Clausole abusive e poteri del giudice

Natalina Pischedda
Natalina Pischedda
24 Settembre 2022

E' vessatoria la clausola di indicizzazione su una valuta estera di un contratto di mutuo se non è redatta in modo da consentire al consumatore di determinare da solo, in qualsiasi momento, il tasso di cambio di tale valuta applicato dal professionista
Massime

L'articolo 5 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che il contenuto di una clausola di un contratto di mutuo concluso tra un professionista e un consumatore che fissa i tassi di acquisto e di vendita di una valuta estera, alla quale il mutuo è indicizzato, deve consentire a un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto di comprendere, in base a criteri chiari e comprensibili, il modo in cui viene fissato il tasso di cambio della valuta estera utilizzato per calcolare l'importo delle rate di rimborso, in maniera che il consumatore sia in grado di determinare da solo, in qualsiasi momento, il tasso di cambio applicato dal professionista (nella fattispecie, nell'ambito di una controversia sorta tra un consumatore e un istituto bancario in merito alle modalità di rimborso di un contratto di mutuo ipotecario contenente una clausola di indicizzazione del mutuo in valuta estera, dichiarata abusiva in quanto non specificava le modalità di determinazione del tasso di cambio delle valute ad opera della banca, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha escluso che il giudice nazionale, dopo avere constatato il carattere abusivo di tale clausola, potesse fornire un'interpretazione della stessa volta a rimediare al carattere abusivo della stessa, quand'anche tale interpretazione corrispondesse alla comune intenzione delle parti del contratto dal momento che tale operazione ermeneutica porterebbe a modificare la comprensione di tale clausola introducendovi un riferimento al «valore di mercato» della valuta estera).

Gli articoli 5 e 6 della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che ostano a che il giudice nazionale, che abbia constatato il carattere abusivo di una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, fornisca un'interpretazione di detta clausola volta a rimediare al carattere abusivo di quest'ultima, quand'anche tale interpretazione corrisponda alla comune intenzione delle parti del contratto.

Qualora la normativa nazionale preveda che, nell'ambito di un contratto tra professionista e consumatore, a fronte dell'accertamento della abusività di una clausola contrattuale, tale clausola venga dichiarata nulla, nell'eventualità in cui la caducazione della clausola abusiva obblighi il giudice ad annullare il contratto nella sua interezza – esponendo in tal modo il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, sicché quest'ultimo ne sarebbe penalizzato – il giudice nazionale può sostituire tale clausola con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, ma non può mai porre rimedio alle lacune di un contratto, provocate dalla soppressione delle clausole abusive contenute in quest'ultimo, sulla sola base di disposizioni nazionali di carattere generale che prevedono l'integrazione degli effetti mediante l'applicazione del principio di equità o degli usi – disposizioni queste che non sono né di natura suppletiva né applicabili in caso di accordo tra le parti del contratto – né può dare un'interpretazione della clausola volta a rimediare al carattere abusivo della stessa, quand'anche tale interpretazione corrispondesse alla comune intenzione delle parti del contratto.

La vicenda

La fattispecie al centro della controversia riguarda un istituto bancario che nel 2008 ha stipulato un contratto di mutuo ipotecario, caratterizzato da una durata particolarmente lunga, il cui importo era fissato in zloty polacchi applicando il tasso di cambio con il franco svizzero in vigore alla data dell'erogazione dei fondi. Nel contesto della domanda di mutuo, i mutuatari hanno firmato una dichiarazione con cui, pur essendo pienamente consapevoli del rischio di cambio, hanno rinunciato alla possibilità di accendere un mutuo in zloty polacchi e hanno scelto di accendere un mutuo indicizzato a una valuta estera.

In particolare, la dichiarazione precisava che i mutuatari erano stati informati del fatto che le rate del prestito erano espresse in tale valuta estera e dovevano essere rimborsate in zloty polacchi secondo le regole descritte nelle condizioni generali del contratto di cui i mutuatari avevano preso conoscenza.

Nel 2013 i mutuatari hanno pattuito con l'istituto bancario una modifica del contratto, che prevedeva che i mutuatari rimborsassero direttamente il mutuo in franchi svizzeri, senza ricorrere all'operazione di cambio effettuata dalla banca sicché le fluttuazioni del tasso di cambio tra lo zloty polacco e il franco svizzero avevano comportato che la differenza tra l'importo rimborsato dai mutuatari per il periodo maggio 2008-ottobre 2014 e l'importo che sarebbe stato rimborsato se il mutuo fosse stato denominato in zloty polacchi e regolato dal tasso di interesse applicabile ammontava a euro 6 732 circa.

La questione sottoposta alla Corte

I mutuatari, ritenendo che la clausola di indicizzazione del mutuo in valuta estera fosse abusiva perché non specificava le modalità di determinazione del tasso di cambio delle valute ad opera della banca, hanno proposto ricorso.

