Trattamento fiscale dei prestiti infruttiferi accordati da società madre non residente a società figlia residente

Riccardo Guida
15 Settembre 2022

Ai sensi delle direttive 2003/49, 2011/96 e 2008/7 e del principio di libera circolazione, pur se non sia ammessa prova sull'eventuale ricorrenza di circostanze che giustificano la gratuità dell'operazione, è legittima la normativa nazionale che assoggetta ad imposta, sotto forma di ritenuta alla fonte, gli interessi fittizi che società figlia residente, cui società madre non residente ha concesso prestito gratuito, sarebbe stata tenuta a versare alla controllante estera in condizioni di mercato, purché la norma si applichi allo stesso modo a tutti i prestiti senza interessi (coinvolgano o non società non residenti).
La sentenza 24 febbraio 2022 della Corte di Giustizia U.E., in causa C-257/20, «Viva Telecom Bulgaria» EOOD

Con sentenza 24 febbraio 2022 in causa C-257/20, «Viva Telecom Bulgaria» EOOD, la Corte di Giustizia U.e., su rinvio pregiudiziale del giudice bulgaro, ha dichiarato che il combinato disposto degli articoli 1, paragrafo 1, e 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/49/CE, sul regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (1), l'articolo 5, della direttiva 2011/96/UE, sul regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (2), e gli articoli 3 e 5, della direttiva 2008/7/CE, in tema di imposte indirette sulla raccolta di capitali (3), non ostano a una normativa nazionale che prevede l'assoggettamento a imposta sotto forma di ritenuta alla fonte degli interessi fittizi che una società figlia residente, la quale ha beneficiato di un prestito senza interessi concesso dalla sua società madre non residente, sarebbe stata, secondo le condizioni di mercato, tenuta a versare a quest'ultima.

Per la Corte, inoltre, l'articolo 63 TFUE (4), letto alla luce del principio di proporzionalità, non osta a una normativa nazionale che prevede l'assoggettamento a imposta sotto forma di ritenuta alla fonte degli interessi fittizi che una società figlia residente, la quale ha beneficiato di un prestito senza interessi concesso dalla sua società madre non residente, sarebbe stata, secondo le condizioni di mercato, tenuta a versare a quest'ultima, qualora tale ritenuta alla fonte si applichi all'importo lordo di tali interessi, senza possibilità di deduzione, in tale fase, delle spese connesse a tale prestito, essendo necessaria la presentazione successiva di una domanda in tal senso ai fini del ricalcolo di detta ritenuta e di un eventuale rimborso, purché, da un lato, la durata della procedura prevista a tal fine da tale normativa non sia eccessiva, e, dall'altro, siano dovuti interessi sugli importi rimborsati.

I fatti di causa: la tassazione dei prestiti infruttiferi tra società madre (non residente) e società figlia (di diritto bulgaro)

Il 22 novembre 2013, la «Viva Telecom Bulgaria» EAD (cui è succeduta la «Viva Telecom Bulgaria» EOOD) ha stipulato, in qualità di mutuatario, un accordo di prestito con il suo azionista unico, la InterV Investment Sàrl, società stabilita in Lussemburgo, in forza del quale quest'ultima, in qualità di mutuante, le ha concesso un prestito convertibile senza interessi (con scadenza sessantennale). L'amministrazione finanziaria bulgara (5) ha proceduto a una rettifica fiscale nei confronti della Viva Telecom Bulgaria ed ha disposto, in relazione a tale prestito, il pagamento di una ritenuta alla fonte, in forza dell'articolo 195 dello ZKPO (6), per il periodo compreso tra il 2014 e il 2015. Dopodiché ha fissato il tasso di interesse di mercato da applicare al prestito ai fini del calcolo degli interessi non versati dal mutuatario prima di operare sugli stessi una ritenuta alla fonte del 10 per cento. L'ente impositore (nel 2017) è pervenuto a tale decisione dopo avere accertato che, alla data della verifica fiscale, il prestito non era stato convertito in capitale, la Viva Telecom Bulgaria non aveva né rimborsato la somma ricevuta né pagato interessi, ragione per cui, per l'amministrazione finanziaria, l'operazione integrava un'ipotesi di elusione fiscale.

