Comunicazioni e depositi informatici

Antonella Lariccia
21 Settembre 2022

L'introduzione del Processo Amministrativo Telematico e le significative evoluzioni che negli ultimi anni hanno caratterizzato il settore della tecnologia delle comunicazioni hanno prodotto un significativo impatto anche in campo processuale oltre che, più in generale, nell'ambito dei procedimenti amministrativi, sotto plurimi profili, tra cui in primis quelli delle comunicazioni e dei depositi informatici.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

L'art 136 c.p.a propriamente intitolato “Disposizioni sulle comunicazioni e sui depositi informatici”, unitamente alle previsioni contenute nelle disposizioni di attuazione del c.p.a. e nelle regole tecniche di cui al DPCS 28 luglio 2021, costituiscono la specifica cornice normativa delle comunicazioni di cancelleria e dei depositi telematici, per quanto attiene al Processo Amministrativo Telematico (PAT).

Tali norme devono ovviamente integrarsi con tutte le disposizioni che si sono via via susseguite nel tempo, e non solo con riferimento al PAT, in ordine al delicato tema delle comunicazioni e notifiche telematiche e dei depositi degli atti in formato digitale, ed in specie con le modifiche di recente introdotte al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell'Amministrazione Digitale, d'ora in avanti CAD) – che com'è noto vanno ad integrare numerose disposizioni del DPCS –; non a caso proprio il DPCS stabilisce espressamente che il Sistema Informativo della Giustizia Amministrativa (S.I.G.A.) – che a norma dell'art. 1 All. 1 costituisce “l'insieme delle risorse hardware e software, mediante le quali la Giustizia amministrativa tratta in via automatizzata attività, dati, servizi, comunicazioni e procedure riguardanti l'esercizio dei compiti istituzionali inerenti allo svolgimento dell'attività processuale” - assicura la verifica di integrità degli atti, documenti e provvedimenti e della rispondenza della firma digitale apposta su di essi ai requisiti di cui all' articolo 24 CAD, subordinando all'esito positivo di tale controllo le operazioni di acquisizione e registrazione degli stessi (art. 4 All 2 D.P.C.S.).

E' evidente come già queste norme testimonino lo sforzo del Legislatore di adeguare istituti e fattispecie nate in epoche non digitalizzate ai nuovi progressi tecnologici registrati negli ultimi anni.

Del resto è noto che l'art. 3 del CAD riconosce espressamente il generale diritto di cittadini e imprese a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le Pubbliche Amministrazioni e con i gestori di pubblici servizi statali sancendosi altresì, correlativamente, l'obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di organizzarsi in modo da assicurare l'uso della telematica nei rapporti interni tra le diverse Amministrazioni e tra queste e i privati, e di garantire la disponibilità, la gestione, l'accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell'informazione in modalità digitale, utilizzando nei modi più appropriati le tecnologie dell'informazione e della comunicazione; orbene, l'utilizzo delle tecnologie informatiche e telematiche si configura non solo come strumento di ausilio e gestione del procedimento amministrativo, ma anche e soprattutto come fondamentale strumento di svolgimento dello stesso processo amministrativo, tanto è vero che già da tempo l'art. 13, comma 1-ter, disp. att. c.p.a., espressamente prevede che “salvi i casi in cui è diversamente disposto, tutti gli adempimenti previsti dal codice e dalle norme di attuazione inerenti ai ricorsi depositati in primo o secondo grado dal 1º gennaio 2017 sono eseguiti con modalità telematiche, secondo quanto disciplinato nel decreto di cui al comma 1” (D.P.C.M. 16 febbraio 2016 ora D.P.C.S. 28 luglio 2021).

Emerge comunque chiara la consapevolezza che un più elevato livello di digitalizzazione dell'Amministrazione pubblica, oltre che del processo amministrativo, sia fondamentale per migliorare la qualità dei servizi resi agli operatori della giustizia, ai cittadini e agli utenti.