Nel procedimento principale i consumatori e il professionista hanno dato interpretazioni diverse in merito alla formulazione della clausola di indicizzazione nel contratto di mutuo ipotecario: per la banca tale clausola prevedeva la determinazione del tasso di cambio della valuta del mutuo sulla base del tasso di cambio di mercato, come riportato quotidianamente nella tabella dei tassi di cambio della banca, mentre i mutuatari hanno interpretato tale clausola nel senso che essa prevedeva che il tasso di cambio della valuta fosse determinato sulla base di un tasso di cambio oggettivo, come quello fissato dalla Banca nazionale della Polonia.

Il Tribunale circondariale di Varsavia - circondario di Wola, II sezione civile, Polonia – ha quindi sottoposto alla Corte di Giustizia, in primo luogo, la questione se l'articolo 4, paragrafo 1, e l'articolo 5 della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che, per essere considerata come formulata in modo chiaro e comprensibile ai sensi di tali disposizioni, la clausola contenuta in un contratto di mutuo concluso tra un professionista e un consumatore, che fissa i tassi di acquisto e di vendita della valuta estera sulla quale è indicizzato il mutuo, deve essere redatta in modo tale da consentire al consumatore di determinare autonomamente, in qualsiasi momento dell'esecuzione del contratto, il tasso di cambio della valuta utilizzato per fissare l'importo delle rate di rimborso di tale mutuo e, in secondo luogo, la questione se il giudice di rinvio sia autorizzato a interpretare una clausola di indicizzazione, quale quella di cui trattasi nel procedimento principale, come riferita al valore di mercato della valuta estera, in particolare quando una simile interpretazione consentirebbe di riflettere la comune intenzione delle parti del contratto, evitando così l'invalidazione di tale clausola.

Il quadro normativo comunitario

La prima questione involge l'interpretazione della Direttiva 1993/13/CE relativa all'interpretazione di clausole asseritamente abusive nei contratti dei consumatori. In particolare, l'art. 5, par. 1, prevede che “nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l'interpretazione più favorevole al consumatore”. La seconda questione involge la questione relativa ai poteri del giudice nel caso di accertamento dell'abusività delle clausole contrattuali. In particolare, l'art. 6, par. 1, prevede che “Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive”.

L'obbligo di formulazione chiara e comprensibile

Secondo la Corte, in virtù dell'obbligo di formulazione chiara e comprensibile prescritto dall'art. 5 della Direttiva 1993/13/CE, il contenuto della clausola di indicizzazione su una valuta estera, alla quale il mutuo concluso tra un professionista e un consumatore è indicizzato, deve consentire a un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto di comprendere, in base a criteri chiari e comprensibili, il modo in cui viene fissato il tasso di cambio della valuta estera utilizzato per calcolare l'importo delle rate di rimborso, in maniera che il consumatore sia in grado di determinare da solo, in qualsiasi momento, il tasso di cambio applicato dal professionista e, pertanto, possa valutare le conseguenze economiche a suo carico.

La dichiarazione del carattere abusivo della clausola

La Corte di Giustizia precisa, inoltre, che qualora il Giudice non dovesse ritenere rispettato l'obbligo di redigere le clausole in modo chiaro e comprensibile, conseguirebbe la sanzione della nullità del contratto solo se è stato accertato il carattere abusivo della clausola oscura, da un lato, e se il contratto non può sussistere senza tale clausola, dall'altro, in forza del principio di conservazione.

I poteri del giudice a fronte dell'accertamento dell'abusività della clausola contrattuale

Qualora la normativa nazionale preveda che, a fronte della dichiarazione della abusività di una clausola contrattuale nell'ambito di un contratto tra professionista e consumatore, tale clausola venga dichiarata nulla, il giudice nazionale non può integrare tale contratto rivedendo il contenuto della clausola abusiva applicando il principio di equità e gli usi, disposizioni queste che non sono né di natura suppletiva né applicabili in caso di accordo tra le parti del contratto.

Al contrario, nell'eventualità in cui la caducazione della clausola abusiva obbligasse il giudice ad annullare il contratto nella sua interezza – esponendo in tal modo il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, sicché quest'ultimo ne sarebbe penalizzato – il giudice nazionale potrebbe sostituire tale clausola con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva.

In conclusione

La Corte, pertanto, ritiene che l'obbligo di redazione chiara e comprensibile e di trasparenza implichi non solo che una clausola di indicizzazione di un contratto di mutuo, in base alla quale il mutuo deve essere rimborsato nella medesima valuta estera nella quale è stato contratto, sia compresa da un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, al fine di consentirgli la valutazione delle conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sui suoi obblighi finanziari, ma anche che tale clausola contenga la indicazione delle modalità di determinazione del tasso di cambio applicate per il calcolo delle rate di rimborso.