Dopo che l'ente impositore ha respinto il reclamo del contribuente contro la ripresa fiscale, è sorto contenzioso e il Tribunale amministrativo di Sofia (7), con sentenza del 29 marzo 2019, ha rigettato la domanda ritenendo che il prestito oggetto del recupero a tassazione costituisse un attivo finanziario della ricorrente che aveva generato un profitto a causa del mancato pagamento di interessi e che, per converso, il mutuante avesse subìto una perdita per la mancata riscossione di interessi.

La Viva Telecom Bulgaria ha proposto ricorso per cassazione per l'annullamento della pronuncia di primo grado adducendo, da un lato, che la ritenuta alla fonte è stata operata su redditi da interessi fittizi senza tenere conto dell'esistenza, comprovata, di un interesse commerciale a fondamento della concessione di un prestito infruttifero; dall'altro, che l'articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO sarebbe in contrasto con la giurisprudenza unionale, giacché non consentirebbe alle parti di un prestito senza interessi di dimostrare l'esistenza di valide ragioni economiche. In subordine, la ricorrente sostiene che, poiché la Repubblica di Bulgaria si è avvalsa della facoltà di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/49, che consente agli Stati membri di escludere dall'àmbito di applicazione di tale direttiva gli interessi sui prestiti che essi qualificano, sul piano fiscale, come redditi derivanti da strumenti di fondi propri, sia applicabile la direttiva 2011/96, che riguarda questo tipo di redditi. In particolare, in forza dell'articolo 5 di tale direttiva, gli utili distribuiti da una società figlia residente alla società madre non residente sarebbero esenti da ritenuta alla fonte. La contribuente soggiunge che il prestito di cui al procedimento principale costituisce un conferimento di capitale, ai sensi dell'articolo 3, lettere da h) a j), della direttiva 2008/7, che, conformemente all'articolo 5 della citata direttiva, non dovrebbe essere soggetto ad alcuna imposta indiretta.

La Corte suprema amministrativa (8) ha adìto la Corte di Giustizia, alla quale ha rivolto vari quesiti sull'interpretazione di alcune direttive dell'Unione in materia di fiscalità, nonché degli articoli 49 e 63 TFUE, chiedendo, in sostanza, se queste diverse norme di diritto dell'Unione ostino alla normativa nazionale.

L'approdo della Corte di giustizia

La Corte, in risposta alle questioni prospettate dal giudice del rinvio, con un vasto e approfondito ragionamento, che merita ripercorrere negli snodi essenziali, afferma che le direttive 2003/49, 2011/96 e 2008/7, non ostano a una normativa nazionale che prevede l'assoggettamento a imposta, sotto forma di ritenuta alla fonte, degli interessi fittizi che una società figlia residente, la quale ha beneficiato di un prestito senza interessi concesso dalla società madre non residente, sarebbe stata, secondo le condizioni di mercato, tenuta a versare a quest'ultima.

Detto che nessuna delle direttive invocate dal giudice del rinvio osta alla normativa nazionale in tema di elusione fiscale, la Corte si interroga se la libertà di stabilimento (articolo 49 TFUE) e/o la libera circolazione di capitali (articolo 63 TFUE) possano essere pregiudicate da una normativa di uno Stato membro, come quella bulgara, per la quale la ritenuta alla fonte si applica all'importo lordo degli interessi fissati dall'autorità tributaria nazionale, senza possibilità di deduzione, nella stessa fase, delle spese correlate al prestito, dovendosi a tal fine necessariamente presentare una successiva domanda di ricalcolo della ritenuta e di eventuale rimborso. Al riguardo, la Corte rileva (sulla scorta degli elementi di fatto della causa di merito) che la normativa nazionale bulgara in materia di elusione fiscale ricade in misura preponderante nella sfera della libera circolazione dei capitali (articolo 63 TFUE) (9).

Ebbene, ammettendo che la legge bulgara (articolo 16, paragrafo 2, punto 3, dello ZKPO) introduca una presunzione assoluta di elusione fiscale (che non ammette prova contraria circa le eventuali ragioni commerciali che giustificano la conclusione di prestiti senza interessi), comunque, a giudizio della Corte, visto che la norma si applica allo stesso modo a tutti i prestiti senza interessi (che coinvolgano o meno società non residenti), la normativa bulgara non determina alcuna restrizione alla libera circolazione dei capitali rientrante nell'àmbito di applicazione dell'articolo 63 TFUE.

