L'Adunanza plenaria circoscrive l'ambito di applicabilità del principio della consumazione del potere di impugnazione nel processo amministrativo

Ida Raiola
24 Settembre 2022

L'Adunanza plenaria si è pronunciata sul principio della “consumazione” del potere di impugnazione nel processo amministrativo, nel caso in cui alla proposizione del (primo) gravame la medesima parte processuale ne abbia fatti seguire altri, individuando i presupposti per la configurabilità della litispendenza in appello di più ricorsi distinti, proposti dalla stessa parte processuale, avverso la medesima sentenza.
Premessa

Investita dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza di rimessione del 25 ottobre 2021 n.7138 (1) (art.99, comma 1, c.p.a.), di alcuni quesiti in tema di applicabilità nel processo amministrativo del principio di consumazione del potere di impugnazione (2), l'Adunanza plenaria, con la pronuncia del 21/04/2022 n.6, ha compiuto una ricognizione dell'istituto e degli indirizzi della giurisprudenza amministrativa formatisi sul tema, ma non ha dato specifico riscontro ai quesiti con l'enunciazione del principio di diritto, sul rilievo che, nella fattispecie concreta, non si poneva in radice alcuna questione rilevante ai fini dell'applicabilità del principio in parola, non essendosi realizzata la contemporanea “pendenza” di due ricorsi di appello proposti ad iniziativa della stessa parte processuale sulla medesima controversia.

L'Adunanza plenaria ha, infatti, osservato che “condicio sine qua non affinché un giudice [in applicazione del principio della consumazione del potere di impugnazione] possa dichiarare l'inammissibilità o improcedibilità del gravame – o, più in generale, pronunciarsi su di esso – è che quest'ultimo venga iscritto a ruolo, ossia depositato presso la Segreteria (o Cancelleria) del giudice medesimo. Deposito che, nel caso del processo amministrativo, ai sensi dell'art. 45 Cod. proc. amm. segue la notifica alle controparti e solo successivamente al quale può parlarsi di litispendenza (dovendo trovare conferma il principio – su cui Cons. Stato Ad. plen., 28 luglio 1980, n. 35 e valevole anche alla luce del sopravvenuto d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 – secondo cui la litispendenza nel processo amministrativo è l'effetto di una fattispecie complessa, i cui co-elementi possono ritenersi costituiti dalla notifica e dal deposito: la sola notifica quindi, non seguita dal tempestivo deposito del ricorso, è inidonea a provocare la litispendenza. In termini, anche Cons. Stato, IV, 21 dicembre 2001, n. 6333; IV, 7 gennaio 2013 n. 22; IV, 19 dicembre 2016, n. 5363)”.

Ne consegue – ad avviso dell'Adunanza plenaria - che, essendo mancato, nella vicenda processuale in esame, sia il deposito del primo ricorso notificato sia la presenza di elementi di novità nel contenuto del secondo ricorso notificato rispetto al contenuto del primo ricorso notificato, deve “escludersi che la vicenda sottoposta all'esame di questa Adunanza plenaria sia riconducibile al paradigma della consumazione del potere di impugnazione, difettandone entrambi i presupposti”.

La vicenda processuale e la rimessione all'Adunanza plenaria

La fattispecie sottoposta allo scrutinio dell'Adunanza plenaria si originava dalla reiterazione della notifica di un atto di appello da parte dell'Amministrazione, risultata soccombente in primo grado: la sentenza del giudice di prime cure veniva gravata in un primo momento con un atto di appello notificato in data 23 dicembre 2020, ma non depositato, e successivamente con un secondo atto di appello notificato in data 19 gennaio 2021 (essendo ancora pendente il termine per impugnare), di contenuto identico al precedente ma provvisto, a differenza di questo, di firma digitale. Il ricorso successivamente notificato veniva depositato in data 29 gennaio 2021, tempestivamente, dunque, rispetto alla notifica del secondo atto di appello, ma tardivamente rispetto alla notifica del primo atto di appello (va rammentato, al riguardo, che l'art.94 c.p.a. sanziona con la decadenza dall'impugnazione il deposito del ricorso oltre il termine di trenta giorni dall'ultima notificazione ai sensi dell'art.45, unitamente ad una copia della sentenza impugnata e alla prova delle eseguite notificazioni).

