Rinvio pregiudiziale e giudici di ultima istanza

03 Ottobre 2022

Recenti sviluppi del dialogo fra Consiglio di Stato e Corte di Giustizia sull'obbligo “flessibile” di rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali di ultima istanza (brevi note a margine di CGUE, sez. IX, 7 luglio 2022, C-261/21, Hoffmann-La Roche e altri).
Applicazione del diritto comunitario, e rimedi del diritto processuale nazionale: il problema della revocazione

Nella ricostruzione del dialogo fra Consiglio di Stato e Corte di Giustizia sull'obbligo “flessibile” di rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali di ultima istanza, si è dato conto (1) della fattispecie costituita da un ricorso per revocazione fondato sulla denuncia del vizio di contrarietà al diritto comunitario della decisione resa all'esito del giudizio di appello, nel corso del quale era stata resa una pronuncia pregiudiziale: la particolarità della fattispecie era data dal fatto che con il ricorso per revocazione si era fatta valere la non corretta applicazione da parte del Consiglio di Stato, in veste di giudice d'appello, del principio stabilito dalla decisione della Corte di Giustizia resa all'esito del rinvio pregiudiziale disposto in grado di appello.

Di fronte alla deduzione del vizio revocatorio consistente nel mancato rispetto della sentenza della Corte di Giustizia, la VI Sezione del Consiglio di Stato, con l'ordinanza n. 2327/2021, ha a sua volta fatto ricorso al rinvio pregiudiziale, domandando alla Corte – tra l'altro – se “il giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, in un giudizio in cui la domanda della parte sia direttamene rivolta a far valere la violazione dei principi espressi dalla Corte di Giustizia nel medesimo giudizio al fine di ottenere l'annullamento della sentenza impugnata, possa verificare la corretta applicazione nel caso concreto dei principi espressi dalla Corte di Giustizia nel medesimo giudizio, oppure se tale valutazione spetti alla Corte di Giustizia”.

Alcuni commenti avevano posto in evidenza che “la premessa sembra soffrire di una sorta di petizione di principio, alla luce del noto rinvio Randstad, operato dalle Sezioni Unite, pendente avanti alla Corte di giustizia” (2).

La decisione della Corte di Giustizia, nel frattempo intervenuta (3), sembra smentire questa affermazione: al contrario, come si vedrà, la trama motivazionale della sentenza capovolge questa visione, fornendo una risposta di più ampio respiro alle tematiche recentemente emerse in relazione all'attuale connotazione del rinvio pregiudiziale, a fronte dei tentativi di un uso improprio del rimedio (4).

La vicenda specifica e la soluzione data dalla Corte di Giustizia alla questione

Più in dettaglio, l'ordinanza di rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato aveva sottoposto alla Corte di Giustizia tre quesiti:

«1) Se il giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, in un giudizio in cui la domanda della parte sia direttamente rivolta a far valere la violazione dei principi espressi dalla [Corte] nel medesimo giudizio al fine di ottenere l'annullamento della sentenza impugnata, possa verificare la corretta applicazione nel caso concreto dei principi espressi dalla [Corte] nel medesimo giudizio, oppure se tale valutazione spetti alla [Corte].

2) Se la sentenza del Consiglio di Stato n. 4990/2019 abbia violato, nel senso prospettato dalle parti, i principi espressi dalla [Corte] nella sentenza [Hoffmann-La Roche] in relazione a) all'inclusione nel medesimo mercato rilevante dei due farmaci senza tener conto delle prese di posizione di autorità che avrebbero accertato l'illiceità della domanda e dell'offerta di Avastin off-label; b) alla mancata verifica della pretesa ingannevolezza delle informazioni diffuse dalle società.

3) Se gli articoli 4, paragrafo 3, 19, paragrafo 1, del TUE e 2, paragrafi 1 e 2, e 267 TFUE, letti anche alla luce dell'articolo 47 della [Carta], ostino ad un sistema come quello concernente gli articoli 106 del codice del processo amministrativo e 395 e 396 del codice di procedura civile, nella misura in cui non consente di usare il rimedio del ricorso per revocazione per impugnare sentenze del Consiglio di Stato confliggenti con sentenze della [Corte], ed in particolare con i principi di diritto affermati dalla [Corte] in sede di rinvio pregiudiziale».