I depositi informatici

L'art. 136 comma 2 c.p.a., in coerenza con quanto stabilito dall' art. 13, comma 2-ter, c.p.a. in precedenza richiamato, espressamente prevede che “i difensori, le parti nei casi in cui stiano in giudizio personalmente e gli ausiliari del giudice depositano tutti gli atti e i documenti con modalità telematiche”, salvo casi eccezionali, in cui ricorrano particolari ragioni di riservatezza legate alla posizione delle parti o alla natura della controversia, e gli altri casi di esclusione dell'impiego di modalità telematiche previsti dal D.P.C.S; quanto a questi ultimi, si tratta delle ipotesi in cui l'esclusione dall'impiego delle modalità telematiche è connesso alla sussistenza di «specifiche e motivate ragioni tecniche», ovvero ai casi di «oggettività impossibilità di funzionamento del SIGA» che rendano impossibile il deposito telematico (art. 9, comma 8 e 9, dell'All.1 al d.P.C.S.), che si affiancano – pur differenziandosene –ai casi di eccezione ex lege dall'applicazione della disciplina del processo telematico (controversie di lavoro dei dipendenti DIS e segreto di Stato).

Peraltro il comma 2-bis del citato art. 136 c.p.a espressamente prevede che, salvi i casi eccezionali in precedenza richiamati, anche tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, oltre che del personale degli uffici giudiziari, siano redatti in formato di documento informatico e sottoscritti con firma digitale, tanto è vero che l'art. 7 All 1 DPCS al comma 3 prevede espressamente che, l'unico caso in cui è consentito il deposito di un provvedimento redatto su supporto cartaceo e sottoscritto con firma autografa, è quando il responsabile del SIGA attesti che il sistema informatico non è in grado di ricevere il deposito telematico degli atti a causa dell'oggettiva impossibilità di funzionamento del SIGA; dal canto suo, l'art 9 comma 1 All 1 prevede espressamente che “salvo diversa espressa previsione, il ricorso introduttivo, le memorie, il ricorso incidentale, i motivi aggiunti e qualsiasi altro atto del processo, anche proveniente dagli ausiliari del giudice, sono redatti in formato di documento informatico sottoscritto con firma digitale conforme ai requisiti di cui all'articolo 24 del CAD”.

Il DPCS prevede che il deposito dei summenzionati atti venga effettuato attraverso gli appositi Modulo di deposito di cui all'art 6 comma 1 e 2 All.2, sottoscritti con firma digitale PadES a norma del successivo comma 4, prevedendo altresì espressamente, al comma 5 che i documenti digitali da allegare ai moduli di cui ai commi 1 e 2, compreso il ricorso, siano inseriti in un unico contenitore e che la firma digitale PadES, di cui al comma precedente, si intende estesa a tutti i documenti in essi contenuti.

In evidenza

Si è visto che le regole tecniche di cui al DPCS fanno espressa menzione, nel citato art. 6 All. 2, solo della firma digitale PadES, a differenza di quanto previsto dalle regole tecniche di cui all'art. 11 d.m. 21 febbraio 2011, n. 44-Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24, che rinvia alle specifiche tecniche di cui al provvedimento del Direttore generale DGSIA ex art. 34 d.m. n. 44 del 2011.

L'art. 12, comma 1, lett. d), del provvedimento del Direttore generale DGSIA 16 aprile 2014, attualmente vigente, prescrive infatti negli atti processuali l'uso della firma «digitale o elettronica qualificata esterna» specificando al comma 2 che la struttura della firma è «PAdESBES (o PAdES Part 3) oppure CAdESBES», ammettendo pertanto espressamente entrambi i tipi di firma digitale.

Tuttavia la giurisprudenza amministrativa (ex multis TAR Lazio, Roma, 25 maggio 2018 n 5912) argomentando sulla validità e valenza della sottoscrizione in formato CAdES, e sulla sua sostanziale parificazione al formato PAdES anche e soprattutto a livello di normativa comunitaria – oltre che sul rilievo che la mancata conformità alle norme tecniche del PAT quanto al formato della firma digitale non impedisce la validità della sottoscrizione ma può eventualmente rilevare ad altri fini (quale quello di rendere necessaria una eventuale regolarizzazione) -, ha già da tempo ritenuto comunque ammissibile il ricorso sottoscritto, notificato e depositato in formato CAdES, anziché PAdES, ferma al più l'esigenza di regolarizzazione quanto al deposito.

