento tra i lavoratori tramite agenzia interinale che sono in missione presso un'impresa utilizzatrice per un periodo superiore o uguale a dodici mesi o per un periodo che inizia nel corso di un anno civile e che termina solo due anni civili o più dopo tale data e, dall'altro, i lavoratori che sono stati direttamente impiegati da tale impresa utilizzatrice, dal momento che il diritto dei lavoratori somministrati a ferie retribuite e all'indennità per ferie corrispondente sarebbe sempre calcolato in modo proporzionale alla durata del loro contratto, mentre i lavoratori direttamente impiegati da detta impresa utilizzatrice e che vi svolgono il medesimo lavoro potrebbero, nelle stesse circostanze, beneficiare del regime generale più favorevole. Nel caso di specie, ne risulterebbe che i ricorrenti di cui al procedimento principale avrebbero diritto a un numero di giorni di ferie retribuite e a un importo d'indennità per ferie corrispondente inferiori a quelli di cui beneficerebbero se fossero stati direttamente impiegati dall'impresa utilizzatrice di cui trattasi nel procedimento principale per lo stesso periodo e per lo stesso lavoro. Il giudice del rinvio rileva che una siffatta differenza di trattamento non è tuttavia constatata quando la durata del rapporto di lavoro interinale è inferiore a dodici mesi o quando inizia nel corso di un anno civile e si conclude nel corso dell'anno civile successivo. Infatti, in situazioni del genere, anche il calcolo del numero di giorni di ferie retribuite e dell'importo dell'indennità per ferie corrispondente dei lavoratori rientranti nell'ambito di applicazione del regime generale si effettuerebbe in modo proporzionale alla durata del loro contratto di lavoro, cosicché, in pratica, non sussisterebbe una differenza di trattamento in tali casi.

Il problema sorge dunque da un apparente contrasto rilevato dal giudice di rinvio portoghese in ordine alla disciplina che, in ambito di giornate di ferie maturabili annualmente, il codice del lavoro portoghese riservava ai lavoratori “standard”, ovvero assunti con contratto a tempo indeterminato e, nel caso di specie, presso la medesima società, e alla diversa e apparentemente peggiorativa disciplina che invece riguardava i lavoratori assunti tramite agenzia interinale.

La questione

Il giudice del rinvio ha, dunque, formulato le seguenti questioni pregiudiziali:

«Se gli articoli 3, paragrafo 1, lettera f) e 5, paragrafo 1 della direttiva [2008/104] ostino a una norma come quella di cui all'articolo 185, paragrafo 6, del [codice del lavoro], che prevede che il lavoratore tramite agenzia interinale abbia sempre e solo diritto alle ferie e alla rispettiva indennità in proporzione al periodo di lavoro prestato per l'impresa utilizzatrice, anche nel caso in cui abbia iniziato a svolgere le proprie funzioni in un dato anno e le abbia cessate due o più anni dopo tale data, mentre a un lavoratore contrattato direttamente dall'impresa utilizzatrice e che eserciti le medesime funzioni e per un periodo di tempo equivalente si applica il regime generale delle ferie, avendo quest'ultimo diritto a un periodo di ferie più lungo e un'indennità per ferie annuali superiore, non venendo questi calcolati in proporzione al periodo di lavoro prestato».

Le questioni giuridiche

La Corte ha posto alla base della disamina della questione sottoposta alla sua attenzione gli articoli 3 e 5 della Direttiva 2008/104 al fine di poter chiarire innanzitutto se il diritto all'indennità da giorni di ferie retribuite o non godute e da ferie corrispondenti costituiscano “condizione base” del rapporto di lavoro e se, di conseguenza, una disciplina che ne differenzi l'importo e/o disciplina sulla base del solo elemento relativo alla “tipologia” d'assunzione determini una ingiustificata disparità di trattamento.

L'art.3 (Definizioni), par. 1, lett. f), della Direttiva n. 104 dispone: “Ai fini della presente direttiva si intende per “condizioni di base di lavoro e d'occupazione”: le condizioni di lavoro e d'occupazione previste da disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, da contratti collettivi e/o da altre disposizioni vincolanti di portata generale in vigore nell'impresa utilizzatrice relative a i) l'orario di lavoro, le ore di lavoro straordinario, le pause, i periodi di riposo, il lavoro notturno, le ferie e i giorni festivi; ii) la retribuzione”.

L'art. 5 parallelamente, intitolato “Principio di parità di trattamento”, prevede che: “per tutta la durata della missione presso un'impresa utilizzatrice, le condizioni di base di lavoro e d'occupazione dei lavoratori tramite agenzia interinale sono almeno identiche a quelle che si applicherebbero loro se fossero direttamente impiegati dalla stessa impresa per svolgervi il medesimo lavoro” e che, per i lavoratori tramite agenzia interinale, pur essendo liberi gli Stati membri e le parti contrattuali sociali di derogare al principio di cui al paragrafo predetto, debba essere rispettato un livello adeguato di protezione (par. 3 e 4).

