La notificazione eseguita presso un indirizzo PEC estratto da un elenco diverso dal Reginde

Andrea Lestini
29 Settembre 2022

Il tema delle notificazioni eseguite mediante posta elettronica certificata ha generato, negli ultimi anni, un vivace dibattito del quale pare opportuno ripercorrere, anche alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità, i principali snodi argomentativi.
Premessa

La corretta individuazione dell'indirizzo PEC utilizzabile come domicilio digitale (I. Fedele, Domicilio digitale, in Ilprocessocivile.it, 2019) si collega, di necessità, all'evoluzione che ha accompagnato il tradizionale concetto di “domicilio”, inteso come “ubicazione fisica”, verso la sua “virtualizzazione mediante l'individuazione di un recapito telematico, assistito da determinate garanzie di affidabilità” (I. Fedele, Il domicilio digitale nel diritto processuale civile: nozione e profili applicativi, in Ilprocessocivile.it, 2019).

In tale contesto, specialmente in ragione della prevalenza del domicilio digitale del difensore rispetto ad ogni altra forma di domiciliazione (Cass., 24 marzo 2021, n. 8262; R. D'Aprile, Sulla preferenza della notifica al cd. “domicilio digitale” del difensore, in Ilprocessotelematico.it, 2021), ci si è sempre chiesti se debba ritenersi valida la notificazione eseguita presso un indirizzo PEC estratto da un registro pubblico diverso dal Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (Reginde).

Note brevi e descrittive, dunque, un mero ausilio per ricapitolare l'esistente, il quotidiano, il già risolto: una prima base, nel contrasto giurisprudenziale, per l'impostazione in un senso o nell'altro – del resto “il sapere è sapere a patto di non conoscere limiti: nulla sa chi si contenta del saputo” (F. Carnelutti, Introduzione allo studio del diritto, Napoli, 2016) – di un parere ovvero per supportare l'organizzazione di una causa.

La tesi estensiva: la sostanziale equivalenza tra Reginde e Ini-PEC

Ebbene, nella pur farraginosa disciplina di settore (G. Ruffini, Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Milano, 2019), in continua evoluzione, un primo orientamento giurisprudenziale, ha affermato la sostanziale equipollenza tra le risultanze dei diversi registri Ini-Pec e Reginde (Cass., 3 febbraio 2021, n. 2460, con nota di V. Amendolagine, Notifica dell'appello al domicilio digitale del difensore estratto da Reginde e Ini-Pec, in Giur. It., 2021).

Tale ricostruzione si basa sul rilievo secondo cui, a seguito della istituzione del c.d. domicilio digitale di cui all'art. 16 sexies, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (“Salvo quanto previsto dall'art. 366 c.p.c., quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”), la notificazione degli atti processuali presso la cancelleria, allo stato, costituisce una ipotesi eccezionale, essendo stata tale modalità di notifica sostituita, in linea generale, proprio dall'istituzione del “domicilio digitale”, e dunque con riferimento alle risultanze di tutti i registri ufficiali richiamati dalla norma.

E, fra tali elenchi, si specifica come figuri oltre al Reginde, di cui al D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, anche quello di cui all'art. 6-bis, D.Lgs. n. 82/2005 (c.d. Codice dell'amministrazione digitale), vale a dire l'Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti (Ini-Pec), tenuto presso il Ministero per lo sviluppo economico.

Del resto, come subito si vedrà, l'art. 16 sexies, D.L. n. 179/2012, imponendo alle parti la notificazione dei propri atti presso l'indirizzo PEC risultante dagli elenchi Ini-Pec ovvero presso il Reginde, certamente implica un riferimento all'indirizzo di posta elettronica risultante dagli albi professionali, atteso che, in virtù della prescrizione contenute nel citato art. 6-bis, commi 2-bis e 5, D.Lgs. n. 82/2005, al difensore fa capo l'obbligo di comunicare il proprio indirizzo all'Ordine di appartenenza, il quale è tenuto a inserirlo in entrambi i registri (Cass., sez. un., 28 settembre 2018, n. 23620).

