Diffamazione transfrontaliera: competenza estesa a tutti gli stati membri

Giuseppe Fichera
23 Settembre 2022

La Corte di giustizia nella sentenza in commento dichiara che l'art. 7, punto 2, del regolamento (UE) n. 1215/2012, deve essere interpretato nel senso che una persona che, ritenendo lesi i propri diritti a causa della diffusione di frasi denigratorie nei suoi confronti su Internet, può agire contemporaneamente per ottenere la rettifica dei dati e della rimozione dei contenuti messi in rete che la riguardano...
Il caso

La vicenda decisa da Corte giustizia UE 21 dicembre 2021, C-251/20, è di sicuro interesse in tema di c.d. “diffamazione transfrontaliera”.

Una società che realizza prodotti audiovideo per soli adulti, con sede nella repubblica Ceca, conviene in giudizio, innanzi ad un tribunale francese, un regista di film del medesimo genere, perché fosse accertato il contenuto diffamatorio di talune frasi pronunciate da quest'ultimo e poi diffuse via internet, con la condanna del medesimo alla rimozione dei detti contenuti, nonché al risarcimento del danno, patrimoniale e non, quantificato per entrambe le poste in un euro.

Sia il tribunale, in primo grado, che la corte d'appello, adita in sede di gravame, sull'eccezione formulata dal regista, dichiarano l'incompetenza del giudice francese; su ricorso della società produttrice la Cour de cassation francese sospende il procedimento e rinvia alla Corte di giustizia perché stabilisca l'esatta interpretazione dell'art. 7, punto 2, del regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

Invero, la Cassazione francese si chiede se la persona che, ritenendo lesi i propri diritti a causa della diffusione di frasi denigratorie su Internet, possa agire contemporaneamente sia ai fini della rettifica dei dati e della rimozione dei contenuti denigratori, sia ai fini di risarcimento dei danni morali ed economici che ne derivano, dinanzi ai giudici di ciascuno Stato membro nel cui territorio il contenuto messo in rete è o è stato accessibile, richiamando il precedente di Corte giustizia 25 ottobre 2011, eDate Advertising cause riunite C‑509/09 e C‑161/10, punti 51 e 52, oppure se, in applicazione di altro precedente (Corte giustizia 17 ottobre 2017, Bolagsupplysningen eIlsjan, causa C‑194/16, punto 48), essa debba presentare tale domanda di risarcimento sempre dinanzi al giudice competente a ordinare la rettifica dei dati e la rimozione dei commenti denigratori.

Va detto che fin dell'entrata in vigore della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, il sistema europea di diritto internazionale privato ha inteso promuovere la prevedibilità e la certezza del riparto delle “competenze giurisdizionali” in materia civile fra i giudici dei singoli stati membri.

Ora, com'è noto, l'art. 4, paragrafo 1, del regolamento n. 1215/2012, contenuto nella sezione 1 del capo II, rubricata «Disposizioni generali», fissa quale regola generale quella del domicilio del convenuto, stabilendo che «le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro cittadinanza, davanti alle autorità giurisdizionali ditale Stato membro».

Tuttavia, l'art. 7, punto 2, del medesimo regolamento n. 1215/2012 – come già in precedenza l'art. 5, punto 3, dell'abrogato regolamento n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale –, dispone che, in materia di illeciti civili dolosi o colposi, una persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro, può essere convenuta in un altro Stato membro, davanti all'autorità giurisdizionale «del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto o può avvenire».

E secondo una costante giurisprudenza riferita all'abrogato art. 5, punto 3, la norma sulla competenza speciale in materia di illeciti civili dolosi o colposi deve essere oggetto di un'interpretazione autonoma, poiché tale norma trova il suo fondamento nell'esistenza di un “collegamento particolarmente stretto” tra la controversia e i giudici del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto o può avvenire, che giustifica un'attribuzione di competenza a questi ultimi giudici ai fini della buona amministrazione della giustizia e dell'economia processuale (Corte giustizia UE 17 ottobre 2017, cit., punto 26).

Come emerge dal considerando 16 del cennato regolamento n. 1215/2012, il requisito di un siffatto collegamento deve garantire la certezza del diritto ed evitare la possibilità che il convenuto sia citato davanti a un'autorità giurisdizionale di uno Stato membro che non sia per questi ragionevolmente prevedibile (Corte giustizia UE17 ottobre 2017, cit., punto 28).

Va soggiunto che, secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, l'espressione «luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto o può avvenire», si riferisce sia al luogo del fatto generatore del danno sia a quello in cui il danno si è concretizzato, dato che ciascuno di tali luoghi può, a seconda delle circostanze, fornire un'indicazione particolarmente utile dal punto divista della prova e dello svolgimento del processo (Corte giustizia UE17 ottobre 2017, cit., punto 29).

La questione giuridica e la decisione della Corte. Osservazioni

Nel caso in esame, i giudici di Lussemburgo hanno dovuto affrontare la questione se la magistratura francese fosse competenti, quale luogo in cui il danno lamentato si era concretizzato – considerato che i contenuti del messaggio denigratorio erano stati diffusi via internet e, quindi, pacificamente anche nel territorio francese –, a conoscere delle domande, formulate contestualmente dalla società attrice, di rimozione dei contenuti diffamatori e di risarcimento del danno.