Dal canto loro le Sezioni Unite della S.C. (Cass. Sez. U, 24 settembre 2018, n. 22438; Cass. Sez. VI-3, 8 giugno 2017, n. 14338 ) hanno già chiarito che in tema di processo telematico, a norma del richiamato art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014, di cui all'art. 34 del d.m. n. 44 del 2011, in conformità agli standard previsti dal Regolamento UE n. 910 del 2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse e equivalenti, mentre invece per la giurisprudenza citata è pacifico che l'atto introduttivo del giudizio redatto in formato elettronico e privo di firma digitale è radicalmente nullo, poiché detta firma è equiparata dal CAD alla sottoscrizione autografa, che costituisce, ai sensi dell'art. 125 c.p.c., requisito di validità dell'atto introduttivo redatto in formato analogico.

Coerentemente con quanto previsto dall'art. 136 comma 2 c.p.a. e dall'art. 9 comma 1 All. 1 in precedenza citato quanto al deposito di atti e documenti, la casistica degli errori cd bloccanti (cioè degli errori che impediscono radicalmente il deposito) nell'ambito del PAT indicati nelle Istruzioni ad uso degli Avvocati pubblicate sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, e comunicati al mittente del deposito telematico nel messaggio PEC di Mancato Deposito, risulta ad oggi abbastanza contenuta e limitata ad un elenco ricomprendente per lo più casistiche di errori tecnici in quanto tali, o legati alla validità della firma digitale (non però quanto al formato PadES e CadES per quanto in precedenza osservato) apposta dal mittente, dell'indirizzo PEC utilizzato nonché all'individuazione e/o legittimazione dell'autore del deposito; la limitatezza della casistica di errori bloccanti, peraltro, è probabilmente anche frutto della consapevolezza della questione della dubbia compatibilità di forme di verifica automatiche ed automatizzate della legittimità del deposito di atti e documenti con i principi costituzionali, ed in specie con l'art 111 della Costituzione, per quanto non siano mancate pronunce in cui si è auspicato l'inserimento, nel SIGA, di sistemi di “blocco" di deposito di istanze abnormi o irrituali (Cfr. ad esempio C.G.A.R.S. decreto presidenziale n. 6254/2020 in cui sembra auspicarsi l'inserimento, nel sistema informatico della giustizia amministrativa, di sistemi di “blocco" di iscrizione a ruolo di istanze non previste dall'ordinamento giuridico).

IL DPCS prevede che il deposito di atti e documenti da parte di difensori, parti ed ausiliari del giudice avvenga tramite pec e, solo nel caso in cui, per ragioni tecniche o per la particolare dimensione del documento, il deposito non possa avvenire mediante PEC, ad esso possa procedersi mediante upload attraverso il sito istituzionale della GA (art. 8 comma 6 All 1).

La FAQ n 30 di istruzione sul PAT prevede inoltre che “Nel caso siano effettuati depositi multipli di un identico atto difensivo, la Segreteria qualora si accorga dell'anomalia, invia all'avvocato una "comunicazione di cortesia", segnalandogli l'accaduto per le sue successive determinazioni”; in tal modo, la parte ricorrente può richiedere all'Ufficio Giudiziario adito di cancellare il deposito multiplo e di annullare tutti i ricorsi successivi al primo contenenti scritti difensivi identici.

Tuttavia, secondo la FAQ n.24, il difensore può richiedere la cancellazione del c.d. “deposito multiplo”, purché entro 24 ore dal primo deposito, con la conseguenza che - decorse 24 ore dal deposito -, se in ipotesi il doppio invio riguardi il ricorso introduttivo del giudizio, l'eventuale fascicolo “duplicato” ove iscritto a ruolo dovrà essere oggetto di decisione da parte del Giudice.

