Tribunali Amministrativi Regionali

Gabriele Carlotti
Gabriele Carlotti
21 Settembre 2022

Con l'istituzione del Tribunali amministrativi regionali, negli anni Settanta del secolo scorso, si è data attuazione all'art. 125 Cost., là dove è previsto che nelle regioni sono istituiti «organi di giustizia amministrativa di primo grado». In questo modo si è assicurata una risposta, a livello dei territori, alla accresciuta domanda di giustizia e di legalità amministrativa. I T.a.r. assicurano, in primo grado, una tutela giurisdizionale piena ed effettiva alle pretese che cittadini e imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione e costituiscono un fondamentale presidio contro l'illegittimo esercizio del potere autoritativo.
Inquadramento

Contenuto in fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

Ai Tribunali amministrativi regionali il codice del processo amministrativo dedica l'art. 5, dettandone l'essenziale disciplina di rilievo processuale. In particolare, si precisa che tali tribunali sono organi di giurisdizione amministrativa di primo grado; viene poi stabilita la composizione dei collegi giudicanti e, infine, si rinvia alla peculiare normativa relativa al Tribunale regionale di giustizia amministrativa per la Regione autonoma del Trentino-Alto Adige, contenuta nello statuto speciale della regione e nelle relative norme di attuazione.

Le previsioni ordinamentali sui tribunali amministrativi regionali invece, a livello primario, si rinvengono principalmente nella l. 27 aprile 1982, n. 186 e in altre leggi, precedenti e successive. La disciplina degli organi di giustizia amministrativa aventi sede nelle regioni a statuto speciale (il già ricordato Tribunale regionale di giustizia amministrativa per la regione autonoma del Trentino-Alto Adige, ma anche il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana quale sezione staccata del Consiglio di Stato) è stabilita da altre fonti, anche di rango costituzionale.

Fondamento costituzionale

L'istituzione dei T.a.r. trova fondamento nell'art. 125 Cost. (articolo composto ormai da un unico comma a seguito dell'abrogazione del suo originario primo comma, ai sensi dell'art. 9, comma 2, della l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3), in base al quale in ogni regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica. La previsione costituzionale stabilisce altresì che possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della regione. L'attuazione dell'art. 125 Cost. è avvenuta soltanto con la l. 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, le cui disposizioni processuali sono state abrogate per effetto dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo; come accennato, altre norme di carattere ordinamentale sono state dettate dalla l. 27 aprile 1982, n. 186, sull'ordinamento della giurisdizione amministrativa.

I tribunali amministrativi regionali sono organi di giustizia amministrativa di primo grado e, salvo alcune particolarità relative al Tribunale regionale di giustizia amministrativa per la regione autonoma del Trentino-Alto Adige (delle quali si darà conto nel prosieguo), hanno una competenza omogenea e generalizzata, ossia ad essi possono essere proposte tutte le azioni previste dal codice del processo amministrativo e su ogni materia rientrante nell'alveo della giurisdizione amministrativa. Le medesime competenze giurisdizionali ha il Consiglio di Stato, secondo il principio di parallelismo tra primo e secondo grado, desumibile dall'art. 38 c.p.a. (in base al quale il processo amministrativo segue il rito del primo grado anche nei gradi successivi, sebbene tali gradi — come l'appello — si svolgano avanti a un diverso organo di giustizia amministrativa). Con l'istituzione dei tribunali amministrativi regionali è stata data così attuazione anche al principio del doppio grado di giurisdizione.

Si ritiene, tuttavia, sulla base della giurisprudenza del Giudice delle leggi, che l'art. 125 Cost. abbia sì costituzionalizzato, con riferimento al giudizio amministrativo (a differenza di quello civile), il principio del doppio grado di giurisdizione, ma solo “verso l'alto”, nel senso cioè che la Costituzione non precluderebbe l'attribuzione al Consiglio di Stato di una cognizione in unico grado, mentre non consentirebbe di sottrarre all'impugnazione tutte le pronunce dei tribunali amministrativi regionali, cautelari o di merito.

Prima dell'istituzione dei tribunali amministrativi regionali, la situazione era profondamente diversa, in quanto le controversie amministrative erano prevalentemente trattate dal Consiglio di Stato, che agiva quale organo di giustizia amministrativa in unico grado (per le liti aventi ad oggetto gli atti statali). Il principio del doppio grado di giurisdizione aveva un'estensione applicativa molto circoscritta e riguardava soltanto alcune liti e, segnatamente, quelle proposte nei confronti degli atti degli enti locali e che venivano trattate dalle Giunte provinciali amministrative in sede giurisdizionale (istituite nel 1890) per materie limitate e per gli atti degli enti locali.

Nonostante quanto stabilito dalla V disp. trans. fin. Cost., tale assetto della giustizia amministrativa si conservò, pressoché inalterato, per molti anni dopo l'entrata in vigore della Costituzione, ancorché esso non fosse in linea con il dettato costituzionale, soprattutto per la dubbia natura giurisdizionale delle Giunte provinciali amministrative. Alla modifica del sistema contribuì grandemente la Corte costituzionale, la quale con una serie di sentenze, pronunciate nella seconda metà degli anni '60 del secolo scorso, demolì il precedente ordinamento delle Giunte provinciali amministrative, rendendo così improcrastinabile l'approvazione di una legge attuativa dell' art. 125 Cost., soprattutto dopo la breve e fallimentare esperienza delle Sezioni dei Tribunali amministrativi per il contenzioso elettorale (che furono istituite dalla l. 23 dicembre 1966, n. 1147/1966), giacché anche tali Sezioni risultarono non conformi ai principi enunciati dalla Corte costituzionale.

Va segnalato, inoltre, che la Corte costituzionale reputò «ordinatorio» il termine quinquennale stabilito dalla V disp. trans. fin. Cost. (Corte cost. 11 marzo 1957, n. 41). Inoltre, per quanto riguarda le pronunce che progressivamente dichiararono incostituzionali molte previsioni relative alle Giunte provinciali amministrative, vanno ricordate le seguenti in ordine cronologico: la sentenza della Corte cost. n. 93/1965, con la quale furono dichiarati costituzionalmente illegittimi, in riferimento all'art. 108, secondo comma, Cost., gli artt. 82 e 83 del Testo unico, approvato con d.P.R. n. 570/1960el'art. 43 l. n. 136/1956, nelle parti relative all'attività dei consigli comunali in materia di contenzioso elettorale (trattandosi di attività giurisdizionale svolta, però, da organi privi di indipendenza e imparzialità); la sentenza della Corte cost. n. 55/1966, con la quale furono dichiarate incostituzionali numerose norme sulle competenze giurisdizionali dei Consigli di Prefettura, per violazione del principio di indipendenza dei giudici; la sentenza della Corte cost. n. 30/1967, con la quale fu dichiarato incostituzionale l'art. 1 del d.lg.lt. 12 aprile 1945, n. 203, ancora sulla composizione delle Giunte provinciali amministrative in sede giurisdizionale, per contrasto con l'art. 101, secondo comma, Cost.; la sentenza della Corte cost. n. 33/1968, sempre sulle Giunte provinciali amministrative, con la quale furono dichiarate incostituzionali anche le norme sulla competenza della Giunta provinciale amministrativa in sede giurisdizionale, contenute nel Titolo I del r.d. n. 1058/1924.

