“Nuovo” concordato in continuità nel Codice della crisi: i meccanismi di votazione e le maggioranze per l'omologa

Paolo Bosticco
03 Ottobre 2022

Proseguendo l'analisi delle modifiche al concordato in continuità apportate dal nuovo decreto correttivo alle disposizioni del D.lgs. 14/2019 nel Codice della Crisi, entrate in vigore da pochi giorni, merita un'analisi peculiare la disciplina della votazione e delle condizioni che consentono l'omologa del concordato. Si deve, in particolare, sottolineare l'approccio severo del legislatore che pretende l'unanimità di voto delle classi, che peraltro si stempera nella disciplina dell'art. 112, che consente l'omologa anche in caso di voto contrario in presenza di una serie di condizioni, che confermano il passaggio dal criterio di priorità assoluta a quello di priorità relativa; interessante anche il “ritocco” alla disciplina delle procedure di gruppo in continuità e l'introduzione di norme specifiche per le procedure societarie che consentono il soddisfo anche ai soci dell'impresa in crisi.
L'ultima evoluzione del quadro normativo

A quanto pare dallo scorso 15 luglio abbiamo dovuto salutare la nota “legge fallimentare”, con l'entrata in vigore della Riforma concorsuale attuata dal decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (denominato “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), laddove – dopo il “primo correttivo” e con le novità introdotte dal D.L. 24 agosto 2021, n. 118 (conv. in L. 21 ottobre 2021, n. 147) – con il D.lgs. 17 giugno 2022, n. 43 è stata confermata l'entrata in vigore appunto dal 15 luglio 2022 della nuova normativa concorsuale, una volta compiuta anche la (necessaria negli intenti del legislatore, pur con qualche perplessità segnalata soprattutto dal Consiglio di Stato) armonizzazione della nuova disciplina concorsuale con le previsioni della Direttiva Europea n. 2019/1023/UE del 30 giugno 2019 (la c.d. “Direttiva Insolvency”).

Mi sono già occupato di valutare come il “correttivo-bis” sia intervenuto sulla procedura concordataria e più precipuamente sulla disciplina dei concordati in continuità, ma vi è un aspetto della nuova disciplina di questa tipologia di procedura – destinata nell'ottica della Riforma ad assumere una veste prevalente – che mi pare richieda un approfondimento ulteriore, laddove il D.lgs. 143/2022 fissa proprio per il concordato in continuità una diversa disciplina per l'approvazione, sia sotto il profilo del computo dei voti, sia anche per quel che concerne la possibilità omologare comunque il concordato anche in caso di voto parziale sfavorevole.

A ciò si aggiungono le varianti che la nuova normativa introduce agli artt. 120-bis ss. alla disciplina degli strumenti di soluzione della crisi destinati alle società e che vanno ad influire anche sulla disciplina di approvazione delle soluzioni concordatarie in continuità.

L'attenzione peculiare per l'approvazione del concordato in continuità aziendale

Per affrontare l'argomento occorre muovere, ad avviso di chi scrive, da una constatazione già proposta nella prima parte di questo scritto: il legislatore ha ampliato, per un verso, l'ambito applicativo del concordato in continuità sotto il profilo del sostanziale superamento del criterio di “prevalenza”, ma non ha sic et simpliciter reso le cose più facili al debitore che voglia accedere a quel tipo di procedura.

Anzitutto, come già si è osservato, per il concordato in continuità è prevista sin dalla fase di ammissione una verifica più selettiva che configura un vero e proprio sindacato di fattibilità, nel senso più ampio oggi accolto dal Codice della Crisi a superare la nota distinzione tra fattibilità giuridica ed economica, laddove l'art. 47 prevede che il Tribunale, già nella fase di apertura del concordato preventivo precluda al debitore l'accesso al concordato in continuità aziendale se ritenga che il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori proposta dal debitore, nonché alla conservazione dei valori aziendali.