L'indirizzo di posta elettronica certificata, in particolare, risulta “agganciato” in maniera univoca al codice fiscale del titolare e l'unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante ai fini processuali è quello che il difensore ha indicato, una volta per tutte, al Consiglio dell'ordine di appartenenza. Tale professionista, peraltro, non ha più l'obbligo di indicare negli atti di parte l'indirizzo di posta elettronica certificata, né la facoltà di indicare uno diverso da quello comunicato al Consiglio dell'ordine o di restringerne l'operatività alle sole comunicazioni di cancelleria, dovendo piuttosto indicare il proprio codice fiscale; ed è ciò che vale come criterio di univoca individuazione e consente di risalire all'indirizzo di posta elettronica certificata (Cass., 11 luglio 2017, n. 17048).

In tal modo si comprende anche la modifica all'art. 125 c.p.c. (D.L., 24 giugno 2014, n. 90, art. 45-bis, comma 1) il quale è stato allineato alla normativa generale in materia di domicilio digitale (Cass., 12 novembre 2021, n. 33806).

Ciascun avvocato, dunque, come anticipato, è munito di un proprio “domicilio digitale”, conoscibile da parte dei terzi attraverso la consultazione dell'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata e corrispondente all'indirizzo PEC che è stato indicato al Consiglio dell'ordine di appartenenza e da questi comunicato al Ministero della giustizia per l'inserimento nel registro generale degli indirizzi elettronici (Cass., 11 luglio 2017, n. 17048, cit.).

In particolare, tale Indice nazionale dei domicili digitali è realizzato a partire dagli elenchi di indirizzi PEC costituiti presso il registro delle imprese e gli ordini o collegi professionali; pertanto, dal momento che in esso confluiscono esclusivamente informazioni provenienti da organismi qualificati a fornirle, si accoglie l'idea che non potrebbe individuarsi una sostanziale differenza tra i due registri (Ini-Pec e Reginde), né sotto il profilo della provenienza delle informazioni in essi contenute, che appare analogamente qualificata, né per quanto attiene all'aspetto delle modalità di gestione e tenuta dei due elenchi, che in entrambi i casi è assicurata da una amministrazione centrale dello Stato, con modalità idonee a salvaguardare la necessaria sicurezza delle informazioni ritraibili da ambedue le fonti di cui si discute (Cass., 3 febbraio 2021, n. 2460, cit.).

Inoltre, nel medesimo senso si evidenzia come l'art. 16, comma 12, D. L. n. 179/2012, al fine di favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni, abbia previsto che queste ultime (individuate all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) si dotino e comunichino al Ministero della giustizia, l'indirizzo di posta elettronica certificata a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni.

Meramente eventuale sembrerebbe, viceversa, la possibilità che tali amministrazioni possano comunicare gli indirizzi di posta elettronica certificata di propri organi o articolazioni, anche territoriali, presso cui eseguire le comunicazioni o notificazioni per via telematica nel caso in cui sia stabilito presso questi l'obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie ovvero in caso di autonoma capacità o legittimazione processuale; nonché per il caso di costituzione in giudizio tramite propri dipendenti, la comunicazione di ulteriori indirizzi di posta elettronica certificata (riportati in una speciale sezione dello stesso elenco) e corrispondenti a specifiche aree organizzative omogenee, presso cui eleggono domicilio ai fini del giudizio.

Ancora, e più in generale, l'art. 16-ter, comma 1, D.L. n. 179/2012 prevede che “ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall'articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall'articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 […], nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia” sicché, ai fini che interessano maggiormente ai fini delle presenti note, la norma non solo non prevede alcuna differenza tra i registri Ini-Pec e Reginde, ma addirittura li equipara espressamente (Cass., 3 febbraio 2021, n. 2460, cit.).