A tale ultimo riguardo, va segnalato come in una recente pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione Siciliana (ordinanza 11 settembre 2019, n. 61), è stato affermato che “Un ricorso che risulti essere il “clone informatico” di un ricorso già depositato è giuridicamente “inesistente”, non essendo sorretto dalla volontà della parte di proporlo e depositarlo, ma essendo il risultato di imperscrutabili errori o difetti del sistema informatico, le cui cause è irrilevante acclarare, per evidenti ragioni di economia processuale, essendo invece sufficiente l'ovvia constatazione che il sistema informatico non è un ente giuridico a cui sia riconosciuta la capacità giuridica e di agire e men che meno quella di proporre un ricorso giurisdizionale.”

Va detto che altra parte della giurisprudenza ha invece qualificato come inammissibile il ricorso iscritto a seguito di deposito erroneo (c.d. “duplicato”) (così T.a.r. Lazio Roma II-ter, n. 568/2017), mentre in altre pronunce (T.a.r.. Lazio Roma, sez. II-bis, decr. n. 771/2017) si è invece disposto la mera cancellazione del duplicato informatico, senza esprimersi con formule in rito.

Quanto invece al diverso aspetto della tempestività del deposito degli atti e dei documenti, l'art. 4 comma 4 disp. att. c.p.a. espressamente prevede “la possibilità di depositare con modalità telematica gli atti in scadenza fino alle ore 24:00 dell'ultimo giorno consentito. Il deposito è tempestivo se entro le ore 24:00 del giorno di scadenza è generata la ricevuta di avvenuta accettazione, ove il deposito risulti, anche successivamente, andato a buon fine. Agli effetti dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12:00 dell'ultimo giorno consentito si considera effettuato il giorno successivo”.

Dal canto suo l'art 9 comma 3 All. 1 a sua volta prevede che il deposito degli atti e dei documenti effettuato a mezzo p.e.c. è tempestivo quando entro le ore 24 del giorno di scadenza è generata la ricevuta di avvenuta accettazione, ove il deposito risulti, anche successivamente, andato a buon fine, mentre il comma successivo dispone che nei casi in cui il codice preveda il deposito di atti o documenti sino al giorno precedente la trattazione di una domanda in camera di consiglio, il deposito effettuato con modalità telematiche deve avvenire entro le ore 12,00 dell'ultimo giorno consentito.

Va segnalata una recente pronuncia della Corte di Cassazione (ordinanza n° 1976/2021 pubblicata il 12 luglio 2021) riguardante il PCT, in cui si è ribadito che “il deposito telematico degli atti processuali si perfeziona quando viene emessa la seconda PEC, vale a dire la ricevuta di avvenuta consegna, da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia”, precisando altresì come deve considerarsi “diversa, invece, la funzione della terza e della quarta ricevuta trasmesse via PEC, riguardanti, rispettivamente, l'esito dei controlli automatici e di quelli manuali effettuati dalla cancelleria dell'ufficio giudiziario, controlli da cui non dipende la perfezione dell'effetto giuridico di deposito dell'atto, ma solo il caricamento di esso nel fascicolo telematico e la sua visibilità dalle altre parti del processo. Ne deriva che l'eventuale esito negativo dei successivi controlli telematici e manuali non fa venir meno tale effetto, ma determina al più la necessità di rinnovare la trasmissione delle buste telematiche contenenti l'atto stesso o i suoi allegati.”

Va rammentato che il comma 5 dell'art 7 dell'All. 2 D.P.C.S. invece stabilisce che “ai fini del rispetto dei termini processuali, una volta ricevuto il messaggio di cui al comma 4 (la cd terza pec con cui viene comunicata la «registrazione di deposito»), il deposito si considera effettuato nel momento in cui è stata generata la ricevuta di accettazione della PEC, di cui al comma 3, lettera a)”, che a sua volta prevede che “l'avvocato riceve automaticamente: a) dal proprio gestore, un messaggio PEC di avvenuta accettazione della PEC di deposito, con indicazione della data e dell'ora di accettazione; b) successivamente, dal gestore dell'amministrazione un messaggio di avvenuta consegna della PEC di deposito”.

Mentre infatti nel PCT la notifica si perfeziona con l'invio della seconda pec, nel PAT invece tale momento è retrodatato alla prima delle tre pec che l'avvocato riceve allorchè effettua un deposito.

