Convenzione europea dei diritti dell'uomo e obbligazioni tributarie

Aurelio Cappabianca
15 Settembre 2022

Il diritto all'“equo processo” rispetto ad ogni “accusa penale”, garantito dell'art. 6 § 1 della Convenzione EDU, si estende anche agli illeciti ed alle sanzioni qualificati dagli ordinamenti nazionali come “tributari”.
Principi

Con sentenza 14 dicembre 2021, Melgarejo Martín de Abellanosa v. Spain (1), la Corte EDU ha affermato i principi di seguito riportati.

La garanzia convenzionale, che l'art. 6 § 1 assicura rispetto “ad ogni accusa penale”, si estende anche agli illeciti ed alle sanzioni qualificate dagli ordinamenti nazionali come “tributari”, dovendosi intendere quale garanzia nei confronti dell'esercizio di qualsiasi pubblica potestà punitiva pur non specificamente qualificata “penale” dagli ordinamenti nazionali.

Configura sanzione tributaria (in ciò diversificandosi dalle ordinarie obbligazioni tributarie) il pagamento di una somma di denaro, tanto più se di ingente entità, preteso, non in quanto equivalente di imposte dovute e non corrisposte, bensì, a scopo deterrente, quale punizione tesa a dissuadere dal compimento di determinate condotte attive o omissive.

Pur non richiedendosi una risposta dettagliata a ciascuna argomentazione avanzata dalle parti, configura violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione, sotto il profilo dell'inadeguatezza della motivazione, la mancata esplicitazione, in sentenza, delle ragioni poste a fondamento dell'omessa considerazione di censura astrattamente dirimente per l'esito della controversia.

Osservazioni

In riscossione di pregresso avviso di accertamento nella parte divenuta definitiva, l'Amministrazione finanziaria emise, nei confronti del contribuente, intimazione di pagamento avente ad oggetto sia il debito d'imposta sia le connesse sanzioni per ritardato pagamento e gli interessi di mora.

Una volta effettuato il pagamento nell'ambito delle procedure esecutive, il contribuente propose, in sede amministrativa, due distinti ricorsi per indebito pagamento in osservanza d'intimazione dell'Autorità fiscale: l'uno relativo al debito d'imposta; l'altro relativo alla sovrattassa per ritardato pagamento e agli interessi di mora.

Per effetto dell'accoglimento del primo ricorso e del rigetto del secondo, in esito a tale fase, fu ritenuto indebito, in conseguenza dell'annullamento del titolo relativo, il pagamento concernente l'imposta e, invece, dovuto, non essendone stato annullato il titolo, quello concernente le sanzioni e gli interessi di mora.

Il contribuente agì quindi in via giurisdizionale, per l'annullamento anche dell'intimazione relativa alle sanzioni ed agli interessi di mora, deducendo, tra l'altro, che l'annullamento della pretesa erariale concernente il debito d'imposta necessariamente travolgeva anche quella avente ad oggetto le sanzioni e gli interessi di mora, che nell'(escluso) inadempimento fiscale trovavano fondamento.

Il giudice adito respinse il ricorso, omettendo ogni espressa pronunzia in merito alla censura del contribuente fondata sul carattere meramente accessorio e conseguenziale delle obbligazioni per sanzioni e per interessi rispetto al debito d'imposta oggetto dell'intimazione annullata.

Peraltro, a distanza di circa due mesi, il medesimo giudice (identico anche nella composizione personale), si pronunziò in senso opposto su identica vicenda processuale coinvolgente i fratelli del contribuente; dichiarando, in questo caso, la nullità dell'intimazione relativamente alle sanzioni per ritardato pagamento ed interessi, in considerazione del fatto che, per la loro natura accessoria rispetto al principale debito d'imposta (cancellato già in sede amministrativa), tali misure dovevano necessariamente seguire la sorte del debito principale.

Divenuta definitiva la decisione degli organi giurisdizionali nazionali, il contribuente ha proposto ricorso alla Corte EDU, lamentando la violazione del diritto ad un equo processo, previsto dall'art. 6 § 1 della Convenzione, poiché il giudice nazionale non aveva dato risposta alla censura fondata sulla natura accessoria, rispetto al principale debito d'imposta, del debito per sovrattassa ed interessi di mora; natura che, invece, aveva ritenuto decisiva nell'identico giudizio nei confronti dei fratelli.