Già in passato, la Corte di giustizia aveva dichiarato, per quanto attiene ad azioni dirette al risarcimento di un danno non patrimoniale in thesi causato da un articolo diffamatorio pubblicato nella stampa scritta, che la vittima può esperire nei confronti dell'editore un'azione di danni dinanzi ai giudici di ciascuno Stato membro dove la pubblicazione è stata diffusa e dove la vittima assume di aver subito una lesione della sua reputazione, i quali sono competenti a conoscere dei soli danni cagionati nello Stato membro del giudice adito (Corte giustizia UE 7 marzo 1995, Shevill e a., C‑68/93, punto 33).

Per quanto riguarda, poi, gli atti lesivi della personalità posti in essere attraverso contenuti messi in rete su un sito Internet, la Corte di giustizia ha affermato che chi si ritiene leso ha la facoltà di esperire un'azione di risarcimento, per la totalità del danno cagionato dinanzi ai giudici del luogo ove è stabilito il soggetto che ha emesso tali contenuti - in quanto luogo dell'evento generatore -, oppure dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova il centro di interessi dell'attore, in quanto luogo in cui il danno si è concretizzato.

Quello che è importante sottolineare è che per i giudici comunitari, anziché un'azione di risarcimento per la totalità del danno cagionato, il danneggiato può sempre esperire la sua azione dinanzi ai giudici di ciascuno Stato membro nel cui territorio un contenuto messo in rete sia accessibile; in questo caso, i singoli giudici aditi sono competenti a conoscere del solo “danno parziale” cagionato nel territorio dello Stato membro (Corte giustizia UE 25 ottobre 2011, cit., punto 52).

Insomma, alla luce dell'ubiquità dei dati e dei contenuti messi in rete su un sito Internet e del fatto che la portata della loro diffusione è in linea di principio universale, sarà possibile agire per il risarcimento del “danno parziale” in ciascuno degli stati membri; tuttavia, considerato che la domanda diretta alla rettifica dei contenuti diffamatori e alla loro rimozione è una e indivisibile, quest'ultima potrà essere proposta soltanto dinanzi a un giudice competente a conoscere della domanda di risarcimento del “danno totale” e non dinanzi a un giudice che non ha siffatta competenza (Corte giustizia UE17 ottobre 2017, cit., punto 48).

Alla luce dell'art. 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012, come interpretato dalla Corte di giustizia, allora, chi si ritenga leso dalla messa in rete di dati su un sito Internet potrà adire, ai fini della rettifica di tali dati e della rimozione dei contenuti messi in rete, oltre al risarcimento del danno integrale, il giudice del luogo ove è stabilito il soggetto che ha emesso tali contenuti – trattandosi del luogo in cui il fatto dannoso è stato generato – oppure il giudice nella cui circoscrizione è situato il centro degli interessi della persona diffamata potendosi rinvenire ivi il luogo in cui il danno si è concretizzato.

Al contrario, se la domanda relativa al risarcimento del danno ha ad oggetto un ristoro solo parziale, non vi è motivo per escludere la facoltà per l'attore di presentare la sua domanda di risarcimento dinanzi a qualsiasi altro giudice, nel cui ambito territoriale egli ritiene di aver subito un danno.

Insomma, mentre per la domanda di rimozione e rettifica dei contenuti diffamatori occorre rivolgersi al giudice che sarebbe competente per il risarcimento totale, per la domanda di risarcimento parziale è consentito adire qualsiasi giudice competente a conoscere unicamente del danno in questione nello Stato membro a cui esso appartiene.

Del resto, l'attribuzione ai singoli giudici degli stati membri della competenza a conoscere del solo danno causato nel territorio dello Stato membro cui appartengono, si giustifica anche perché l'articolo 7, punto 2, del regolamento in esame non pone alcuna condizione supplementare ai fini della determinazione del giudice competente, come quella secondo cui l'attività di una persona deve essere «diretta verso» lo Stato membro del giudice adito (Corte giustizia 3 ottobre 2013, Pinckney, C‑170/12, punto 42, Corte giustizia 22 gennaio 2015, Hejduk, C‑441/13, punto 32).

In definitiva, la Corte di giustizia nella sentenza in commento dichiara che l'art. 7, punto 2, del regolamento (UE) n. 1215/2012, deve essere interpretato nel senso che una persona che, ritenendo lesi i propri diritti a causa della diffusione di frasi denigratorie nei suoi confronti su Internet, può agire contemporaneamente per ottenere la rettifica dei dati e della rimozione dei contenuti messi in rete che la riguardano, nonché per il risarcimento del danno integrale che sarebbe derivato da tale messa in rete, soltanto dinanzi ai giudici dello Stato membro che sono competenti per il detto risarcimento integrale, mentre potrà agire dinanzi ai giudici di ciascuno Stato membro nel cui territorio tali frasi denigratorie sono state diffuse tramite internet, per ottenere il risarcimento del danno parziale che le sarebbe stato causato nello Stato membro del giudice adito, sebbene tali giudici non siano competenti a conoscere della domanda di rettifica e di rimozione.