Infine, nei casi in cui sia consentito il deposito tramite upload, il D.P.C.S. stabilisce che, ai fini del rispetto dei termini processuali, il deposito si considera effettuato nel momento in cui il S.I.G.A. ha effettuato la registrazione dell'invio, generando un messaggio di avvenuta ricezione, ma che il deposito si intende andato a buon fine solo con il successivo invio, da parte della Segreteria, del messaggio di avvenuto deposito, con l'indicazione del numero di protocollo dell'atto e il numero di R.G. del procedimento.

In evidenza

Sull'interpretazione da dare alle norme da ultimo richiamate si è registrato un contrasto tra diverse pronunce del giudice amministrativo.

Secondo infatti un primo orientamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 24 maggio 2018, n. 3136; C.G.A. 7 giugno 2018, n. 344) il deposito effettuato oltre le ore 12.00 dell'ultimo giorno utile ai fini del rispetto dei termini stabiliti dall'art. 73 c.p.a. dovrebbe considerarsi eseguito il giorno successivo, e sarebbe dunque tardivo; secondo invece un altro orientamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 1 giugno 2018, n. 3309; Consiglio di Stato, sez. III, 6 agosto 2018, n. 4833) il deposito telematico potrebbe essere fatto fino alle ore 24.00 dell'ultimo giorno utile e dovrebbe essere considerato perfezionato e tempestivo con riguardo al giorno a prescindere dall'ora, mentre la previsione che fa slittare al giorno successivo i depositi effettuati oltre le ore 12.00 dell'ultimo giorno starebbe solo a significare che, per le controparti, i termini per contestare gli atti depositati oltre le 12.00 decorrono dal giorno successivo, a garanzia del loro diritto di difesa.

Più di recente una parte della giurisprudenza (cfr. Tar Toscana, sez. III, 4 gennaio 2019, n. 7) ha ribadito che gli atti in scadenza possano essere depositati con modalità telematica fino alle ore 24.00 dell'ultimo giorno, sulla base della considerazione che il comma 2 dell'art. 4 disp. att, citato ha mantenuto fermo il termine delle ore 12.00 dell'ultimo giorno utile per i soli casi in cui il codice prevede il deposito di atti o documenti sino al giorno precedente la trattazione di una domanda in camera di consiglio, mentre invece manca la previsione di un obbligo di depositare entro le ore 12.00 in vista dell'udienza pubblica.

Tale giurisprudenza, a parere di chi scrive, sembra più coerente almeno con le previsioni di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 9 DPCS.

Al contrario secondo un'altra pronuncia (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1137/2020) l'apparente antinomia, rilevabile tra il primo ed il terzo periodo dell'art. 4, comma 4, disp. att. c.p.a., va risolta nel senso che il termine delle ore 24.00 per il deposito degli atti di parte vale solo per quegli atti processuali che non siano depositati in vista di una camera di consiglio o di un'udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data; invece, in presenza di una camera di consiglio o di un'udienza già fissata, il deposito effettuato oltre le ore 12.00 dell'ultimo giorno utile è inammissibile.

Le comunicazioni e le notifiche telematiche

Le comunicazioni di Segreteria, nei confronti di qualsivoglia soggetto tenuto per legge a dotarsi di un indirizzo pec, avvengono ora esclusivamente con modalità telematiche, agli indirizzi PEC risultanti dai pubblici elenchi; il comma 13 dell'art. 16 d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012) prevede oggi che, le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, siano eseguite esclusivamente mediante deposito in segreteria.

Più in generale, le regole tecniche del PAT prevedono che ogni qual volta la comunicazione a mezzo PEC non risulti andata a buon fine per cause imputabili al destinatario, come attestato dalla ricevuta di mancata consegna, la comunicazione si ha per eseguita presso la segreteria dell'ufficio giudiziario presso cui pende il ricorso, con il deposito del provvedimento nel fascicolo informatico.

Nel messaggio di posta elettronica certificata deve essere inserito l'atto da notificare e la relazione di notificazione e la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna.