I numerosi interventi demolitori del precedente sistema, dovuti alle richiamate sentenze della Corte costituzionale sopra ricordate resero necessario e urgente un intervento organico sulla Giustizia amministrativa, da realizzare attuando l'art. 125 Cost.

L' art. 125 Cost. ha, peraltro, una particolare collocazione nell'ambito della Costituzione, dal momento che, pur presentando un evidente collegamento con la giurisdizione, si trova nel Titolo V, sull'ordinamento delle autonomie territoriali regionali, provinciali e comunali, invece che nel Titolo IV, sulla magistratura. Tale topografia normativa, apparentemente eccentrica, si spiega con l'idea, coltivata dai Costituenti, di decentrare a livello substatale, all'insegna dei fondamentali principi ricavabili dall'art. 5 Cost., insieme alle competenze legislative e amministrative, anche quelle giurisdizionali. Del resto, il decentramento a livello regionale degli organi giurisdizionali avrebbe consentito — come la storia successiva ha testimoniato — un maggiore e migliore accesso alla Giustizia amministrativa, rafforzando l'effettività delle tutele nei confronti della pubblica amministrazione. Con il decentramento degli organi giurisdizionali amministrativi si sarebbe inoltre potuta canalizzare una forte e crescente domanda di giustizia, dovuta anche all'espandersi dei campi di intervento amministrativo dello Stato sociale.

Sebbene la peculiare collocazione della disposizione avesse inizialmente suscitato qualche perplessità circa l'esatta individuazione della competenza legislativa (statale o regionale) a disciplinare gli istituendi organi di giustizia amministrativa, il dubbio fu presto risolto nel senso di riconoscere la natura pienamente statale di detti organi, fatte salve alcune particolarità correlate alla autonomia costituzionale della regione Trentino-Alto Adige e, in misura minore, della regione Valle d'Aosta (particolarità delle quali si tratterà infra) e, con riferimento però all'organo di appello, della Regione Siciliana (si allude al succitato Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana).

Un'ultima notazione riguarda il secondo periodo dell'ormai unico comma dell'art. 125 Cost., ove si prevede la possibilità di istituire sezioni degli organi di giustizia amministrativa di primo grado, anche in sedi diverse dal capoluogo regionale. La previsione, che ha trovato attuazione con la legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, viene in rilievo soprattutto per la circostanza che essa impone al legislatore ordinario di istituire almeno un organo di giustizia amministrativa in ciascuna regione e che esso deve avere sede nel capoluogo regionale.

Va segnalato incidentalmente che, nel 2014, il Governo pensò di sopprimere alcune sedi distaccate dei tribunali amministrativi regionali. Più in dettaglio, con l' art. 18, commi 1 e 1-bis, del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, commi introdotti dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 114, si stabilì che, nelle more della rideterminazione dell'assetto organizzativo dei tribunali amministrativi regionali, a decorrere dal 1° luglio 2015, dovessero essere soppresse le sezioni staccate di tribunale amministrativo regionale aventi sede in comuni che non fossero sedi di corte d'appello, ad eccezione della Sezione autonoma della Provincia di Bolzano. Al contempo il Governo, sentito il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, entro il 28 febbraio 2015, avrebbe dovuto presentare alle Camere una relazione sull'assetto organizzativo dei tribunali amministrativi regionali, comprendente un'analisi dei fabbisogni, dei costi delle sedi e del personale, del carico di lavoro di ciascun tribunale e di ciascuna sezione, nonché del grado di informatizzazione. Sennonché, a seguito di un vivace dibattito pubblico, emerse che la soppressione delle sedi staccate individuate sulla base del predetto criterio legislativo (di fatto, soltanto tre) non avrebbe comportato alcun rilevante aumento dell'efficienza dei tribunali amministrativi regionali, mentre avrebbe sensibilmente vulnerato l'aspettativa dei cittadini a un vicino e agevole accesso alla Giustizia. I predetti commi dell'art. 18 del d.l. n. 90/2014 furono, dunque, abrogati giusta l'art. 20, comma 1, lett. a), del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2015, n. 132.

L'istituzione dei tribunali amministrativi regionali

All' art. 125 Cost. si diede attuazione, come già accennato, con la l. n. 1034/1971, recante l'istituzione dei tribunali amministrativi regionali. La legge disciplinò sia gli aspetti ordinamentali (istituzione competenze e composizione) dei nuovi organi di giustizia amministrativa sia le norme di procedura dei giudizi; in particolare, questa seconda parte, che non brillò per completezza e organicità (giacché gli interpreti furono costretti a ricostruire la normativa di primo grado spesso ricorrendo, nei limiti della compatibilità, alla disciplina dettata per il Consiglio di Stato, ove compatibile, come disponeva l'art. 19, comma 1, della legge), è stata più volte modificata negli anni successivi (soprattutto ad opera della l. n. 205/2000, contenente disposizioni in materia di giustizia amministrativa) ed è stata poi in gran parte abrogata con l'entrata in vigore dell'attuale Codice.

L'insediamento dei tribunali amministrativi regionali, in conseguenza del tempo occorso per espletare i concorsi banditi per il reclutamento dei magistrati, per organizzare le sedi e per reperire il personale di segreteria, avvenne soltanto il 1° gennaio 1974, mentre le sedi staccate iniziarono a funzionare tra la fine del 1976 e l'inizio del 1980. Infine il Tribunale di giustizia amministrativa di Trento cominciò la sua attività il 12 maggio 1986, mentre la Sezione autonoma di Bolzano si insediò il 20 marzo 1989.

Conserva qualche utilità esaminare il materiale normativo della legge n. 1034/1971, tuttora vigente. La legge ha istituito, si sopra ricordato, i tribunali amministrativi regionali quali organi di giustizia amministrativa di primo grado, aventi circoscrizione regionale e sede nei capoluoghi di regione. In alcune regioni sono state altresì istituite “sezioni staccate” aventi sedi in capoluoghi di provincia differenti dal capoluogo regionale, le cui rispettive sedi sono state inizialmente individuate con il d.P.R. n. 277/1975. Attualmente le sezioni staccate sono otto (Brescia, Parma, Pescara, Latina, Salerno, Lecce, Reggio Calabria e Catania); in più, occorre tener conto della Sezione autonoma di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa della regione autonoma Trentino-Alto Adige, sezione soggetta a un regime giuridico del tutto particolare e una specifica disciplina legislativa (che sarà approfondita infra), in ragione del bilinguismo che caratterizzata lo statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige. Prevede, inoltre, l'art. 6 della l. n. 186/1982, sull'ordinamento della giurisdizione amministrativa, che le sezioni staccate dei tribunali amministrativi regionali siano istituite per legge.

Merita di essere segnalato che, in origine, l' art. 40 della l. n. 1034/1971, non attribuiva al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia una competenza generale, al pari di tutti gli altri tribunali, ma ne limitava la cognizione solo agli atti degli organi regionali e infraregionali, circoscrivendo, correlativamente, anche i poteri cognitori e decisori del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (organo competente funzionalmente per la decisione sulle impugnazioni dei provvedimenti adottati dal medesimo tribunale). Sennonché la Corte costituzionale, con la sentenza del 12 marzo 1975, n. 61, dichiarò incostituzionale detta previsione e, conseguentemente, anche il tribunale isolano acquisì la stessa competenza generalizzata propria degli altri tribunali amministrativi regionali.

