Il giudice del lavoro tra Antigone e Creonte (nonché Porzia). Incostituzionalità e interpretazione adeguatrice

Federico Roselli
Federico Roselli
19 Settembre 2022

L'opera quotidiana di attuazione della Costituzione avviene in forza non solo delle leggi ma anche della giurisprudenza, che a sua volta non può operare se non avvalendosi del dibattito dottrinale e del contraddittorio forense, così apparendo “frutto combinato del lavoro dei giuristi e dell'intera prassi giuridica”.
Il saggio di Tullio Ascarelli

Entrata da poco tempo in vigore la Costituzione, Tullio Ascarelli pubblicò un saggio su due personaggi del teatro drammatico: Antigone, dall'omonima tragedia di Sofocle, e Porzia, dalla commedia di Shakespeare Il mercante di Venezia (1).

Antigone viene considerata “fra le tragedie di Sofocle e in genere fra tutte le tragedie greche, una delle più studiate, discusse, tradotte” (2). ma l'interesse rivolto verso di essa è stato dapprima quasi soltanto etico ed estetico. Un noto storico della letteratura negava che il conflitto fra Antigone, la giovinetta ribelle, e il tiranno Creonte rappresentasse lo scontro “ tra il diritto di famiglia e quello dello Stato, ugualmente legittimi. In realtà Creonte non è il sostenitore dei diritti dello Stato, ma soltanto un tiranno odioso, che col suo decreto ha violato le leggi divine, rifiutando di seppellire un morto” (3).

Ascarelli pone invece il problema giuridico della legge ingiusta, ossia dell'ordine dato dal potere politico, che appaia in contrasto con le norme non scritte (ta àgrafta) provenienti dagli dei, e affronta poi col personaggio di Porzia la questione dell'interpretazione della norma. Egli dice che la posizione del giurista è “tra la tragedia di Antigone e il sorriso di Porzia” (4).

Circa il contrasto fra il tiranno che antepone quella da lui stabilita (ius positum) ad ogni altra legge, foss'anche data dagli dei (ius divinum), è da dire che ogni pòlis, vale a dire ogni organizzazione sociale che si ponga come sovrana (oggi e da noi lo Stato, pur con l' autolimitazione dell' art. 11 Cost.) non riconosce alcun ordine giuridico superiore al proprio. Ma nella storia torna sempre a porsi il problema dei limiti alla sovranità e prima di tutto di un diritto divino, o di natura, che sovrasta quello dàtosi dagli uomini.

Gustavo Zagrebelsky definisce la tragedia come “il testo più influente nella riflessione della cultura occidentale sul diritto”. Il dilemma è ben noto: bisogna obbedire alla legge dello Stato, ossia alla volontà di Creonte, che comanda di lasciare senza sepoltura il corpo di Polinice, reo di tradimento dello stesso Stato, oppure è necessario condividere la disobbedienza di Antigone, che seppellisce il corpo in obbedienza alla legge divina, superiore a quelle umane?

La simpatia di Sofocle va ad Antigone, così come quella degli autori che anche nei tempi moderni hanno riscritto la tragedia, come Jean Anouilh (1942) e Bertolt Brecht (Antigones des Sophocles, 1947), i quali tuttavia non generano l'impressione che Creonte sia uno spietato despota e che Antigone sia donna portatrice di una legge e di un ordine migliore per la città: ella è testimone di un diritto antico ed immutabile, mentre Creonte è portatore di un diritto nuovo, che fa funzionare la pòlis (5).

La decisione, da lui assunta, di lasciare Polinice insepolto si fonda sulla necessità di preservare la città dall'inosservanza delle leggi ossia da un'anarchia che si tradurrebbe nella resa al nemico. Al centro della decisione è dunque la preoccupazione per il governo della città, inteso come necessità di punire il tradimento e così di assicurare l'ordine.

Nel Prologo della sua Antigone Anouilh presenta il tiranno come un altruista , uno che si sobbarca al “compito sordido” di guidare gli uomini per non sembrare come “un operaio che rifiuta il lavoro” (ricordiamo che il testo fu scritto nella Parigi del 1942, ossia nel tempo del maresciallo Pétain) (6). Il Creonte del secolo ventesimo sente la maestà dello Stato, di una legge moderna che si sostituisce al diritto tramandato oralmente. Giuspositivismo puro.

Il costituzionalismo moderno

Come s'è detto, la contrapposizione tra leggi sancite da tempo immemorabile e quelle ora promulgate in nome della pòlis torna a proporsi in tutti i tempi.

Non è necessario dilungarsi qui sulle vicende politiche del secolo ventesimo, che hanno portato ad aberrazioni ed a leggi contrarie alla pietà ed al sentimento comune ed elementare della giustizia e dell'eguaglianza tra esseri umani. Queste hanno poi dato luogo, nel secondo dopoguerra, ad una rinascita del diritto naturale.

Dopo di allora il canale più diretto che congiunge il diritto positivo all'etica o comunque a valori superiori è dato dai princìpi costituzionali, che pervadono l'intero sistema normativo e guidano l'attività di tutti i soggetti dell'ordinamento giuridico (7).

