La domanda di composizione della crisi con continuità aziendale deve contenere un idoneo piano dei flussi economico-finanziari

Lorenzo Gambi
20 Settembre 2022

L'Autore commenta il provvedimento con cui il Tribunale di Ferrara ha dichiarato inammissibile una proposta di accordo di composizione della crisi, ex art. 7, L. n. 3/2012, censurandola con riferimento ad entrambi gli elementi posti a base della domanda di accesso al procedimento di sovraindebitamento.
Le massime

La proposta di accordo di composizione della crisi che si fondi sulla prosecuzione dell'attività deve contenere elementi informativi circa la capacità dell'impresa di realizzare flussi di cassa idonei al soddisfacimento delle ragioni dei creditori.

È inammissibile la domanda di accesso alla composizione della crisi che preveda il soddisfacimento parziale dei creditori privilegiati in mancanza della relazione dell'OCC attestante la correlazione fra falcidia proposta e capienza degli asset su cui insistano le prelazioni. La procedura di liquidazione del patrimonio non può realizzare finalità di mantenimento della continuità aziendale, perdendo il soggetto sovraindebitato ogni controllo sulla propria attività d'impresa.



Il caso

Un piccolo imprenditore svolgente l'attività di odontotecnico, venutosi a trovare in una situazione di crisi, a motivo anche dei rilevanti investimenti effettuati in beni strumentali, presentava al Tribunale di Ferrara una proposta di accordo di composizione della crisi, ex art. 7 L. n. 3/2012.

La proposta prevedeva, da un lato, la prosecuzione dell'attività aziendale in capo al soggetto sovraindebitato, dall'altro, il soddisfacimento non integrale, oltreché dei creditori chirografari, anche dei creditori muniti di legittime cause di prelazione.

In via subordinata e/o alternativa, il debitore formulava richiesta di liquidazione del proprio patrimonio, ai sensi e per gli effetti dell'art. 14-ter, comma 1, L. n. 3/2012.

Il Tribunale di Ferrara dichiarava inammissibile la proposta, censurandola con riferimento ad entrambi gli elementi posti a base della domanda di accesso al procedimento di sovraindebitamento.

Con riferimento alla prosecuzione dell'attività, la proposta non recava alcuna informazione circa la capacità dell'impresa di realizzare flussi di cassa disponibili da destinare al soddisfacimento, per quanto parziale, delle ragioni dei creditori.

D'altra parte, la proposta di accordo niente diceva circa l'adozione da parte del debitore di misure e/o interventi di natura strutturale idonei a ripristinare una situazione di (compromesso) equilibrio aziendale.

Sotto il profilo satisfattivo, la proposta, nel prevedere il pagamento parziale a favore dei privilegiati, mancava della relazione del gestore della crisi attestante la correlazione fra falcidia proposta e capienza degli asset aziendali su cui insistevano le cause di prelazione.

Quanto, poi, all'alternativa ipotesi di liquidazione del patrimonio, il foro emiliano dichiarava, al pari, inammissibile la domanda dal momento che, l'istituto in oggetto, ha natura e finalità affatto diverse rispetto a quelle tipiche dell'accordo di composizione della crisi.

Nella procedura di liquidazione, conformemente al principio cardine ex art. 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale), il patrimonio del sovraindebitato è destinato ai creditori senza alcuna previsione di soddisfacimento, non potendo il debitore mantenere alcun controllo diretto sull'attività economica.

In sostanza, la procedura di liquidazione ex art. 14-ter L. n. 3/2012 non è strumento idoneo, né funzionale alla conservazione della (ove ancora esistente) continuità aziendale.

Le questioni giuridiche

Come rilevato dal Tribunale di Ferrara, la L. n 3/2012, in ambito di proposta di accordo di composizione della crisi, non prevede che il debitore debba presentare, assieme al ricorso introduttivo, un piano industriale, né un piano finanziario.

Purtuttavia, è necessario che la proposta di accordo formulata da chi intenda proseguire l'attività d'impresa contenga elementi informativi idonei a consentire ai creditori di esprimere un voto consapevole ed informato.

È compito dell'organismo di composizione della crisi ex art. 15 L. n. 3/2012 prendere posizione su questo aspetto: verificare, cioè, che la proposta fornisca l'indicazione di flussi economico-finanziari atti a generare risorse da destinare al soddisfacimento del debito aziendale, nelle misure indicate nella proposta medesima.

Sotto questo profilo, l'accordo di composizione della crisi incentrato sulla prosecuzione dell'attività non differisce dalla procedura di concordato preventivo in continuità, rendendosi quindi necessaria l'indicazione delle risorse finalizzate al soddisfacimento dei creditori.

Sotto l'aspetto operativo, cionondimeno, trattandosi di imprese cd. minori, il set informativo volto a dimostrare la capacità aziendale di generare risorse da destinare ai creditori non può che essere semplificato, dunque con un grado di complessità direttamente proporzionato alle concrete dimensioni dell'impresa.

La mancanza assoluta di informazioni in ordine ai flussi economico-finanziari prospettici non può che condurre alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso e, per l'effetto, al mancato avvio del procedimento di composizione della crisi.

Altro profilo rilevante attiene alle condizioni necessarie affinché il debitore possa validamente prospettare un soddisfacimento non integrale nei confronti dei creditori muniti di prelazione.

A questo riguardo, è imprescindibile che la proposta sia accompagnata dalla relazione dell'organismo di composizione della crisi attestante che i creditori privilegiati vengano soddisfatti in misura non inferiore rispetto a quanto realizzabile dalla liquidazione degli asset sui quali insista la prelazione (cd. capienza patrimoniale).