Di conseguenza, il giudice nazionale, che abbia constatato il carattere abusivo di tale clausola, non può fornire un'interpretazione della medesima volta a rimediare al suo carattere abusivo, quand'anche tale interpretazione corrisponda alla comune intenzione delle parti del contratto, in quanto tale operazione ermeneutica porterebbe a modificare la comprensione di tale clausola introducendovi un riferimento al «valore di mercato» della valuta estera, né può integrare tale contratto rivedendo il contenuto della clausola abusiva applicando il principio di equità e gli usi.

Nota giurisprudenziale

In questo senso v. anche Corte giustizia UE sez. V, 07/11/2019, n.349 secondo cui l'art. 6 par. 1 della direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, «deve essere interpretato nel senso che osta, da un lato, a che un giudice nazionale che constati il carattere abusivo di una clausola penale prevista in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore riduca l'importo della penale imposta da tale clausola a carico di detto consumatore e, dall'altro, a che un giudice nazionale sostituisca alla medesima clausola, in applicazione di principi del suo diritto contrattuale, una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, salvo se il contratto di cui trattasi non possa sussistere in caso di soppressione della clausola abusiva e l'annullamento del contratto nel suo complesso esponga il consumatore a conseguenze particolarmente pregiudizievoli». Con riferimento alla impossibilità di ricorrere, per integrare il contenuto del contratto, alla equità o agli usi, v. Corte giustizia UE sez. III, 03/10/2019, n.260 secondo cui «l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che sia posto rimedio alle lacune di un contratto, provocate dalla soppressione delle clausole abusive contenute in quest'ultimo, sulla sola base di disposizioni nazionali di carattere generale che prevedono l'integrazione degli effetti espressi in un atto giuridico mediante, segnatamente, gli effetti risultanti dal principio di equità o dagli usi, disposizioni queste che non sono né di natura suppletiva né applicabili in caso di accordo tra le parti del contratto», principio confermato da Corte giustizia UE sez. VII, 18/11/2021, n.212.

Un'apertura sulla possibilità di modificare il contenuto della clausola abusiva è presente in Corte giustizia UE sez. VII, 29/04/2021, n.19 secondo cui «L'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che al giudice nazionale spetta dichiarare l'abusività di una clausola di un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, anche se la stessa è stata modificata contrattualmente da tali parti. Una siffatta dichiarazione comporta il ripristino della situazione che sarebbe stata quella del consumatore in assenza della clausola di cui è stata dichiarata l'abusività, fatta eccezione per il caso in cui quest'ultimo abbia rinunciato mediante la modifica della clausola abusiva a tale ripristino con un consenso libero e informato, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare. Tuttavia, da tale disposizione non risulta che la dichiarazione di abusività della clausola iniziale avrebbe, in linea di principio, come effetto l'annullamento del contratto, qualora la modifica di tale clausola abbia consentito di ristabilire l'equilibrio tra gli obblighi e i diritti di tali parti derivanti dal contratto e di escludere il vizio che lo inficiava» e «l'articolo 6, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che, da un lato, essi non ostano a che il giudice nazionale sopprima unicamente l'elemento abusivo di una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore qualora l'obiettivo dissuasivo perseguito da tale direttiva sia garantito da disposizioni legislative nazionali che ne disciplinano l'utilizzo, purché tale elemento consista in un obbligo contrattuale distinto, idoneo ad essere oggetto di un esame individualizzato del suo carattere abusivo. Dall'altro lato, tali disposizioni ostano a che il giudice del rinvio sopprima unicamente l'elemento abusivo di una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore, qualora una siffatta soppressione equivalga a rivedere il contenuto di detta clausola incidendo sulla sua sostanza, circostanza che spetterà a tale giudice verificare».

In merito alla possibilità che vi sia una trattativa tra le parti al fine di fissare il metodo di calcolo del tasso d'interesse, v. Corte giustizia UE sez. I, 25/11/2020, n.269 secondo cui «l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che, in seguito all'accertamento del carattere abusivo delle clausole che definiscono il meccanismo di fissazione del tasso d'interesse variabile in un contratto di prestito come quello in questione nel procedimento principale, e qualora tale contratto non possa sussistere dopo la soppressione delle clausole abusive in questione, l'annullamento di detto contratto avrebbe conseguenze particolarmente dannose per il consumatore, e non esista alcuna disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, il giudice nazionale deve adottare, tenendo conto del complesso del suo diritto interno, tutte le misure necessarie per tutelare il consumatore dalle conseguenze particolarmente dannose che l'annullamento di detto contratto potrebbe provocare. In circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, nulla osta, in particolare, a che il giudice nazionale rinvii le parti ad una trattativa allo scopo di fissare il metodo di calcolo del tasso d'interesse, purché determini il quadro di tali trattative e queste siano volte a stabilire tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale che tenga conto segnatamente dell'obiettivo di tutela del consumatore sotteso alla direttiva 93/13»