Più in generale, va rammentato che l'art 45 del CAD (d.lgs. 82/2005) oggi prevede, in tema di trasmissione del documento informatico per via telematica, che lo stesso si intenda spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, mentre si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore; dunque il Legislatore, recependo la distinzione tra consegna e disponibilità, ha pertanto previsto che la consegna si abbia per avvenuta presso il server di posta, ove il destinatario può accedere per “scaricare” il documento.

Fondamentale dunque, ai fini del perfezionamento della comunicazione o della notifica, è che l'indirizzo cui sia effettuata la stessa sia tratto da un pubblico elenco.

Ai sensi dell'art. 16-ter d.l. 179/2012, dal 15 dicembre 2013 sono pubblici elenchi dai quali possono essere attinti gli indirizzi PEC dei destinatari delle notifiche telematiche: il ReGIndE, Registro Generale degli Indirizzi Elettronici, gestito dal Ministero della giustizia; il Registro delle Pubbliche Amministrazioni, gestito sempre dal Ministero della giustizia, che contiene gli indirizzi di Posta Elettronica Certificata delle Amministrazioni pubbliche (che dovevano essere comunicati entro il 30.11.2014 al Ministero della Giustizia); l'Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese (art. 6-quater CAD) (non ancora attivo) nel quale sono indicati i domicili eletti ai sensi dell'articolo 3-bis, comma 1-bis CAD (cioè i domicili digitali eletti dai cittadini che, quando presenti, diventano quelli cui le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi effettuano le comunicazioni in via esclusiva secondo quanto previsto dal CAD stesso); l'ANPR, l'anagrafe nazionale della popolazione residente (non ancora attiva), al cui completamento lo stesso art 6-quater CAD dispone che AgID provveda al trasferimento dei domicili digitali delle persone fisiche contenuti proprio nell'elenco del 6 quater nell'ANPR; il Registro delle Imprese; l'INI-PEC, l'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata istituito dal Ministero dello sviluppo economico che raccoglie tutti gli indirizzi di PEC delle Imprese e dei Professionisti presenti sul territorio italiano (art. 6-bis CAD); infine, dal 17 luglio 2020, con il decreto semplificazioni (d,l, 76/2020), l'Indice PA, l'Indice delle Pubbliche Amministrazioni (iPA), previsto dall'art. 6-ter del CAD, realizzato e gestito dall'AgID, che costituisce l'archivio ufficiale contenente i riferimenti organizzativi, telematici e toponomastici delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi.

Il decreto semplificazioni, dunque, oltre ad introdurre tra le altre cose tutta una serie di modificazioni in tema di domicilio digitale per garantirne quanto più possibile l'effettività – modificazioni importantissime, considerato che oggi, salvo che la legge disponga altrimenti, la comunicazione effettuata al domicilio digitale produce gli stessi effetti giuridici delle comunicazioni a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, quanto al momento della spedizione e del ricevimento, ed equivalgono alla notificazione per mezzo della posta -, ha da un lato provveduto, all'art. 26, a disciplinare la Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della Pubblica Amministrazione istituita dall'art. 1, comma 402, l. 27 dicembre 2019, n. 160 (cioè una piattaforma che opera come strumento unico per la notifica digitale di tutti gli atti della Pubblica Amministrazione di cui potranno avvalersi non solo le pubbliche amministrazioni ma anche i soggetti incaricati delle attività di riscossione dei tributi -solo limitatamente a tale attività- ai fini della notifica di atti, provvedimenti, comunicazioni e avvisi, in alternativa alle modalità previste da altre disposizioni di legge); dall'altro lato, con l'art. 28, ha previsto la validità, a tutti gli effetti, della notificazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale alla Pubblica Amministrazione priva di indirizzo inserito nell'elenco di cui all'art. 16, comma 12, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, che sia effettuata presso il domicilio digitale indicato nell'elenco previsto dall'art. 6-ter CAD (il c.d. “iPA”). In particolare, per l'ipotesi in cui nel predetto elenco risultino indicati, per la stessa amministrazione pubblica, più domicili digitali, si prevede che la notificazione sia effettuata presso l'indirizzo di posta elettronica certificata primario indicato, secondo le previsioni delle Linee guida di AgID, nella sezione ente dell'amministrazione pubblica destinataria.