Chiara, in questo senso, la disposizione ex art. 7, c. 1, secondo periodo, L. n. 3/2012: la proposta di accordo di composizione della crisi può prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca siano soddisfatti in misura non integrale, a condizione che:

- la misura del pagamento sia non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato dei beni/diritti su cui insista la prelazione;

- la condizione di cui sopra, dunque il rispetto del principio di “capienza patrimoniale”, venga formalmente attestata dagli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento, ex art. 15 L. n. 3/2012.

Come rilevato dal Tribunale di Ferrara, la “regola” di cui sopra è la stessa di quella prevista dall'art. 160, comma 2, L. Fall., trovando essa pacifica applicazione in tutte le procedure di natura concordataria.

Tale regola non viola il rispetto dell'ordine delle prelazioni atteso che il diritto “preferenziale” del creditore è strettamente commisurato all'entità del (prevedibile) realizzo del bene/diritto su cui insista la prelazione.

Un ultimo tema riguarda la funzione della procedura di liquidazione del patrimonio ex art. 14-ter L. n. 3/2012.

Come rilevato dal foro emiliano, la liquidazione “non ha alcuno scopo di “autoprotezione”, come potrebbe avere quella di ristrutturazione dell'accordo. Nella procedura di liquidazione […] il patrimonio viene messo a disposizione dei creditori, senza promessa o proposta di alcuna percentuale di soddisfazione e senza che il debitore possa mantenere alcun controllo sulla propria attività economica”.

Ne consegue, che “il salvataggio dell'impresa economica decotta (e quella del debitore in oggetto lo è certamente, visto il raffronto fraricavi e debiti ampiamente scaduti), non rientra negli obiettivi della liquidazione”.

Sotto altro profilo, il Giudice del sovraindebitamento, nel caso in esame, non avrebbe potuto applicare neanche la disposizione prevista dall'art. 14-quater L. n. 3/2012.

Tale norma, nel regolare la “conversione” della procedura di composizione della crisi in quella di liquidazione del patrimonio, presuppone che il primo procedimento sia stato dichiarato aperto e poi omologato, rendendosi possibile, la conversione, solo dopo l'eventuale annullamento dell'accordo di composizione ovvero la sua risoluzione per causa non imputabile al debitore.

Nel caso in oggetto, invece, la proposta di accordo di composizione presentata dal sovraindebitato era stata dichiarata inammissibile dal foro concorsuale per carenza dei presupposti di legge.

Osservazioni e approfondimenti

Com'è noto, il 15 luglio 2022 è entrato in vigore il D.Lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza).

Per quanto le nuove norme si applichino ai procedimenti relativi a ricorsi depositati prima dell'entrata in vigore del CCII, quanto deciso dal Tribunale di Ferrara trova integrale conferma nel contesto del nuovo Codice.

Circa la necessità che il debitore presenti un set informativo idoneo a dar conto dei flussi aziendali da destinare al soddisfacimento dei creditori, il Codice, trattando del cd. “concordato minore” (il vecchio accordo di composizione), regola espressamente l'argomento.

L'art. 74 CCII dispone che l'imprenditore “minore” possa formulare una proposta di concordato laddove la stessa consenta la prosecuzione dell'attività economica, sempreché, nel contesto della procedura adita, sia contemplato l'apporto di risorse esterne idonee ad aumentare apprezzabilmente il grado di soddisfacimento dei creditori.

Secondo, poi, l'art. 75, comma 1, CCII, il soggetto sovraindebitato deve presentare, assieme alla domanda di concordato minore, fra l'altro, il piano d'impresa nonché una relazione aggiornata sulla propria situazione economica, patrimoniale e finanziaria.

La valutazione circa i profili di completezza ed attendibilità di tale documentazione aziendale deve essere attestata dall'Organismo di composizione della crisi, e ciò con relazione da allegarsi alla domanda.

L'OCC deve, al pari, esprimersi sul requisito di convenienza del piano proposto dal debitore rispetto all'alternativa procedura di liquidazione (art. 76, comma 2, CCII).

Anche sotto questo profilo, pertanto, il decisum del Tribunale di Ferrara trova conferma nell'ambito del nuovo Codice della crisi.

La liquidazione controllata ex art. 268 (la vecchia liquidazione del patrimonio) si pone in antitesi, siccome, appunto, “liquidatoria”, rispetto alla finalità di mantenimento della continuità aziendale, da realizzarsi, quest'ultima, con lo strumento, tipicamente ristrutturatorio, del concordato minore (composizione della crisi).

Da ultimo, anche con riferimento al tema della falcidiabilità dei crediti prelatizi, piena conferma il provvedimento del foro emiliano trova nel contesto del nuovo Codice (principio di capienza patrimoniale).

Da un lato, l'art. 74, comma 1, CCII, nel prevedere che la proposta di concordato minore possa avere contenuto “libero”, dovendo indicare con precisione tempi e modalità per superare la crisi da sovraindebitamento, dispone che il soddisfacimento dei creditori possa essere anche parziale, previa eventuale loro suddivisione in classi.

Dall'altro lato, per concludere, l'art. 75, comma 2, CCII prevede - in modo invero speculare rispetto alla norma ex art. 7, comma 1, L. n. 3/2012 - che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano essere soddisfatti anche non integralmente, sempreché il trattamento sia non inferiore a quanto realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato dei beni/diritti su cui insista la prelazione, in caso di liquidazione, avuto riguardo al loro valore di mercato, così come attestato dagli organismi di composizione della crisi.