Sono state istituite, con la medesima l. n. 1034/1971, anche tre sezioni del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sulla base dell'evidente considerazione che, presso detto tribunale, anche in applicazione dei criteri di riparto della competenza fissati dagli abrogati artt. 2 e 3 della legge, si sarebbe concentrato un consistente contenzioso (art. 1, l. n. 1034/1971). L'istituzione, per legge, ha reso queste sezioni del tribunale amministrativo per il Lazio differenti dalle sezioni c.d. «interne» degli altri tribunali (va segnalato che pure il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio è comunque articolato in ulteriori, ordinarie sezioni interne che, per distinguerle da quelle istituite per legge, sono individuate aggiungendo all'ordinale della sezione principale gli avverbi numerali latini; ad esempio, sez. I-bis, sez. I-ter, ecc.), risultando esse assimilate, per alcuni aspetti ordinamentali, ad autonomi tribunali (così per quanto riguarda la nomina dei relativi presidenti). Va segnalato che, con l'art. 22, comma 1, d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 8/2020, sono state istituite altre due sezioni, sicché il numero delle sezioni «esterne» del tribunale è stato portato a cinque.

Si prevede poi che i presidenti dei tribunali amministrativi regionali siano nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri (art. 9, l. n. 1034/1971).

L'art. 18 della. l. n. 1034/1971 ha anche previsto la costituzione, presso ogni tribunale amministrativo regionale, di un ufficio di segreteria, diretto da un segretario generale.

L'istituzione dei tribunali amministrativi regionali comportò delle conseguenze anche per il Consiglio di Stato che, da giudice chiamato a decidere prevalentemente in unico grado, divenne il naturale giudice di appello (e di «ultimo grado» della Giustizia amministrativa, come recita il comma 1 dell' art. 6 c.p.a.), fatte salve poche, residue eccezioni in cui esso continua tuttora a decidere in unico grado.

Va tenuto presente che, sul piano ordinamentale, molte disposizioni della l. n. 1034/1971 sono state integrate da quelle contenute nella l. n. 186/1982, sull'ordinamento della giurisdizione amministrativa (che ha completato l'assetto della Magistratura amministrativa). Occorre inoltre considerare il d.P.R. n. 214/1973, che reca il regolamento di esecuzione della l. n. 1034/1971, disciplina ulteriori aspetti ordinamentali (tra questi, ad esempio, lo svolgimento del concorso per referendario dei tribunali amministrativi regionali).

La composizione dei tribunali amministrativi regionali

La composizione dei tribunali amministrativi regionali è stabilita dall' art. 6 della l. n. 186/1982 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria e ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali). La disposizione prevede che i tribunali amministrativi regionali siano composti da: presidenti di tribunale, consiglieri, primi referendari e referendari (secondo la tabella A allegata alla legge). I tribunali amministrativi regionali possono essere divisi in più sezioni, ciascuna composta da non meno di cinque magistrati. Nei tribunali divisi in sezioni, il presidente del tribunale presiede la prima sezione; le altre sezioni, ivi comprese quelle staccate, sono presiedute da un consigliere di tribunale amministrativo regionale, al quale le funzioni (non già la qualifica) di presidente di sezione (interna) sono conferite, con il consenso, dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, tenuto conto anche dell'ordine risultante dal ruolo di anzianità. In ragione della loro peculiare natura (assimilabile, come accennato, a quella di autonomi tribunali; v. supra) l'art. 6 della l. n. 186/1982 stabilisce altresì che le sezioni istituite nel tribunale amministrativo regionale del Lazio siano presiedute da presidenti di tribunale amministrativo regionale, così configurando le sezioni «esterne» del T.a.r. per il Lazio quasi alla stregua di autonomi tribunali.

La composizione dei collegi giudicanti

In base all'art. 5 c.p.a. e all'art. 6, comma 6, della l. n. 186/1982, i tribunali decidono con l'intervento di tre magistrati (fatta eccezione per le decisioni della Sezione autonoma di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa della Regione Trentino-Alto Adige, i cui collegi sono composti da quattro magistrati), compreso il presidente e che, in mancanza del presidente, il collegio è presieduto dal magistrato con la maggiore anzianità nel ruolo. Al riguardo, l'ultimo comma del citato art. 6 della l. n. 186/1982 precisa che, in caso di assenza o di impedimento del presidente del tribunale amministrativo regionale o del presidente di una sezione dello stesso e anche nel caso della vacanza temporanea, le funzioni di presidente siano esercitate dal magistrato che ricopre la più elevata qualifica (ossia, in ordine decrescente, consigliere, primo referendario, referendario) e, in caso di parità, dal più anziano nella qualifica.

Qualora, invece, sia assente o impedito un magistrato diverso dal presidente si applica l' art. 7 del d.P.R. n. 214/1973 (Regolamento di esecuzione della l. 6 dicembre 1971, n. 1034), in tema di supplenze dei magistrati dei tribunali amministrativi regionali, secondo cui, se nella sede di un tribunale amministrativo regionale o nella sezione staccata manca o è impedito alcuno dei magistrati necessari per costituire il collegio giudicante, il presidente designa a supplirlo un magistrato rispettivamente assegnato alla sezione staccata o alla sede del tribunale (se gli stessi eventi riguardino, invece, uno dei magistrati delle sezioni del tribunale amministrativo regionale del Lazio, aventi sede in Roma, il presidente del tribunale designa a supplirlo un magistrato assegnato ad altra sezione).

Anche per i tribunali amministrativi regionali vale, dunque, il principio della collegialità. A differenza, infatti, di quanto previsto per il giudice civile, quello amministrativo, sia in primo sia in secondo grado, decide sempre in composizione collegiale. Ed invero, sebbene il Codice contempli anche talune competenze monocratiche (ad esempio, allocate in capo al presidente o ad un suo delegato, come stabilisce l'art. 55 c.p.a., in materia di misure cautelari monocratiche), tali competenze non si estendono mai alla decisione conclusiva della fase cautelare o dell'intera causa, fatte salve le ipotesi di cui all'art. 85 c.p.a. Al singolo magistrato sono, infatti, attribuiti esclusivamente compiti di natura istruttoria o, comunque, soltanto poteri il cui esercizio si estrinseca nell'adozione di provvedimenti ad efficacia provvisoria e non idonei a definire la controversia.

L'eventuale violazione delle regole sulla composizione dei collegi (si pensi alle ipotesi, per lo più di scuola, di un collegio composto da un numero di giudici differente da tre o che, in mancanza del presidente, non sia presieduto dal magistrato più anziano nel ruolo) comporta, come conseguenza, la nullità insanabile di tutti gli atti compiuti dal collegio irritualmente formato. Tanto si desume dall' art. 158 c.p.c., secondo cui, per l'appunto, la nullità (che non rende, tuttavia, inesistente la sentenza eventualmente pronunciata) derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice è insanabile e deve essere rilevata d'ufficio, sebbene poi detta nullità (almeno quella relativa alla irrituale composizione dei collegi giudicanti dei tribunali amministrativi regionali) si converta in un motivo di appello, a norma dell' art. 161, primo comma, c.p.c. L' art. 158 c.p.c. è, difatti, all'evidenza espressione di un principio generale del diritto processuale e, come tale, esso è applicabile anche al giudizio amministrativo, a norma dell' art. 39, comma 1, c.p.a.

