Concessione dei beni demaniali marittimi e Direttiva Bolkenstein (CdS, ad. plen., nn. 17-18 del 2021)

Fabio Cintioli
Fabio Cintioli
23 Settembre 2022

Per l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, l'obbligo di non applicare la legge in contrasto con il diritto dell'Unione europea gravi in capo all'amministrazione, anche nei casi in cui il contrasto riguardi una direttiva self-executing, poiché una diversa argomentazione autorizzererebbe la P.A. all'adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell'Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto.
Il caso

La questione sulla quale l'Adunanza Plenaria è stata chiamata ad intervenire riguarda la compatibilità della legge italiana, che regola le modalità di assegnazione e la durata delle concessioni di beni demaniali marittimi lacuali e fluviali per attività ricreative e turistiche (“concessioni balneari”), con le disposizioni stabilite dalla direttiva 2006/123/CE (la c.d. “direttiva sui servizi” o “Bolkenstein”) e con gli artt. 49 e 56 del TFUE.

Il tema non è affatto nuovo, ma la sua risoluzione è divenuta assillante ed improcrastinabile quando, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 1, commi 682 e 683, legge n. 145 del 2018, che ha disposto la proroga automatica e generalizzata fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni demaniali marittime in essere, il contrasto con i divieti di proroga posti dall'articolo 12 della direttiva, nonché con i principi di libertà di circolazione e di stabilimento posti dagli articoli 49 e 56 del TFUE, è divenuto oggettivamente insostenibile ed ingiustificato.

Non a caso, la Commissione europea, con lettera del 3 dicembre 2020, ha messo in mora l'Italia come atto propedeutico all'avvio di una ennesima procedura di infrazione per violazione di obblighi comunitari e, nello specifico, di quelli legati al TFUE e alla direttiva Bolkenstein.

Ciò posto, il vero punto nevralgico della questione è legato, da un lato, alla tutela della concorrenza che deve (o che dovrebbe) svilupparsi tra gli operatori del settore turistico per l'affidamento delle concessioni demaniali, e, dall'altro, all'atteggiamento che l'ordinamento nazionale deve serbare sul punto.

Le questioni giuridiche

Si tratta di tematiche di particolare rilevanza, anche in considerazione dell'eco mediatica delle stesse, le quali hanno indotto il Presidente del Consiglio di Stato a deferire direttamente le questioni all'Adunanza Plenaria, con decreto (n. 160 del 2021) adottato in forza di quanto previsto dall'art. 99, comma 2, c.p.a., norma che non aveva trovato applicazione prima del caso in oggetto (M. ESPOSITO, Concessioni demaniali – L'intervento paranormativo dell'Adunanza Plenaria sulle concessioni demaniali, in Giur. It., n. 5/2022, pp. 1204 ss.).

In particolare, con tale decreto sono stati formulati all'Adunanza Plenaria tre quesiti, che possono essere così sintetizzati: (i) se sia doverosa, o no, la disapplicazione, da parte di tutte le “articolazioni dello Stato italiano”, delle leggi statali o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni balneari; (ii) se l'amministrazione sia tenuta all'annullamento d'ufficio del provvedimento emanato in contrasto con la normativa dell'Unione europea; e, infine, (iii) se, con riferimento alla moratoria introdotta dall'art. 182, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, debbano intendersi quali «aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» anche le aree soggette a concessione scaduta al momento dell'entrata in vigore della moratoria.

La decisione dell'Adunanza plenaria

Per fornire le risposte a tali quesiti, i Giudici si sono preoccupati in via preliminare di ribadire fin da subito che, secondo il diritto dell'Unione, il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali marittime deve avvenire all'esito di una procedura di evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità della disciplina nazionale che dispone la proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni in essere.

Allo stesso modo, la Plenaria si è preoccupata di fugare immediatamente ogni dubbio sull'applicabilità alle “concessioni balneari” degli artt. 49 TFUE e 12 della direttiva servizi (c.d. Bolkenstein). Nello specifico, l'art. 49 TFUE troverebbe applicazione in ragione del fatto che qualsiasi atto dello Stato che stabilisce le condizioni alle quali è subordinata la prestazione di un'attività economica è tenuto a rispettare i principi fondamentali del Trattato. Sull'art. 12 della Bolkenstein, invece, i Giudici hanno profuso un maggior sforzo argomentativo e si sono occupati della confutazione delle critiche più rilevanti che sono state riscontrate in dottrina circa la non applicabilità di tale norma al settore.

In ogni caso, la conclusione è la medesima: la legge italiana è incompatibile con l'art. 49 TFUE e l'art. 12 della direttiva in quanto prevede la proroga automatica e generalizzata delle concessioni già rilasciate e dunque sottrae le concessioni al confronto competitivo tra gli operatori.