Anche l'art.149-bis, comma 2, c.p.c., del resto – laddove prevede che l'ufficiale giudiziario, ove proceda alla notificazione a mezzo PEC, debba trasmettere copia informatica dell'atto sottoscritta con firma digitale all'indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario risultante da elenchi pubblici o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni – non sembrerebbe accordare alcun privilegio di esclusività a favore dell'uno o dell'altro dei predetti registri, facendosi riferimento esclusivamente alla natura pubblica dell'elenco da cui è attinto l'indirizzo utilizzato ai fini della notificazione.

Nella medesima prospettiva l'art. 3-bis della L. 21 gennaio 1994, n. 53, il quale prevedendo che la notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi, ancora una volta non sancisce alcuna distinzione tra l'uno o l'altro di detti elenchi.

Così argomentando, la prevalenza del Reginde sul registro Ini-Pec non solo non trova alcun fondamento nella normativa vigente ma si rivela infondata perfino a livello tecnico, in quanto le basi di dati utilizzate per popolare entrambi sono le stesse, ovvero gli indirizzi di posta elettronica certificata comunicati dagli Ordini professionali (G. Vitrani, Notificazione a mezzo PEC. Pubblici registri utilizzabili, in Ilprocessotelematico.it, 2019).

Indirizzo PEC inserito in più elenchi o ricavabile aliunde

In tale contesto, occorre domandarsi in presenza di un indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Reginde, se la notifica debba essere fatta solo a quell'indirizzo ovvero possa ritenersi valida anche qualora sia eseguita presso un indirizzo ricavabile aliunde (per esempio ricavato da un sito web di un Ente) o, comunque, pacificamente utilizzato da un soggetto nelle proprie comunicazioni di corrispondenza (G. Vitrani, La notifica a mezzo PEC ad indirizzo diverso da quello risultante dai pubblici registri, in Ilprocessotelematico.it, 2015).

Ebbene, sul punto si ritiene che un qualora la parte abbia indicato un indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Reginde, la notifica deve fatta solo a quell'indirizzo e non ad un qualunque altro, pur riferibile alla stessa; invero, nei casi in cui la notifica si effettua nei confronti della parte personalmente (si pensi, per riprendere una recente fattispecie, all'ipotesi in cui la parte sia rimasta contumace in primo grado, sicché la notifica della sentenza non va effettuata, come noto, al difensore bensì alla parte stessa) “l'indirizzo PEC rilevante è solo quello risultante dal Reginde” e “la notifica effettuata ad un indirizzo PEC diverso da quello comunicato al Ministero ed inserito nel Reginde deve ritenersi nulla” (Cass., 15 settembre 2021, n. 24948).

L'indirizzo del destinatario al quale va trasmessa la copia informatica dell'atto – spiega la Corte di Cassazione – è, per i soggetti i cui recapiti sono inseriti nel Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia (Reginde), unicamente quello risultante da tale registro.

Ne consegue, ai sensi dell'art. 160 c.p.c., la nullità della notifica eseguita presso un diverso indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario e, ciò, anche nell'ipotesi di errata indicazione negli atti giudiziari di parte dell'indirizzo stesso, in quanto tale circostanza non esonera la parte notificante dall'onere di diligenza di accertarsi preventivamente, mediante accesso ai registri pubblici, del corretto domicilio digitale del legale destinatario cui dirigere la notifica telematica (Cass., 20 maggio 2020, n. 9238; S. Mendicino, Onere di diligenza nella notifica telematica: come comportarsi se l'avvocato di controparte erra nell'indicare il proprio indirizzo PEC?, in Ilprocessotelematico.it, 2020).

Potrebbe altresì capitare, in effetti, che uno stesso soggetto abbia più indirizzi censiti all'interno di altrettanti elenchi o registri; e, se normalmente, almeno con riferimento agli avvocati, tali indirizzi coincidono (come si è avuto modo di vedere e come si dirà ulteriormente, sia il Reginde che l'Ini-Pec sono alimentati dall'Ordine di appartenenza e quindi sarà quanto mai rara una discrepanza fra detti registri), con riferimento ad altre categorie di soggetti (per esempio, alcuni Consulenti Tecnici di Ufficio) è stato ben segnalato come vi possa essere l'eventualità che gli Ordini o Collegi di appartenenza non provvedano direttamente alla comunicazione degli indirizzi PEC (L. Sileni, Notifiche via PEC: rapporto tra i registri di posta elettronica certificata, in Ilprocessotelematico.it, 2019).