Oltre al caso del differente numero dei magistrati partecipanti al collegio giudicante, la giurisprudenza ha individuato altre ipotesi di nullità conseguenti a violazioni relative alla composizione del giudice come quelle dovute alla nomina o alla capacità dei magistrati o all'applicazione delle norme sull'astensione e sulla ricusazione.

Va, tuttavia, segnalato che la Corte di cassazione (Cass., S.U., n. 5414/2004) ha distinto, anche ai fini delle conseguenze processuali, l'ipotesi del difetto del potere di decidere del magistrato - in conseguenza di vizi relativi alla sua qualità o nomina o quando si tratti di persona estranea all'ufficio giurisdizionale (Cass. I, n. 12969/2004) - che integra un caso di vizio della costituzione del giudice, dal difetto di giurisdizione che ricorre, invece, allorquando vi sia (come nel caso del collegio composto da un numero di magistrati diverso da quello stabilito dalla legge) una differenza strutturale del giudice rispetto al modello previsto dalla legge.

Il Supremo Collegio ha altresì affermato (Cass., Sez. II, n. 12409/2014) che la nullità derivante da vizio di costituzione del giudice, ancorché assoluta e rilevabile d'ufficio, si converte in motivo di impugnazione così che l'eventuale mancata impugnazione oppure l'omessa denuncia della nullità in sede di gravame comporta l'impossibilità di rilevarla e la conseguente sanatoria.

È invece nulla, per vizio di costituzione del giudice, la sentenza (Cass., Sez. III, n. 19214/2015) sottoscritta dal presidente, come estensore, ma priva dell'indicazione del nome degli altri magistrati del collegio decidente.

Sempre con riferimento alla composizione del collegio giudicante stabilisce l'art. 6 della l. n. 186/1982 che il presidente del tribunale amministrativo regionale, all'inizio di ogni anno, fissa il calendario delle udienze e, all'inizio di ogni trimestre, la composizione dei collegi (in base ai criteri di massima stabiliti dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa). Analogamente, nei tribunali amministrativi regionali divisi in sezioni, il presidente del tribunale, all'inizio di ogni anno, stabilisce la composizione di ciascuna sezione (sempre in base a criteri fissati dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa onde assicurare l'avvicendamento dei magistrati tra le sezioni stesse) e il calendario delle udienze, nonché, all'inizio di ogni trimestre, la composizione dei collegi giudicanti. La regola della preventiva indicazione, all'inizio di ogni anno, della composizione dei collegi attua, alla stessa stregua delle norme sul riparto di giurisdizione e di competenza, il principio della precostituzione del giudice naturale, sancito dal primo comma dell'art. 25 Cost. e, al contempo, la previsione rafforza ulteriormente la terzietà dell'organo giudicante, coessenziale all'esercizio della funzione giurisdizionale.

Il reclutamento dei magistrati e la progressione in carriera. Lo status di magistrato amministrativo

La disciplina del reclutamento dei magistrati dei tribunali amministrativi regionali, la cui pianta organica prevede complessivamente circa 460 unità per l'intero territorio nazionale, è contenuta nell' art. 16 della l. n. 186/1982, secondo cui i posti di referendario (prima qualifica della carriera) sono conferiti in base a pubblico concorso per titoli ed esami, al quale possono partecipare i cittadini italiani appartenenti alle seguenti categorie (art. 14 della l. n. 1034/1971):

1) i magistrati ordinari, i magistrati amministrativi e della giustizia militare di qualifica equiparata;

2) gli avvocati dello Stato e i procuratori dello Stato con qualifica non inferiore a sostituti procuratori dello Stato;

3) i dipendenti dello Stato muniti della laurea in giurisprudenza, con qualifica non inferiore a direttore di sezione ed equiparata, con almeno cinque anni di effettivo servizio di ruolo nella carriera direttiva;

4) gli assistenti universitari di ruolo alle cattedre di materie giuridiche, con almeno 5 anni di servizio;

5) i dipendenti delle regioni, degli enti pubblici a carattere nazionale e degli enti locali, muniti della laurea in giurisprudenza, che siano stati assunti attraverso concorsi pubblici ed abbiano almeno cinque anni di servizio effettivo di ruolo nella carriera direttiva;

6) gli avvocati iscritti all'albo da otto anni;

7) i consiglieri regionali, provinciali e comunali, muniti della laurea in giurisprudenza, che abbiano esercitato tali funzioni per almeno cinque anni;

8) gli ex-componenti elettivi delle giunte provinciali amministrative, muniti di laurea in giurisprudenza, che abbiano esercitato le funzioni per almeno cinque anni.

Il concorso per referendario dei tribunali amministrativi regionali è disciplinato dagli artt. 14 e ss. del d.P.R. n. 214/1973 (Regolamento di esecuzione della l. n. 1034/1971), in base al quale, una volta pubblicato il relativo bando, le domande di ammissione al concorso debbono essere presentate alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (che, per i magistrati amministrativi assolve essenzialmente alle medesime funzioni svolte dal Ministero della giustizia in relazione ai magistrati ordinari). L'eventuale esclusione del concorso per difetto dei requisiti prescritti è disposta con decreto motivato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa. La commissione esaminatrice, nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, è presieduta da un presidente di sezione del Consiglio di Stato (o qualifica equiparata), da un consigliere di Stato, da un consigliere di tribunale amministrativo regionale e da due professori universitari ordinari di materie giuridiche.

Per quanto riguarda la progressione in carriera dei magistrati dei tribunali amministrativi regionali, l'art. 13 della l. n. 1034/1971 stabilisce che essi si distinguono in consiglieri, primi referendari e referendari. A tali qualifiche va aggiunta quella di presidente di tribunale amministrativo regionale.

I referendari, al compimento di quattro anni di anzianità nella qualifica, conseguono la nomina a primo referendario, previo giudizio di non demerito espresso dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa e secondo l'ordine di precedenza risultante dal ruolo di anzianità (art. 17, l. n. 186/1982). Analogamente i primi referendari, al compimento di quattro anni di anzianità nella qualifica, conseguono la nomina a consigliere di tribunale amministrativo regionale. La nomina ha luogo previo giudizio di non demerito espresso dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa e secondo l'ordine di precedenza risultante dal ruolo di anzianità (art. 18, l. n. 186/1982). In entrambi i casi alla nomina si provvede con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e la nomina produce effetti giuridici ed economici dal giorno in cui il magistrato abbia maturato l'anzianità prescritta.

Una volta divenuti consiglieri, i magistrati dei tribunali amministrativi regionali e maturata una certa anzianità di servizio possono scegliere di concorrere per un posto di presidente di tribunale amministrativo regionale (o di una delle sezioni del T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, istituite per legge) oppure possono scegliere di transitare nel Consiglio di Stato, in base a quanto stabilito dall' art. 19, primo comma, n. 1, della l. n. 186/1982, secondo cui tale passaggio è ammesso per i consiglieri di tribunale amministrativo regionale che ne abbiano fatto domanda e che abbiano almeno quattro anni di effettivo servizio nella qualifica. La nomina a consigliere di Stato ha luogo previo giudizio favorevole espresso dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, a maggioranza dei suoi componenti.