Per certi versi risponde anche ad una peculiare attenzione per la costruzione del piano anche la previsione del terzo comma dell'art. 92 che precisa precipuamente per il concordato in continuità aziendale che nel caso di concessione del termine ai sensi dell'art. 44 per il deposito del piano e della proposta definitivi, il commissario giudiziale, se richiesto dal proponente - ma con la precisazione che tale intervento diviene, invece, obbligatorio in caso di concessione delle misure protettive di cui all'art. 54, comma 2 - affianca il debitore e i creditori nella negoziazione formulando suggerimenti per la redazione del piano (disposizione che, per altro verso, si pone nell'ottica “collaborativa” di buona fede che ispira le norme in tema di composizione negoziata e, più in generale, le norme sugli obblighi informativi).

Non solo, ma a confermare che anche il valore della continuità aziendale deve cedere il passo alla funzione satisfattiva delle procedure, come si rammenterà, all'art. 84 è imposto l'obbligo di indicare per ciascun creditore “un'utilità specificamente individuata”, rispetto evidentemente ad una soluzione meramente liquidatoria, anche se d'altronde l'utilità tratta dai creditori “può essere rappresentata dalla (o “può consistere anche nella” nella versione del correttivo) prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”. Ebbene, da tale presupposto - che ribadisce la centralità dell'interesse del ceto creditorio - si evince già l'approccio che viene sviluppato, poi, nell'ambito delle disposizioni che fissano le regole precipue per l'approvazione del concordato in continuità ed individuano i casi nei quali il parziale dissenso dei creditori può essere superato.

In sostanza, il favor per il concordato in continuità è indubbio (soprattutto rispetto ai vincoli di soddisfo cui è soggetto il concordato liquidatorio), ma la prosecuzione dell'attività non costituisce di per sé il fine della procedura, poiché lo stesso deve essere correlato ad una migliore tutela del ceto creditorio – o quantomeno a garantire un trattamento non deteriore – al quale viene perciò demandata in prima battuta la decisione in merito alla approvazione della proposta concordataria.

D'altro canto, neppure nell'ambito dei principi generali che ispirano la Direttiva Insolvency la prosecuzione dell'attività assurge a valore autonomamente tutelabile in assoluto: basti ricordare che il legislatore europeo si preoccupa al terzo considerando di precisare che “le imprese non sane che non hanno prospettive di sopravvivenza dovrebbero essere liquidate il più presto possibile. Se un debitore che versa in difficoltà finanziarie non è sano o non può tornare a esserlo in tempi rapidi, gli sforzi di ristrutturazione potrebbero comportare un'accelerazione e un accumulo delle perdite a danno dei creditori, dei lavoratori e di altri portatori di interessi, come anche dell'economia nel suo complesso”, per poi ribadire al considerando 24 che “onde evitare abusi dei quadri di ristrutturazione, è opportuno che le difficoltà finanziarie del debitore presentino una probabilità di insolvenza e che il piano di ristrutturazione sia tale da impedire l'insolvenza e garantire la sostenibilità economica dell'impresa”, intento che si esplica anche nella previsione dell'art. 10 della Direttiva, laddove “Gli Stati membri assicurano che l'autorità giudiziaria o amministrativa abbia la facoltà di rifiutare di omologare il piano di ristrutturazione che risulti privo della prospettiva ragionevole di impedire l'insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell'impresa”.

(Segue). L'accesso al voto e l'interpretazione dell'art. 109 sull'esclusione

Come vedremo tra breve, una delle novità del Codice della Crisi è costituita dall'innovativa scelta del legislatore di “dare voce” alla posizione dei soci delle società in crisi (ai quali già nella versione originaria dell'art. 285 era attribuito il diritto all'opposizione all'omologa nei concordati di gruppo in relazione alla censura di operazioni intra-gruppo), sino addirittura a prevedere con l'ultimo correttivo situazioni in cui ai soci è consentito di perseguire un soddisfo economico dalla procedura, nonostante la falcidia subita dai creditori.

Peraltro, a fronte di questa posizione decisamente meno defilata, resta la previsione dell'art. 109 che vieta l'espressione del voto alle società controllanti la – ossia alle socie della - debitrice, nonché alle società da questa controllate ed a quelle sottoposte a comune controllo.

