Limitazione all’impugnabilità dell’estratto di ruolo applicabile anche ai giudizi pendenti

La Redazione
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07 Settembre 2022

Si applica alle cause pendenti fra contribuente e amministrazione finanziaria la norma introdotta in sede di conversione del decreto fiscale n. 146/2021. In particolare, l'articolo 3-bis da una parte dichiara non impugnabile l'estratto di ruolo, e dall'altra indica i casi nei quali è possibile la tutela diretta per il contribuente che sostiene di non aver ricevuto la notifica della cartella.

La disposizione introdotta dalla l. n. 215/2021 specifica, concretizzandolo, l'interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o notificata in modo invalido: è infatti prevista una serie di ipotesi nelle quali il rimedio risulta esperibile se il debitore dimostra che l'iscrizione a ruolo potrebbe danneggiarlo nei confronti della pubblica amministrazione. L'interesse ad agire è una situazione dinamica di natura processuale che incide sulla pronuncia della sentenza.

Lo stabiliscono le Sezioni unite civili con la sentenza n. 26283 del 6 settembre 2022, che dichiara altresì infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma.

Impugnabilità dell'estratto di ruolo e ius superveniens. Con ordinanza interlocutoria n. 4526 dell'11 febbraio 2022 la V Sezione civile della Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza relativa alla portata applicativa dell'art. 3-bis d.l. n. 146/2021, convertito dalla l. n. 215/2021, avente ad oggetto la “non impugnabilità dell'estratto di ruolo e limiti all'impugnabilità del ruolo”, ed in particolare se tale norma abbia natura sostanziale (con efficacia ex nunc), attenendo al presupposto impositivo, o processuale.

L'art. 3-bis d.l. n. 146/2021 ha introdotto il comma 4-bis all'art. 2 d.P.R. n. 602/1973, disponendo come regola generale la non impugnabilità dell'estratto di ruolo. Tuttavia, è ammessa l'impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata soltanto se il debitore che agisce in giudizio dimostra che l'iscrizione a ruolo può procuragli un pregiudizio:

• per la partecipazione ad una procedura di appalto, per effetto di quanto è previsto, in materia di contratti pubblici, dall'art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50/2016;

• per la riscossione di somme dovute a suo favore dai soggetti pubblici di cui all'art. 1, comma 1, lett. a), d.m. n. 40/2008, per effetto delle verifiche indicate all'art. 48-bis d.P.R. n. 602/1973;

• per la perdita di un beneficio nei rapporti con la pubblica amministrazione.

La norma, quindi, limita le possibilità di difesa del contribuente che sono previste in materia di contenzioso tributario laddove l'impugnabilità del ruolo è espressamente prevista dall'art. 19, comma 1, d.lgs. n. 5456/1992, secondo cui «il ricorso può essere proposto avverso: […] d) “il ruolo e la cartella di pagamento”, il cui complemento si rinviene al successivo art. 2, comma 2, secondo cui “la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo”.

Nel caso di specie la questione arrivata sino in Cassazione riguarda la possibilità per il contribuente, che assuma di non aver ricevuto la rituale notifica dei provvedimenti impositivi (cartella, intimazione di pagamento, avviso di iscrizione ipotecaria), e che scopra “occasionalmente” la sussistenza di iscrizioni a ruolo, come pure delle cartella di pagamento e dell'iscrizione ipotecaria, di impugnare “in via diretta” tali atti tributari, con tutela “anticipata”, quindi prima della loro rituale notificazione nei suoi confronti.

Nella specie, il contribuente ha affermato di essere venuto a conoscenza dell'iscrizione ipotecaria, delle cartelle di pagamento e del ruolo, solo a seguito della comunicazione degli estratti di ruolo. La questione, risolta dalla Cassazione, con pronuncia a Sezioni Unite n. 19704/2015, deve ora essere affrontata alla luce dell'art. 3-bis d.l. n. 146/2021, convertito in l. n. 215/2021, avente ad oggetto la “non impugnabilità dell'estratto di ruolo e limiti all'impugnabilità del ruolo”.

In particolare, deve verificarsi se lo ius superveniens suindicato abbia o meno valore retroattivo, con eventuale applicabilità anche ai giudizi tributari in corso e, quindi, anche alla controversia in esame.