Ai consiglieri di tribunale amministrativo regionale possono anche essere attribuite le funzioni di presidente di una sezione c.d. «interna», ma in questo caso rimanendo nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale.

Stabilisce l'art. 21 della l. n. 186/1982 che i consiglieri di tribunale amministrativo regionale, al compimento di otto anni di anzianità, conseguono la nomina alla qualifica di presidente di tribunale amministrativo regionale, previo giudizio di idoneità espresso dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, sulla base di criteri predeterminati che tengano conto in ogni caso dell'attitudine all'ufficio direttivo e dell'anzianità di servizio. Limitatamente al conferimento della qualifica di presidente di tribunale amministrativo regionale viene computata l'anzianità maturata nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale.

La nomina a presidente di tribunale amministrativo regionale comporta l'obbligo, per il nominato, di permanere nella sede di assegnazione per un periodo non inferiore a tre anni, salvo il caso di trasferimento d'ufficio disposto in applicazione delle norme in materia; per lo stesso periodo non è consentito il collocamento fuori ruolo del magistrato. La nomina può non essere disposta nei confronti di magistrati il cui periodo di permanenza in servizio, fino al collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, sia inferiore a tre anni dalla data di conferimento dell'incarico.

I magistrati dei tribunali amministrativi regionali possono rinunciare al turno di conferimento delle funzioni direttive; in questo caso il conferimento delle funzioni può essere disposto nei turni successivi, fermo il limite dei posti disponibili, con il consenso degli interessati e con collocamento in ruolo nella stessa posizione che avrebbero occupato in mancanza di rinuncia.

Il ruolo del personale della magistratura amministrativa è disciplinato dall' art. 23, l. n. 186/1982, in base al quale i magistrati sono collocati, secondo l'ordine seguente:

1) nella qualifica di presidente del Consiglio di Stato, il presidente del Consiglio di Stato (va considerata anche la qualifica di Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, introdotta dall' art. 6-bis, comma 2, del d.l. 24 dicembre 2003, n. 354);

2) nelle qualifiche di presidente di sezione del Consiglio di Stato ed equiparate, i magistrati del Consiglio di Stato con qualifica di presidente di sezione;

3) nella qualifica di consigliere di Stato, i consiglieri del Consiglio di Stato;

4) nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale, i consiglieri di tribunale amministrativo regionale;

5) nelle qualifiche di primo referendario e di referendario, i primi referendari e i referendari dei tribunali amministrativi regionali.

Ai magistrati amministrativi, sia dei tribunali amministrativi regionali sia del Consiglio di Stato, la legge riconosce un particolare status giuridico, per molti versi analogo a quello dei magistrati ordinari, la cui ratio ispiratrice va ricercata nell'esigenza di assicurarne l'indipendenza e la terzietà.

A proposito di tale peculiare status occorre segnalare che il trasferimento in altra sede dei magistrati dei tribunali amministrativi regionali (la specificazione è necessaria dal momento che l'unica sede di servizio dei consiglieri di Stato è in Roma, anche per quei consiglieri destinati al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, i quali prestano la loro attività in Palermo, fatta eccezione per i c.d. «laici» del Consiglio isolano la cui unica, possibile sede di servizio è, invece, Palermo) può essere disposto, su parere del Consiglio di Presidenza: a) su domanda; b) in seguito ad avanzamento; c) in seguito all'insorgere di una situazione di incompatibilità prevista dalla legge; d) per variazione nel numero dei magistrati da assegnare ai vari tribunali.

I magistrati amministrativi non possono essere in alcun caso chiamati ad esercitare funzioni o ad espletare compiti diversi da quelli istituzionali. Ad essi si estendono le altre cause di incompatibilità e le cause di ineleggibilità previste per i magistrati ordinari.

In ordine al regime delle guarentigie, l'art. 24 della l. n. 186/1982 prevede che i magistrati amministrativi non possano essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altra sede o funzione se non a seguito di deliberazione del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, adottata o con il loro consenso o per i motivi stabiliti dalla legge.

I trasferimenti d'ufficio dei magistrati amministrativi possono essere disposti esclusivamente nelle ipotesi e con i criteri stabiliti dalla legge. Qualora un tribunale amministrativo regionale non possa funzionare per mancanza del numero di magistrati necessari a formare il collegio giudicante, il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa provvede mediante invio in missione, con il loro consenso, di magistrati che prestino servizio presso altro tribunale. In difetto si provvede d'ufficio nell'ambito dei tribunali più vicini, seguendo il criterio della minore anzianità nella qualifica (art. 25, l. n. 186/1982).

I magistrati dei tribunali amministrativi regionali hanno l'obbligo di risiedere stabilmente in un comune della regione ove ha sede l'ufficio presso il quale esercitano le loro funzioni (art. 26, l. n. 186/1982). Tale regola — alla quale in ogni caso si può derogare, a domanda e con l'autorizzazione del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa — si applica ai Consiglieri di Stato la cui unica sede di servizio è in Roma (come già accennato, anche per i consiglieri di Stato destinati al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana).

Si applicano (art. 27, l. n. 186/1982) ai magistrati amministrativi le disposizioni previste per i magistrati ordinari in materia di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età (attualmente al compimento dei 70 anni).

Ai magistrati amministrativi si applicano, anche per quanto riguarda l'esercizio di compiti diversi da quelli istituzionali e l'accettazione di incarichi di qualsiasi specie, le cause di incompatibilità e di ineleggibilità previste per i magistrati ordinari (art. 28, l. n. 186/1982).

Si applicano, infine, ai magistrati amministrativi le norme di legge previste per i magistrati ordinari in materia di trattamento economico onnicomprensivo, di prima sistemazione e di trasferimento, nonché di indennità di missione (art. 30, l. n. 186/1982). I consiglieri di tribunale amministrativo regionale (ma anche i consiglieri di Stato), al compimento dell'anzianità di otto anni nella qualifica, conseguono il trattamento economico inerente alla qualifica di magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori (art. 21, sesto comma, l. n. 186/1982). Sotto questo profilo va, dunque, osservato che la carriera economica dei magistrati amministrativi è più rapida di quella dei magistrati ordinari. In ogni caso il trattamento retributivo dei magistrati amministrativi non può mai superare il limite massimo lordo annuo corrispondente alla retribuzione del Primo Presidente della Corte di cassazione (art. 13, comma 2, d.l. 24 aprile 2014, n. 66), ancorché di recente per tale soglia massima sia stato introdotto un meccanismo di aggiornamento nel tempo (art. 1, comma 68, l. n. 234/2021), in relazione agli incrementi medi conseguiti nell'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati, come calcolati dall'ISTAT.

Il collocamento fuori ruolo dei magistrati amministrativi può essere disposto soltanto per i magistrati che abbiano svolto funzioni di istituto per almeno quattro anni. La permanenza fuori ruolo non può avere durata superiore a tre anni consecutivi e non è consentito, dopo il triennio, un nuovo collocamento fuori ruolo se non dopo due anni di effettivo esercizio delle funzioni di istituto. È consentito il collocamento fuori ruolo solo per lo svolgimento di funzioni giuridico-amministrative presso le amministrazioni dello Stato, ovvero enti od organismi internazionali (art. 29, l. n. 186/1982). In tema di collocamento fuori ruolo occorre considerare anche i limiti stabiliti dalla c.d. «Legge Severino» (l. n. 190/2012), il cui art. 1, comma 68, dispone che i magistrati, inclusi quelli amministrativi, non possono essere collocati in posizione di fuori ruolo per un tempo che, nell'arco del loro servizio, superi complessivamente dieci anni, anche continuativi e, tuttavia, il predetto collocamento non può determinare alcun pregiudizio con riferimento alla posizione rivestita nei ruoli di appartenenza.