Norme e princìpi delle costituzioni scritte danno vita oggi ad un diritto naturale che non ambisce più all'assolutezza ed all'atemporalità del diritto divino ma assume un carattere umano e storico, rimanendo criterio di valutazione del diritto deciso dalle assemblee. La nostra Costituzione (art. 2) parla di diritti inviolabili dell'uomo ossia di posizioni giuridiche soggettive che preesistono alle leggi positive, e la Costituzione della Repubblica federale tedesca (art.1, comma 2) dice egualmente di diritti inviolabili e inalienabili (unverletzliche und unveräusserliche), di diritto naturale (natürliches Recht) dei genitori di educare i figli (art.6, comma 2) e di vincolo del potere esecutivo e della giurisdizione non solo alla legge (Gesetz) ma anche al diritto (Recht) (art. 20, comma 3).

Un diritto naturale così inteso, ossia costituzionalizzato, opera, secondo le parole di Sergio Cotta, “concretamente affinché possa esistere un diritto sempre aderente alla storia ed alla situazione degli uomini viventi nella società, sempre in dinamico svolgimento e mai cristallizzato in forme astratte, sempre razionalmente fondato e mai arbitrariamente imposto” (8).

Più di recente si è aggiunto che il progresso civile del Paese non può prescindere dalla consapevolezza della transitorietà delle leggi e dall'attento esame delle critiche alla loro capacità di corrispondere ai princìpi fondamentali dell'ordinamento o alle esigenze della società. Né si può trascurare l'esigenza di una coerenza tra morale e diritto (9).

E' poi pacifico come norme e princìpi della Costituzione si realizzino non solo attraverso le pronunce delle giurisdizioni, costituzionale e comune, ma anche con atti e comportamenti di tutti gli organi pubblici e di tutti i soggetti, pubblici e privati (adesione leale, dice Zagrebelsky), ossia anche attraverso l'ostinazione di Antigone (10).

Pessimista sulle sorti odierne tanto di Creonte quanto di Antigone è Luigi Ferrajoli (11). Con occhio di giuslavorista egli imputa la “mortificazione e perdita di dignità del lavoro” al “libero spazio lasciato alla discrezionalità e al dispotismo” dalla complicazione del sistema delle fonti, dal declino della sovranità degli Stati e dall'inflazione legislativa. Ma denuncia anche i “processi di deregolazione e delegificazione” e di “rimozione della Costituzione e sostituzione con le leggi del mercato”. Propugna perciò un ritorno al secolo diciottesimo con una nuova Scienza della legislazione, un processo ricostituente delle democrazie nazionali ed un processo costituente della democrazia europea.

Una soluzione non autocratica del contrasto fra Creonte ed Antigone è indicata da un autore canadese (12): Creonte considera la legge come un affare proprio e non si cura del sentimento e dell'opinione altrui. Emone, suo figlio, Tiresia e lo stesso Coro cercano una conciliazione tra le opposte esigenze, della legge positiva e di quella degli dei, ossia una soluzione prudente. Il vero elemento tragico dell'Antigone è, in conclusione, che la deliberazione non è stata preceduta dal contraddittorio e dalla ponderazione.

Sarà Porzia a indicare il rimedio.

Porzia, o dell'interpretazione

Alla vana intransigenza di Antigone Tullio Ascarelli contrappone, come s'è detto, la saggezza di Porzia , uno dei personaggi della commedia di Shakespeare Il mercante di Venezia (13). A costei viene sottoposta una difficile questione di diritto.

Shylock, banchiere, consente a prestare tremila ducati ad Antonio, mercante di Venezia, ma, secondo il contratto di mutuo, in caso di mancata restituzione il creditore potrà a titolo di penale tagliare e prendersi una libbra di carne dal corpo del debitore. Scaduto inutilmente il termine dell'adempimento, Shylock esige l'esecuzione della penale. Egli ne riconosce lo scarso valore economico così come ammette la crudeltà della pretesa, che però spiega con “un odio inveterato ed una forma di ripugnanza” verso il debitore.

Adìta la Corte di giustizia, il Doge manda a cercare un dottore in legge a Padova, da cui giunge il giovane “dottore di Roma, Baldassarre”. Costui è in realtà Porzia travestita e si dimostra rigido positivista: “non c'è a Venezia nessuna autorità che possa modificare una legge in vigore. Ciò sarebbe invocato come un precedente e, per quell'esempio, molti abusi si verificherebbero nello Stato”. Ma poi si rivolge a Shylock: “Aspetta un momento. C'è qualcos'altro. Quest'obbligazione non ti dà neppure una stilla di sangue. Le precise parole sono ‘una libbra di carne'. Attieniti dunque ad essa e prenditi una libbra di carne: ma se nel tagliarla tu versi una sola goccia di sangue cristiano, le tue terre e i tuoi beni sono, in forza della legge di Venezia, confiscati a favore dello Stato”.

Porzia-Baldassarre si rivela così giurisperita “aperta a vagliare tutte le possibilità, in un percorso fatto di coraggio, di pazienza e di prudenza” (14).

Ella in apparenza si giova dell'interpretazione letterale (“le precise parole”) ma in realtà fa valere l'invalidità della clausola penale poiché il diritto non scritto vieta al contraente di disporre del proprio corpo. E' la morale comune che induce l'interprete ad intervenire nel contratto.

Venendo ai nostri giorni, bisogna osservare che, poiché l'interprete, di fronte al caso concreto, deve verificare tutte le possibilità applicative della legge, e anzitutto quelle che permettono una decisione conforme alla Costituzione, è evidente come questa debba vivere nella giurisprudenza comune prima che in quella costituzionale. I giudici comuni possono andare al di là della disposizione da applicare onde adeguarla “a norme o princìpi costituzionali, e anzitutto al principio di ragionevolezza”, consistente principalmente nella coerenza dell'ordinamento (15).