L'appellato, a sua volta appellante incidentale, eccepiva l'improcedibilità dell'appello principale, risultando il relativo ricorso depositato nella segreteria del Consiglio oltre il termine di decadenza di trenta giorni stabilito per il deposito delle impugnazioni dall'art. 94 c.p.a.; nessun rilevo – evidenziava l'appellato - poteva attribuirsi alla circostanza che il medesimo atto di appello, inizialmente notificato senza l'apposizione della firma digitale, fosse stato successivamente “regolarizzato” dalla parte appellante mediante una rituale sottoscrizione e quindi (in questa forma) ri-notificato all'appellato, prima della scadenza del termine per proporre appello, in quanto il rinnovo della notifica, sia pure alla stessa parte, non avrebbe comunque consentito di eludere l'onere di rispetto del termine di trenta giorni per il deposito.

Con ordinanza 25 ottobre 2021, n. 7138, la IV Sezione del Consiglio di stato deferiva, quindi, all'Adunanza plenaria la questione relativa alla corretta interpretazione delle disposizioni e dei principi che regolano le impugnazioni e, in particolare, del principio di consumazione del relativo potere.

La rimessione all'organo nomofilattico nasceva dalla constatazione della costante applicazione nel processo amministrativo del principio della consumazione del potere di impugnazione sia in poca anteriore all'entrata in vigore del codice del processo amministrativo (3) che in epoca successiva (4) sia pure con un'applicazione tendenzialmente più restrittiva rispetto alla giurisprudenza civile, escludendosi in radice la proponibilità, da parte del medesimo soggetto, di appelli successivi al primo, anche indipendentemente dall'inammissibilità o improcedibilità del precedente, allo scopo di articolare ulteriori censure.

La rimessione all'organo nomofilattico della giustizia amministrativa era giustificata anche dalla verificata esistenza di un contrasto giurisprudenziale tra le sezioni del Consiglio di stato sulla questione della necessità (o meno) che la ‘duplicazione' dei gravami, mediante rinnovazione o ripetizione della notifica, fosse motivata in senso assoluto dall'esigenza di riparare a vizi di nullità dell'atto, i quali inevitabilmente avrebbero condotto alla declaratoria di irricevibilità o di improcedibilità, ovvero se, al contrario, il principio poteva trovare applicazione anche ai casi in cui la ripetizione della notificazione era diretta a rimediare inerzie processuali della parte ovvero era fondata su strategie difensive della parte medesima, anche non palesate in atti.

Secondo un primo orientamento (5), poiché il principio di consumazione dei mezzi di impugnazione trova il suo presupposto logico nel divieto di frazionamento delle impugnazioni, una volta proposta l'impugnazione di una parte, è preclusa a questa la formulazione di altri motivi di censura o la riproposizione delle stesse censure attraverso un nuovo atto di impugnazione, anche se il relativo termine non sia ancora scaduto: il nuovo atto di impugnazione, se proposto, va dichiarato inammissibile e della validità o invalidità dell'impugnazione dovrà giudicarsi avuto riguardo esclusivamente al primo atto. A questa regola è consentita una sola eccezione, che ricorre quando il primo atto di impugnazione notificato presenta vizi che lo rendono inammissibile o improcedibile; poiché, in tale evenienza l'atto è oggettivamente inidoneo a consumare il diritto di impugnazione e quindi è consentito alla parte di proporre una nuova impugnazione sostitutiva della precedente, sempre che ricorrano due condizioni: a) i termini per l'appello non siano ancora decorsi; b)non è stata ancora emessa una sentenza dichiarativa dell'inammissibilità o dell'improcedibilità della prima impugnazione proposta. Il vizio rilevante ai fini della consumazione dei mezzi di impugnazione deve afferire all'atto di impugnazione in quanto tale, non potendo ascriversi a decadenze intervenute a causa di omissioni della parte, come il mancato deposito dell'atto notificato nei termini di legge. In sostanza, questo primo orientamento individua la ratio dell'applicazione del principio in parola nel riconoscimento alla parte, purché sia ancora pendente il termine per l'appello e non sia ancora intervenuta una declaratoria giudiziale di irricevibilità o improcedibilità, della possibilità di emendare un vizio dell'atto di impugnazione, sostituendo un atto valido ad uno invalido.