Forse, nell'ottica di consentire ai soci di interloquire su scelte che, a maggior ragione in funzione delle nuove previsioni, in qualche misura li riguardano, sarebbe stato più logico sfruttare l'ultima previsione estensiva, che esclude dal voto chiunque si trovi in effettiva situazione di conflitto di interessi, evitando di ribadire la “presunzione di conflitto” dalla quale trae origine l'esclusione tout court dal voto di quella particolare categoria di soci rappresentata dalle società in posizione apicale e più diffusamente delle società del medesimo gruppo legate da rapporti di controllo; in tal senso, considerata l'attribuzione di un ruolo partecipativo ai soci, che traspare ad esempio dall'art. 120-ter che consente espressamente che costoro vadano a formare classi, sarebbe stato forse auspicabile lasciare che l'ammissione al voto o meno delle società del gruppo venisse valutata in base alla situazione concreta che presenti il rischio del perseguimento di interessi in contrasto con quelli della massa dei creditori.

Ciò a meno di proporre una interpretazione “ardita” dell'ultimo comma dell'art. 109, che si occupa, però, dell'esclusione dal voto dei creditori che abbiano presentato la proposta di concordato: nella interpretazione più lineare si dovrebbe ritenere che il comma sia interamente riferito a tale tipologia di votanti, escludendo dal voto anche le società che controllino l'impresa che presenta il concordato, salvo che tali soggetti vengano ricompresi in un'apposita classe separata. Scindendo, invece, le due espressioni, si potrebbe ipotizzare che il legislatore abbia voluto in generale consentire il voto alle società “del gruppo” - siano cioè esse collegate ai creditori che presentano la proposta ovvero alla stessa società debitrice che propone il concordato, purchè in tal caso quei creditori vadano a formare una classe distinta.

A differenza di quanto ho sostenuto pochi mesi fa, il fatto che - nonostante le innovazioni introdotte dai correttivi a favore dell'attribuzione di un ruolo ai soci - il testo del sesto e del settimo comma dell'art. 109 sia rimasto invariato mi induce a ricredermi sulla volontà del legislatore di modificare l'orientamento restrittivo sinora seguito con riguardo al fenomeno del controllo societario nelle norme e nell'interpretazione giurisprudenziale in tema di ammissione al voto concordatario, per concludere che è mancato il coraggio di adottare una scelta veramente evolutiva che consideri i soci costituiti dalle società controllanti come soggetti in astratto idonei ad interloquire, ai fini di un approccio costruttivo e “di buona fede” (concetto pur ribadito con il recepimento anche del D.L. 118/2021), nelle decisioni che riguardano il concordato.

(Segue). Le maggioranze specifiche per l'omologa del concordato in continuità

Nell'ambito della riforma della disciplina del voto, il D.lgs. 83/2022 è intervenuto anche e soprattutto sulle disposizione che precisazione le condizioni per l'approvazione del concordato in continuità, per il quale il legislatore ha adottato un meccanismo piuttosto complesso, muovendo da un primo sbarramento piuttosto severo, contenuto nel quinto comma dell'art. 109, laddove si prevede che per l'approvazione di un concordato in continuità aziendale è necessario il voto favorevole di tutte le classi: è la prima volta che viene prescritta l'unanimità, seppure del voto per classi, perché possa essere omologato un concordato preventivo.

L'unica concessione che emerge dalla nuova disciplina del voto – evidentemente volta a scoraggiare il disinteresse dei creditori o forse a correggere gli effetti negativi della confermata necessità del “voto espresso” (che è stata preferita alla reintroduzione della possibilità di ricorrere a meccanismi di “silenzio-assenso”, salvo introdurre ipotesi di cram down coattivo) – è la previsione in forza della quale per l'approvazione della singola classe può essere sufficiente il voto dei due terzi degli effettivi votanti; tuttavia, è comunque previsto che, per la validità dell'approvazione, debba esprimere il proprio voto quantomeno la maggioranza dei creditori inseriti nella singola classe.

L'art. 109 risolve anche il problema dell'accesso al voto dei privilegiati: questi sono esclusi dal voto solo se vengano interamente soddisfatti in danaro (il che implica che qualsiasi forma di soddisfo diversa da quella monetaria imporrà l'inserimento dei privilegiati in una classe) entro centottanta giorni dall'omologa del concordato, fermo restando che deve essere mantenuta la garanzia sui beni sui quali grava la prelazione, sino alla liquidazione di quei beni. Il termine di soddisfo scenda a soli trenta giorni per i crediti assistiti dal privilegio previsto dall'art. 2751-bis n. 1 c.c.: a conferma del già commentato favor per tale categoria di creditori, i crediti dei lavoratori non soddisfatti entro un mese dall'omologa vengono considerati non soddisfatti per intero e quindi partecipano al voto.