Un nuovo orientamento, affermato dalla Corte fin dal 2015 (16) e secondo il quale la questione di legittimità costituzionale è ammissibile sol che si possa dare alla disposizione impugnata un'interpretazione incostituzionale, sembra poter rilevare soltanto all'interno del giudizio incidentale e non può privare i giudici comuni del potere di interpretazione adeguatrice. Nel linguaggio antico, la quaestio voluntatis (il legislatore non può aver voluto) precederà la quaestio potestatis (il legislatore non può) (17).

Interpretazione adeguatrice

Oggi l'interpretazione che tende ad adeguare la legge alle singole disposizioni e prima ancora ai valori della Costituzione è generalmente ammessa ed anzi propugnata dalla dottrina.

La ben nota distinzione tra norme costituzionali programmatiche e norme precettive, ora quasi abbandonata, non comportava la totale ininfluenza delle prime sui rapporti tra soggetti privati poiché esse potevano indirizzare l'interpretazione del diritto vigente e con ciò permettevano a chiunque di valersi dei “rimedi giuridici contro atti amministrativi o decisioni giurisdizionali che in concreto non ne [avessero] tenuto conto” (18).

Le regole costituzionali, pertanto, non sono soltanto cogenti verso il legislatore, “preminente essendo anzi il loro ruolo attivo, diretto a permeare di sé costantemente l'intero diritto positivo, nella sua totalità e nelle sue singole disposizioni, e ad esercitare una funzione critica costante rispetto ai valori ordinari (19).

Questi possono essere graduati e bilanciati e così possono produrre nei confronti dell'interprete un “condizionamento ermeneutico” che precede il “condizionamento di legittimità” (20).

In particolare, il diritto al lavoro di cui all'art.4 Cost. non è un diritto soggettivo individuale, ossia un interesse azionabile, bensì un principio che obbliga il giudice ad interpretare la legislazione alla luce della carta fondamentale (21) e degli strumenti di protezione di livello internazionale (22).

La giurisprudenza deve, in caso di inerzia del legislatore, assicurare la realizzazione dei diritti fondamentali, individuandone le forme e i limiti di tutela attraverso l'applicazione diretta dei princìpi costituzionali (23).

Dall'interpretazione adeguatrice all'efficacia immediata delle norme superlegislative sui rapporti privati, che i tedeschi chiamano Drittwirkung, il passo è breve.

La definizione dell'interpretazione adeguatrice può apparire problematica (24) ma essa corrisponde al compito basilare di ogni giurista, che consiste nel “mettere in ordine”.

Nel passaggio dallo stato di diritto allo stato sociale, ossia dal formalismo alla giustizia come valore sostanziale, le speranze sono riposte nell'intervento del giudice, quando la legge non riesce a coprire il campo più vasto del diritto (25).

Si parla del nostro tempo come del “tempo dei principî” (26) ovvero del passaggio dei problemi da Antigone a Porzia.

Fonti extralegislative del diritto del lavoro

Sistema incoerente è contraddizione in termini ossia un assurdo. Contro l'interpretazione incoerente coi princìpi costituzionali vale l'argomento retorico dell'apagogìa (27).

Una materia come il diritto del lavoro, come poche altre, non è contenuta soltanto nelle leggi dello Stato. Queste, peraltro, sono talmente sparse e disordinate da impedire, non si dice una codificazione, ma anche soltanto una consolidazione in un testo unico. La normazione sulla base di assai variabili contingenze economiche e politiche rende, se non incompatibili, difficilmente armonizzabili le diverse scelte del legislatore. Perciò il diritto del lavoro è formato per larga parte dalla contrattazione collettiva e da una giurisprudenza preceduta quasi sempre dalla dottrina (28). Ma anche la giurisprudenza e la dottrina non sono libere, non si muovono nel campo dell'arbitrio.

Per chi sia disposto a considerare la natura delle cose tra le fonti del diritto sarà facile ammettere che il contenuto della prestazione lavorativa (cfr. art.1369 cod. civ.) influisca sulla valutazione di legittimità del licenziamento (art.1 l. n.604 del 1966). E' perciò incostituzionale l'art.916 cod. nav., che permette all'imprenditore di licenziare ad nutum il personale di volo: il progresso tecnico degli strumenti di rilevazione e di controllo della navigazione toglie ogni giustificazione a quel potere assoluto (29).

L'opera adeguatrice dell'interprete è evidente quando egli adoperi i princìpi per chiarire disposizioni di legge dubbie oppure formulate in modo indeterminato con scelta consapevole dal legislatore, il quale faccia uso, ad esempio, di una clausola generale (30).

Clausole generali (anzitutto quella di buona fede) e applicazione diretta dei princìpi costituzionali (dei quali tra breve si dirà) permettono al giudice anche di intervenire sull'equilibrio economico del contratto, onde i diritti dei contraenti vengono valorizzati indipendentemente da una specifica previsione, legislativa o pattizia (31).

La tutela della dignità del lavoratore (art.3, primo comma, 36. primo comma, 41, secondo comma, Cost.) costituisce il primo limite all'autonomia privata.

il diritto al lavoro si traduce spesso nel diritto a non perdere il posto di lavoro senza un motivo giustificato: l'interesse alla conservazione del posto è “interesse costituzionalmente protetto” (32).