Secondo un diverso orientamento (6), il principio di consumazione del potere di impugnazione non troverebbe applicazione nel caso in cui la parte, dopo la notificazione e il deposito di un primo atto di appello (retto da un solo motivo di gravame), in pendenza del termine per impugnare, notifichi un secondo e autonomo atto di appello (di contenuto sostanzialmente equivalente al primo, salvo che per l'articolazione delle doglianze in due motivi invece che in uno), senza specificare le ragioni di tale duplicazione: ad avviso della Sezione remittente, la mancata declaratoria di inammissibilità del secondo atto di appello da parte del Consiglio della giustizia amministrativa della Regione Sicilia, che nel caso si era limitato a riunire le due impugnazioni provenienti dalla medesima parte processuale, sembrava aver aperto alla riflessione sul contenuto e sui limiti di applicazione del principio di consumazione dell'impugnazione.

La Sezione remittente osservava che in linea di principio:

- il disposto di cui agli artt. 358 e 387 c.p.c. è circoscritto ai soli casi di appello e ricorso in cassazione già dichiarati inammissibili o improcedibili, dove cioè la consumazione della seconda impugnazione deriva non dal mero fatto della proposizione della prima impugnazione, ma dall'esservi già stata una decisione di inammissibilità o improcedibilità della prima impugnazione;

- rispetto al diritto all'azione (art. 24 Cost.), è coerente sostenere che non sia la prima impugnazione, ma la decisione su di essa, che impedisce la riproposizione dell'impugnazione, a maggiore ragione nelle ipotesi in cui i termini per l'impugnazione non sono ancora scaduti (ciò che nel processo amministrativo può accadere non solo quando si tratti del termine lungo di impugnazione, ma anche quando vi sia una decisione in forma semplificata all'esito della fase cautelare);

- le disposizioni che escludono, limitano o introducono condizioni più restrittive per l'esercizio dei diritti – anche in sede processuale – di per sé si dovrebbero interpretare in senso restrittivo e comunque col divieto di applicazione analogica, a maggior ragione nei casi in cui, come nel caso in esame, il principio di cui si intende fare applicazione non è sancito in maniera espressa dalla legge ed è perimetrato, quanto al suo contenuto materiale, dall'esegesi giurisprudenziale;

- l'art. 39 c.p.a., per quanto non disciplinato dal codice medesimo, rinvia all'applicazione delle disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali;

- è ragionevole porsi la questione se sia compatibile con il sistema processuale amministrativo una interpretazione del principio di consumazione delle impugnazioni, come ritraibile dagli artt. 358 e 387 c.p.c., nel senso che si possa estendere a casi non contemplati, quale è quello delle plurime tempestive impugnazioni della stessa parte, prima che una di esse sia dichiarata inammissibile o improcedibile, con la conseguenza che l'effetto consumativo deriverebbe non già da una decisione giudiziale, bensì dalla impugnazione di parte;

- nel c.p.a. sono dettati principi generali sulle impugnazioni: mentre non è espressamente menzionato il principio di consumazione dell'impugnazione, e di converso l'art. 96, che regola le più impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza, non distingue a seconda che siano (o meno) proposte dalla medesima parte processuale, essendo la disposizione posta a presidio del solo divieto di frazionamento delle impugnazioni;