Nella fattispecie concreta, però, sorge un problema, che la Corte mette a fuoco nei seguenti termini: sebbene una stessa aliquota d'imposta del 10 per cento si applichi indipendentemente dal fatto che il prestito senza interessi coinvolga unicamente società residenti o anche società non residenti, tuttavia, le società residenti sono soggette all'imposta in discorso (nell'alveo dell'assoggettamento all'imposta sulle società), sull'importo netto dei loro redditi da interessi fittizi, previa deduzione delle eventuali spese direttamente connesse alla concessione di tale prestito, mentre, per la normativa bulgara, le società non residenti sono soggette a una ritenuta alla fonte sull'importo lordo dei loro redditi da interessi fittizi, senza che sia possibile, in tale fase, dedurre spese del genere (10).

È indubitabile che (in forza dell'articolo 202a dello ZKPO) le società non residenti possono presentare una domanda di rimborso nel corso dell'anno successivo a quello della riscossione della ritenuta alla fonte, ma resta il fatto che mentre una società residente può dedurre subito le spese direttamente connesse ai suoi redditi da interessi fittizi, una società non residente, allo stesso fine, può soltanto presentare domanda di rimborso dopo avere versato la ritenuta alla fonte calcolata sull'importo lordo dei suoi interessi fittizi. E tale differenza di trattamento procura alla società residente un “vantaggio di tesoreria” rispetto alle società non residenti. Sicché la normativa bulgara reca una restrizione alla libera circolazione dei capitali, che è, in linea di principio, vietata dall'articolo 63 TFUE, salvo verificare se una simile restrizione possa essere considerata come oggettivamente giustificata, alla luce dell'articolo 65,paragrafi 1 e 3, TFUE (11).

Per la giurisprudenza unionale, affinché una normativa tributaria nazionale possa essere considerata compatibile con le disposizioni del Trattato FUE relative alla libera circolazione dei capitali, occorre che la differenza di trattamento riguardi situazioni che non sono oggettivamente comparabili o che essa sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale. In effetti, la Repubblica di Bulgaria ha scelto di esercitare la competenza fiscale sui prestiti senza interessi conclusi tra società mutuatarie residenti e società mutuanti non residenti e, di conseguenza, le società non residenti devono essere considerate, per quanto attiene alle spese direttamente connesse a tali prestiti, in una situazione comparabile a quella delle società residenti. Però, venendo ai fatti di causa, le società residenti che abbiano concesso un prestito senza interessi, (come dianzi accennato) beneficiano di un vantaggio finanziario rispetto alle società non residenti che abbiano concesso il medesimo tipo di prestito.

In altre parole, la normativa nazionale, che prevede un diverso trattamento di situazioni oggettivamente comparabili, secondo la prospettiva del Governo bulgaro, sarebbe giustificata dalla necessità di assicurare una ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri e di garantire l'efficacia della riscossione dell'imposta al fine di prevenire l'elusione fiscale (articolo 16, ZKPO).

A parere della Corte tale normativa è conforme al diritto unionale in quanto, benché restringa la libera circolazione dei capitali, oltre a rispettare il principio di proporzionalità, è giustificata da motivi imperativi di interesse generale, quali: (i) la necessità di preservare la ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri; (ii) la lotta all'elusione fiscale; (iii) la necessità di garantire l'efficacia della riscossione dell'imposta.

La giurisprudenza domestica sul transfer pricing nei finanziamenti infruttiferi intercompany

La decisione della Corte di Giustizia suscita interesse nella prospettiva del diritto nazionale poiché, innegabilmente, anche la legge dello Stato italiano mira alla ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri, alla lotta all'elusione fiscale ed è mossa dalla necessità di un'efficace attività di riscossione delle imposte.