Per l'effetto di questa disciplina, in definitiva, tutti i creditori muniti di diritto di prelazione che si considerano non integralmente soddisfatti votano, dunque, previo inserimento in una classe distinta, previsione che assume una peculiare rilevanza proprio se rapportata all'imposizione (quantomeno in prima battuta) dell'adesione di tutte le classi alla proposta concordataria quale condizione per l'omologa.

Le modifiche proposte dal decreto correttivo al concordato preventivo contenute nell'art. 112

A mitigare il rigore imposto dalla ora commentata previsione dell'art. 109, se non viene raggiunta l'unanimità delle classi, il concordato può essere egualmente omologato, ma occorre affidarsi al complesso giudizio disciplinato dal successivo art. 112, che fonda, ma altresì limita, in ogni caso, la possibilità di superare il dissenso dei creditori.

Tale disposizione conferma, infatti, che nel concordato in continuità la proposta viene omologata “per direttissima” solo se ottiene il consenso di tutte le classi, ma – si noti, a completamento dell'art. 109 e nonostante il raggiungimento di quella maggioranza unanime, che dunque di per sé potrebbe non essere sufficiente – impone altresì che si verifichino altre due condizioni, ovvero che il Tribunale non ravvisi (ancora una volta) la manifesta inidoneità del piano a garantire il superamento dell'insolvenza (espressione pervero generica, posto che non è precipuamente riferita né alla prosecuzione dell'attività né al soddisfo dei creditori), nonché precipuamente che la richiesta (eventuale) di nuovi finanziamenti sia strettamente coerente con il piano e non pregiudichi (il legislatore aggiunge “ingiustamente” senza chiarire se e quali ragioni - da ricollegare forse a altri vantaggi indiretti per il ceto creditorio, dubito invece che rilevi, ad esempio, l'interesse dei lavoratori - rendano equo il sacrificio) gli altri creditori.

Per contro, laddove una o più classi siano dissenzienti, per giungere all'omologa occorre il rispetto di quattro condizioni, tre che riguardano il contenuto della proposta ed una che attiene all'espressione del consenso:

  • anzitutto, è necessario che il valore di liquidazione venga distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; la disposizione, letta a contrariis ribadisce, quindi, la possibilità di una libera distribuzione solo del “supero” rispetto al valore dell'attivo liquidato ed in particolare degli apporti esterni;
  • tuttavia, anche l'attribuzione del valore che eccede quello di liquidazione non è del tutto libera, poiché la norma impone che esso sia distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore; viene così confermato il passaggio ad un criterio di “priorità relativa”, anche se l'espressione utilizzata non è, pervero, del tutto chiara: parrebbe che la valutazione prevista sia riferita ad un raffronto compiuto in forma aggregata sulla sorte di tutti i creditori inseriti in classi dissenzienti (sul punto, la Relazione Illustrativa nulla dice); peraltro, la disposizione fa salvo “quanto previsto dall'articolo 84, comma 7”, richiamo che conferma, ove fosse necessario, che il limite alla possibilità di rimodulare il soddisfo dei crediti privilegiati è pur sempre commisurato al valore di liquidazione del bene su cui grava la prelazione;
  • altra condizione è che nessun creditore riceva un soddisfo superiore all'importo del credito vantato, previsione tutto sommato apparentemente tautologica, che peraltro potrebbe essere dettata dalla volontà di prevenire mercati di voto (situazione che potrebbe valere, ad esempio, anche per l'offerta di pagare ad una classe chirografaria gli interessi maturati in corso di procedura, in teoria non dovuti, per ottenerne il consenso);
  • in ogni caso, la proposta concordataria dovrà essere approvata dalla maggioranza delle classi e non solo, ma tale consenso maggioritario sarà decisivo solo se almeno una classe sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione (evidentemente non soddisfatti integralmente, chè altrimenti non voterebbero); in alternativa, la proposta potrà essere omologata solo se approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero stati almeno in parte soddisfatti se il valore eccedente quello di liquidazione fosse distribuito rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione.