- ai sensi dell'art. 45, comma 1, c.p.a., l'iter notificatorio si intende completato con il deposito nella segreteria del giudice del ricorso e degli atti soggetti a preventiva notificazione “nel termine perentorio di trenta giorni, decorrente dal momento in cui l'ultima notificazione dell'atto stesso si è perfezionata anche per il destinatario”, cosicché va chiarito se la rinnovazione della notificazione, eseguita entro il termine di impugnazione e anteriormente alla declaratoria giudiziale di irricevibilità o improcedibilità dell'impugnazione, si possa qualificare come ‘elusiva', perché comporta lo ‘spostamento in avanti' del termine perentorio di deposito del ricorso rispetto alla prima notificazione non andata a buon fine (o comunque sia non seguita dal deposito del relativo atto anche per mera inerzia della parte), ovvero se, trattandosi di notificazione valida rispetto al termine di impugnazione, non sia ravvisabile il suddetto ‘effetto elusivo' e il termine di deposito vada calcolato ai sensi dell'art. 45 c.p.a.

La IV Sezione focalizzava, in particolare, il contrasto di giurisprudenza nella questione della necessità (o meno) che la “duplicazione” dei gravami (mediante rinnovazione o ripetizione della notifica) fosse motivata in senso assoluto dall'esigenza di riparare a vizi di invalidità dell'atto che inevitabilmente avrebbero condotto alla declaratoria di irricevibilità o di improcedibilità.

Rilevava la Sezione remittente che la ratio – che giustificherebbe (pendente il termine per l'appello ed in assenza di una declaratoria giudiziale di irricevibilità o improcedibilità del gravame) la possibilità per la medesima parte di riproporre la stessa impugnazione – sarebbe quella di emendare un vizio, sostituendo un atto valido ad uno invalido. In quest'ottica, la ri-notificazione andrebbe considerata, da un punto di vista classificatorio, alla stregua di un procedimento di rinnovazione – anziché di mera ripetizione – di un atto già esistente nel mondo giuridico, sebbene non validamente formato o improduttivo di effetti.

Alla luce di tali considerazioni, la Sezione IV sottoponeva i seguenti quesiti all'Adunanza plenaria:

a) se nel processo amministrativo trovi applicazione e in che limiti il principio di consumazione dei mezzi di impugnazione;

b) più in particolare, se alla medesima parte processuale sia consentito rinnovare la notificazione al solo scopo di emendare vizi dell'atto che ne determinano la nullità, oppure se il rinnovo in questione sia consentito anche a prescindere dall'emenda di un vizio e senza apparente ragione, purché sia ancora pendente il termine per impugnare e non sia stata emessa dal giudice una pronuncia di irricevibilità o di improcedibilità dell'impugnazione;

c) se alla parte sia consentito proporre nuovi motivi di impugnazione - al di là dei casi previsti di proposizione dei motivi aggiunti – purché sia ancora pendente il termine per impugnare e non sia stata emessa dal giudice una pronuncia di irricevibilità o di improcedibilità dell'impugnazione;

d) quale sia la corretta interpretazione del combinato disposto di cui agli artt. 94, comma 1 e 45, comma 1 c.p.a., e se cioè - quando si stabilisce che “il ricorso deve essere depositato nella segreteria del giudice adito, a pena di decadenza, entro trenta giorni dall'ultima notificazione ai sensi dell'articolo 45” e che “il ricorso e gli altri atti processuali soggetti a preventiva notificazione sono depositati nella segreteria del giudice nel termine perentorio di trenta giorni, decorrente dal momento in cui l'ultima notificazione dell'atto stesso si è perfezionata anche per il destinatario” – tali disposizioni vadano interpretate nel senso che - purché sia ancora pendente il termine per impugnare e non sia stata emessa dal giudice una pronuncia di irricevibilità o di improcedibilità dell'impugnazione – il ricorso possa essere oggetto di nuova notificazione (ai fini di individuare “l'ultima notificazione dell'atto che si è perfezionata anche per il destinatario”) solo per emendare vizi dell'atto o della sua notificazione o del suo deposito, ovvero se, al contrario, sia possibile per la medesima parte prescindere dalla suddetta emenda.