La risarcibilità, in materia di infortuni sul lavoro, del cosiddetto danno differenziale deriva da una costruzione giurisprudenziale (33).

La giurisprudenza nazionale sulla cessione del ramo d'azienda (34) non si pone in antitesi con quella della Corte di giustizia UE, la quale ha ritenuto non contrastante con l'ordinamento europeo l'art.32 l. 10 settembre 2003 n.276, che – nel caso di trasferimento di ramo d'azienda, identificato come tale nel momento della cessione con una semplice manifestazione di volontà del cedente e del cessionario – i lavoratori operanti nel ramo vengono trasferiti alle dipendenze del cessionario senza il loro consenso. La giurisprudenza nazionale, richiedendo la preesistenza del ramo d'azienda al contratto di cessione, ossia tutelando la posizione dei detti lavoratori, si dimostra soltanto più garantista della Corte UE e ciò esclude una violazione dell'ordinamento europeo.

Il costituzionalismo richiede di considerare le norme di livello diverso come appartenenti ad un unico sistema, mentre il principio di conservazione degli atti giuridici comporta che le antinomie vengano risolte fin che possibile non con il sacrificio di uno dei due termini del contrasto bensì con la composizione di essi. Composizione che permette alla norma di livello costituzionale di “penetrare in profondità nell'ordinamento” ossia di vivere nella sua “quotidianità” spiegando così una funzione conformativa e non soltanto di limite (35).

Al professore Proto Pisani sembra che, con la più recente legislazione, il diritto del lavoro si trasformi “sempre più in diritto alla tutela della libertà del datore di lavoro” (36). Ma il problema non è senza soluzione. E' vero che la Costituzione stessa, e non solo la legge, può mutare con i tempi e con le concezioni politiche e sociali, ma non sono le scelte del legislatore ordinario a poter ridefinire i concetti costituzionali ossia a “impadronirsi della Costituzione, con la conseguenza paradossale che ogni legge sarebbe conforme alla Costituzione, secondo la nozione di quest'ultima determinata dalla prima” (37).

Tornando alla tragica situazione rappresentata da Sofocle, Fabrizio Di Marzio (38) ne ipotizza il superamento distinguendo la “formulazione letterale” dalla “sostanza” del comando di Creonte e cioè adoperando l'interpretazione adeguatrice del comando del tiranno alle leggi superiori degli dei: non la sepoltura di Polinice vieta il tiranno, dice Di Marzio, ma soltanto gli onori funebri.

Tocca al “sorriso” di Porzia di adeguare la volontà di Creonte alle invocazioni di Antigone.

Norme non scritte (ta àgrafta)

Le ragioni di Antigone si fondano, come s'è detto, su leggi non scritte. Anche il diritto dei nostri giorni è costituito per larga parte da “norme” non direttamente ricavate da “disposizioni” di qualsiasi livello (costituzionali, legislative, regolamentari, della contrattazione collettiva) (39).

“Una materia come il diritto del lavoro costituisce un campo di privilegiata evidenza del ruolo svolto dai princìpi costituzionali sia nello sviluppo della legislazione sia nella formazione e nell'evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali. Sono rari i casi in cui i parametri invocati sono semplici regole” (40). La giurisprudenza costituzionale e comune offrono esempi di decisioni motivate col richiamo a valori non letteralmente affermati dal testo della carta fondamentale (41). Gustavo Zagrebelsky osserva che i tentativi di ricondurre il criterio della ragionevolezza esclusivamente ad aspetti normativi positivi sono tutti falliti.

La Costituzione, che vive nel corso del tempo, realizza valori dapprima non scritti ma poi affermatisi nel sentire comune e magari collegati a singole disposizioni. Così per esempio il principio dell'affidamento, che si collega all' “essenziale valore della certezza del diritto” (42), oppure i criteri della ragionevolezza o della proporzionalità, riferiti all'art.3 Cost., , o la risarcibilità dei danni alla salute – al di là della lettera dell'art.2059 cod. civ. - fondata sull'art.32 Cost., o ancora il favore verso il lavoratore subordinato (artt. 1, 4, 36 Cost.). Anche l'argomento comparatistico vale talvolta come criterio d'interpretazione.

Non è difficile trovare esempi nella giurisprudenza.

Una volta identificati certi caratteri del rapporto economico, come quello di lavoro subordinato, e una volta connessi ad esso certi effetti giuridici, non possono essere sottratte le garanzie costituzionali semplicemente cambiandone il nomen iuris (43). Si parla in tal caso di “indisponibilità del tipo negoziale da parte sia del legislatore sia dei contraenti individuali” quando siano presenti i requisiti materiali della subordinazione, quale ad es. il vincolo di esclusività del rapporto col datore di lavoro (44). Le condizioni esistenziali di debolezza del lavoratore preesistono alla scelta del legislatore e gli impongono il riconoscimento (45).

L'art.429, terzo comma, cod. proc. civ. sottrae il credito retributivo al principio nominalistico ma dev'essere bilanciato, nella procedura di fallimento del datore di lavoro, con quello degli altri creditori, onde la rivalutazione dev'essere operata solo fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo (46): il favore del lavoratore viene bilanciato col principio concorsuale.