I magistrati amministrativi possono svolgere incarichi estranei alle funzioni istituzionali purché consentiti dal d.P.R. n. 418/1993, recante il regolamento recante norme sugli incarichi dei magistrati amministrativi, ai sensi dell'art. 58, comma 3, del d.lgs. n. 29/1993. La sunnominata «Legge Severino» (art. 1, comma 18, l. n. 190/2012) ha aggiunto il divieto, anche per i magistrati amministrativi, pena la decadenza dagli incarichi e la nullità degli atti compiuti, della partecipazione a collegi arbitrali o l'assunzione di incarico di arbitro unico.

Si è sopra accennato alla circostanza che, a differenza di quella Ordinaria (il cui referente amministrativo è il Ministro della giustizia), la Magistratura amministrativa fa riferimento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Al riguardo ha osservato la dottrina che, dal punto di vista organizzativo, i tribunali amministrativi regionali (al pari del Consiglio di Stato) non facciano parte dell'ordine giudiziario e che conservino una dipendenza funzionale (ma non gerarchica) dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

In particolare, il Presidente del Consiglio dei Ministri esercita l'alta sorveglianza su tutti gli uffici e su tutti i magistrati e riferisce annualmente al Parlamento con una relazione sullo stato della giustizia amministrativa e sugli incarichi. Il presidente del Consiglio di Stato esercita la vigilanza su tutti gli uffici e su tutti i magistrati. I magistrati con funzioni direttive esercitano la vigilanza sugli uffici ai quali siano preposti e sui magistrati che ne facciano parte (art. 31, l. n. 186/1982).

Al Presidente del Consiglio dei Ministri spetta anche la titolarità dell'azione disciplinare. Il procedimento disciplinare contro un magistrato amministrativo è, difatti, promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal presidente del Consiglio di Stato. Il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, nel termine di 10 giorni dal ricevimento della richiesta di apertura di procedimento disciplinare, affida ad una commissione, composta da tre dei suoi componenti, l'incarico di procedere agli accertamenti preliminari da svolgersi entro 30 giorni. Sulla base delle risultanze emerse, il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa provvede a contestare i fatti al magistrato con invito a presentare entro 30 giorni le sue giustificazioni, a seguito delle quali, ove non ritenga di archiviare gli atti, incarica la commissione prevista dal secondo comma di procedere alla istruttoria, che deve essere conclusa entro 90 giorni con deposito dei relativi atti presso la segreteria del Consiglio di presidenza. Di tali deliberazioni deve essere data immediata comunicazione all'interessato. Il presidente del Consiglio di Stato fissa la data della discussione dinanzi al Consiglio di presidenza con decreto da notificarsi almeno 40 giorni prima all'interessato, il quale può prendere visione ed estrarre copia degli atti e depositare le sue difese non oltre 10 giorni prima della discussione. Nella seduta fissata per la trattazione svolge la relazione il componente della commissione più anziano della qualifica (che si occupa degli accertamenti preliminari). Il magistrato incolpato ha per ultimo la parola e ha facoltà di farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato (artt. 33,34, l. n. 186/1982).

Per quanto non diversamente disposto dalla l. n. 186/1982 si applicano ai magistrati le norme previste per i magistrati ordinari in materia di sanzioni disciplinari e del relativo procedimento (art. 32, l. n. 186/1982). Sennonché l'art. 30 del d.lg. 23 febbraio 2006, n. 109, recante la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché la modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, ha previsto che il medesimo decreto legislativo non trovi applicazione ai magistrati amministrativi. A questi, pertanto, continua ad applicarsi il r.d.lgt. 31 maggio 1946, n. 511, ossia la legge sulle guarentigie della magistratura.

Va segnalato che la Corte costituzionale, con sentenza del 27 marzo 2009, n. 87 ha dichiarato l'illegittimità del comma 2 dell'art. 34 della l. 27 aprile 1982, n. 186 e dell'art. 10, comma 9, della l. 13 aprile 1988, n. 117, nella parte in cui le predette disposizioni escludevano che il magistrato amministrativo, sottoposto a procedimento disciplinare, potesse farsi assistere da un avvocato.

Una norma speciale, originariamente dettata per i soli consiglieri di Stato (ma applicabile a tutti i magistrati amministrativi, in forza del rinvio contenuto nell'art. 13, comma 3, della l. n. 186/1982), è contenuta nell' art. 5 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (testo unico delle legge sul Consiglio di Stato), secondo cui i magistrati amministrativi non possono essere rimossi, né sospesi, né collocati a riposo d'ufficio, né allontanati in qualsivoglia altro modo, se non nei casi e con l'adempimento delle condizioni seguenti:

1) non possono essere destinati ad altro pubblico ufficio, se non con loro consenso;

2) non possono essere collocati a riposo di ufficio, se non quando, per infermità o per debolezza di mente, non siano più in grado di adempiere convenientemente ai doveri della carica;

3) non possono essere sospesi, se non per negligenza nell'adempimento dei loro doveri o per irregolare e censurabile condotta;

4) non possono essere rimossi dall'ufficio, se non quando abbiano ricusato di adempiere ad un dovere del proprio ufficio imposto dalle leggi o dai regolamenti; quando abbiano dato prova di abituale negligenza, ovvero, con fatti gravi, abbiano compromessa la loro riputazione personale o la dignità del collegio al quale appartengono.

I provvedimenti in ogni caso debbono essere emanati, udito il parere del Consiglio di Stato in adunanza generale e dopo la deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il parere dell'Adunanza generale è chiesto dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa.

Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa per la regione autonoma del Trentino-Alto Adige

Alcune particolarità di carattere ordinamentale si registrano per il Tribunale di giustizia amministrativa per la regione autonoma del Trentino-Alto Adige la cui composizione e il cui funzionamento sono disciplinati dallo statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige e dalle relative norme di attuazione, atti normativi aventi forza e valore superiore alla legge ordinaria.

La peculiare posizione del Tribunale regionale di giustizia amministrativa è, infatti, il portato dello statuto regionale, la cui specialità trova giustificazione nella storia e nella particolare situazione etnica e linguistica dei territori trentino e altoatesino.

Il fondamento costituzionale del Tribunale regionale di giustizia amministrativa non va dunque rinvenuto unicamente nell'art. 125 Cost., ma nel d.P.R. n. 670/1972, recante l'approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e, segnatamente, negli artt. 90, 91, 92 e 93 del decreto. Si segnala che l'art. 93 del d.P.R. n. 670/1972 è stato novellato dall'art. 7, comma 1, della l. cost. 4 dicembre 2017, n. 1, e ora prevede che le sezioni del Consiglio di Stato investite dei giudizi d'appello sulle decisioni dell'autonoma sezione di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa siano sempre integrate da un consigliere appartenente al gruppo di lingua tedesca ovvero al gruppo di lingua ladina della provincia di Bolzano; diversamente, il citato art. 91, primo comma, stabilisce che i componenti della sezione per la provincia di Bolzano devono appartenere in egual numero ai due maggiori gruppi linguistici e, quindi, unicamente ai gruppi italiano e tedesco e non anche a quello ladino.