I princìpi enunciati dai giudici di Lussemburgo circa la potestà riservata agli Stati membri di porre delle limitazioni alla libertà di circolazione dei capitali per motivi imperativi di interesse nazionale, quali il contrasto all'elusione fiscale e l'esigenza di garantire un efficace sistema di riscossione dei tributi, punteggiano la trama della giurisprudenza domestica.

È pur vero, però, che il dibattito nazionale sulla disciplina fiscale dei finanziamenti infruttiferi intercompany si è confrontato, nel corso degli anni, con una produzione di norme di diritto non sovrapponibile a quella (dello Stato bulgaro) che fa da sfondo alla decisione della Corte di Giustizia che qui si annota.

In breve, si è ormai consolidato un orientamento di legittimità (condiviso dalla prevalente giurisprudenza di merito) che, senza ignorare la tematica dell'elusione fiscale (che rappresenta il perno della sentenza 24 febbraio 2022, in causa C-257/20), attinge a piene mani alle disposizioni sul transfer pricing (“prezzo di trasferimento”)(articolo 110, comma 7, TUIR).

Scorrendo i repertori delle decisioni di legittimità degli ultimi anni, si scopre infatti che la Cassazione si è spesso occupata della repressione del fenomeno economico del transfer pricing (che è lo spostamento d'imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) e, con approccio per così dire sostanzialistico, ha stabilito che spetta all'amministrazione finanziaria provare non già la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l'esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, mentre incombe sul contribuente, secondo le regole ordinarie di vicinanza della prova (articolo 2697, c.c.) ed in materia di deduzioni fiscali, l'onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto specificamente previsto dall'articolo 9, comma 3, TUIR (12).

In progresso di tempo, a quel primo, fondamentale arresto nomofilattico se ne sono aggiunti altri, anche in tema di transfer pricing internazionale in materia di mutui; a titolo di esempio, si pensi a Cass. n. 13387/2016, in causa riguardante l'accertamento (ai fini Irpeg e Ilor), per altro periodo di imposta, nei confronti della medesima capogruppo italiana di cui al precedente di legittimità dianzi citato, derivante dalla mancata contabilizzazione di interessi attivi, la quale ha enunciato il principio diritto secondo cui «In tema di reddito d'impresa, la stipula di un mutuo gratuito tra una società controllante residente e una controllata estera soggiace all'art. 76, comma 5 (ora 110, comma 7), del d.P.R. n. 917 del 1986, finalizzato alla repressione del cd. “transfer pricing”, che deve trovare applicazione non solo quando il prezzo pattuito sia inferiore a quello mediamente praticato nel comparto economico di riferimento, ma anche quando sia nullo» (13).

Ancor più di recente la S.C. (Cass. n. 13850/2021) ha chiarito che il giudice di merito, innanzitutto, è tenuto a verificare se l'amministrazione abbia dato prova del finanziamento erogato dalla società controllante di diritto interno alla controllata estera, quale presupposto della ripresa a tassazione degli interessi attivi del mutuo, in base al tasso di mercato osservabile in relazione a finanziamenti aventi caratteristiche sufficientemente “comparabili” ed erogati a soggetti con il medesimo credit rating dell'impresa debitrice associata. Dopodiché, rimarca la S.C., il giudice tributario deve verificare se la società contribuente ha dimostrato che il finanziamento infruttifero era sorretto da ragioni commerciali interne al gruppo, o, comunque, era coerente con le normali condizioni di mercato, o se, al contrario, risulti che il prestito di denaro tra imprese indipendenti operanti nel libero mercato sarebbe avvenuto a condizioni diverse (14).

Un filo rosso tra dicta della Corte di Giustizia e contenzioso domestico

Per la giurisprudenza di legittimità, come si è detto, i finanziamenti infruttiferi transnazionali tra società appartenenti al medesimo gruppo, in linea teorica, non assumono valenza fiscale a condizione che soddisfino il principio di libera concorrenza (o del “valore normale”, o arm's lenght principle).

Rispetto alle disposizioni di diritto interno in materia transfer pricing, in relazione ai motivi imperativi di interesse generale enucleati da C.G.U.E. 24 febbraio 2022, in causa C-257/20 (v. § 3.), la necessità di preservare la ripartizione equilibrata della potestà impositiva tra gli Stati membri e quella di garantire l'efficace riscossione delle imposte prevalgono sulla funzione antielusiva, che ha portata marginale (mentre, invece, rappresenta il fulcro delle norme tributarie dello Stato bulgaro).