Il principio di proporzione, intesa come specificazione della ragionevolezza, domina quando la Corte costituzionale afferma che la liquidazione del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, stabilita dagli art.3, comma 1, d. lgs. 4 marzo 2015 n.23 e 3, comma 1, d.l. 12 luglio 2018 n.87 conv. in l. 9 agosto 2018 n.96, in misura uniforme (“forfetizzata” e standardizzata”), viola il principio di ragionevolezza per “ingiustificata omologazione di situazioni diverse”. L'uniformità mina anche la funzione dissuasiva della condanna, che giurisprudenza e dottrina attribuiscono all'indennità risarcitoria (47).

Lo stesso principio domina il tema delle sanzioni disciplinari nell'impresa. Il giudice deve ordinare la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato qualora il codice disciplinare o il contratto collettivo prevedano, per l'illecito addebitato, una sanzione conservativa (art.18, quarto comma, stat. lav.,). Ciò vale anche se la previsione sia formulata con una clausola generale o comunque in modo non tassativo (48).

Negare la reintegrazione in quest'ultimo caso può comportare la tutela soltanto indennitaria per un'incolpazione meno grave di altra più grave ma connessa alla più favorevole tutela reale. Ancora il principio di proporzione.

Ad esso si collega anche la giurisprudenza in tema di violazione dei doveri di motivazione e di osservanza delle regole procedimentali (art.7 stat. lav.) nell'irrogazione del licenziamento (49). La gravità della sanzione espulsiva esclude che la scelta fra la sua irrogazione oppure la condanna all'indennizzo possa essere affidata alla mera discrezionalità del giudice (50).

Il principio dell'affidamento tutela il lavoratore quanto alla stabilità del rapporto, così come regolato dalla legge al momento della sua costituzione; perciò un regolamento legale sopravvenuto e più sfavorevole si applica solo ai rapporti non ancora instaurati (51).

Altra volta vale l'affidamento su un “assetto normativo risalente”, fondato a sua volta su una consolidata distinzione concettuale fra atti negoziali (contatto invalido e atto di rinnovo invalido) e su una giurisprudenza menzionata negli stessi lavori preparatori (52).

Un generale dovere di parità di trattamento dei lavoratori nell'impresa è negato dalle Sezioni unite della Cassazione con le sentenze 29 maggio 1993 n.6031 e 17 maggio 1996 n.4570, ma la Sezione lavoro ammette un “principio di imparzialità” in materia di trattamenti retributivi “irragionevolmente differenziati” e di decisioni dell'imprenditore da assumere secondo la clausola generale di correttezza e buona fede (53).

Parità di trattamento significa anche possibilità di differenziare secondo giustizia distributiva. Cass. 7 dicembre 2016 n.25192 afferma che, quando il giustificato motivo oggettivo di licenziamento (art.1 l. n. 604 del 1966) consista nella necessità di sopprimere un posto di lavoro nell'ambito di una pluralità di posizioni lavorative fungibili, ossia omogenee, non essendo possibile assegnare il titolare del posto da sopprimere a mansioni diverse, il datore di lavoro deve individuare il soggetto da licenziare sulla base della correttezza (intesa come giustizia distributiva), assumendo ad es. i criteri legali da adoperare per i licenziamenti collettivi.

Neppure è il caso di entrare qui nell'ampia e complessa materia degli effetti temporali delle sentenze di accoglimento, che la Corte costituzionale regola secondo un diritto non scritto e con una discrezionalità tale da accentuare la crisi dell'art.28 l. 11 marzo 1953 n.87 (54).

Resta vero che la Costituzione ha introdotto una tecnica giuridica che, “coinvolgendo l'impegno della dottrina e della giurisprudenza, ma soprattutto l'opera ricostruttiva della Corte costituzionale, ha potuto trasformare un evento rivoluzionario in una operazione conformativa distesa nel tempo” (55).

Giurisprudenza e dottrina non sono così chiamate a chiarire il significato di un testo ma semmai a concorrere alla realizzazione di quella storia vivente che è il diritto (56).

Anche in tutti questi casi è il sorriso di Porzia a moderare la rigidità di Creonte.

Il passaggio dallo Stato di diritto allo Stato sociale, iniziato nel dopoguerra, ha avviato il discorso sul rapporto tra legalità e valore sostanziale della giustizia ed in particolare sul ruolo del giudice, quando la legge non riesca a coprire il terreno più vasto del diritto (57).

Nel silenzio del legislatore spetta così al giudice di immettere nel sistema valori nuovi, non presenti, a suo tempo, nella mente del Costituente e tuttavia da considerare come naturale evoluzione, oppure specificazione, di quanto scritto nella Carta; ad es. il diritto al riposo nella vita post- lavorativa o il diritto all'accesso ai documenti pubblici (58). Possono conseguirne, beninteso, anche maggiori costi sia per l'individuo sia per la società (59), specie quando pluralismo e provvidenze degenerino in “assalto particolaristico alle risorse pubbliche” (60).

L'interpretazione adeguatrice di un regolamento amministrativo

Nella sentenza 9 settembre 2021 n.24414 le Sezioni unite della Cassazione, dovendo giudicare della legittimità di un provvedimento disciplinare inflitto ad un insegnante di scuola pubblica sulla base di un regolamento amministrativo, ritengono illegittima la sanzione, non già presupponendo l'illegittimità del regolamento bensì dandone un'interpretazione capace di adeguarne il contenuto ai princìpi costituzionali di laicità dello Stato e di libertà religiosa (artt.2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost.). Più precisamente, di fronte all'art.118 r.d. n.965 del 1924 (atto regolamentare), che comprende il crocifisso fra gli arredi scolastici (l'insegnante era incolpato di averlo rimosso dalla parete dell'aula durante le ore di lezione), le Sezioni unite negano che l'affissione del simbolo religioso possa essere imposta dall'autorità scolastica e tuttavia ritengono il regolamento non illegittimo (61) ma interpretabile nel senso che possa essere la “comunità scolastica” a decidere la collocazione in base ad un ragionevole accomodamento tra le posizioni difformi degli studenti, eventualmente affiancando al crocifisso altri simboli.

