Danni derivanti dall'occlusione della colonna di scarico: il condominio ne risponde?
29 Settembre 2022
Massima
In materia di condominio di edifici, il condominio risponde dei danni che le parti di proprietà comune - nella specie, la colonna di scarico occlusa, stante il disposto dell'art. 1117, n. 3), c.c. - abbiano arrecato alle parti di proprietà esclusiva dei condomini o di terzi, mentre vi è liberazione da tale responsabilità oggettiva allorquando sia provato il caso fortuito, che non significa dimostrare l'osservanza della dovuta diligenza e, quindi, l'assenza di colpa: fortuito, infatti, è il fatto estraneo alla causalità della cosa, da identificarsi in base alla possibilità di governarla. Il caso
Il giudizio viene promosso con atto di citazione da parte di una condomina nei confronti del condominio, con cui chiedeva la condanna dello stesso al rimborso delle spese sostenute in conseguenza del sinistro avvenuto all'interno della propria abitazione, derivato da un'occlusione della colonna condominiale verticale di scarico delle acque grigie che aveva determinato la fuoriuscita di acque grigie dal secchiaio della cucina, allagando l'appartamento dell'attrice.
Si costituiva il condominio contestando la pretesa avversaria, sia in punto an che quantum, chiedendo l'autorizzazione alla chiamata in causa della compagnia di assicurazione, in virtù della polizza di assicurazione globale fabbricati.
Ammessa la chiamata in causa, con comparsa di costituzione e risposta si costituiva in giudizio la compagnia chiedendo il rigetto di ogni istanza formulata nei confronti del condominio e, in subordine, l'accertamento della propria responsabilità nei soli limiti di quanto contrattualmente previsto fra le parti.
La causa veniva istruita mediante esperimento di consulenza tecnica d'ufficio e l'acquisizione di una testimonianza.
Il Tribunale accertava la responsabilità del condominio, condannandolo al risarcimento dei danni patiti dalla condomina in conseguenza del sinistro occorso, al pagamento delle spese di c.t.u. e c.t.p. e alla rifusione dei 2/3 delle spese di lite in favore dell'attrice (stante il ridimensionamento della richiesta risarcitoria avanzata dall'attrice); condannava, altresì, la compagnia di assicurazione alla manleva in favore del condominio di quanto lo stesso era tenuto a corrispondere in conseguenza dei capi di condanna della sentenza. La questione
Si trattava, quindi, di procedere alla verifica del diritto di una condomina di vedersi riconosciuto il risarcimento del danno in conseguenza di un sinistro occorso nella propria abitazione, dovuto alla fuoriuscita di acque grigie dal secchiaio della cucina per un'occlusione della colonna condominiale verticale di scarico, indipendentemente da un comportamento volontario del condominio ma in qualità di custode della res comune e, quindi, responsabile ai sensi e per gli effetti dell'art. 2051 c.c. Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale di Treviso era chiamato a decidere in ordine alla causa promossa da una condomina nei confronti del condominio per i danni derivanti da una occlusione della colonna condominiale verticale di scarico delle acque grigie che aveva allagato il proprio immobile. La circostanza veniva constata al rientro delle vacanze estive a settembre. Il condominio veniva autorizzato alla chiamata in causa della compagnia di assicurazione in forza della polizza globale fabbricati in essere, nei confronti della quale svolgeva domanda di manleva. Il Tribunale analizza schematicamente i tre punti sui quali incentra la propria disamina.
Sull'an della domanda risarcitoria promossa dalla condomina attrice, né il convenuto condominio né la terza chiamata compagnia hanno contestato il verificarsi del sinistro (il condominio si era limitato ad una contestazione generica in comparsa di costituzione e risposta, senza alcuna riproposizione all'atto delle prime due memorie istruttorie); pertanto, i fatti così come descritti dall'attrice, erano da ritenersi pacifici.
Sul concorso della condomina danneggiata nella causazione del danno, che avrebbe potuto portare ad una riduzione del suo ammontare, il Tribunale rigettava la domanda del condominio escludendo che l'attrice potesse essere ritenuta corresponsabile in misura corrispondente alla propria quota millesimale di comproprietà, a nulla rilevando che l'attrice sia condomina oltre che danneggiata.
A fondamento della richiesta riduzione, il condominio avrebbe dovuto allegare un comportamento della danneggiata integrante i presupposti dell'art. 1227 c.c., ovvero idoneo a far sì che si formasse l'occlusione, oppure ad aggravare le conseguenze della fuoriuscita delle acque grigie. Sul quantum della domanda risarcitoria, l'attrice quantificava i danni patiti in € 32.070,00 complessivi, ripartiti in danni diretti al fabbricato, danni da responsabilità civile verso terzi, danno da lucro cessante per impossibilità di concedere in locazione l'immobile. La c.t.u. riconosceva i danni risarcibili che costituivano conseguenza diretta ed immediata del sinistro, ovvero i costi sostenuti per la risistemazione dell'immobile ed il valore dei beni danneggiati (€ 19.884,53), escludendo il riconoscimento della perdita di guadagno per l'impossibilità di locare il proprio immobile, stante l'assenza di un valido contratto di locazione registrato.