L'Adunanza Plenaria è stata, anzitutto, molto netta (e non poteva essere diversamente) nel ritenere che l'obbligo di non applicare la legge in contrasto con il diritto dell'Unione europea gravi in capo all'amministrazione, anche nei casi in cui il contrasto riguardi una direttiva self-executing, poiché una diversa argomentazione autorizzererebbe la P.A. all'adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell'Unione, destinati ad essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che di elementari esigenze di certezza del diritto.

I giudici amministrativi hanno poi anche precisato, attraverso unpassaggio logico argomentativo caratterizzato da tratti di innovatività, che se la proroga è direttamente disposta per legge ma la relativa norma che la prevede non poteva e non può essere applicata, perché in contrasto con il diritto dell'Unione, ne discende che anche l'effetto della proroga deve considerarsi tamquam non esset.

Detto in altri termini, se l'effetto autoritativo è prodotto direttamente dalla legge, la non applicabilità di quest'ultima impedisce anche il prodursi dell'effetto della proroga.

Il cd. Prospective overruling

L'Adunanza Plenaria, inoltre, si spinge a dare applicazione al c.d. prospective overruling, stabilendo che l'intervallo di tempo congruo per garantire l'operatività degli effetti della decisione è quello che intercorre dalla pubblicazione delle sentenze sino al 31 dicembre 2023. Scaduto tale termine, tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente dal fatto che vi sia o meno un soggetto subentrante nella concessione.

Si tratta, anche con riferimento a quest'ultimo punto, di una decisione che ha riscontrato alcune critiche nei primi commenti dottrinali, i quali hanno sottolineato che il giudice amministrativo si è spinto probabilmente oltre i confini del plesso delle competenze riservate al giudice amministrativo.

Fino ad oggi, infatti, l'istituto in parola aveva trovato applicazione con riferimento a fattispecie ben diverse, nelle quali veniva in rilievo la necessità di tutelare le situazioni giuridiche soggettive impattate da un revirement giurisprudenziale (secondo alcuni riferibile soltanto a disposizioni processuali, sulla base degli insegnamenti della Corte di Cassazione, di cui alle sentenze Cass. Civ., SS.UU., 11 luglio 2011, n. 15144; Cass. Civ., SS.UU., 12 febbraio 2019, n. 4135).

Nel caso di specie, invece, la modulazione degli effetti temporali delle sentenze di annullamento non è tanto giustificata in considerazione dell'esistenza di un revirement giurisprudenziale (invero inesistente), quanto piuttosto per tener conto del (solo) notevole impatto sociale ed economico delle pronunce sul tessuto sociale.

Osservazioni

Deve essere rilevato che attraverso le sentenze in oggetto la Plenaria si è preoccupata anche di fornire al Legislatore delle indicazioni circa i principi che dovranno ispirare lo svolgimento delle gare, e, nello specifico:

(i) in tema di conferimento o rinnovo delle concessioni, è stabilito che devono essere evitate ipotesi di preferenza “automatica” per i gestori uscenti;

(ii) i criteri di selezione devono essere proporzionati, non discriminatori ed equi per garantire agli operatori economici l'effettivo accesso alle opportunità economiche offerte dalle concessioni;

(iii) per la valutazione della capacità tecnica e professionale potranno essere individuati criteri che, nel rispetto della par condicio, consentano anche di valorizzare l'esperienza professionale e il know-how acquisito da chi ha già svolto attività di gestione di beni analoghi;

(iv) ulteriori elementi di valutazione dell'offerta potranno riguardar gli standard qualitativi dei servizi e la sostenibilità sociale e ambientale del piano degli investimenti, in relazione alla tipologia della concessione da gestire;

(v) infine, la durata delle concessioni dovrebbe essere limitata e giustificata sulla base di valutazioni tecniche, economiche e finanziarie, al fine di evitare la preclusione dell'accesso al mercato.

Gli effetti delle pronunce in commento nei rapporti tra potere giudiziario e potere legislativo

In aggiunta alle criticità sinteticamente sopra evidenziate, le pronunce in oggetto non hanno mancato di sollevare perplessità anche per gli effetti che esse producono nei rapporti tra potere giudiziario e potere legislativo.

La principale obiezione che è stata mossa alla Plenaria è stata quella di aver tracimato in una funzione nomopoietica più che nomofilattica, essendosi il giudice amministrativo sostituito non all'Amministrazione ma al Legislatore, in quanto avrebbe rimodulato direttamente gli effetti discendenti dalla legge. D'altra parte, va anche detto che appartiene alla più nobile tradizione della giurisdizione amministrativa quel tratto di giurisprudenza “pretoria” – in senso romanistico – che mostra la capacità di elaborare soluzioni interpretative adatte a conciliare l'effettività della tutela di diritti e interessi con la miglior cura dell'interesse pubblico da parte della p.a.. Da più punti di vista proprio a tale tradizione si può collegare la sentenza in esame.