Proprio l'ultima previsione ora riportata comporta un esame più complicato: tutto sommato si sarebbe potuto ritenere comprensibile che – in presenza delle sopra indicate prime tre condizioni sostanziali – potesse ritenersi sufficiente l'approvazione della maggioranza delle classi per omologare il concordato.

Viceversa, il legislatore ha ritenuto di porre ancora altri “paletti” all'omologa: in forza della lett. d) del secondo comma dell'art. 112, infatti, non basterebbe, ad esempio, l'approvazione di due classi di chirografi, se ve ne fosse una terza dissenziente formata da privilegiati degradati in tutto o in parte, ma occorre che almeno una delle classi favorevoli sia appunto formata da creditori privilegiati (non soddisfatti per l'intero in danaro ma anche, si noti, semplicemente non pagati nei limiti temporali di legge in relazione al disposto dal quinto comma dell'art. 109).

Sul punto, peraltro, la frase finale è quella meno chiara, laddove è previsto che l'ulteriore condizione operi “in mancanza”, senza che la norma precisi se ciò significhi che debbano non essere presenti classi di creditori privilegiati o se l'omologa può avvenire anche se nessuna classe di privilegiati, in ipotesi esistente, ha votato a favore; la norma prevede solo che, verificandosi il mancato consenso di almeno una classe privilegiata, il concordato può essere omologato se voti a favore una classe formata da creditori che verrebbero soddisfatti (almeno in parte) qualora l'intero attivo – comprensivo delle risorse esterne o comunque di quanto eccede il “valore di liquidazione” – venisse distribuito secondo le regole della graduazione; si intuisce per esclusione che si dovrebbe quindi trattare di una classe di creditori non assistiti da prelazione ed – anche se non è specificato – si deve ritenere che il soddisfo almeno parziale sia riferito alla distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione (chè non si concepirebbe una classe altrimenti totalmente priva di soddisfo, a meno di ipotizzare che siano chiamati al voto creditori postergati), ma non è chiaro se siano appunto ricomprese nel concetto anche eventuali classi postergate (che peraltro difficilmente poi potrebbero essere comunque soddisfatte anche utilizzando il “supero”), di modo che non è del tutto chiaro neppure in quali situazioni in effetti il giudizio comparativo valga a “sanare” una distribuzione penalizzante delle risorse attive.

Alla luce di un esame complessivo della complessa disciplina che emerge dal combinato disposto degli artt. 109 e 112, quindi, sembra che l'intento del legislatore sia stato quello di premiare le proposte concordatarie che, pur favorendo talune classi mediante l'uso della porzione attiva che eccede il valore di liquidazione, abbiano comunque trovato consenso in seno proprio a quei creditori meno fortunati (o che, forse, ipotizzano di trarre dalla prosecuzione dell'attività un vantaggio indiretto consistente nella “prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”, come oggi espressamente contemplato nell'art. 84). In altre parole, al di là delle aperture di principio, sembra che il passaggio ad un sistema fondato sulla “priorità relativa” non sia in fondo troppo gradito al legislatore, ma che tale deroga alla graduazione venga accettata solo se avallata dal voto favorevole di almeno una classe di creditori ai quali tale deroga ai principi di graduazione “assoluta” potrebbe recare pregiudizio.

La valutazione circa l'omologabilità del concordato muta e si “ammorbidisce”, viceversa, se il Tribunale sia chiamato a decidere sull'opposizione di un singolo creditore: in questo caso, il criterio discretivo dettato dal terzo comma dell'art. 112 resta quello “classico” del raffronto con l'esito che l'opponente – e ci pare che la dizione scelta “il credito” deponga per una valutazione riferita alla posizione atomistica – trarrebbe da una liquidazione giudiziale.

Le nuove norme in tema di procedure societarie e la disciplina delle maggioranze nel concordato di gruppo

Sulla regolamentazione dei concordati, ed in particolare di quelli in continuità, è destinata ad influire anche la nuova disciplina specifica degli “strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza” (questa la nuova dizione scelta dal correttivo) riferiti alle società dettata agli artt. da 120-bis a 120 quinquiesinseriti nel Codice della Crisi dal D.lgs. 83/2022.