Invece, veniva riconosciuta tale posta di danno quale perdita di chances, in quanto l'attrice aveva la fondata aspettativa di locare l'appartamento una volta rientrata dalle vacanze; la sua quantificazione doveva essere proporzionale alla probabilità di ottenimento del vantaggio e il danno veniva determinato dal valore mensile cui l'appartamento avrebbe dovuto essere locato (€ 570,00) ridotto del 10% moltiplicato per sette mesi, cioè il numero di mesi di durata dei lavori di sistemazione dell'immobile (€ 3.591,00).
L'ammontare complessivo dei danni patrimoniali riconosciuti all'attrice veniva quantificato in € 23.475,53.
Sulla domanda di manleva,il giudice di prime curecondannava la compagnia al risarcimento dei danni sui beni di proprietà esclusiva dell'attrice (con una franchigia di € 100,00), nulla invece per quanto concerneva il risarcimento riconosciuto a titolo di perdita di chances, non ricompreso nei termini di polizza.
Il giudizio si concludeva, quindi, con la condanna del condominio al pagamento della somma di € 23.475,53 riconosciuta a titolo di risarcimento dei danni patiti in favore della condomina oltre interessi; della compagnia terza chiamata alla manleva nei confronti del condominio di tutte le spese dovute, ad esclusione dell'importo riconosciuto per perdita di chances; del condominio per le spese di c.t.u., c.t.p. ed al pagamento delle spese di lite di parte attrice nei limiti di 2/3 in ragione del ridimensionamento della richiesta risarcitoria avanzata dall'attrice; spese di lite compensate fra il condominio e l'assicurazione. Osservazioni
Merita in questa sede approfondire ancora una volta il tema della responsabilità del condominio in una problematica decisamente interessante e, allo stesso, pragmatica.
La norma di riferimento è l'art. 2051 c.c. in forza del quale “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”; è una disposizione codicistica piuttosto stringata ma che racchiude, al suo interno, un panorama applicativo ed interpretativo fra i più stimolanti.
Dalla lettura della norma si evince, prima facie, che la custodia del bene ne è il presupposto determinante.
La funzione dell'art. 2051 c.c. è quella di imputare una responsabilità a chi si trova nella condizione di controllare una cosa ed i rischi ad essa annessi, e di qualificare come custode chi effettivamente sovraintende alle modalità d'uso e di conservazione, gestione e/o di manutenzione della res.
Per la responsabilità in oggetto, è sufficiente, quindi, che sussista il cosiddetto nesso causale tra la cosa in custodia e il danno causato, senza che rilevi al riguardo una possibile condotta assunta dal custode. Non sempre il proprietario coincide con il custode della res, determinando una difficoltà, prima concettuale e poi applicativa, nella determinazione della responsabilità in caso di danni a terzi. Partiamo, innanzitutto, dall'individuare le chiavi di lettura per sviscerare correttamente la problematica.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nell'affermare che il condominio, quale ente di gestione, sia indiscutibilmente custode dei beni e dei servizi comuni, ovvero obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all'art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva dei condomini lesi.
Il fatto che l'amministratore assuma il ruolo di vigilanza e di controllo sui beni comuni non vuol dire che egli stesso divenga il diretto custode dei beni comuni.
Precisamente, una recente sentenza delle Corte di Cassazione ha compiutamente specificato che: “Il custode non può essere identificato né nel condominio, interfaccia idoneo a rendere il danneggiato terzo rispetto agli altri condomini, ma pur sempre ente di sola gestione di beni comuni, né nel suo amministratore, essendo questi un mandatario dei condomini. Solo questi ultimi, invece, possono considerarsi investiti del governo della cosa, in base ad una disponibilità di fatto e ad un potere di diritto che deriva loro dalla proprietà piena sui beni comuni ex art. 1117 c.c. […] Se ne deve trarre, pertanto, che il risarcimento del danno da cosa in custodia di proprietà condominiale non si sottrae alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, comma 1, c.c., individuati nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili” (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2015 n. 1674).
Certamente l'individuazione della figura del custode nel gruppo di condòmini non deve far venire meno i vincoli verso di essi del loro mandatario, ovvero dell'amministratore, il quale mantiene sempre quegli obblighi di vigilanza e manutenzione dei beni comuni previsti dalla legge, eventualmente rispondendo in caso di inadempienza o inosservanza verso i condomini per inadempimento contrattuale.
Non volendo spaziare oltre per non perdere il filo logico del percorso argomentativo, nella fattispecie in oggetto si sono verificati dei danni all'interno dell'abitazione dell'attrice, causati da una occlusione della colonna condominiale verticale di scarico delle acque grigie che aveva allagato il proprio immobile.
La colonna di scarico delle acque nere, ossia la tubazione che consente il deflusso delle acque fognarie, è un impianto comune ai condomini; come sancito dell'art. 1117, comma 1, n. 3) c.c., esso è tale fino al punto di diramazione nelle singole unità immobiliari.