A seguito della predetta modifica, pertanto, l'indice dei domicili digitali delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi (IPA) non rappresenta più solo l'elenco pubblico di fiducia contenente i domicili digitali da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per l'invio di documenti validi a tutti gli effetti di legge tra le Pubbliche Amministrazioni, i gestori di pubblici servizi e i privati, ma diventa nuovamente anche l'elenco da cui trarre gli indirizzi cui effettuare le notifiche telematiche nel caso in cui l'Amministrazione non abbia un indirizzo di posta certificata inserito nel “Registro PP.AA.”, istituito dall'art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012 citato, tenuto presso il Ministero della giustizia.

Va rammentato, infatti, che con il d.l. 90/2014 l'iPA era stato espunto dal novero dei pubblici elenchi cui potere attingere per effettuare le notifiche e comunicazioni; tale eliminazione, peraltro, aveva dato origine ad una serie di oscillanti pronunce sia da parte della giurisprudenza civile che amministrativa.

In evidenza

Il Consiglio di Stato in talune pronunce (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n.5877 del 12.10.2018, Sez V n.7076 del 12 dicembre 2018), si era espresso per la scusabilità dell'errore e la conseguente efficacia della notifica fatta presso l'indirizzo IPA, ma successivamente in un'altra pronuncia (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 7170 del 22.10.2019) aveva affermato che, nel caso in cui il ricorrente avesse notificato a un indirizzo ricavato da Indice PA o dal sito internet dell'Amministrazione, pur riconoscendo che l'indirizzo PEC risultante dal registro IPA non potesse ritenersi valido ai fini della notifica degli atti giudiziari alle P.A., aveva ritenuto che in tali fattispecie dovesse accordarsi il beneficio della rimessione in termini ex articolo 37 del c.p.a., in ragione delle oscillazioni giurisprudenziali registratesi sulla questione delle notifiche a mezzo pec da effettuare alle P.A., ed in particolare in ragione dell'esistenza di un indirizzo giurisprudenziale che aveva affermato la validità della notifica a mezzo posta elettronica certificata del ricorso effettuata all'Amministrazione all'indirizzo tratto dall'elenco presso l'Indice PA, vieppiù se l'amministrazione pubblica destinataria della notificazione telematica fosse rimasta inadempiente all'obbligo di comunicare altro e diverso indirizzo PEC da inserire nell'elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia.

Va anche detto, però, che la maggioritaria giurisprudenza non solo civile (cfr. ex multis Cass., 11 maggio 2018, n. 11574 o Cass., 9 gennaio 2019, n. 287, che ha espressamente affermato che “La notificazione dell'atto introduttivo a mezzo PEC all'Avvocatura dello Stato è nulla se effettuata a un indirizzo contenuto nel registro IPA, anche considerando che il predetto indirizzo è diverso da quello istituito per il processo telematico e inserito nel Registro PA. Né è idonea a integrare un'ipotesi di errore incolpevole la circostanza meramente allegata che in altri processi l'Avvocatura si era regolarmente costituita”), ma anche amministrativa ( Cfr., da ultimo, Cons. St., Sez. VI, 6 aprile 2020, n. 2256; Cons. St., Sez. III, 22 ottobre 2019, n. 71710; Cons. giust. amm. Sic., 12 aprile 2018, n. 217; Cons. St., Sez. III, 29 dicembre 2017, n. 6178; Tar Sicilia, Catania, Sez. stacc. di sez. I, 24 febbraio 2020, n. 474; Tar Basilicata, Sez. I, 17 settembre 2018, n. 621), partendo dalla circostanza dell'assenza dell'IPA tra i pubblici elenchi di cui all'art. 16-ter del d.l. citato, aveva invece ritenuto tout court nulla la notificazione a mezzo pec effettuata all'amministrazione presso un indirizzo tratto dall'IPA, ferma restando la sanabilità del vizio di notifica in caso di costituzione dell'amministrazione medesima, per raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c., cui rinvia l'art. 39, comma 2, c.p.a.