Ebbene, la Corte ha in primo luogo concluso per l'inclusione dell'indennità per ferie non godute tra le “condizioni di base di lavoro e d'occupazione” di cui alla clausola 3 della Direttiva 104 del 2008 CE quale elemento base, essenziale, del trattamento del lavoratore subordinato e per farlo si è fondata in primis su quanto previsto dai richiamati articoli 3 e 5 che fanno riferimento sia alla retribuzione sia alle ferie, nonché al considerando 1 della direttiva in esame da cui emerge che quest'ultima mira a garantire il rispetto dell'art. 31 della Carta dei diritti fondamentali il quale prevede, in particolare, che ogni lavoratore ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite.

La Corte richiama inoltre l'art. 137 par. 1 e 2 del Trattato che istituisce la Comunità europea in vigore al momento dell'emanazione della diretta de qua secondo cui: “1. Per conseguire gli obiettivi previsti dall'art. 136, la Comunità sostiene e completa l'azione degli Stati Membri nei seguenti settori: (…) ii) condizioni di lavoro (…). 2. A tal fine il Consiglio può adottare mediante direttive le prescrizioni minime applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro (…)”. In tale contesto ricorda la Corte (confermando la ricostruzione della normativa già affermato in precedenza, v. sentenza del 14 ottobre 2020, KG Missioni successive nell'ambito del lavoro interinale, C‑681/18, EU:C:2020:823, punto 39), la direttiva in questione si pone in continuità con quelle precedenti: direttiva 97/81 (accordo quadro sul lavoro a tempo parziale), modificata dalla 98/23, nonché la direttiva 1999/70 (accordo quadro sul lavoro a tempo determinato). In base a tale ricostruzione sistematica la Corte cita quindi dei precedenti relativi all'interpretazione dei predetti accordi quadro con riferimento alla nozione di «condizioni di impiego» in cui devono essere fatte rientrare le somme spettanti anche a titolo indennitario al lavoratore al momento della cessazione del contratto nonché in particolare il diritto all'indennità sostitutiva delle ferie non godute (sentenza dell'11 novembre 2015, Greenfield, C‑219/14, EU:C:2015:745, punto 51; sentenza del 20 dicembre 2017, Vega González, C‑158/16, EU:C:2017:1014, punto 34; sentenza del 14 settembre 2016, de Diego Porras, C‑596/14, EU:C:2016:683, punto 32).

La Corte ha quindi rilevato la portata generale del principio della parità di trattamento di cui all'art. 5, par. 1, primo comma, dir. 2008/104, osservando da un lato che, nell'ambito del giudizio ex art. 267 TFUE spetta al giudice nazionale “esaminare e valutare i fatti del procedimento principale nonché determinare l'esatta portata delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali” e quindi verificare “in un primo tempo, le condizioni di base di lavoro e d'occupazione che sarebbero applicabili al lavoratore tramite agenzia interinale se fosse direttamente impiegato dall'impresa utilizzatrice, per svolgervi il medesimo lavoro di quello svoltovi effettivamente, e ciò per la stessa durata, e, più precisamente, nel caso di specie, l'indennità alla quale avrebbe diritto, a causa della cessazione del suo rapporto di lavoro interinale, per i giorni di ferie annuali retribuite non godute e per l'indennità per ferie corrispondente. In un secondo momento, spetta a tale giudice comparare tali condizioni di base di lavoro e d'occupazione a quelle che sono effettivamente applicabili a tale lavoratore tramite agenzia interinale, per la durata della sua missione presso tale impresa utilizzatrice, come rilevato, in sostanza, dall'avvocato generale al paragrafo 60 delle sue conclusioni, e ciò al fine di assicurare, sulla base dell'insieme delle circostanze pertinenti di cui al procedimento principale, il rispetto o meno del principio della parità di trattamento nei confronti di detto lavoratore tramite agenzia interinale” . La Corte ha inoltre rilevato che: “sebbene gli Stati membri abbiano la possibilità, in forza dell'articolo 5, paragrafi da 2 a 4, della direttiva 2008/104, di prevedere, a determinate condizioni specifiche, deroghe al principio della parità di trattamento, la decisione di rinvio e il fascicolo di cui dispone la Corte non contengono alcuna informazione relativa a un'eventuale attuazione di una di tali deroghe in Portogallo”.