Si tratta di norme che si caratterizzano per l'innovativa concessione di diritti di interferenza sulle procedure concesse ai soci: la decisione sull'ingresso in procedura spetta, infatti, agli amministratori, ma questi devono informare i soci i quali possono (con minoranza qualificata del 10%) formulare una proposta concorrente e, ai sensi dell'art. 120-ter, possono andare a formare una classe (o addirittura più classi, facoltà peraltro limitata all'ipotesi in cui vi siano diverse categorie di soci).

Ma, al di là dei diritti partecipativi formali, la rilevante novità è costituita dalla previsione dell'art. 120-quater: in questo caso, la presenza e l'interesse dei soci nella Procedura influisce anche sull'omologa, laddove quella disposizione di fatto consente e detta una precipua disciplina per l'ipotesi di destinazione di un soddisfo ai soci anteriori.

Si deve ritenere che il legislatore abbia voluto qui riferirsi all'avvio di una procedura in continuità “purissima” che comporta non solo l'ingresso di nuovi soci ma anche, si intuisce, la conservazione della struttura aziendale precedente con l'intervento della compagine societaria già presente al momento dell'avvio della procedura; in tal senso, la nuova norma in tema di omologa di procedure societarie è chiarissima nell'ipotizzare che l'esito favorevole della ristrutturazione possa giovare anche ai soci anteriori, il che sovverte la visione classica che vede i diritti del socio sacrificati in linea di massima al soddisfo dei creditori.

Vero è che la disposizione precisa da subito la primazia della “diga” costituita dalla prevalenza del disposto dell'art. 112, che si applica in ogni caso, ma nel prosieguo del primo comma viene previsto un complesso meccanismo volto a verificare se sia suscettibile di omologa un piano che preveda appunto il soddisfo dei soci. Anzitutto, il riferimento alle “classi dissenzienti” conferma che in caso di votazione favorevole delle classi, il sacrificio di quei creditori a favore di un soddisfo dei soci sarebbe ammesso; viceversa, nel caso di dissenso, occorre verificare – con una sorta di “riunione fittizia”, per citare l'istituto successorio - se destinando ai creditori il valore che si vorrebbe riconoscere ai soci, i soggetti contrari (rectius gli appartenenti a ciascuna delle classi dissenzienti) ricevano un trattamento almeno paritario rispetto alle classi con il medesimo rango e migliore rispetto alle classi di rango inferiore. Con l'opportuna precisazione che il valore riservato ai soci sarà costituito dal valore effettivo che acquisiranno le partecipazioni - o eventuali strumenti che consentano a costoro di acquisirne - all'esito dell'omologazione, dedotto peraltro (opportunamente, poiché in tal caso si tratterebbe in sostanza di una sorta di restituzione di apporti di nuova finanza) quanto i soci abbiano apportato ai fini della ristrutturazione sotto forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto (ovvero, per le sole imprese minori, in qualsiasi forma).

Evidentemente, a mio parere, si tratta di una valutazione complessa e per certi versi non comune: il primo criterio discretivo è costituito da un mero rapporto con il trattamento di categorie di creditori paritetiche o inferiori; si attua, quindi, una “prova di resistenza” riferita alle sole classi dissenzienti, fondata sul computo di quanto spetterebbe a costoro se il soddisfo riconosciuto ai soci venisse “ridistribuito”: con un'applicazione estesa della regola di priorità relativa, in quel caso il concordato verrà omologato se comunque la classe dissenziente riceva un trattamento pari a quello riservato alle classi di pari grado e migliore di quelle inferiori (il che avviene, ad esempio, se la proposta favorevole ai soci penalizzi classi paritarie a quella dissenziente, che tuttavia votino ugualmente a favore); tale approccio, a ben vedere, valorizza il consenso delle classi che votano a favore, alle quali è di fatto consentito anche di vincolare i dissenzienti quando – anche facendo rientrare nel patrimonio destinato ai creditori ciò che viene destinato ai soci – le classi contrarie vengano “trattate” alla stregua di quelle favorevoli loro pari e se i dissenzienti ricevano un trattamento migliore rispetto a classi meno privilegiate.