Astenendosi da ogni valutazione sul contenuto di questa sentenza, basta qui segnalare come l'interpretazione secundum constitutionem, non solo di leggi ma anche di atti di normazione secondaria, sia ormai spesso praticata dagli organi giudiziari, pur se rimangono resistenze della dottrina fedele ancora all'interpretazione letterale (in claris non fit interpretatio), vale a dire della tesi secondo cui la chiarezza, quando ci sia, è caratteristica intrinseca all'enunciato precettivo e non un risultato della stessa attività interpretativa (62).

L'interpretazione adeguatrice, o conforme alla carta fondamentale, viene preferita dai giudici quando la considerino esercizio di prudenza, da praticare invece di sollevare la questione di costituzionalità della legge oppure di disapplicare l'atto amministrativo. La preferenza della quaestio voluntatis alla quaestio potestatis (vedi retro, par.3), quest'ultima con i suoi effetti più gravemente demolitòri, corrisponde dunque ad una scelta largamente discrezionale e ciò risulta più evidente nel caso, raro, in cui si tratti, invece che di atto normativo primario, di regolamento amministtrativo.

L'esercizio più accentuato di questa prudenza espone il giudice a critiche specialmente da parte di chi, affezionato alla concezione puramente sillogistica del giudizio, non apprezza decisioni meno nette ed argomentazioni più complesse, pur necessarie nei casi “difficili” (63). Appaiono in ogni caso eccessivi i giudizi perentori di una parte della dottrina (di nuovo Creonte ed Antigone), espressi contro Cass. n. 24414 del 2021.

Conclusione

In conclusione l'opera quotidiana di attuazione della Costituzione avviene in forza non solo delle leggi ma anche della giurisprudenza, che a sua volta non può operare se non avvalendosi del dibattito dottrinale e del contraddittorio forense, così apparendo “frutto combinato del lavoro dei giuristi e dell'intera prassi giuridica” (64).

Grazie a quest'opera, che ha sempre costituito il naturale svolgimento dell'esperienza, il personaggio mitico di Porzia può sanare il dissidio tra Antigone e Creonte.

Note

(1) Il saggio di T. ASCARELLI Antigone e Porzia, scritto nel 1955, è pubblicato in Problemi giuridici, Milano 1959, 5 e segg. Le citazioni dall'Antigone di Sofocle sono tratte dal volume edito da Mondadori nel 2021. Volume curato da D. DEL CORNO. Dell'editore Marsilio, 2000, è il volume curato da M.G. CIANI e contenente le tragedie, con lo stesso titolo, così di Sofocle come di Jean Anouilh e di Bertolt Brecht.

(2) S. D'AMICO, Storia del teatro drammatico, I, Milano 1970, 45.

(3) G. PERROTTA, Disegno storico della letteratura greca, Milano-Messina 1956, 54.

(4) T. ASCARELLI, nell'Introduzione ai Problemi giuridici cit. (p.9). Vedi anche G. ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia, Bologna 2008, 53, 126. 229, 267.

(5) In tal senso anche J.M. NARBONNE, Démocratie dans l'Antigone de Sofocle. Une rilecture philosophique. Libro èdito a cura dell'Università Laval, del Québec, ma senza indicazione del luogo di stampa, 2020, 78.

(6) L. PEPINO e N. ROSSI, Prologo di Il potere e la ribelle. Creonte o Antigone? Un dialogo, Torino 2019, parlano di “un fardello accettato malvolentieri”.

(7) A. FALZEA, La Costituzione e l'ordinamento, in Riv. dir. civ. 1988, I, 261 e segg.

(8) S. COTTA, Diritto naturale, in Enc. dir., XII 1964, specialm. 652.

(9) L. VIOLANTE, Antigone, in M. CARTABIA e L. VIOLANTE, Giustizia e mito, Bologna 2018, 120.

(10) G. SILVESTRI, L'interpretazione nel diritto del lavoro, in Dir. pubblico 2018, 24. Sulla sottoposizione del potere al diritto attraverso le moderne costituzioni vedi T. GRECO, Il costituzionalismo come cultura giuridica, introduzione a N. MATTEUCCI e N. BOBBIO, Positivismo giuridico e costituzionalismo, Milano 2021, 11.

(11) Antigone e Creonte, entrambi sconfitti dalla crisi della legalità, in Giust. civ. 2014, 32-34.

(12) J. M. NARBONNE, op. cit., 83 e 86.

(13) Le citazioni sono tratte da W. SHAKESPEARE, Tutte le opere, a cura di M. PRAZ, Firenze 1964, 416.

(14) Così M. CARTABIA, Conflitti tragici, conflitti giuridici, in M. CARTABIA e L. VIOLANTE, Giustizia e mito cit., 130.