Dunque il decreto semplificazione, inserendo nuovamente l'IPA nel novero dei Pubblici elenchi ha di nuovo reso pienamente valida la notificazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale effettuata alla Pubblica Amministrazione priva di indirizzo inserito nell'elenco PPAA, effettuata presso il domicilio digitale indicato nell'elenco previsto dall'art. 6-ter CAD.

Da ultimo, non si può non dare conto del recente intervento della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 148 del 9 luglio 2021, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 44, comma 4, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (che nel previgente testo prevedeva che “Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza”) in materia di vizi del ricorso e della notificazione, limitatamente alle parole “se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante”.

La V Sezione del il Consiglio di Stato che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma, ha rilevato il possibile contrasto della stessa con una serie di principi costituzionali, in primis con quelli in materia di diritto di difesa, con il principio di effettività della tutela di cui all'art. 111 Cost. e del diritto ad un processo equo ai sensi dell'art. 6 CEDU, rilevando la contrapposizione tra il meccanismo delineato dall'art. 44, comma 4, c.p.a., e quanto previsto dalla disposizione dell'art. 291 c.p.c. che, subordinando la rinnovazione della notificazione, idonea ad impedire ogni decadenza al solo riscontro di una nullità, e, quindi, a prescindere da qualsivoglia valutazione della diligenza del notificante, incarna invece il principio di conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda.

Le censure sollevate in riferimento ai parametri costituzionali dettati dagli artt. 3, 24 e 113 Cost. sono state ritenute fondate dalla Corte Costituzionale che, nella sentenza citata, ha statuito che “la norma censurata sacrifica in modo irragionevole l'esigenza di preservare gli effetti sostanziali e processuali della domanda e conduce ad esiti sproporzionati rispetto al fine cui la norma stessa tende, cioè la garanzia e stabilità degli effetti giuridici, e l'interesse pubblico di pervenire in tempi brevi alla definizione del rapporto giuridico amministrativo”, dichiarando pertanto la norma stessa costituzionalmente illegittima limitatamente alle parole “ se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante ”

Ad oggi, pertanto, deve ritenersi che in tutti i casi di nullità della notifica (quindi anche nei casi in cui la notifica telematica sia indirizzata ad un indirizzo pec non tratto dai pubblici elenchi), anche nel processo amministrativo vada concesso il termine per rinnovare la notifica stessa, ad esclusione dei soli casi di inesistenza della notifica, che sappiamo tuttavia essere limitati alle sole ipotesi in cui la stessa sia eseguita da chi non ne aveva il potere o in un luogo o con consegna a persona che non hanno alcun collegamento col destinatario.

Quindi ad oggi deve pertanto ritenersi che la rinnovazione della notifica telematica non possa più essere disposta, oltre che nell'ipotesi in cui manchi la ricevuta di avvenuta consegna della stessa, ad esempio nel caso in cui la notifica telematica sia effettuata da un soggetto completamente privo del potere di effettuare la notifica (per esempio dall'avvocato mero domiciliatario Cfr ad esempio Cass. 21414/2014); tuttavia, al di là di queste ipotesi, in tutti gli altri casi di mera nullità della notifica dovrà sempre essere disposta la rinnovazione della stessa, con salvezza (ove effettuata nel termine concesso e sempre che ovviamente vada a buon fine) di tutti gli effetti della domanda.

Conclusioni

Le significative evoluzioni che negli ultimi anni hanno caratterizzato il settore della tecnologia delle comunicazioni hanno prodotto un significativo impatto anche in campo processuale oltre che, più in generale, nell'ambito dei procedimenti amministrativi, sotto plurimi profili; sicuramente i numerosi interventi normativi che hanno interessato non solo il PAT, ma più in generale il CAD e le stesse norme disciplinanti il procedimento amministrativo testimoniano lo sforzo del Legislatore di adeguare istituti e fattispecie nate in epoche non digitalizzate ai nuovi progressi tecnologici registrati negli ultimi anni, nella consapevolezza che un più elevato livello di digitalizzazione del processo e più in generale dell'Amministrazione pubblica sia fondamentale per migliorare la qualità dei servizi resi agli operatori della giustizia, ai cittadini e agli utenti.