La decisione dell'Adunanza plenaria

L'Adunanza plenaria non ha condiviso la ricostruzione della vicenda processuale prospettata dalla IV Sezione, escludendo che nel caso di specie si configurasse un problema di applicabilità del principio di consumazione dei mezzi di impugnazione, atteso che, in primo luogo, non si era verificata in fatto la litispendenza di due ricorsi in appello avverso la medesima sentenza, per aver omesso la parte appellante (principale) di depositare il (primo) ricorso notificato nel termine prescritto dall'art.94 c.p.a., avendo provveduto a tale adempimento solo dopo la notificazione del secondo ricorso (completo, a differenza del primo, della sottoscrizione digitale) e in maniera tempestiva rispetto alla notificazione di detto secondo ricorso e, in secondo luogo, il ricorso successivamente notificato difettava di elementi contenutistici nuovi rispetto al primo, costituendone una mera ripetizione (seppure a seguito, come si dirà innanzi, di regolarizzazione).

In definitiva, la carenza, nella vicenda concreta, di entrambi i presupposti necessari perché si ponga una questione di applicazione del potere di consumazione dei mezzi di impugnazione ha precluso all'organo nomofilattico (si potrebbe dire - mutuando l'espressione dal giudizio di legittimità costituzione -per “difetto di rilevanza” della questione) di pronunciarsi sui quesiti come articolati dalla Sezione remittente.

Risolvendosi, invece, la vicenda processuale in esame in una fattispecie nella quale la parte, avvedutasi di non aver apposto all'atto la sottoscrizione digitale, ha formato nuovamente l'atto completandolo con la firma digitale, i giudici di Palazzo Spada hanno richiamato l'orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza amministrativa secondo il quale, ancorché non conforme alla disposizioni che regolano il processo amministrativo telematico (PAT) “la predisposizione ed il deposito del ricorso in formato non digitale non incorre in espressa comminatoria legale di nullità (ex art. 156, comma primo, Cod. proc. civ.), tanto più che lo stesso avrebbe comunque raggiunto il suo scopo tipico (ex art. 156, comma 3, Cod. proc. civ), essendone certa l'attribuibilità ad un soggetto determinato e la natura di strumento deputato alla chiamata in causa ed alla articolazione delle proprie difese: ne consegue la sola oggettiva esigenza della regolarizzazione, anche laddove sia avvenuta la costituzione in giudizio della parte cui l'atto era indirizzato”, di tal che va “condiviso l'orientamento che qualifica il vizio del ricorso depositato pur privo di firma digitale come un'ipotesi di mera irregolarità sanabile, con conseguente applicabilità del regime di cui all'art. 44, comma 2, Cod. proc. amm. (che prevede la fissazione, da parte del giudice, di un termine perentorio entro il quale la parte deve provvedere alla regolarizzazione dell'atto, nelle forme di legge)”.

Conclusioni: il principio di consumazione dei mezzi di impugnazione nel rito civile e nel processo amministrativo

L'Adunanza plenaria, con la pronuncia in esame, pur se non confluita nella formulazione di un principio di diritto, si è mostrata in linea con la sistematica processuale del rito dinanzi al giudice amministrativo e con le principale direttive ermeneutiche elaborate dalla giurisprudenza ordinaria.

Le espressioni normative del principio di consumazione del potere di impugnazione, la cui prima elaborazione sistematica si fa risalire al Carnelutti (7), si rinvengono negli artt. 358, 387 e 338 c.p.c., alla cui stregua non è possibile riproporre un'impugnazione che sia stata dichiarata inammissibile o improcedibile, nonostante sia ancora pendente il termine per impugnare.