(15) Corte cost., n. 82 del 2017. A. GIULIANI, L'applicazione della legge, Rimini 1993, 76; P.G. MONATERI, Interpretazione del diritto, in Dig. discipline privatistiche, sez. civ., X 1993, 38; R. GUASTINI, L'interpretazione dei documenti normativi, Milano 2007, 149; R. SACCO, Interpretazione del diritto, in Dig. disc. priv., sez. civ., Aggiornamento VII 2012, 626.

(16) Corte cost. n.221 del 2015. Vedi G. AMOROSO, Interpretazione adeguatrice e condizioni di ammissibilità della questione incidentale di costituzionalità, in Foro it. 2015, I. Con la decisione ora detta la Corte torna all'assai risalente dottrina (A.M. SANDULLI, Il giudizio sulle leggi, Milano 1967, 20) secondo cui oggetto del giudizio di legittimità costituzionale era la “disposizione”, e non la “statuizione” (oggi si dice la “norma”) di legge, con la conseguente sufficienza, per l'ammissibilità della questione, della sola possibilità di un'interpretazione contraria alla Costituzione.

(17) G. GORLA, “Iura naturalia sunt immutabilia”. I limiti al potere del “principe” nella dottrina e nella giurisprudenza forense fra i secoli XVI e XVIII, Firenze 1982.

(18) V. CRISAFULLI, Principî costituzionali in tema di rapporti economici e di lavoro, in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano 1952, 83.

(19) A. FALZEA, La Costituzione e l'ordinamento cit., 266. Vedi ancora R. PINARDI, Governare il tempo (e i suoi effetti). La sentenza di accoglimento nella più recente giurisprudenza costituzionale, in Quaderni costituzionali 2022, 65.

(20) A. FALZEA, op. ult. cit., 266 e 276.

(21) P. COSTA, Cittadinanza sociale e diritto del lavoro nell'Italia repubblicana, in AAVV, Diritto e lavoro nell'Italia repubblicana. Materiali dell'Incontro di studio, Ferrara 24 ottobre 2008, Milano 2009, 32.

(22) M. D'APONTE, La tutela dei diritti umani nel rapporto di lavoro, in Riv. it. dir. lav. 2021, I, 373.

(23) G. D'AMICO, La giustizia tra legge e diritto, in Foro it. 2021, V, 172.

(24) R. COSIO, L'interpretazione conforme al diritto dell'Unione europea, in AAVV, Interpretazione conforme, bilanciamento dei diritti e clausole generali, a cura di G. BRONZINI e R. COSIO, Milano 2017, 42-43.

(25) F. DI MARZIO, Nomos e dike, in Foro it. 2021, V, 182, che evoca l'opera di Paolo Grossi. Si è anche detto che “in una democrazia matura e consolidata ogni potere dello Stato dovrebbe esercitare le proprie attribuzioni senza timore delle conseguenze derivanti dalle proprie decisioni in temi particolarmente ‘caldi' e dibattuti e senza dover scaricare ogni tensione del sistema sulla Corte costituzionale” (F. BENELLI, Il fine non giustifica il mezzo. Una via sbagliata [il ricorso alla Corte] per un problema reale [l'esposizione dei simboli religiosi], in La laicità crocifissa? Il nodo costituzionale dei simboli religiosi nei luoghi pubblici, a cura di R. BIN, G. BRUNELLI A. PUGIOTTO, P. VERONESI, Torino 2004, 35). Vedi infra, par. 7.

(26) C. SCOGNAMIGLIO, Il tempo dei principî, in Foro it. 2021, V, 209.

(27) G. TARELLO, L'interpretazione della legge, Milano 1980, 369. Sul “legislatore persuasivo” ossia ragionevole, vedi G. GAVAZZI, La motivazione delle leggi, in Il Politico 1974, 179.

(28) L. GAETA (Emanuele Gianturco, il lavoro e il codice mancato, in L. GAETA e E. STOLFI, Visioni del diritto e impegno politico in Emanuele Gianturco, con una Introduzione di G. CIANFEROTTI Avigliano s.d., 60) osserva come la formazione extralegislativa del diritto del lavoro fosse notata già nei primi anni del secolo scorso. Quanto alla giurisprudenza, “ciò che è designato, non senza enfasi, come diritto giurisprudenziale è in realtà frutto combinato del lavoro dei giuristi e dell'intera prassi giuridica” (A. FALZEA, Giuristi e legislatori. Considerazioni metodologiche, in Giuristi e legislatori – Pensiero giuridico e innovazione legislativa nel processo di produzione del diritto, Atti dell'Incontro di studio, Firenze 26-28 settembre 1996, Milano 1997, 512).

(29) Corte cost. n.41 del 1991.

(30) S. BARTOLE, Principi del diritto (dir. costituzionale), in Enc.. dir., XXXV 1986, 515.

(31) F. MACARIO, Autonomia privata (principi costituzionali), in Enc. dir. Annali, VIII 2015, 76. 87, 89.

(32) V. CRISAFULLI, Principî costituzionali in tema di rapporti economici e di lavoro, in La Costituzione e le sue disposizioni di principio cit., 145-160; V. MAJO, Valori e tecniche nei licenziamenti (dopo la sentenza della Corte costituzionale n.194 del 2018), in Argom. dir. lav. 2018, 814.

(33) A. DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano 2020, cap. XIII.