I condotti fognari sono considerati dalla legge parti comuni dell'edificio e sono oggetto di proprietà comune fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini, con la ovvia conseguenza che, se la fognatura comune causa danni ad un condomino, di tali danni ne risponde il condominio.
Il rigurgito può essere causato da un'ostruzione della colonna di scarico, ad esempio a causa della sua cattiva manutenzione o dallo stato inadeguato di conservazione.
Precisamente, la Suprema Corte ha espresso dettagliatamente il principio di diritto posto alla base della responsabilità da custodia che merita replicare: “La responsabilità ex art. 2051 c.c. postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità” (v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 29 luglio 2016, n. 15761).
In ogni caso, per poter attribuire una eventuale responsabilità al condominio per danni nelle proprietà esclusive dei singoli condomini e conseguenti al rigurgito della fognatura, è previamente necessario individuare e provare il punto esatto di ostruzione della colonna fognaria che deve ricadere in area comune; infatti, risponde il singolo condomino se viene provato che l'occlusione della fognatura, e conseguentemente il danno, è riconducibile ad un tratto di tubazione del singolo condomino.
Ad esempio, è stata esclusa la responsabilità del condominio per i danni causati dal reflusso di acqua del condotto fognario all'interno dell'unità abitativa facente parte di un complesso condominiale, nel caso in cui il rigurgito sia stato determinato da una occlusione del condotto stesso causata da carta per alimenti ivi scaricata da un condomino fruitore del relativo servizio, peraltro non identificato (Trib. Busto Arsizio 28 febbraio 2001).
Sia d'evidenza, infatti, che, a mente dell'art. 1227 c.c., è possibile riconoscere un concorso colposo (e quindi una riduzione del risarcimento del danno imputato al condominio) nei casi in cui il comportamento del condomino o terzo danneggiato abbia contribuito a causare il lamentato danno, ovvero idoneo alla formazione dell'occlusione, oppure ad aggravare le conseguenze della fuoriuscita delle acque grigie.
Nel caso di specie, non è stata messa in discussione la ricostruzione del fatto operata dall'attrice, la quale sin dall'inizio individuava la causa di danneggiamento del proprio immobile nell'occlusione alla colonna di scarico condominiale, circostanza non contestata e pertanto da ritenersi fatto pacifico senza la necessità di ulteriori indagini da parte del Giudicante.
In una situazione affine, invece, la Suprema Corte rigettava il ricorso proposto da un condominio per la mancata prova del nesso di causa tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, nonostante le prove testimoniali assunte e la perizia di parte prodotta dall'attore, a guisa delle quali non poteva ritenersi sufficientemente dimostrato che l'esondazione che aveva causato i danni lamentati, proveniente dall'appartamento sovrastante, fosse stata causata dall'ostruzione di una condotta condominiale (Cass. civ., sez. II, 02 marzo 2022, n. 6914).
L'onere della prova proseguiva, poi, in capo all'attrice che, dopo aver dimostrato il nesso di causa, determinava il danno subito allegando le relative pezze giustificative; ad ogni buon conto, l'espletanda c.t.u. - che non era da ritenersi sul punto meramente esplorativa - specificava compiutamente l'ammontare dei danni patrimoniali suddivisi nel valore dei beni danneggiati, nei costi di ripristino immobile e nella somma riconosciuta a titolo di perdita di chances.
Nel caso di specie, il condominio è stato tenuto manlevato dalla compagnia di assicurazioni, chiamata in causa in forza della polizza fabbricati in essere del condominio.
Diversamente, il risarcimento del danno incombe su tutti gli abitanti del condominio in ragione dell'art. 1123 comma 1, c.c., non potendo distinguere o graduare la responsabilità dei singoli; infatti, trattandosi di cosa comune, le spese di conservazione sono assoggettate a ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive (Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2013, n. 10195).
Diverso è invece il caso in cui la colonna di scarico serva solo una parte dell'edificio.
Qui la responsabilità è da imputare agli abitanti del condominio parziale, sulla cui base la ripartizione delle spese è in ragione dell'uso, ai sensi dell'art. 1123, comma 2, c.c.: solo chi gode del servizio della tubatura che crea danni da rigurgito è chiamato a rispondere del risarcimento del danno patito da terzi, compreso il condomino che si vede allagare l'alloggio a causa della conseguente ostruzione.
Infine, in ultima analisi, l'unica prova liberatoria che può fornire il custode deve consistere nel caso fortuito, ovvero nel fornire la prova dell'esistenza di un elemento esterno che valga ad elidere il nesso causale e che possa, ad esempio, essere costituito da un fatto naturale e dal fatto di un terzo o della stessa vittima nell'evento, circostanze tutte che devono comunque essere caratterizzate da imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra cosa in custodia e danno (v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2021, n. 4035), restando comunque a carico del custode l'ipotesi della causa ignota. Riferimenti
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