La Corte ha quindi enunciato il principio di diritto per cui: “l'art. 5 pgf. 1 primo comma della direttiva 2008/104/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa al lavoro tramite agenzia interinale, in combinato disposto con l'art. 3, pgf. 1, lett. f), di quest'ultima, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in forza della quale l'indennità a cui i lavoratori tramite agenzia interinale hanno diritto, in caso di cessazione del loro rapporto di lavoro con un'impresa utilizzatrice, a titolo dei giorni di ferie annuali retribuite non godute e dell'indennità per ferie corrispondente, è inferiore all'indennità alla quale tali lavoratori avrebbero diritto, nella medesima situazione e allo stesso titolo, se fossero stati direttamente impiegati da tale impresa utilizzatrice per svolgervi il medesimo lavoro per la stessa durata”.

Osservazioni

Il contratto di lavoro interinale è simile ma diverso rispetto agli altri contratti di lavoro "di diritto comune", a tempo indeterminato o a termine. Né si può ipotizzare una somiglianza maggiore rispetto al lavoro a termine di diritto comune, solo perché l'interinale è quasi sempre a termine (v. sentenza della CGUE 11 aprile 2013, Della Rocca, emessa in sede di rinvio pregiudiziale, che ha escluso che la direttiva 1999/70/CE, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, si applichi anche al contratto a tempo determinato che si accompagni ad un contratto interinale). Come anche sottolineato dalla Corte di Cassazione (sentenza 6152/2018), la direttiva 2008/104/CE (che, a differenza della Direttiva 1999/70/CE, non pone l'obiettivo della prevenzione dell'abuso del ricorso alla somministrazione), non considera “pericoloso” l'impiego tramite agenzia interinale, essendo apprezzato come forma di impiego flessibile, in quanto può concorrere "efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili" (art. 4), anzi impegna gli Stati membri ad un "riesame delle restrizioni e divieti", che limitano il ricorso alla somministrazione (art. 4), presenti negli ordinamenti nazionali e che possono essere giustificati "soltanto da ragioni d'interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi". Pur nella diversità delle forme di impiego, tuttavia rimane fermo un principio di carattere generale, quello della parità di trattamento delle condizioni base di lavoro tra lavoratori. E' proprio in tale prospettiva che si inserisce la tutela del diritto dei lavoratori alle ferie.

Con la sentenza in commento la Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi sulla nozione di “condizioni di base di lavoro e d'occupazione” di cui all'art. 3, par. 1, lett. f) dir. 2008/104 in relazione al principio di parità di trattamento tra lavoratori interinali e « normali » (in contrapposizione ai lavoratori definiti dalla Corte stessa come «atipici» o «precari »di cui all'art. 5 della medesima direttiva), si conferma un consolidato orientamento interpretativo che afferma la portata estensiva della nozione di “condizioni di impiego” già presente nella clausola 4 punto 1 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1990/70/CE del Consiglio; secondo la giurisprudenza della Corte infatti in tale nozione rientrano, tra le altre, le indennità triennali per anzianità di servizio (v., in tal senso, sentenze del 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso, C‑307/05, punto 47; del 22 dicembre 2010, Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, C‑444/09 e C‑456/09, punti da 50 a 58, nonché del 9 luglio 2015, Regojo Dans, C‑177/14, punto 43), le indennità sessennali per formazione continua (v., in tal senso, ordinanza del 9 febbraio 2012, Lorenzo Martínez, C‑556/11, non pubblicata, punto 38), nonché le norme relative ai periodi di servizio necessari per poter essere classificato in una categoria retributiva superiore o al calcolo dei periodi di servizio richiesti per essere oggetto di un rapporto informativo annuale (v., in tal senso, sentenza dell'8 settembre 2011, Rosado Santana, C‑177/10, punto 46 e la giurisprudenza ivi citata), il diritto di partecipazione al piano di valutazione della funzione docente e l'incentivo economico che ne consegue (ordinanza del 21 settembre 2016, Álvarez Santirso, C‑631/15, punto 36), nonché ancora la riduzione della metà del tempo di lavoro e la conseguente riduzione dello stipendio (v. ordinanza del 9 febbraio 2017, Rodrigo Sanz, C‑443/16, punto 33), la determinazione del termine di preavviso applicabile in caso di risoluzione dei contratti di lavoro a tempo determinato (v., in tal senso, sentenza del 13 marzo 2014, Nierodzik, C‑38/13, punti 27 e 29), l'indennità che un datore di lavoro è tenuto a versare ad un lavoratore a causa dell'illecita apposizione di un termine al contratto di lavoro di quest'ultimo (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2013, Carratù, C‑361/12, punto 37), l'indennità di fine rapporto (C-596/14); allo stesso modo in relazione all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale (sempre clausola 4, punto 1) l'indennità che un lavoratore a tempo parziale, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, non sia stato in condizione di esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite prima della cessazione del rapporto di lavoro, deve essere calcolata in modo da porlo in una situazione analoga a quella in cui si sarebbe trovato se avesse esercitato tale diritto nel corso del rapporto di lavoro (causa C-219/2014, che ha ripreso le pronunce nei casi C-350/06 e 520/06).