(34) C. CESTER, Il trasferimento del ramo d'azienda ancora alla prova della Corte di giustizia fra uso capovolto della normativa di tutela e disciplina di maggior favore, in Riv. it. dir. lav. 2014, 461. Vedi Cass. 19 maggio 2016 n.10352, 19 gennaio 2017 n.1316. Secondo Corte giust. UE 6 marzo 2014 C 458/12, la direttiva 2001/23 richiede la preesistenza del ramo d'azienda ma non esclude una legge nazionale che ne permetta la creazione ad hoc.

(35) M. LUCIANI, Interpretazione conforme a costituzione, in Enc. dir. Annali, IX 2016, 449-450.

(36) A. PROTO PISANI, Note sulla tutela del lavoro e della persona nella Costituzione, in Foro it. 2018, V, 158.

(37) G. ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia, Bologna 2008, 127 e 267.

(38) F. DI MARZIO, Diritto e storia. Costumi e legislazione, in La ricerca del diritto, Bari 2021, 3. L'evocazione di leggi superiori si traduce nei nostri giorni nel riferimento alla Costituzione o ai princìpi del diritto internazionale, secondo L. PEPINO nel colloquio con N. ROSSI Il potere e la ribelle cit.

(39) Per la distinzione tra disposizioni e norme vedi da ultimo A. PROTO PISANI, Brevi note sul danno morale, in Riv. dir. proc. 2021.

(40) G. SILVESTRI, L'interpretazione nel diritto del lavoro, in Dir. pubblico 2018, 24.

(41) Sui princìpi inespressi vedi G. D'AMICO, Appunti per una dogmatica dei princìpi, in Liber amicorum Pietro Rescigno, Napoli 2018, 693. Paolo GROSSI, Pluralità delle fonti del diritto e attuazione della Costituzione, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2019, 768, parla di “principii inespressi...sostrato valoriale che funge da nascosto ordo ordinans”. Quanto al giudizio di legittimità costituzionale, “si tratta di vedere se, oltre al criterio di valutazione del principio costituzionale, possa intervenire un criterio valutativo ausiliario, di natura non strettamente giuridico-costituzionale, che agevoli l'adattamento del principio costituzionale alla legge soggetta al controllo di legittimità” (A. FALZEA, La Costituzione e l'ordinamento, in Riv. dir. civ. 1998, 286).

(42) R. PINARDI, Governare il tempo cit., 54.

(43) Corte cost. n.115 del 1994. Cass. 24 gennaio 2020 n.1663.

(44) Corte cost. n.76 del 2015.

(45) S.P. EMILIANI, La “realtà oggettiva” della subordinazione nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Riv. giur. lav. 2019, 487. Corte cost. n.204 del 1989.

(47) Corte cost. n.194 del 2018.

(48) Cass. 11 aprile 2022 n.11665. Contra Cass. 9 maggio 2019 n. 12365.

(49) Corte cost. n.150 del 2020.

(50) Corte cost. n. 59 del 2021.

(51) Corte cost. n. 399 del 2008. Vedi anche n. 145 del 2022.

(52) Corte cost. n. 260 del 2015.

(53) Cass. 8 luglio 1994 n. 6448.

(54) Su cui ultimam. R. PINARDI, Governare il tempo cit., passim; L. TRIA, Brevi osservazioni sul bilanciamento nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in AAVV, Interpretazione conforme, bilanciamento dei diritti e clausole generali cit., 217-219.

(55) A. FALZEA, La Costituzione e l'ordinamento, in Riv. dir. civ. 1998, 266.

(56) Così N. LIPARI, Il diritto civile tra passato e futuro, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2021, 917.

(57) F. DI MARZIO, Nomos e dike loco cit.

(58) A. LAMORGESE, Giustizia e legge nella pratica giurisprudenziale, in Foro it. 2021, V, 191.

(59) G. PINO, L'interpretazione nel diritto, Torino 2021, 226.

(60) M. ASCHERI, Introduzione storica al diritto moderno e contemporaneo. Lezioni e documenti, Torino 2003, 3.

(61) “Sottratti al controllo della corte costituzionale, i regolamenti sono sottoposti al regime degli atti amministrativi: essi sono dunque disapplicabili dal giudice ordinario, qualora risultino in contrasto con norme di fonte legislativa” (S. LARICCIA, Diritti di libertà in materia religiosa e principi di imparzialità e di laicità nelle istituzioni civili: la parola alla Corte costituzionale, in AAVV, La laicità crocifissa? cit., 184). A maggior ragione i regolamenti sono disapplicabili dal giudice quando risultino contrari ad un principio costituzionale. Circa la possibilità che essi concorrano a definire il significato della disposizione legislativa, quale diritto vivente, vedi A. PUGIOTTO, Sindacato di costituzionalità e “diritto vivente”. Genesi, uso, implicazioni, Milano 1994, 128 e 466, nonché Corte cost. n.389 del 2004.

(62) Ad es. E. MARTINELLI, Una sentenza sul crocifisso: verso un nuovo concetto di laicità ?, in Nuova giur. civ. 2022, 123.

(63) Certo, la soluzione della questione del crocifisso nelle aule proposta da R. BIN (Inammissibile ma inevitabile, in AAVV, La laicità crocifissa? cit., 37-40) è più semplice.

(64) A. FALZEA, Giuristi e legislatori (Considerazioni metodologiche), in Giuristi e legislatori – Pensiero giuridico e innovazione legislativa nel processo di produzione del diritto, Attidell'Incontro di studio, Firenze 26-28 settembre 1986, Milano 1997, 512.