Il legislatore si premura anche di disciplinare il caso in cui non vi siano classi di rango pari o inferiore a quelle dissenzienti (ipotesi pervero poco probabile nella pratica, che si verificherà forse solo in caso di dissenso di una classe chirografaria “superato” dal voto favorevole delle altre classi, tutte assistite da privilegi prevalenti): in tal caso, il concordato potrà comunque essere omologato a condizione che il valore destinato al soddisfacimento dei creditori appartenenti alla classe dissenziente risulti superiore a quello complessivamente riservato ai soci. A ben vedere, si tratta della previsione meno comprensibile, poiché compara semplicemente il soddisfo dei creditori con il trattamento riservato ai soci (che costituisce in fondo un'eccezione): pur comprendendo che la disposizione intende favorire l'intervento dei vecchi soci a supportare il concordato che consenta il salvataggio dell'impresa in crisi (già peraltro tutelato dalla “detrazione” degli apporti dal computo del valore loro riservato), forse in questo caso il parametro del raffronto con l'esito di una liquidazione giudiziale non sarebbe stato deleterio.

Il criterio comparativo con il soddisfo derivante da una eventuale liquidazione giudiziale viene adottato, viceversa, dal legislatore solo in relazione alla facoltà concessa ai soci – e si tratta di un'ulteriore facoltà di interferenza consentita ora a tale categoria di stakeholders – di proporre opposizione all'omologa: in tal caso, potrà essere fatto valere esclusivamente il pregiudizio subito dai soci rispetto all'alternativa liquidatoria.

Come se non fosse già sufficientemente complessa l'interpretazione in merito ai limiti ed alle modalità concrete di applicazione dell'art. 120-quater, il secondo correttivo ha anche introdotto un ultimo comma in forza del quale “Le disposizioni di questo articolo si applicano, in quanto compatibili, all'omologazione del concordato in continuità aziendale presentato dagli imprenditori individuali o collettivi diversi dalle società e dai professionisti”, con una valenza estensiva che non risulta del tutto chiara, poiché ci pare evidente che disposizioni come quella in esame difficilmente potrebbero essere applicabili al di fuori della crisi di soggetti che svolgano l'attività in forma collettiva o almeno aggregata: si può, in tal senso, ipotizzare che la norma possa senz'altro trovare applicazione con riguardo ai consorzi ed alle associazioni non riconosciute (anche alla luce della conferma giurisprudenziale sulla loro assoggettabilità a procedure concorsuali: v. ad esempio App. Venezia, 15 aprile 2020, in sito dirittodellacrisi.it, 2022), ma non è chiaro quali disposizioni possano trovare un'applicazione estensiva in procedure individuali.

A fronte della precisione con la quale il legislatore ha previsto le modalità di omologazione nelle norme sinora esaminate, meno attenzione è stata dedicata ad una delle innovazioni a mio avviso più rilevanti del Codice della crisi, ovvero le procedure di gruppo.

L'unica disposizione introdotta dal secondo correttivo è quella volta a statuire che la diversa disciplina delle maggioranze dettata dall'art. 112 influisce anche sulla approvazione dei concordati di gruppo, posto che all'art. 285 si aggiunge un comma che si limita a prevedere che “Nell'ipotesi di cui al comma 1, secondo periodo, il tribunale omologa il concordato secondo quanto previsto dall'articolo 112, commi 2, 3 e 4”, senza peraltro aggiungere ulteriori precisazioni a chiarire se e come quella disciplina debba adattarsi alle peculiarità delle procedure di gruppo e senza affrontare una questione non irrilevante, costituita dalle modalità di distribuzione (in ipotesi in deroga alla regola della separazione delle masse attive) all'interno del concordato di gruppo delle risorse che eccedano il valore di liquidazione (sul punto, v. D. Galletti, La gestione della crisi attraverso la direzione e coordinamento: appunti sulle compensazioni “concordatarie” infragruppo per la ricostruzione del sistema, in DF, 2022, I, 639).

In particolare, il mero richiamo alla disciplina appare alquanto oscuro, posto che il legislatore non ha ritenuto di espressamente chiarire se la valutazione che consente comunque l'omologa del concordato debba essere esclusivamente riferita alla singola impresa in procedura o possano essere anche in questo caso effettuate valutazioni “cumulative” quantomeno in virtù di vantaggi compensativi, la cui rilevanza è stata ribadita proprio dal secondo correttivo, in relazione alle operazioni intra-gruppo previste dall'art. 285.

