Assegno divorzile: rileva la valutazione comparativa delle condizioni economiche delle parti

Francesca Ferrandi
23 Settembre 2022

Con la presente pronuncia la Cassazione, oltre a ribadire la natura perequativo-compensativa dell'assegno divorzile, ricorda che la comparazione delle consistenze reddituali e patrimoniali degli ex coniugi presuppone la corretta valutazione delle consistenze di ciascuno di essi.
Massima

Ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, stante la sua funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, è richiesto l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere tanto sull'attribuzione che sulla quantificazione dell'assegno.

Il caso

Nell'ambito di un procedimento avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale riconosceva in favore dell'ex moglie un assegno divorzile mensile pari ad euro 700,00.

Tale decisione veniva confermata anche in sede di appello alla luce delle consistenze reddituali e patrimoniali, specie immobiliari, facenti capo all'ex marito e non paragonabili con quelle dell'ex moglie.

L'ex marito, quindi, decideva di promuovere ricorso per cassazione. A suo dire, infatti, la Corte di merito non solo aveva errato nel valutare le sue condizioni reddituali e patrimoniali, ma si era limitata a richiamare semplicemente la motivazione della sentenza di primo grado e le note conclusionali della moglie sul punto, senza nulla specificare in ordine alla fondatezza delle censure mosse.

Inoltre, tra gli altri motivi di impugnazione, lamentava anche la nullità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile all'ex moglie, senza tenere conto dell'onere della prova gravante su quest'ultima.

La questione

Ai fini della valutazione dell'attribuzione dell'assegno divorzile, sotto il profilo della funzione perequativo-compensativa dello stesso, in assenza di ulteriori specificazioni in ordine, ad esempio, all'impiego dei proventi dell'attività lavorativa, può attribuirsi rilievo alla quasi decennale prestazione di attività di lavoro subordinato resa dalla ex moglie nell'impresa dell'ex marito e per la quale la stessa è stata già retribuita?

Le soluzioni giuridiche

Nel corso degli ultimi anni, il granitico orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale all'assegno divorzile doveva attribuirsi una natura esclusivamente assistenziale, tanto da dover essere concesso tutte le volte in cui il richiedente non disponesse di mezzi sufficienti a mantenere il tenore di vita goduto durante la vita coniugale, è stato “sconvolto”, dapprima, dalla sentenza c.d. “Lamorgese” (Cass. civ., sez. I, sent. 10 maggio 2017, n. 11504) e, successivamente, dalla ormai nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018.

Attraverso quest'ultima pronuncia, infatti, la Suprema Corte, pur confermando l'abbandono del parametro legato al tenore di vita matrimoniale e la rilevanza del criterio dell'autosufficienza economica, ha riconosciuto all'assegno divorzile tanto una funzione assistenziale che, in pari misura, compensativa e perequativa.

In particolare, la natura perequativo-compensativa discende direttamente dalla declinazione del principio di solidarietà postconiugale che trova la sua ratio nell'art. 29 Cost., e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente il raggiungimento, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo dallo stesso fornito nella realizzazione della vita familiare, specie in considerazione delle aspettative professionali sacrificate.

La funzione, poi, equilibratrice del reddito degli ex coniugi, sempre assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non mira alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, bensì al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale degli ex coniugi.

Pertanto, il riconoscimento dell'assegno divorzile, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge che lo richiede, nonché dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, i quali costituiscono il parametro a cui il giudice deve attenersi al fine di decidere in merito all'attribuzione e alla quantificazione dell'assegno.

In particolare, tale giudizio deve essere espresso, sulla base di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, del contributo fornito dal coniuge richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in considerazione della durata del matrimonio e dell'età dell'avente diritto.