La Corte ha ritenuto pregiudiziale il terzo quesito, rispetto al quale ha enunciato il seguente principio: “l'articolo 4, paragrafo 3, e l'articolo 19, paragrafo 1, TUE nonché l'articolo 267 TFUE, letti alla luce dell'articolo 47 della Carta, devono essere interpretati nel senso che non ostano a disposizioni di diritto processuale di uno Stato membro che, pur rispettando il principio di equivalenza, producono l'effetto che, quando l'organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa di tale Stato membro emette una decisione risolutiva di una controversia nell'ambito della quale esso aveva investito la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi del suddetto articolo 267, le parti di tale controversia non possono chiedere la revocazione di detta decisione dell'organo giurisdizionale nazionale sulla base del motivo che quest'ultimo avrebbe violato l'interpretazione del diritto dell'Unione fornita dalla Corte in risposta a tale domanda”.

Dunque la nozione di errore revocatorio propria del diritto processuale interno, nella parte in cui non ammette il ricorso alla revocazione per (supposto) mancato adeguamento del giudice d'appello alla decisione sul rinvio pregiudiziale resa in quel giudizio, non viola i parametri comunitari sopra richiamati.

La rilevanza della motivazione della sentenza, al di là del caso specifico

Il problema ruotava intorno all'art. 106, primo comma, del codice del processo amministrativo: “Salvo quanto previsto dal comma 3, le sentenze dei tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile”.

Ma il punto centrale della sentenza della Corte, paradossalmente, non sembra essere quello della compatibilità comunitaria della disciplina processuale interna della revocazione: bensì quello che rimarca che il ruolo proprio del rinvio pregiudiziale non è quello del “voler buttare la palla” a Lussemburgo per spostare il meccanismo di soluzione dei conflitti dalla sede giurisdizionale nazionale a quella comunitaria (ogni qual volta la questione da dirimere implichi l'applicazione di una norma comunitaria).

La sentenza della Corte, ai punti 36 e 55 della motivazione, è molto netta sul punto: “Non spetta infatti alla Corte valutare se il contenuto di detto parere emesso dall'EMA dimostri la presenza nella decisione dell'AGCM di errori che il giudice del rinvio avrebbe dovuto constatare nella sua sentenza n. 4990/2019. È sufficiente ricordare, a tal riguardo, che il giudice nazionale è il solo competente a conoscere e valutare i fatti della controversia di cui al procedimento principale (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

(….) Tuttavia, come ricordato al punto 36 della presente sentenza, spetta unicamente al giudice nazionale accertare e valutare i fatti della controversia di cui al procedimento principale. Ne consegue che non spetta alla Corte esercitare, nell'ambito di un nuovo rinvio pregiudiziale, un controllo che sia destinato a garantire che tale giudice, dopo aver investito la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull'interpretazione di disposizioni del diritto dell'Unione applicabili alla controversia sottopostagli, abbia applicato tali disposizioni in modo conforme all'interpretazione di queste ultime fornita dalla Corte. Per quanto i giudici nazionali possano, in virtù della cooperazione tra gli organi giurisdizionali nazionali e la Corte istituita dall'articolo 267 TFUE, rivolgersi nuovamente alla Corte prima di dirimere la controversia di cui sono investiti, al fine di ottenere ulteriori chiarimenti sull'interpretazione del diritto dell'Unione fornita dalla Corte (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 38 e giurisprudenza ivi citata), tale disposizione non può, tuttavia, essere interpretata nel senso che un organo giurisdizionale nazionale possa proporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale volta a chiarire se detto organo giurisdizionale nazionale abbia correttamente applicato al procedimento principale l'interpretazione fornita dalla Corte in risposta a una domanda di pronuncia pregiudiziale da esso precedentemente sottopostale nello stesso procedimento”.

(Segue): ancora su rinvio pregiudiziale da parte del giudice nazionale di ultima istanza, e possibile abuso del rimedio

In particolare la Corte – al punto 55 della motivazione - non chiude la strada ad un nuovo rinvio pregiudiziale del giudice nazionale “al fine di ottenere ulteriori chiarimenti sull'interpretazione del diritto dell'Unione fornita dalla Corte”: ma esclude che esso, investito della relativa questione, debba “proporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale volta a chiarire se detto organo giurisdizionale nazionale abbia correttamente applicato al procedimento principale l'interpretazione fornita dalla Corte in risposta a una domanda di pronuncia pregiudiziale da esso precedentemente sottopostale nello stesso procedimento”.

Traspare da questa motivazione il richiamo ad un utilizzo proprio del rimedio: tutte le volte che il giudice nazionale senta il bisogno di confrontarsi con un problema (reale) di applicazione del diritto dell'Unione (se del caso, anche per chiarire il significato di una precedente pronuncia), ma non già quale passaggio obbligato, imposto dal riconoscere al giudice comunitario l'unica competenza a sindacare la corretta applicazione del diritto dell'Unione.