L'innovazione legislativa non prevede alcuna disciplina transitoria, sicché deve decidersi se la novella concerna o meno i giudizi attualmente pendenti.

Secondo una prima impostazione teorica la nuova disposizione, avendo carattere processuale e non sostanziale, opera anche per i processi pendenti, in base alla regola “tempus regit actum”, seppure con particolare focalizzazione sulla sussistenza dell'interesse ad agire. Questa prima interpretazione è stata fatta propria dall'Agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco 2022, in cui si è affermato che «il legislatore si è posto nel solco già tracciato dalla giurisprudenza di cassazione ed è intervenuto per ribadire la non impugnabilità dell'estratto di ruolo e prevedere le casistiche in cui vi è l'interesse del debitore ad impugnare direttamente il ruolo e la cartella di pagamento che si assume validamente notificata, senza attendere la notifica dell'atto successivo». Viene, dunque, sostenuta la non impugnabilità dell'estratto di ruolo anche prima del 21 dicembre 2021, data di entrata in vigore della nuova norma.

Secondo una diversa ricostruzione dottrinale, invece, il principio generale di irretroattività della legge comporta che la nuova disciplina sulla impugnabilità limitata degli estratti di ruolo, o meglio delle cartelle non validamente notificate, come pure delle iscrizioni ipotecarie irritualmente notificate, conosciute tramite l'estratto di ruolo, si applichi alle impugnazioni degli estratti di ruolo proposte a decorrere dalla data di entrata in vigore della novella legislativa.

Parte della giurisprudenza di merito ha preferito tale interpretazione, ritenendo che la norma si applichi solo a decorrere dal 21 dicembre 2021; non può qualificarsi come norma di interpretazione autentica, sia perché non indicata come tale dal legislatore, sia perché dopo l'intervento delle sezioni unite di questa Corte (n. 19704/2015), la giurisprudenza si è uniformata ai principi affermati. Si è escluso, quindi, che la norma sia di carattere processuale e quindi applicabile immediatamente, perché non è stato diversamente disciplinata la modalità di introduzione del gravame ovvero della gestione del processo; la norma ha esclusivamente modificato la “platea” degli atti impugnabili agendo sui presupposti e quindi sotto un profilo sostanziale.

Caso concreto. È una questione di massima di particolare importanza quella risolta dalle Sezioni Unite: se e quando il contribuente può impugnare in modo immediato, anche insieme con il ruolo, atti di riscossione che sostiene non gli siano stati mai notificati. E ciò anche per la riscossione di entrate pubbliche extratributarie: crediti contributivi e previdenziali ma anche sanzioni amministrative come le multe. In base alla novella, il ruolo e la cartella che si ritiene notificata in modo invalido possono essere impugnati in modo diretto soltanto se il debitore che agisce in giudizio dimostra che l'iscrizione a ruolo può fargli perdere un appalto pubblico, somme di denaro dovutegli da soggetti pubblici o comunque un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione. E la disposizione della l. n. 215/2021 che ha limitato l'accesso diretto è esente da dubbi di costituzionalità: non costituisce norma di interpretazione autentica né risulta retroattiva. È il legislatore che, nel regolare specifici casi di azione diretta, stabilisce quando la notificazione invalida implica di per sé il bisogno della tutela davanti al giudice: la norma si applica ai processi in corso perché incide sulla pronuncia di una sentenza o ordinanza ancora da compiere e non su uno degli effetti dell'impugnazione.

In altri termini la norma ha valenza processuale in quanto plasma l'interesse ad agire che ha natura dinamica e può assumere una diversa configurazione, anche per volontà del legislatore, fino al momento della decisione (cfr. Cass. civ., n. 9094/2017). L'interesse ad agire (inteso come necessità di evitare danni nei rapporti con la pubblica amministrazione) deve essere dimostrato e tale dimostrazione può avvenire anche nel corso dei giudizi pendenti (anche in sede di legittimità cfr. Cass. civ., sez. unite, n. 21691/2016), anche attraverso la rimessione in termini.

Infine, la Corte dichiara infondati i dubbi di legittimità costituzionale della norma che, nella discrezionalità del legislatore in tema di disciplina del processo, non appare né irragionevole né arbitraria.

(Fonte: Diritto e giustizia)