La Corte giunge a tali conclusioni attraverso una ricognizione delle norme e dei principi fondamentali del diritto eurounitario ed in particolare rilevando che la nozione di «condizioni di lavoro» di cui all'art. 156 TFUE (ex articolo 140 del TCE) quale settore della politica sociale dell'Unione in cui la Commissione europea può intervenire per incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri e facilitare il coordinamento della loro azione è generica, ma che l'art. 31 della Carta dei diritti fondamentali, rubricata appunto “condizioni di lavoro giuste ed eque”, così dispone: “1. Ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose.2. Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite”. Occorre ricordare che l'art. 6.1 del Trattato sull'Unione Europea dispone che: “L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. Dunque la Corte di Giustizia fa opportuno e doveroso ricorso alla Carta che oltre a svolgere la sua propria funzione di limite ai poteri conferiti alle istituzioni, organi e organismi dell'UE, allo stesso tempo impone loro il rispetto dei diritti fondamentali, svolgendo, in sostanza, il ruolo tipico delle carte costituzionali, utilizzate, quali espressione dei principi comuni agli ordinamenti europei anche nell'interpretazione del diritto derivato, quale quello contenuto nelle direttive.

In tale prospettiva dunque il diritto alle ferie annuali retribuite è un diritto fondamentale che deve essere garantito a tutti i lavoratori, secondo una disciplina uniforme, a prescindere dalla natura del rapporto di lavoro, in quanto rientrante nel diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose. La Corte ha infatti ripetutamente sottolineato che il diritto alle ferie annuali retribuite riconosciuto a ogni lavoratore, in quanto principio di diritto sociale dell'Unione, è espressamente sancito dall'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE) (v., segnatamente, sentenza Heimann e Toltschin, C‑229/11 e C‑230/11, EU:C:2012:693, punto 22 e giurisprudenza ivi citata). Risulta peraltro dalla suddetta giurisprudenza che il diritto alle ferie annuali retribuite non possa essere interpretato in modo restrittivo (v., anche sentenza Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols, C‑486/08, EU:C:2010:215, punto 29, nonché Heimann e Toltschin, C‑229/11 e C‑230/11, EU:C:2012:693, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

La Corte di Giustizia (sentenza del 9 dicembre 2021 nella causa C-217/2020), in riferimento all'interpretazione della direttiva 2003/88 concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, ha ricondotto, facendo riferimento al considerando 4 della direttiva medesima al «miglioramento della sicurezza, dell'igiene e della salute dei lavoratori durante il lavoro» (par. 20 della motivazione). L'art. 7 della direttiva 2003/88 infatti prevede: “1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali. 2. Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un'indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro”. Il caso vedeva come protagonista un lavoratore in congedo parziale di malattia di lunga durata al quale, dopo aver beneficiato di 23 giorni di ferie annuali spettanti, veniva corrisposta un'indennità di importo equivalente a quello della retribuzione percepita in ragione dell'inabilità dal lavoro e, specificatamente, corrispondente al 70% della retribuzione integrale. Egli adiva il giudice nazionale per vedersi accertare il diritto, per il periodo di ferie trascorso, ad un'indennità corrispondente alla retribuzione integrale. Nel caso di specie, la Corte ha sì dato atto del fatto che il ricorrente abbia beneficiato, durante il periodo di ferie annuali, di condizioni economiche paragonabili a quelle a lui applicabili durante i periodi in cui lavorava. Tuttavia, il Giudice eurounitario ha ritenuto di riconoscere un principio di irriducibilità dell'importo riconosciuto a titolo di ferie annuali retribuite, in caso di inabilità al lavoro, ovvero per cause sopravvenute e indipendenti dalla volontà del lavoratore.

Nello stesso senso la Corte di Giustizia (con la sentenza del 20 luglio 2016 nella causa Maschek C-341/15) ha affermato esplicitamente che l'art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2004/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, osta a una normativa nazionale che priva del diritto all'indennità per ferie annuali retribuite non godute il lavoratore il cui rapporto di lavoro sia cessato a seguito della sua domanda di pensionamento e che “non sia stato in grado di usufruire di tutte le ferie prima della fine di tale rapporto di lavoro”.

La giurisprudenza eurounitaria dunque con la pronuncia in commento riafferma la necessità del pieno rispetto del principio di parità di trattamento nel bilanciamento tra promozione dell'occupazione, anche con forme flessibili e sicurezza sul mercato del lavoro, intesa come garanzia di un livello minimo e irriducibile (adeguato) delle condizioni economiche e normative di base, a cui hanno diritto tutti i lavoratori.