Orbene, in caso di difformità, la Corte di Cassazione ritiene che il Reginde debba considerarsi prevalente per i soggetti individuabili nel registro medesimo, poiché specificatamente creato per censire i soggetti che siano presenti, indipendentemente dal ruolo, all'interno del processo.

In altra vicenda (Cass., n. 11 maggio 2018, n. 11574), la mera disponibilità da parte dell'Avvocatura dello Stato di altri indirizzi di posta elettronica certificata ad essa intestati presso ciascuna sede, e destinati ad usi diversi, non è stata ritenuta idonea a declassare a mera irregolarità la trasmissione ad un indirizzo diverso da quello risultante dal Reginde, onde l'inosservanza delle disposizioni riguardanti la persona cui dev'essere consegnata la copia dell'atto è stata qualificata come nullità della notifica, ai sensi dell'art. 160 c.p.c.

Peraltro, anche ove il destinatario della notifica fosse il difensore e non la parte personalmente, si è comunque detto che l'indirizzo cui notificare validamente (ad esclusione di ogni altro) è quello risultante dai pubblici registri, con la conseguenza che l'indirizzo telematico per ricevere le comunicazioni a mezzo PEC dalla Cancelleria potrebbe anche non coincidere con quello presente negli scritti difensivi (Cass., 17 ottobre 2018, n. 25948).

La prescrizione dell'art. 16-sexies, D.L. n. 179/2012, si specifica ulteriormente, prescinde dalla stessa indicazione dell'indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell'indicazione normativa degli elenchi o registri da cui è dato attingere l'indirizzo PEC del difensore, stante l'obbligo in capo ad esso di comunicarlo al proprio Ordine e quindi di inserirlo sia nel registro Ini-Pec che nel ReGIndE, depotenziando “la portata dell'elezione di domicilio fisico” (Cass., 14 dicembre 2017, n. 30139), sicché l'indirizzo telematico per ricevere le comunicazioni a mezzo PEC dalla Cancelleria non è quello che può essere presente negli scritti difensivi (Cass., 4 gennaio 2019, n. 83).

Ecco, allora, che con convinzione e sicurezza si ripete come la notifica, effettuata ad indirizzo PEC diverso, preso dal sito web del destinatario, deve ritenersi nulla in presenza di un indirizzo, sempre di posta elettronica certificata, risultante dal Reginde (Cass., 15 settembre 2021, n. 24948, cit. Sugli effetti della notifica telematica eseguita ad un indirizzo PEC tratto dall'Indice degli indirizzi delle Pubbliche Amministrazioni e non dal Reginde, valutando se tale modalità di notifica sia comunque rituale, ovvero sia da ricondurre nella categoria della inesistenza o della nullità, cfr. M. Nardelli, L'indirizzo PEC e i registri validi per la rituale notificazione telematica, in Ilprocessotelematico.it, 2018).

Ulteriore profilo ermeneutico riguarda, nella ampia e articolata casistica in materia, l'ipotesi in cui l'indirizzo del destinatario sia presente tanto nel Reginde quanto nell'IPA, ovvero solo in quest'ultimo, a causa di un inadempimento dell'ente pubblico rispetto alla richiesta di comunicazione (P. Calorio, È nulla la notifica fatta all'Avvocatura dello Stato ad un indirizzo PEC estratto dall'IPA, in Ilprocessotelematico.it, 2019; P. Calorio, G. Vitrani, Valida la notifica ad un Ministero a prescindere dal pubblico elenco dal quale è stato estratto l'indirizzo PEC, in Ilprocessotelematico.it, 2017).