Rilevanti sono anche le norme di attuazione dello statuto contenute nel d.P.R. n. 426/1984.

Il Titolo IX del d.P.R. n. 670/1972, rubricato «Organi giurisdizionali», prevede (art. 90) l'istituzione del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, con un'autonoma sezione per la provincia di Bolzano, secondo l'ordinamento stabilito con il sunnominato d.P.R. n. 426/1984. In particolare, i componenti della sezione per la provincia di Bolzano devono appartenere in egual numero ai due maggiori gruppi linguistici (ossia, a quello tedesco e a quello italiano). La metà dei componenti la sezione è nominata dal Consiglio provinciale di Bolzano. Si succedono quali presidenti della sezione autonoma, per un uguale periodo di tempo, un giudice di lingua italiana e un giudice di lingua tedesca. Il presidente è nominato tra i magistrati di carriera che compongono il collegio, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. Al presidente della sezione è dato voto determinante in caso di parità di voti, tranne che per i ricorsi avverso provvedimenti amministrativi lesivi del principio di parità tra i gruppi linguistici e la procedura di approvazione dei bilanci regionali e provinciali (art. 91, d.P.R. n. 670/1972).

Gli atti amministrativi degli enti e organi della pubblica amministrazione aventi sede nella regione, ritenuti lesivi del principio di parità dei cittadini in quanto appartenenti ad un gruppo linguistico, possono essere impugnati dinanzi alla autonoma sezione di Bolzano del tribunale regionale di giustizia amministrativa, da parte dei consiglieri regionali o provinciali e, in caso di provvedimenti dei comuni nella provincia di Bolzano, anche da parte dei consiglieri dei comuni di tale provincia, qualora la lesione sia stata riconosciuta dalla maggioranza del gruppo linguistico consiliare che si ritiene leso (art. 92, d.P.R. n. 670/1972).

Parimenti gli atti amministrativi ritenuti lesivi del principio di parità tra i cittadini di lingua italiana, ladina, mochena e cimbra, residenti nella Provincia di Trento, possono essere impugnati dinanzi al Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento da parte dei consiglieri regionali o provinciali e, in caso di provvedimenti dei comuni, anche da parte dei consiglieri comunali dei comuni delle località ladine, mochene o cimbre, qualora la lesione sia riconosciuta da un quinto del consiglio comunale (art. 92, d.P.R. n. 670/1972).

L' art. 93 del d.P.R. n. 670/1972, come novellato dall'art. 7 della l. cost. 4 dicembre 2017, n. 1, prevede, infine, che le sezioni del Consiglio di Stato investite dei giudizi d'appello sulle decisioni dell'autonoma sezione di Bolzano siano integrate con un consigliere di Stato appartenente al gruppo di lingua tedesca ovvero del gruppo di lingua ladina della provincia di Bolzano.

Il d.P.R. 6 aprile 1984, n. 426 dispone, in sintesi, che:

- il Tribunale regionale di giustizia amministrativa ha sede a Trento e la sua circoscrizione comprende esclusivamente la provincia di Trento; ad esso sono assegnati sei magistrati, di cui uno con la qualifica di presidente e cinque con la qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale; due consiglieri sono designati dal consiglio provinciale di Trento, non possono essere nuovamente designati né possono essere trasferiti ad altra sede né possono transitare per anzianità al Consiglio di Stato; il collegio giudicante è composto dal presidente e da due consiglieri, dei quali uno tra quelli designati dal consiglio provinciale e le funzioni di presidente sono svolte in ogni caso da un magistrato di carriera (art. 1, d.P.R. n. 426/1984);

- la sezione autonoma per la provincia di Bolzano ha sede in Bolzano e la sua circoscrizione comprende esclusivamente la provincia di Bolzano; ad essa sono assegnati otto magistrati con la qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale, dei quali quattro appartenenti al gruppo linguistico italiano e quattro appartenenti al gruppo linguistico tedesco; per una metà, i magistrati con la qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale, dei quali quattro appartenenti al gruppo linguistico italiano e quattro appartenenti al gruppo linguistico tedesco; per una metà, i magistrati della sezione autonoma sono nominati con l'assenso del consiglio provinciale di Bolzano limitatamente agli appartenenti al gruppo di lingua tedesca, e per l'altra metà sono nominati dal Consiglio provinciale di Bolzano e con decreto del Presidente della Repubblica (art. 2, d.P.R. n. 426/1984). Al riguardo va segnalato che la disciplina della nomina di competenza del Consiglio provinciale di Bolzano è stata di recente modificata dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 236. In particolare, si è stabilito che, per i procedimenti avviati dopo l'entrata in vigore del predetto decreto legislativo, tali magistrati non saranno più “scelti” dal Consiglio provinciale, ma verranno individuati all'esito di una apposita, previa procedura di selezione, alla quale potranno partecipare esclusivamente gli appartenenti a determinate categorie di soggetti in possesso di particolari qualificazioni (il d.lgs. n. 236/2017 ha anche rimodulato le categorie dei legittimati alla nomina, ossia di coloro i quali potranno partecipare alla procedura di selezione). Anche tali magistrati non possono essere trasferiti ad altra sede e non possono transitare per anzianità al Consiglio di Stato (art. 5, d.P.R. n. 426/1984);

- i quattro magistrati della sezione autonoma di Bolzano, nominati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e su parere del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, debbono appartenere rispettivamente due al gruppo linguistico italiano e due al gruppo linguistico tedesco; i quattro magistrati nominati dal consiglio provinciale di Bolzano e con decreto del Presidente della Repubblica, previo svolgimento di un'apposita procedura di selezione, debbono appartenere rispettivamente due al gruppo linguistico tedesco e due al gruppo linguistico italiano. La selezione viene effettuata da una commissione composta da uno dei consiglieri di Stato appartenenti al gruppo di lingua tedesca della provincia di Bolzano, designato dal Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, da un magistrato amministrativo designato dal Presidente della Sezione autonoma di Bolzano, da un avvocato che abbia effettivamente esercitato la professione con iscrizione nell'albo degli avvocati per almeno dieci anni, designato dal Consiglio dell'Ordine di Bolzano, e da un professore universitario di prima fascia in materie giuridiche, in ruolo da almeno dieci anni, designato dal consiglio provinciale (art. 4, d.P.R. n. 426/1984, come sostituito dal d.lgs. n. 77/2017);

- per la nomina dei magistrati della Sezione autonoma di Bolzano costituisce requisito la conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca; costituisce altresì requisito per la nomina l'età non inferiore a 40 anni e non superiore a 60 anni (art. 5, d.P.R. n. 426/1984, come modificato dal d.lgs. n. 77/2017);

