La Corte di Giustizia sul diritto all'interpretazione, traduzione e informazione nei procedimenti penali

Valentina Pirozzi
23 Settembre 2022

Diritto all'interpretazione, alla traduzione e all'informazione nei procedimenti penali: una puntualizzazione, forse intuitiva, ma fondamentale della Corte di giustizia.
Il caso

Lo scorso 1° agosto 2022, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha emesso una sentenza in risposta alla questione pregiudiziale che il Tribunal da Relação de Évora (Corte d'appello di Évora, Portogallo) ha sottoposto alla sua attenzione.

Il giudice del rinvio chiedeva, in sostanza, se gli articoli da 1 a 3 della direttiva 2010/64/UE, sul diritto all'interpretariato e traduzione, e 3 della direttiva 2012/13/UE, sul diritto all'informazione nei procedimenti penali, di per sé o in combinato disposto con l'articolo 6 della CEDU, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale, da un lato, la violazione dei diritti sanciti da dette disposizioni di tali direttive può essere utilmente invocata solo dal beneficiario di questi ultimi e, dall'altro, detta violazione deve essere denunciata entro un termine determinato, a pena di decadenza.

La domanda è stata presentata nel corso di un procedimento penale, instaurato in Portogallo, a carico di un cittadino moldavo, che non ha padronanza della lingua portoghese.

Sebbene il verbale di incriminazione fosse stato tradotto in rumeno, lingua ufficiale della Moldavia, la TIR (Termo de Identidade e Residência, documento all'interno del quale figura, tra l'altro, l'ingiunzione all'interessato di non cambiare residenza né di assentarsi dalla stessa per più di cinque giorni senza comunicare il nuovo indirizzo o il luogo in cui sia possibile reperirlo) era stata invece redatta in lingua portoghese, senza l'intervento di un interprete e senza che tale documento fosse stato tradotto in rumeno.

Tale circostanza aveva pertanto reso oscuri all'imputato gli obblighi processuali quali, in particolare, quello di comunicare un eventuale cambio di residenza avvenuto successivamente alla redazione della TIR; tant'è che quando si è trattato di dare esecuzione al regime di libertà vigilata (al quale l'imputato era stato sottoposto), le autorità competenti hanno tentato, invano, di raggiungere lo stesso all'indirizzo originariamente indicato nella TIR.

In estrema sintesi, poiché l'imputato non aveva osservato l'ordinanza che lo invitava a comparire al fine di essere sentito sulla inosservanza degli obblighi predetti, il giudice aveva revocato la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva sottoponendolo a fermo, presso il suo nuovo indirizzo, ai fini dell'esecuzione della sua pena.

Nel proprio ricorso avverso tale provvedimento, l'imputato aveva precisato di non aver comunicato il suo cambiamento di residenza dal momento che ignorava l'obbligo al riguardo nonché le conseguenze della sua inosservanza non essendo stata la TIR tradotta in rumeno e non avendo egli ricevuto l'assistenza di un interprete. Infine, né l'ordinanza che lo citava a comparire a seguito degli inadempimenti agli obblighi derivanti dal regime di libertà vigilata, né l'ordinanza di revoca della sospensione sarebbero state tradotte in una lingua che egli parla o comprende.

Il Tribunale circondariale di Beja (Portogallo), investito in primo grado di detto ricorso, lo aveva respinto con la motivazione che, sebbene i vizi di procedura denunciati fossero dimostrati, questi ultimi dovevano considerarsi sanati, poiché l'interessato non li aveva invocati entro i termini previsti, a pena di decadenza, dal codice di rito portoghese; il giudice del rinvio, investito in appello di tale decisione di primo grado, non concordando con la suddetta decisione e nutrendo dubbi quanto alla conformità di tale disposizione nazionale con le direttive 2010/64 ea 2012/13, lette in combinato disposto con l'articolo 6 della CEDU, ha invece sospeso il procedimento interrogando la Corte in via pregiudiziale.

A seguito di un procedimento giurisdizionale che, data la delicatezza degli interessi, la stessa Corte ha acconsentito a trattare d'urgenza, i giudici di Lussemburgo hanno concluso richiamandosi al più ampio rispetto dei diritti fondamentali.

La posizione della Corte

Per definire la controversia di cui sono stati investiti, la Corte ha ritenuto opportuno, in primo luogo, ricordare che le disposizioni in esame (che definiscono il contenuto e la portata dei diritti di cui gode qualsiasi indagato o imputato, di beneficiare di servizi di interpretazione e traduzione di documenti fondamentali nonché di essere informato su questi primi due diritti) poiché appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, devono essere considerate come direttamente produttive di effetti, di modo che chiunque sia titolare di tali diritti possa farli valere nei confronti dello Stato membro, dinanzi ai giudici nazionali.

In linea con la precedente giurisprudenza (in tal senso, sentenza del 12 ottobre 2017, Sleutjes, C-287/16, punto 33), la Corte ribadisce che si verificherebbe una violazione dei sopracitati diritti fondamentali se una persona, condannata per un reato a una pena detentiva con sospensione condizionale dell'esecuzione in regime di libertà vigilata, fosse privata – a causa dell'omessa traduzione della convocazione o dell'assenza di un interprete all'udienza vertente sull'eventuale revoca di tale sospensione – della possibilità di essere sentita, in particolare, sui motivi per i quali essa è venuta meno agli obblighi del regime di libertà vigilata.

Per quel che concerne il profilo temporale, la Corte non condivide l'impostazione dell'ordinamento giuridico portoghese che, al fine di consentire al giudice di accertare la nullità degli atti processuali, prescrive all'interessato il potere di invocare il relativo vizio procedurale (consistente nel caso di specie nella violazione del diritto alla interpretazione) prima del completamento di tale atto, a pena di decadenza.

In definitiva, per la Corte imporre alla persona implicata in un procedimento penale, condotto in una lingua che non parla e non comprende, un siffatto rigido termine, per comunicare di non essere stata informata dei suoi diritti alla interpretazione e alla traduzione, pregiudicherebbe il diritto di essere informati, e conseguentemente, il diritto a un processo equo e il diritto di difesa, sanciti, rispettivamente, dall'articolo 47 e dall'articolo 48, paragrafo 2, della Carta.