Al riguardo, una recente pronuncia, ripercorrendo accuratamente la cronistoria sul punto (Cass., 25 agosto 2021, n. 23445) rammenta come la Legge 24 dicembre 2012, n. 228, comma 19, abbia inserito l'indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni tra i pubblici elenchi, rendendolo utilizzabile per tutte le notifiche e come il D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 179, art. 7, abbia poi inserito tale Indice nel Codice dell'amministrazione digitale (art. 6-ter, D.Lgs. n. 82/2005); ridenominato (con D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217) “Indice dei domicili digitali delle P.A. e dei gestori di pubblici servizi” e definito “pubblico elenco di fiducia”, è stato successivamente equiparato – in via interpretativa – agli elenchi pubblici dai quali poter acquisire gli indirizzi PEC validi per le notifiche telematiche.

Il D.L. n. 179/2012, art. 16-ter, invero, rinviava all'art. 16 comma 8 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, che obbligava le Pubbliche Amministrazioni ad istituire una casella PEC dandone comunicazione al Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (Cnipa), ora Agenzia per l'Italia Digitale (Agid) per la pubblicazione delle caselle di posta elettronica.

Tuttavia, successivamente alla modificazione (da parte dell'art. 45-bis comma 2 lett. a n. 1, operata dal D.L. n. 90/2014 in sede di sua conversione con L. 11 agosto 2014, n. 114) dell'art. 16-ter, D.L. n. 179/2012, non essendo più richiamato il comma 8 del D.L. n. 185/2008, ma il solo comma 6, se ne è dedotto che, a partire dal 2014, l'IndicePA non possa più essere considerato un pubblico elenco valido ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile.

Da ultimo, si rende necessario verificare la tenuta di questo sistema alla luce del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, art. 28.

Il legislatore al fine agevolare la individuazione di un domicilio elettronico idoneo alla notificazione telematica, ha previsto che in caso di mancata indicazione nell'elenco di cui all'art. 16, comma 12 (nel Registro PP.AA.), la notificazione alle pubbliche amministrazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale è validamente effettuata, a tutti gli effetti, al domicilio digitale indicato nell'elenco previsto dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-ter (nell'Indice PA).

Ebbene, in continuità con il consolidato orientamento in materia, da un lato è stato ritenuto che nell'ipotesi di indirizzo del destinatario presente, sia nel Reginde che nell'Ipa, l'unica notifica valida è quella effettuata all'indirizzo Reginde (Cass., 25 agosto 2021, n. 23445, cit.; Cass., 05 aprile 2019, n. 9562); dall'altro lato, si è affermato che tale regola si debba applicare – con riferimento, però, alle notifiche effettuate precedentemente all'entrata in vigore del D.L. n. 76/2020 – anche al caso in cui l'indirizzo Pec fosse inserito esclusivamente nel registro Ipa e perfino nel caso in cui ciò fosse dipeso dall'inadempimento dell'ente pubblico rispetto alla richiesta di comunicare al Reginde il proprio indirizzo telematico necessario per le notificazioni Pec ad effetti legali.

In assenza di sicure indicazioni al riguardo o di interpretazioni autentiche, la disposizione non può, invero, applicarsi alle notifiche effettuate precedentemente all'entrata in vigore della novella, onde la notifica presso l'indirizzo inserito nell'IndicePA, non più pubblico elenco nel periodo intercorrente tra l'entrata in vigore del D.L. n. 90/2014 e la L. n. 76/2020, deve considerarsi nulla (A. Villa, Quando la notifica all'indirizzo PEC indicato nell'IndicePA è valida?, in Ilprocessotelematico.it, 2021).

Vero, dunque, che in forza del D.L. n. 76/2020, contenente “Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione”, la notificazione alle pubbliche amministrazioni è validamente effettuata anche presso il domicilio digitale indicato nell'elenco previsto dall'art. 6 ter del D.Lgs. n. 82/2005; ma, se il legislatore ha ritenuto necessario introdurre tale specifica disciplina, deve ciononostante desumersi che la precedente normativa non consentiva di effettuare una valida notifica presso il registro Ipa (Cass., 25 agosto 2021, n. 23445, cit.).