I precedenti della Cassazione non si discostano dall'elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia che, in passato, ha avuto modo di misurarsi con la delicata materia della compatibilità delle regole sul transfer pricing con le libertà fondamentali sancite dal Trattato UE: in particolare, con la libertà di stabilimento (articolo 49 TFUE).

I giudici di Lussemburgo, con sentenza 08 ottobre 2020, in causa C-558/19, «Impresa Pizzarotti» — nella controversia relativa alla ripresa a tassazione dei prestiti infruttiferi concessi da una stabile organizzazione rumena (Impresa Pizzarotti) alla società madre italiana (Pizzarotti Italia) sul presupposto che essi costituiscono trasferimenti che, conformemente alle norme in materia di prezzi di trasferimento, avrebbero dovuto essere effettuati al prezzo di mercato (pari al tasso di interesse medio applicato dalla Banca nazionale della Romania) —, in primo luogo, ricordano che il Codul fiscal (codice tributario rumeno) considera le succursali come soggetti distinti soltanto quando costituiscono una stabile organizzazione di una persona giuridica non residente, cosicché i redditi di una succursale vengono rettificati, conformemente alle norme relative al prezzo di trasferimento, solo se la società madre è stabilita in un altro Stato membro, mentre non si procede ad alcuna rettifica se succursale e casa madre sono stabilite in Romania.

Conseguentemente, una succursale di una società non residente, quale l'Impresa Pizzarotti, riceve un trattamento meno favorevole di quello di cui beneficerebbe la succursale di una società residente che effettuasse transazioni analoghe con la società madre. E ciò, per i giudici di Lussemburgo, può integrare una restrizione alla libertà di stabilimento, vietata dall'articolo 49 TFUE.

Nella specie, tuttavia, la disciplina fiscale nazionale, diretta ad impedire che gli utili generati nello Stato membro interessato vengano trasferiti al di fuori della giurisdizione tributaria di quest'ultimo per mezzo di transazioni non conformi alle condizioni di mercato, senza essere stati sottoposti a tassazione, non vìola il principio della libertà di stabilimento (articolo 49 TFUE) in quanto è idonea ad assicurare il mantenimento della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri ed è proporzionata al raggiungimento di tale obiettivo.

In ultima analisi, per la Corte, la normativa tributaria rumena non eccede quanto necessario per il raggiungimento dell'obiettivo perseguito, anche perché il contribuente è messo in grado, senza eccessivi oneri amministrativi, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali per la conclusione della transazione ad un prezzo che non rispecchia il prezzo di mercato.

Un filo di continuità, come la disciplina transfer pricing (la cui matrice antielusiva è assai flebile) unisce i princìpi enucleati dalla Cassazione sul regime fiscale dei finanziamenti gratuiti infragruppo transnazionale e la giurisprudenza della Corte di Giustizia.

S'intende sostenere che, nel rispetto del principio di libera concorrenza, e in disparte la verifica circa la natura elusiva o meno del trasferimento di materia imponibile da un ente commerciale ad altro ente ad esso collegato, il presupposto della ripresa a tassazione degli interessi attivi (fittizi) del finanziamento tra società consociate è dato soltanto dalla dimostrazione (che spetta all'erario) dell'esistenza di una transazione a un tasso di interesse nullo o inferiore a quello normale.

D'altra parte, è ben possibile per la società contribuente dimostrare le ragioni economiche che, in situazioni eccezionali, hanno portato ad un finanziamento “a tasso zero” (o inferiore al “valore normale”) della propria partecipata. Ed è quanto accade, come nota la dottrina, nel caso di una società residente che decida, in maniera legittima (ed eccezionale), di fornire “supporto finanziario” ad una propria controllata estera, senza esigere il pagamento di interessi (o procrastinandolo) a causa del grave deficit o della redditività precaria in cui versa la consociata. In una simile ipotesi, infatti, la mancata sospensione degli interessi potrebbe persino compromettere la restituzione del finanziamento (15).

Note

(1) Direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003, relativa al regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi.

(2) Direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011, relativa al regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri.