Leggendo in negativo l'enunciato appena formulato, è possibile affermare, quindi, che fin quando non sia stata pronunciata, con provvedimento definitivo, l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'impugnazione e sempre che il termine per impugnare sia ancora pendente, è proponibile una seconda impugnazione avverso la sentenza di primo grado (8).

In che limiti, però, questa seconda impugnazione sia proponibile nel rito civile lo ha precisato, poi, la giurisprudenza di legittimità, sia pure con orientamenti non sempre lineari.

Si è affermato, in particolare, che:

- il potere di impugnazione è suscettivo di consumazione solo se la seconda impugnazione sia della stessa specie della prima (9);

- l'ammissibilità della seconda impugnazione è subordinata all'esistenza di un vizio formale o sostanziale della prima, idoneo a decretarne la irricevibilità ovvero la improcedibilità e alla necessità che tale vizio sia emendato (10);

- la riproposizione della seconda impugnazione deve essere fatta entro il termine breve di impugnazione, dal momento che la notificazione della prima impugnazione va considerata equipollente alla notificazione della sentenza impugnata, cosicché la conoscenza legale della sentenza che si ha con la sua notificazione viene surrogata dalla notificazione dell'impugnazione (11).

E' controverso, inoltre, se la seconda impugnazione possa essere sorretta da motivi diversi rispetto a quelli che sorreggevano la prima (12) o se, invece, la possibilità di proporre la seconda impugnazione debba essere limitata ai soli casi in cui questa verta sugli stessi motivi della prima (13), escludendosi l'integrabilità dei motivi già formulati con la prima impugnazione o la deducibilità di nuovi motivi (14);

Con riguardo alla disposizione dell'art.358 c.p.c. si è osservato, altresì, che essa non fa riferimento all' estinzione del giudizio di appello - che, ai sensi dell' art. 338 c.p.c., comporta il passaggio in giudicato della sentenza impugnata – e che, tuttavia la norma potrebbe essere applicata analogicamente anche a tale ipotesi: in tal caso, qualora non siano ancora decorsi i termini per impugnare, potrebbe essere può essere riproposto il gravame estinto la cui estinzione però non è ancora stata dichiarata (15).

Dottrina e giurisprudenza concordano, poi, nel ritenere che la dichiarata inammissibilità o di improcedibilità dell'impugnazione principale precluda non solo la riproposizione dello stesso ma anche quella dell'impugnazione incidentale tardiva (16).

Note

(1) Le pronunce degli organi di giustizia amministrativa, sia di primo che di secondo grado, sono reperibili sul sito della giustizia amministrativa (www.giustizia-amministrativa.it), tranne quelle più risalenti per le quali saranno indicati gli estremi di pubblicazione.

(2) In linea di prima approssimazione il principio di consumazione (o di consunzione) del potere di impugnazione (o dei mezzi di impugnazione) può essere definito come il principio in forza del quale la proposizione di un mezzo di gravame preclude, tendenzialmente, la possibilità di proporne un altro, di contenuto identico o più ampio, anche se non sia ancora decorso il termine per impugnare(FUSCO, Il principio di consumazione del potere di impugnazione nel processo amministrativo al vaglio dell'Adunanza Plenaria (nota a CdS, sez. IV, 25 ottobre 2021, n. 7138, in www.giustiziainsime.it). Il principio, funzionale al divieto di frazionamento delle impugnazioni e all'esigenza di unitarietà del processo di impugnazioni, è sotteso alle disposizioni di cui agli artt. 358 e 387 c.p.c., per le quali, rispettivamente, “l'appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge” e “il ricorso [per cassazione] dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è scaduto il termine fissato dalla legge”.

Per l'ampia bibliografia sul tema, prevalentemente processualcivilistica, si rinvia alle note del par. 4.

(3) Cons. stato, sez. V, 19/04/1991 n. 606 in Cons. Stato, 1991, I, 714; Cons. stato, sez. VI, 20 luglio 1993 n. 552 in Cons. Stato, 1993, I, 977; Cons. stato n. 184/1995 in Foro amm., 1995, 579; Cons. stato, IV, 7 luglio 2000 n. 3818/2000; Cons. stato, IV, 12 dicembre 2005 n. 7021.