Inoltre, come si evince da alcuni passaggi fondamentali della giurisprudenza di legittimità, se il legislatore avesse voluto dettare una interpretazione autentica della precedente normativa di settore avrebbe dovuto chiarirlo, mentre alcun elemento in tal senso è dato evincere dal nuovo dato normativo (Cass., 25 agosto 2021, n. 23445, cit.).

La tesi restrittiva: il Reginde quale unico registro cui è possibile far riferimento ai fini della notificazione degli atti processuali

Nel contrasto di idee e teoriche, altro orientamento giurisprudenziale ha affermato, viceversa, che l'unico registro a cui è possibile far riferimento sarebbe il Reginde.

In particolare, solo l'indirizzo PEC estratto da tale elenco è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l'effettiva difesa, sicché la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo Pec riferibile – a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel Reginde, deve ritenersi nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (peraltro è stato opportunamente precisato come il pubblico registro utilizzabile per le notificazioni alle Pubbliche Amministrazioni e anche all'Avvocatura dello Stato, che costituisce la difesa di queste ultime, va reperito sul Registro PP.AA. e non sul Reginde: in tal senso, G. Vitrani, I pubblici registri utilizzabili per la notifica telematica: la Cass. n. 3709/2019 e i profili problematici, in Ilprocessotelematico.it, 2019).

Il domicilio digitale previsto dal D.L. n. 179/2012, art. 16 sexies – seguendo tale impostazione – corrisponde all'indirizzo PEC che ciascun professionista ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest'ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici, gestito dal Ministero della giustizia (Cass., 8 febbraio 2019, n. 3709; Cass., 27 settembre 2019, n. 24160: per una valida notifica tramite PEC si deve estrarre l'indirizzo del destinatario solo dal pubblico registro Reginde e non dal pubblico registro Ini-Pec).

Stante, poi, l'obbligo in capo al difensore di comunicare il proprio indirizzo PEC al proprio Ordine e per quest'ultimo di inserirlo in entrambi i registri segnalati, il solo domicilio rilevante ai fini processuali e da ritenere “eletto” è quello corrispondente all'indirizzo che il difensore ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza (Cass., 14 dicembre 2017, n. 30139, cit.).

In tale contesto, alcuni commentatori hanno evidenziato come, in realtà, il principio posto alla base di tale indirizzo è “del tutto vuoto, irrealizzabile nella pratica a meno di errori umani che peraltro sarebbero di difficile soluzione posto che […] l'art. 16-ter d.l. 179 del 2012 non pone alcun ordine gerarchico tra i pubblici registri”; è, infatti, l'art. 16-ter, D.L. 179/2012, che definisce quali sono i pubblici elenchi “ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile” (G. Vitrani, I pubblici registri utilizzabili per la notifica telematica: la Cass. n. 3709/2019 e i profili problematici, cit.).

Talune sentenze, però, come detto, hanno interpretato la normativa di riferimento nel senso che solamente il Reginde sarebbe stato qualificato ai fini processuali e come tale idoneo a garantire l'organizzazione preordinata all'effettiva difesa; e che quindi non sarebbe valida la notificazione della sentenza effettuata ad un indirizzo PEC diverso da quello inserito nel predetto registro (Cass., 16 giugno 2022, n. 19351).

È quanto recentemente sostenuto in una pronuncia avente ad oggetto una ipotesi in cui l'atto processuale era stato notificato presso l'indirizzo deputato alla ricezione della corrispondenza relativa all'attività legale, e non al diverso indirizzo PEC, censito nel Reginde (previsto dal D.M. n. 44 del 2011, art. 7) e nel registro PP.AA. (di cui al D.L. n. 179/2012, art. 16, comma 12) entrambi dichiarati “elenchi pubblici” dal D.L. n. 179/2012, art. 16-ter, per le notificazioni processuali in materia civile penale e amministrativa.