- i magistrati non di carriera sono scelti tra gli appartenenti alle seguenti categorie: a) professori ordinari od associati in materie giuridiche nelle università; b) magistrati dell'ordine giudiziario od equiparati; c) impiegati muniti di laurea in giurisprudenza, assunti mediante concorso pubblico appartenenti ai ruoli amministrativi dello Stato, della regione, della provincia di Bolzano, dei comuni o di altri enti pubblici locali della provincia stessa, con qualifica non inferiore a dirigente od equiparata; d) professori di materie giuridiche negli istituti tecnici con almeno quindici anni di insegnamento di ruolo; e) avvocati iscritti nell'albo degli avvocati e che abbiano effettivamente esercitato la professione per almeno sette anni; f) laureati in giurisprudenza che abbiano fatto parte per almeno due legislature del Parlamento nazionale, eletti nella regione Trentino-Alto Adige, o del consiglio della medesima regione (art. 2, d.P.R. n. 426/1984);

- il tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento decide sui ricorsi contro atti e provvedimenti emessi: 1) dagli organi della pubblica amministrazione, aventi sede nella provincia di Trento, con esclusione degli atti e provvedimenti la cui efficacia è limitata al territorio della provincia di Bolzano; 2) dagli organi della pubblica amministrazione, non aventi sede nella provincia di Trento, la cui efficacia è limitata al territorio della provincia medesima (art. 3, d.P.R. n. 426/1984);

- la Sezione autonoma di Bolzano, oltre che nelle materie attribuite dallo statuto alla sua competenza inderogabile, decide sui ricorsi contro atti e provvedimenti emessi: 1) dagli organi della pubblica amministrazione, aventi sede nella provincia di Bolzano, con esclusione degli atti e provvedimenti la cui efficacia è limitata al territorio della provincia di Trento; 2) dagli organi della pubblica amministrazione, non aventi sede nella provincia di Bolzano, la cui efficacia è limitata al territorio della provincia medesima (art. 3, d.P.R. n. 426/1984);

- gli eventuali conflitti di competenza tra il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento e la sezione autonoma di Bolzano sono decisi dal Consiglio di Stato (art. 3, d.P.R. n. 426/1984);

- il presidente della Sezione autonoma di Bolzano è nominato, tra i magistrati che ne fanno parte, con decreto del Presidente della Repubblica, adottato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, alternandosi ogni due anni, un componente di lingua italiana e uno di lingua tedesca designato dai magistrati della Sezione autonoma e, in caso di mancanza o di impedimento, il presidente della Sezione è sostituito dal componente più anziano appartenente allo stesso gruppo linguistico (art. 6, d.P.R. n. 426/1984, come modificato dal d.lgs. n. 77/2017);

- la Sezione autonoma di Bolzano decide con l'intervento di quattro componenti, appartenenti per la metà a ciascuno dei gruppi linguistici italiano e tedesco (art. 7, d.P.R. n. 426/1984);

- le decisioni della Sezione autonoma di Bolzano sono assunte a maggioranza dei voti dei componenti del collegio, con il voto determinante del presidente in caso di parità di voti, salvo che per i procedimenti concernenti i ricorsi avverso provvedimenti amministrativi ritenuti lesivi del principio di parità tra i gruppi linguistici, proposti dai consiglieri regionali provinciali o comunali, nonché per la procedura di approvazione dei bilanci regionali e provinciali (art. 7, d.P.R. n. 426/1984);

- nelle materie di competenza della Sezione autonoma di Bolzano non è ammesso il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (art. 7, d.P.R. n. 426/1984);

- sui ricorsi avverso provvedimenti ritenuti lesivi del principio di parità tra i gruppi linguistici (ricorsi che appartengono alla competenza inderogabile della Sezione autonoma di Bolzano; art. 10, d.P.R. n. 426/1984), la Sezione autonoma di Bolzano adotta, senza il voto determinante del presidente, atti non soggetti ad alcun gravame; qualora non sia raggiunta la maggioranza dei voti dei componenti, la Sezione ne dà atto nella decisione e il ricorso si intende respinto (art. 9, d.P.R. n. 426/1984).

Ha chiarito il Consiglio di Stato che la regola dell'inimpugnabilità degli atti, adottati dalla Sezione autonoma relativi, tra l'altro, a ricorsi avverso provvedimenti ritenuti lesivi del principio di parità tra i gruppi linguistici costituisce espressione del principio di preclusione dell'appello previsto dallo statuto di autonomia, per cui non sono soggetti ad alcun gravame gli atti adottati dalla Sezione autonoma di Bolzano in materia di lesione del principio di parità tra i gruppi linguistici o di ricorsi avverso i provvedimenti di approvazione dei bilanci regionali e provinciali e comunali (Cons. Stato,Sez. IV, n. 960/2003); si tratta, invero, di materie politicamente sensibili riservate alla cognizione esclusiva ed inderogabile del Tribunale di giustizia amministrativa di Bolzano nella sua particolare veste di “arbiter paritetico politicis” (Cons. Stato, Sez. V, n. 492/2006).

I magistrati della Sezione autonoma di Bolzano sono collocati in un ruolo speciale di magistrati di carriera di otto unità che viene aggiunto alla tabella A, allegata alla legge 27 aprile 1982, n. 186, recante la seguente dizione: «Ruolo speciale dei consiglieri della sezione autonoma di Bolzano» (art. 4, d.P.R. n. 426/1984, come sostituito dal d.lgs. n. 77/2017).

Alla stregua delle riferite previsioni emerge che la Sezione per la Provincia di Bolzano assume una particolare autonomia, non soltanto in ragione delle regole di selezione dei suoi componenti, ma anche perché è provvista di competenze proprie e distinte da quella del Tribunale regionale di giustizia amministrativa.

Un'altra rilevante particolarità dell'attività giurisdizionale svolta dalla Sezione autonoma di Bolzano, imposta dal regime del bilinguismo vigente nella Provincia, è che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere redatti in lingua italiana e tedesca.

Le competenze del Tribunale amministrativo regionale per la Valle d'Aosta

L'art. 41 della l. n. 1034/1971 assegna al Tribunale amministrativo regionale per la Valle d'Aosta anche le competenze giurisdizionali in precedenza attribuite alla Giunta giurisdizionale amministrativa della Valle d'Aosta ai sensi dell'art. 2, numeri 1) e 2), del d.lgs.cps. 15 novembre 1946, n. 367, ossia i ricorsi concernenti la legittimità dei provvedimenti della Valle d'Aosta e degli enti pubblici sottoposti alla tutela e alla vigilanza dell'amministrazione pubblica locale, quando abbiano per oggetto un interesse di persone fisiche o giuridiche, nonché le controversie devolute alla competenza della Giunta provinciale amministrativa in sede giurisdizionale.

Tale previsione si rese necessaria in conseguenza della dichiarazione di incostituzionalità (anche) del citato art. 2 del d.lgs.cps. n. 367/1946 ad opera della sentenza della Corte costituzionale del 20 aprile 1968, n. 33 (analogamente a quanto già deciso con le sentenze della Corte cost. n. 55/1966 e Corte cost. n. 30 del 1967), stante le mancate garanzie di terzietà e indipendenza offerte dalla Giunta della Valle d'Aosta quale organo giurisdizionale, in ragione della sua composizione.

Va, tuttavia, osservato che l'art. 41 sunnominato attribuisce al Tribunale amministrativo regionale per la Valle d'Aosta competenze sostanzialmente non differenziate rispetto a quelle di ogni altro tribunale amministrativo (e non, dunque, un ambito di cognizione speciale, come si verifica invece per il Tribunale regionale di giustizia amministrativa per il Trentino-Alto Adige).

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