(4) Cons. stato, IV, 3 giugno 2021, n. 4266; C.G.A.R.S., 8 luglio 2021, n. 654.

(5) Cons. stato, Sezione IV, 3 giugno 2021, n. 4266; Cons.stato, sezione V, 2 aprile 2014, n. 1570; Cons. stato, sezione VI, 27 gennaio 2012, n. 397.

(6) Cons. giust. amm. regione Sicilia, sez. giurisd., 8 luglio 2021, n. 654.

(7) CARNELUTTI, Istituzioni di diritto processuale civile italiano, Roma, 1965, vol. II, 152 ss.

(8) ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, II, 3ª ed., Napoli, 1956, 489; CHIARLONI, Appello (dir. proc. civ.), in Enc. giur., II, Roma, 1995, 10; VELLANI, Appello (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., II, Milano, 1958, 743; LUISO, Appello (dir. proc. civ.), in Digesto civ., I, Torino, 1987, 382; VACCARELLA, Inattività delle parti ed estinzione del processo di cognizione, Napoli, 1975, 213; AMATO, Rinuncia al ricorso per cassazione inammissibile o improcedibile e riproponibilità del ricorso, in Riv. dir. Pr., 1970, 520; CERINO CANOVA, CONSOLO, Inammissibilità e improcedibilità, I, in Enc. giur,, XVI, Roma, 1993, 2; RUGGERI, Il principio di consumazione dell'impugnazione: origine e applicazioni, in Riv. dir. proc., 2008, 1009 ss.; CAPORUSSO, La «consumazione» del potere di impugnazione, Napoli, 2011, 71 ss.

(9) Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2013, n. 12113, in Foro it. 2014; 4, I, 1209 con nota di DESIATO; Cass. civ,, III, 5 giugno 2007, n. 13062 in Giust. civ. Mass., 2007, 7-8; Cass. civ., 15 novembre 2002, n. 16162 in Dir. e giust., 2002, 45, 75.

(10) Cass. civ., sez. III, 7 novembre 2013, n. 25047, in Nuova proc. civ. 2013, 5, 197; Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2013, n. 23585 in Dir. e giust., 2013, 18 ottobre con nota di DI MICHELE.

(11) Cass. civ., sez. un., 5 agosto 2016, n. 16598; Cass. civ. in Dir. e giust.,, 2016, Cass. civ., sez. un., 13 giugno 2016 n.12084 in Foro it. 2017, 11, I, 3462 con nota di ALFIERI.

(12) Cass. civ., sez. III, 12 luglio 2006, n. 15873, in Giust. civ., 2007, I, 2477, con nota di BERTOTTO; Cass. civ., sez. III, 27 ottobre 2005, n. 20912, in Giust. civ. Mass., 2005; Cass. civ., sez. lav., 11 maggio 2001, n. 6560, in Gius, 2002, 15.

(13) Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2005, n. 5953, in Foro it., 2006, I, 541; Cass. civ., sez. V, 8 marzo 2000, n. 2607, in Riv. giur. edilizia, 2000, I, 490; Cass. civ., sez. un., 11 novembre 1994, n. 9409, in Fallimento, 1995, 8, 805.

(14) Cass. civ., sez. I, 11 novembre 2011, n. 23630 in Mass. 2011, 917; Cass., sez. lav., 31 maggio 2010, n. 13257, in Mass. 2010, 604; Cass., sez. un., 15 luglio 1993, n. 7841, in Corriere giur. 1993, 934, con nota di GESSA e in Foro it. 1994, I, 80, con nota di BARONE.

(15) CHIARLONI, op. cit., 25.

(16) ANDRIOLI, op. cit., 489; Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2008, n.9741 in Foro it., 2008, 12, I, 3633; Cass.. civ., sez. un., 19/04/2011 n.8925 in Giust. civ.Mass., 2011, 4, 627.

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