Le notifiche a imprenditori individuali e professionisti per le questioni non rientranti nell'ambito dell'impresa o della professione

Da ultimo, prima di concludere, val bene dare contezza del dibattito che, in passato, si è agitato intorno alla possibilità di utilizzare l'indirizzo di un imprenditore individuale o professionista ai fini della notifica di atti che esulano dall'ambito dell'impresa o della professione (E. Forner, Prospettive e limiti del domicilio digitale, ovvero di cosa si possa notificare telematicamente e a chi, in Ilprocessotelematico.it, 2016).

La questione, pertanto, concerne l'ammissibilità di una notifica (presso un indirizzo PEC estratto da un pubblico registro) di un atto che non concerne le ragioni e l'attività per le quali è stata attivata la relativa casella di posta certificata: cioè a dire la possibilità di notificare, a un soggetto titolare di una PEC per ragioni legate all'impresa o alla professione, atti che lo riguardano come privato cittadino (P. Calorio, È nulla la notifica fatta a un indirizzo PEC riferita a un contenzioso estraneo all'impresa o professione del destinatario, in Ilprocessocivile.it, 2019).

Al riguardo, nella pur consapevolezza che per la validità della notificazione è richiesto solo che l'indirizzo di destinazione sia presente in un pubblico elenco (mentre nessuna norma esplicita limitazioni alla notificazione con riguardo alla materia trattata negli atti notificati) si è provato ad impostare il problema sostenendo che “il limite non risiede tanto nella qualità dell'indirizzo di destinazione, bensì nella natura dell'atto da notificare e nella sua compatibilità con l'attività che a tale indirizzo si ricollega” (E. Forner, Prospettive e limiti del domicilio digitale, cit.).

Attraverso una accurata analisi della disciplina in materia, valorizzando la “circostanza che a professionisti e imprese è stata imposta l'attivazione degli indirizzi PEC (nonché la loro comunicazione alle competenti autorità) proprio in ragione dell'attività economica (o economicamente apprezzabile) da essi espletata, e per finalità che all'evidenza a essa attività si ricollegano, in un modo o nell'altro” è stato così ipotizzato come “non sia possibile effettuare una valida notificazione telematica ad una persona fisica, nonostante questa risulti titolare di un indirizzo PEC censito in pubblici elenchi, ma in forza di una norma che lo obblighi a dotarsene in ragione della sua attività professionale o imprenditoriale” (E. Forner, Prospettive e limiti del domicilio digitale, cit.).

Una persuasiva “ipotesi interpretativa”, questa, che ha ricevuto una – sia pure isolata, ma non per questo meno significativa – conferma in una ordinanza del Tribunale di Roma nella quale, dopo esser stato rilevato che, “alcuni cittadini sono tenuti per legge a dotarsi di un indirizzo PEC, in quanto titolari di impresa individuale […] o professionisti […] e detto indirizzo viene inserito in pubblici elenchi […]”, si legge che “nel caso in cui detti cittadini ricevano sulla casella PEC della loro attività economica una notificazione telematica riferita ad un contenzioso estraneo all'impresa o professione esercitata la notifica a mezzo PEC non può ritenersi perfezionata mediante l'inoltro e la consegna del messaggio cui è allegato l'atto giudiziario” (Trib. Roma, 26 gennaio 2019, n. 122).

L'ordinanza distingue allora – così ponendosi, secondo alcuni interpreti (P. Calorio, È nulla la notifica fatta a un indirizzo PEC riferita a un contenzioso estraneo all'impresa o professione del destinatario, cit.), in contrasto con le esigenze di semplificazione introdotte dalle novità normative in tema di “giustizia telematica”, imponendo una quantomeno artificiosa dissociazione tra imprenditore o professionista e privato cittadino – le ragioni che hanno reso obbligatoria l'attivazione della PEC; invero, per le notifiche relative a questioni non inerenti l'attività del titolare dell'indirizzo, quest'ultimo viene considerato come un privato cittadino con la conseguenza che, ai fini della validità della notifica, non basterebbe la mera attivazione di un indirizzo PEC, essendo piuttosto necessario un consenso a eleggere domicilio speciale presso tale casella.