Ai limitati fini del riscontro dell'ammissibilità del ricorso, la Corte richiama i propri orientamenti in tema di applicabilità della Convenzione al campo del diritto tributario.

In particolare, la Corte ribadisce che la tutela convenzionale garantita dall'art. 6, § 1 (1), ai diritti e ai doveri di natura civilistica non copre i rapporti tributari d'imposta (2) e che, invece, la tutela convenzionale che la medesima disposizione assicura rispetto “ad ogni accusa penale” - dovendosi tale tutela intendere nella più lata accezione di protezione nei confronti di qualsiasi pubblica potestà punitiva, pur non specificamente qualificata “penale” - si estende anche agli illeciti ed alle sanzioni qualificate dagli ordinamenti nazionali come “tributari” (3). Puntualizza, inoltre, che queste ultime sanzioni si configurano (in ciò diversificandosi dalle ordinarie obbligazioni tributarie) ogni qual volta che il pagamento di una somma di denaro, tanto più se di ingente entità, è preteso, non quale equivalente di imposte dovute e non corrisposte, ma, a scopo deterrente, come punizione tesa a dissuadere dal compimento di determinate condotte (4).

In tal senso, la decisione, allineandosi alla precedente elaborazione giurisprudenziale, si cimenta, seppur incidentalmente ad altri fini, su quello che rappresenta il tema di fondo dell'annosa questione relativa all'applicabilità del principio ne bis in idem, sancito dall'art. 4, prot. 7, della Convenzione (5), ai fini della regolamentazione, segnatamente in campo tributario, del concorso di sanzioni penali e sanzioni amministrative; concorso più di recente ispirato, forse anche per interazione con l'esegesi parallelamente condotta dalla Corte di giustizia U.e. (6) sull'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali (7), piuttosto che a un principio di automatica alternatività (8) ad un principio di complementarietà guidato da criteri di affidamento, regionevolezza e proporzionalità (9).

Nel merito, la Corte - escluso che, in linea di principio, la contraddittorietà delle decisioni su fattispecie sostanzialmente identiche mini, di per sé stessa, la certezza del diritto in termini tali da determinare una violazione della Convenzione - riscontra la violazione dell'art. 6, § 1, della Convenzione medesima, sotto il profilo dell'inadeguatezza della motivazione, nel fatto che, pur non richiedendosi una risposta dettagliata a ciascuna argomentazione avanzata dalla parti, il giudice spagnolo ha omesso di esplicitare, in sentenza, le ragioni poste a fondamento della mancata considerazione della censura, dirimente per l'esito della controversia, incentrata sul mancato riscontro della caducazione della pretesa accessoria in esito all'annullamento di quella principale.

Mette conto segnalare che, nel nostro ordinamento, la situazione avrebbe trovato “copertura” nella previsione dell'art. 111, comma 6, Cost., nell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nell'art. 118 disp. att. c.p.c. e, con specifico riferimento processo tributario nell' art. 36, comma 2, d.lgs. 546/1992; nonché rimedio interno nel ricorso per cassazione ai sensi dell'art. art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.

Note

(1) Sotto il titolo “Diritto a un equo processo”, il primo comma l'articolo 6, § 1,della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo disposizione recita: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia”.

(2) Corte EDU 12 luglio 2001, Ferrazzini c. Italia.

(3) Corte EDU 8 giugno 1976, Engel ed altri c. Paesi Bassi; Corte EDU, G.C., 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia; Corte EDU10 novembre 2020, Vegotex International S.A. v. Belgio.

(4) Corte EDU 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia.; Corte EDU 23 luglio 2002, Janosevic c. Svezia.

(5) L'articolo 4, protocollo 7, dellaConvenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, sotto il titolo “Diritto di non essere giudicato o punito due volte”, dispone al primo comma: “Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”.

(6) CGUE 26 febbraio 2013 in C - 617/10, Akerberg Fransson; C.G.U.E. 20 marzo 2018 in C – 524/15, Menci; C.G.U.E. 20 marzo 2018 in C – 537,Garlsson Real Estate SA; C.G.U.E. 20 marzo 2018 in C – 596 e 597, Di Puma e Zecca.

(7) Sotto il titolo “Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato”, l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentalidell'Unione europea dispone “Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge.

(8) Corte EDU 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia.

(9) Corte EDU, G.C., 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia; Corte EDU 18 maggio 2017 J. E J. C. Norvegia; Corte EDU, G.C., 8 luglio 2019, Mihalace c. Romania.