(3) Direttiva 2008/7/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008, relativa alle imposte indirette sulla raccolta di capitali.

(4) L'articolo 63, paragrafo 1, del TFUE, recita: «Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo [Capo 4 Capitali e pagamenti, n.d.r.] sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.».

(5) Si tratta della Teritorialna direktsia na Natsionalnata agentsia za prihodite (Direzione territoriale dell'Agenzia nazionale delle entrate, Bulgaria) (nel testo: «amministrazione finanziaria»).

(6) È l'articolo 195 dello ZKPO (Zakon za korporativnoto podohodno oblagane) (legge relativa all'imposta sui redditi delle persone giuridiche; DV n. 105, del 22 dicembre 2006), in vigore dal 1° gennaio 2007 (nel testo: «ZKPO»).

(7) Si tratta dell'Administrativen sa Sofia.

(8) Si tratta del Varhoven administrativen sad.

(9) V. il punto 86 della decisione nel quale si rimarca che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, l'articolo 63, paragrafo 1, TFUE, vieta, in quanto restrizioni ai movimenti di capitali, le misure che sono idonee a dissuadere i non residenti dall'effettuare investimenti in uno Stato membro o a dissuadere i residenti di questo Stato membro dall'effettuarne in altri Stati.

(10) È quanto dispone l'articolo 195, paragrafi 1 e 2, articolo 199 dello ZKPO.

(11) V. i punti da 96 a 112 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata. In base alle disposizioni riportate nel testo, si legge nella sentenza, gli Stati membri possono operare, nella loro normativa nazionale, una distinzione tra i contribuenti residenti e i contribuenti non residenti, purché tale distinzione non costituisca un mezzo di discriminazione arbitraria né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali.

(12) Si fa riferimento a Cass. n. 7493/2016 (in continuità con Cass. n. 18392/2015), in controversia riguardante la ripresa a tassazione di interessi attivi derivanti da un versamento operato da una società per azioni italiana a favore della controllata con sede in Lussemburgo, che l'ufficio finanziario aveva qualificato come finanziamento produttivo di interessi, rientrante nella previsione del cd. transfer pricing, nonostante che la società lo avesse qualificato come versamento infruttifero, in conto futuro aumento di capitale.

(13) In senso conforme, Cass. n. 27018/2017, e, simmetricamente, Cass. n. 1232/2021, in causa relativa alla determinazione del prezzo normale di cessione delle royalties sul marchio tra controllante italiana e controllata estera.

(14) Cass. n. 13850/2021 (negli stessi termini, v. Cass. nn. 18388/2021, 27636/2021), pronunciando sull'impugnazione di un avviso di accertamento nei confronti di una società di capitali, che recuperava a tassazione Ires interessi attivi su finanziamenti erogati a favore di una società “veicolo”, con sede in Hong Kong, in accoglimento del ricorso dell'agenzia delle entrate, ha cassato con rinvio la sentenza del giudice tributario di appello che si era discostata dai princìpi di diritto riguardanti l'oggetto della prova e il criterio di ripartizione dell'onere della prova, tra fisco e contribuente, in tema di transfer pricing internazionale. La sentenza è annotata da: GALLIO, Ammessi i finanziamenti infragruppo a titolo gratuito per ragioni economiche, in il fisco, 26, 2021, 2580; AVOLIO, Finanziamenti infruttiferi legittimi in ambito cross border se provate le ragioni commerciali infragruppo, in Corriere tributario, 8, 2021, 741.

(15) AVOLIO, DE ANGELIS, Le Guidance OCSE sugli effetti della pandemia Covid-19 per le policy di transfer pricing, in il fisco, 10, 2021, 949, osservano che l'OCSE ha pubblicato un documento (“Guidance on the transfer pricing implications of the Covid-19 Pandemic”) che fornisce importanti chiarimenti su come fronteggiare e gestire gli effetti della pandemia “Covid-19” per le policy di tranfer pricing delle imprese, confermando, in generale, le Linee Guida OCSE e la validità del principio dell'arm's lenght e consentendo l'adozione di un “approccio pragmatico” per ovviare alla carenza di informazioni su transazioni comparabili per il periodo della pandemia.