Osservazione conclusiva

Questo, senza pretesa alcuna di completezza, il panorama normativo e giurisprudenziale di riferimento, caratterizzato dalla diversità di soluzioni prospettate, volte per un verso a ritenere che ai fini di una valida notifica tramite PEC si debba estrarre l'indirizzo del destinatario solo dal Pubblico registro Reginde e non anche dal Pubblico registro Ini-Pec (Cass., 27 settembre 2019, n. 24160, cit.; Cass., 8 febbraio 2019, n. 3709, cit.) e per altro verso ad esplicitare che l'affermazione generica della inattendibilità del registro Ini-Pec non è suscettibile di mettere in discussione il principio enunciato dalle S.U. 28 settembre 2018, n. 23620, cit., per cui, in seguito all'introduzione del “domicilio digitale”, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l'indirizzo PEC risultante dall'albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel Pubblico elenco di cui all'art. 6-bis, D.Lgs. n. 82/2005 (Cass., 15 novembre 2019, n. 29479; S. Caprio, Confermata la validità del registro INI-PEC per la notifica a mezzo PEC, in Ilprocessotelematico.it, 2019).

Ma, ecco che il favor pressoché assoluto per il Reginde e la non utilizzabilità del registro Ini-Pec – recentemente ribadito da Cass., 16 giugno 2022, n. 19351, cit. – fa rinascere pensieri, propositi e interpretazioni ritenute ormai svanite.

Per concludere, può osservarsi come a fronte del principio della equivalenza tra registri e, all'opposto, di una affermazione – variamente evidenziata, pur di recente, nella giurisprudenza in materia – circa la inattendibilità dell'elenco Ini-Pec, si ritrova la scelta dell'osservatore pratico, del forense.

Il dubbio e l'incertezza, alimentati dal canone della diligenza, dal criterio della autoresponsabilità e dal principio di affidamento, si muovono lungo il filo del rapporto stretto, della relazione simbiotica tra diritto e tecnologie (S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995), in quanto “il diritto è chiamato a disciplinare le tecnologie, ma al tempo stesso si serve di tecnologie per perseguire fini suoi propri” (G. Pascuzzi, Il diritto dell'era digitale, Bologna, 2020).

Attingere allora ad un registro (Ini-Pec) ovvero, nell'impossibilità di procedere ad una notificazione via PEC (non risultando il nominativo della controparte nel Reginde), richiedere all'Ufficiale Giudiziario di provvedere – ricorrendone i presupposti (Cass., 16 dicembre 2021, n. 40467) – ai sensi dell'art. 143 c.p.c. ed esporsi in entrambi i casi e per ragioni diverse al rischio della nullità della relativa notifica. Nel primo caso in forza di quel filone che ancora ritiene il Reginde l'unico elenco cui attingere gli indirizzi PEC; e nell'altro in virtù del rilievo per cui ai fini dell'applicazione dell'art. 143 c.p.c., non può prescindersi dal considerare una nozione dinamica di domicilio, comprensivo anche del “domicilio digitale”, conoscibile – però – anche tramite l'Ini-Pec (V. Amendolagine, La nozione di domicilio rilevante ai fini dell'art. 143 c.p.c. comprende anche quello “digitale”?, in Ilprocessocivile, 2021).

Individuare, in tale materia, le diverse posizioni e dare risalto ai grandi movimenti di idee, rispondere – volgendosi al nostro tempo – alle eterne domande (“quid facti?”, “quid iuris?”) e guardare verso il futuro, rappresenta, in definitiva, uno dei campi su cui sarà ulteriormente chiamato il giurista.

Perché, come è stato efficacemente ricordato, l'apporto della giurisprudenza implica “non solo l'apporto dei giudici, ma anche quello degli avvocati, che ne preparano l'intervento attraverso la strategia della causa, le domande, le prove, le conclusioni” (G. Alpa, La dialettica tra legislatore e interprete. Dai codici francesi ai codici dell'Italia unita: riflessioni in prospettiva storica nella recente letteratura, in Contr. Impr., 2015).

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