La Corte di Giustizia, in altre parole, prende nettamente posizione – citando non a caso la decisione sul caso Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, in causa C‑561/19 – sul possibile abuso del rimedio.

Proprio questa sentenza è stata oggetto di diverse analisi: da parte di chi vi ha visto una semplice riaffermazione della giurisprudenza Cilfit (5); e di chi ha invece colto l'evoluzione verso “una sorta di “oggettivizzazione” della questione che potrebbe segnare il passaggio dal convincimento soggettivo sulla mancanza di dubbi interpretativi alla prospettiva oggettiva della manifesta infondatezza della questione”(6).

La stessa Corte di Giustizia sembra attribuire a tale arresto un significato innovativo ed evolutivo: tanto da restituire al Consiglio di Stato gli atti relativi al rinvio pregiudiziale di cui all'ordinanza n. 5588/2020, affinchè valuti la perdurante sussistenza del dubbio sollevato alla luce della sopravvenuta sentenza Consorzio Italian Management (7).

Che la giurisprudenza della Corte sia avveduta del rischio di un utilizzo improprio del rinvio pregiudiziale, indotto da un abuso del rimedio tentato dalle parti ovvero da operazioni di politica giudiziaria, lo si coglie dalla complessiva trama argomentativa della sentenza in esame.

La quale, oltre alla sentenza Consorzio Italian Management, fa riferimento anche alla sentenza resa sul noto caso Randstad.

La motivazione di quest'ultima, come lucidamente colto dalla dottrina, mostra di avere ben compreso come la questione nascesse da “una sorta di "abuso" del procedimento di rinvio pregiudiziale da parte delle Sezioni Unite della Cassazione (meglio, di quel particolare collegio che ha adottato l'ordinanza n. 19598/2020; dato che la stessa è rimasta isolata, addirittura smentita da successive ordinanze delle Sezioni Unite)” (8).

Per sgombrare definitivamente il campo da possibili strumentalizzazioni del rimedio la Corte, nella sentenza in esame, nel richiamare al punto 44 della motivazione la propria sentenza sul caso Randstad, chiarisce nettamente che “In una situazione caratterizzata dall'esistenza di un rimedio giurisdizionale che consente di garantire il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell'Unione è perfettamente ammissibile, sotto il profilo di tale diritto, come risulta dalla giurisprudenza ricordata al punto 47 della presente sentenza, che lo Stato membro interessato conferisca all'organo di ultimo grado della giustizia amministrativa di detto Stato la competenza a pronunciarsi in ultima istanza, tanto in fatto quanto in diritto, sulla controversia di cui trattasi (sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 64)”.

Il rinvio pregiudiziale è infatti uno strumento di dialogo con una precisa connotazione processuale: e non può avere l'effetto né di introdurre (o di modificare) strumenti processuali in ossequio dei princìpi di equivalenza e di effettività; né quello di spostare il sindacato sostanziale sulla decisione della lite ad una ulteriore istanza, esterna al sistema processuale nazionale, che attraverso un secondo rinvio pregiudiziale verifichi l'esatta applicazione o meno da parte del giudice del rinvio della prima decisione della Corte di Giustizia.

La possibilità, ma non anche la doverosità, di questa soluzione porta la Corte ad escludere – quanto meno in una fattispecie quale quella dedotta - un uso “difensivo” del rinvio pregiudiziale da parte del giudice interno di ultima istanza.

Il rinvio pregiudiziale oggi: le recenti sollecitazioni del Consiglio di Stato ad una ulteriore definizione dei contorni dell'istituto conforme alla sua funzione

Dalla relazione sull'attività della Corte di Giustizia nel 2021 emerge che degli 838 giudizi promossi, 567 hanno riguardo a richieste di pronuncia pregiudiziale (di queste, 46 provengono dall'Italia, che è al terzo posto dopo Germania e Bulgaria: con un numero di questioni pregiudiziali doppio rispetto, ad esempio, alle 23 della Francia) (9).

Analogamente, della 772 cause definite, 547 riguardano procedimenti pregiudiziali; dunque nel 2021 sono arrivate alla Corte 20 domande di pronuncia pregiudiziale in più di quelle che la stessa Corte è riuscita a definire nell'anno.

Il trend, almeno in valori assoluti, è dunque in aumento: posto che nel 2020 la Corte di Giustizia aveva definito 534 domande di rinvio pregiudiziale a fronte delle 556 pervenute (10).