Ciò posto, nel caso di specie, la Corte di appello, nel confermare all'ex moglie l'assegno divorzile, aveva affermato che le condizioni economiche della donna non fossero paragonabili a quelle dell'ex marito, mal interpretando, però, secondo la Cassazione, le risultanze della relazione della Guardia di Finanza sulle proprietà di quest'ultimo, dal momento che nessun rilievo, ai fini della valutazione del compendio immobiliare appartenente all'uomo, era stato dato alla distinzione tra proprietà esclusiva e proprietà condivisa e tra proprietà di terreni e proprietà di fabbricati. Peraltro, come sottolineato dalla S.C., il motivo di appello relativo alla valutazione delle consistenze economiche dell'uomo, era stato dichiarato infondato, tramite una motivazione resa per relationem dal giudice del gravame senza dar conto, però, neppure sinteticamente, delle ragioni della conferma ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado (cfr. Cass. civ., sez. III, ord. 03 febbraio 2021, n. 2397).

Con riferimento, poi, alla funzione perequativo-compensativa dell'assegno, la Corte di merito aveva ritenuto incontestabile il contributo fornito dalla moglie alla formazione del patrimonio comune e di quello personale, di notevole consistenza, dell'ex coniuge. La donna, infatti, in costanza di matrimonio, per quasi dieci anni, aveva lavorato come dipendente nell'impresa del marito, attraverso un regolare rapporto di lavoro subordinato, percependo una retribuzione di euro 1.300,00 mensili ed anche un TFR di euro 8.235,26 alla cessazione del rapporto lavorativo.

Secondo la Cassazione, però, in assenza di ulteriori specificazioni in ordine, ad esempio, all'impiego dei proventi dell'attività lavorativa, ai fini della valutazione della spettanza dell'assegno divorzile, sotto il profilo della funzione perequativo-compensativa dello stesso, nessun rilievo può essere attribuito alla quasi decennale prestazione di attività di lavoro subordinato della ex moglie nell'impresa gestita dall'ex coniuge e per la quale la stessa sia stata già retribuita.

In conclusione, il rilievo del contributo personale o economico alla famiglia, al patrimonio comune dei coniugi o a quello individuale dell'altro doveva essere valutato dai giudici di merito sulla base di altri elementi, dedotti e provati dalla parte interessata, che non potessero avere altro ristoro se non mediante la previsione dell'assegno divorzile.

Osservazioni

La “nuova” funzione riconosciuta all'assegno divorzile da parte delle Sezioni Unite del 2018 (prima esclusivamente assistenziale, poi riabilitativa ed infine compensativo-perequativa) si rivela di non poco momento, in quanto la natura della contribuzione e la pluralità di criteri ed elementi sui quali deve basarsi la cognizione del giudice non solo accentuano il campo della sua discrezionalità, ma incidono altresì sugli aspetti soggettivi (distribuzione) e oggettivi (fatto rilevante da dimostrare) dell'onere della prova.

Se, da un lato, rimane il maggior rigore sul piano probatorio suggerito dalla “sentenza Lamorgese”, dall'altro, l'oggetto della prova appare del tutto rideterminato.

A prescindere, infatti, dalla natura e dalla reddittività dei compiti svolti durante la vita coniugale da parte di ciascuno dei coniugi, in relazione alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo e dei relativi accordi, l'ex coniuge che sia economicamente svantaggiato ha diritto ad essere compensato per le rinunce fatte nell'interesse della famiglia, sul presupposto di un apprezzabile divario economico tra le parti. Resta, dunque, a carico della parte che richiede l'assegno l'onere di dimostrare il tipo di pregiudizio patrimoniale subito a seguito della decisione concernente l'indirizzo della vita familiare, ovvero in che modo, facilitando lo svolgimento della vita professionale del coniuge, abbia contribuito al suo successo e alla formazione del patrimonio comune.

Quale fatto costitutivo del diritto, occorre, inoltre, chiarire le circostanze poste alla base della richiesta dell'assegno: il significato delle scelte nell'ambito delle decisioni riguardanti l'indirizzo della vita familiare, se comportino effettivamente un sacrificio, se siano condivise o unilaterali; il regime patrimoniale (comunione o separazione) in cui tali scelte si inquadrano; il tipo di pregiudizio inteso come perdita di chances subito dal coniuge svantaggiato e se sia esso imputabile alle decisioni comuni o derivi, al contrario, da una condotta colposa del richiedente.

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