In assenza di una disposizione derogativa espressa, parrebbe logico teorizzare la prevalenza del criterio, tuttora riaffermato dall'art. 284, della separazione delle masse attive e passive, che induce a concludere che la valutazione in merito alla possibilità di superare il dissenso di una o più classi debba avvenire considerando atomisticamente i valori riferiti alla singola impresa coinvolta nelle procedure di gruppo.

In conclusione

Sicuramente l'intento che ha mosso il legislatore, da un lato, a prevedere una disciplina così rigorosa per l'approvazione del concordato in continuità e, d'altro canto, a dettare precipue ed analitiche norme per consentire comunque di addivenire all'omologa delle proposte concordatarie in continuità potrebbe essere legittimamente ricercato nella percezione - del resto espressamente reperibile nei documenti della Riforma (e che è posta, ad esempio, a giustificazione della “contrazione” della prededuzione per i compensi professionali) - che talora la scelta, comprensibile, di favorire ove possibile la prosecuzione dell'attività a tutela della posizione di stakeholders diversi dai creditori si rivela penalizzante proprio per questi ultimi soggetti - che tuttora il legislatore ritiene che ogni procedura dovrebbe comunque primariamente tutelare -, costretti a fare spesso i conti con l'incremento della prededuzione e penalizzati dall'esito spesso in perdita dei periodi di continuità diretta. A fronte di tale cautela, che giustifica il rigore sulle condizioni poste per l'approvazione e l'omologa, si pone l'esigenza di evitare, per contro, che gli effetti favorevoli della continuità aziendale possano essere vanificati da prese di posizione preconcette di talune categorie di creditori che, in modo miope, non intravedano la vantaggiosità della soluzione proposta; anche se, a dire il vero, il meccanismo di “priorità relativa” finisce per penalizzare il voto anche di classi di creditori - i quali, in realtà, potrebbero perseguire semplicemente la possibilità di un miglior risultato auspicato dall'esito alternativo di una procedura di liquidazione giudiziale- che in sostanza “subiscono” gli effetti del consenso di quegli altri creditori che, pur se penalizzati al pari o più di loro, hanno comunque scelto di confidare nella soluzione concordataria.

Ciò che è certo è che le disposizioni qui commentate si tramutano in altrettante situazioni in cui si dovrà esercitare un controllo giudiziario che comporta in parte scelte discrezionali e solo la pratica ci dirà se si creeranno indirizzi univoci o se, viceversa, si dovranno rimarcare disparità di trattamento a seconda del foro presso il quale verranno avviate le procedure, non senza qualche preoccupazione, in tal caso, per fenomeni di forum shopping.

Guida all'approfondimento

Per i richiami con riguardo alla nuova disciplina del concordato in continuità mi permetto di rinviare al mio scritto precedente (P. Bosticco, Le modifiche al concordato in continuità nel nuovo Codice della crisi alla luce del “decreto correttivo bis”, in questo portale, 2022). Con riferimento specifico alla disciplina del nuovo art. 112 del Codice della Crisi, così come poi è scaturita dal secondo correttivo, v. S. Ambrosini, Il codice della crisi dopo il d.lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell'impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in Ilcaso.it, 2022; G. Acciaro - G. Turchi, Le regole di distribuzione del patrimonio tra passato e futuro, ivi, 2022. Sul nuovo ruolo attribuito ai soci dal correttivo e sulla disciplina del fenomeno di gruppo: S. Ambrosini, Il codice della crisi dopo il d.lgs. n. 83/2022, cit.; M. Callegari, Frammenti di disciplina dei gruppi nel codice della crisi alla luce del decreto correttivo e dello schema di decreto insolvency, in Ilcaso.it, 2022; D. Galletti, Regole di priorità e distribuzione del plusvalore concordatario: due passi indietro ed un'occasione importante perduta, in questo portale, 2022; B. Maffei Alberti, La nuova disciplina dei gruppi di imprese, in Ilcaso.it, 2022; G.P. Macagno, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore di continuità, in dirittodellacrisi.it, 2022.

Sommario