Probabilmente non è estraneo a questa realtà un utilizzo improprio nel rimedio, favorito dalla formulazione della dottrina dell'“atto chiaro”, che si è cercato di ricostruire negli scritti precedentemente citati.

La stessa sentenza Consorzio Italian Management - Catania Multiservizi SpA/Rete Ferroviaria Italiana, che pure – come accennato - ha manifestato qualche significativa apertura verso un'applicazione critica della giurisprudenza Cilfit, (11) tuttavia non contiene evidentemente elementi tali da fugare del tutto le preoccupazioni dei giudici di ultima istanza preoccupati di un uso improprio del rinvio pregiudiziale.

Tanto che pur successivamente ad essa il Consiglio di Stato italiano ha investito la Corte di Giustizia di ulteriori questioni, tuttora pendenti, relative alla definizione dell'obbligo flessibile (12).

È evidente che di fronte ai fattori distorsivi da più parti segnalati c'è una forte domanda di chiarezza sull'obbligo flessibile del giudice di ultima istanza, e sulle sue implicazioni.

Il rischio è quello di ingolfare la Corte di Giustizia con questioni pregiudiziali strumentali o pretestuose: perché prospettate dalle parti come alternativa – doverosa – all'accoglimento dell'impugnazione (evidentemente nel tentativo di evitarne, o solo di spostarne in avanti, l'altrimenti inevitabile rigetto) (13); ovvero perché formulate per delegare ad una istanza esterna al sistema giudiziario nazionale la soluzione di questioni interpretative che ben potrebbe decidere il “giudice comunitario di prossimità”: “come un dialogo fra le Corti obbligato anche quando non vi sarebbe nulla da dire e nulla da ascoltare”; (14) o ancora per tentare di scardinare dall'esterno il disegno costituzionale delle tutele giudiziarie (15).

La Corte mostra, anche in questo ultimo arresto, di essere pienamente avveduta di tali rischi: evidentemente consapevole del fatto che snaturare il rimedio comporta privare il sistema del diritto dell'Unione di un fondamentale strumento di applicazione uniforme.

Questa fase del dialogo si connota dunque per un ritorno virtuoso al reciproco riconoscimento dei ruoli.

Conclusioni

I risultati, in quest'ottica, appaiono incoraggianti: e non soltanto perché questa giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto “il merito di esplicitare, con grande onestà intellettuale e senza infingimenti (se è consentito), lo stato attuale dei rapporti tra il Consiglio di Stato e la Corte di Giustizia” (16).

Soprattutto perché, come ha rilevato la dottrina in commento all'ordinanza n. 7839/2021, il “costruttivo confronto tra Corte di Giustizia e Consiglio di Stato (…) ha portato a un aggiornamento (…) e a uno sviluppo rilevante e condiviso della dottrina dell'Acte Clair” (17).

La cooperazione fra giudici si alimenta, infatti, anzitutto della consapevolezza del ruolo della giurisdizione e del processo: e non è senza significato che alcune delle recenti ordinanze di rinvio pregiudiziale sottolineino l'esigenza di “salvaguardare i valori costituzionali ed europei della indipendenza del giudice e della ragionevole durata dei processi” (così la sentenza non definitiva n. 490 del 2022).

Tanto che un'analisi serena ed avveduta dei descritti percorsi giurisprudenziali porta, dopo il caso Randstad, ad augurarsi “che dopo questa vicenda non vi siano altre beghe tra i giudici nazionali che richiamino impropriamente l'intervento "arbitrale" della Corte di giustizia, con autorinuncia alla residua parte della nostra autonomia procedurale” (18).

Il rinvio pregiudiziale, come ogni istituto giuridico, non è esente dal rischio della “fine del diritto” che segna l'età contemporanea (19).

Forse la strada per evitarlo può essere proprio quella, che sembra avviata in questo ultimissima stagione di rinvii pregiudiziali, della ricomposizione della frattura attraverso un metodo che privilegi il discorso razionale: un dialogo non vuoto ed artificiale, ma fatto di “rigore delle parole” e di “ricerca della coerenza sistematica” (20).

Il tutto nella prospettiva dell'effettività di una tutela delle situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto comunitario vista non dalla prospettiva di chi giudica, ma di chi è giudicato: nel tentativo di superare “un panorama giurisprudenziale dai contorni piuttosto ambigui, incerti, incoerenti con i dicta provenienti dalla Corte di giustizia e dalla Corte costituzionale italiana” (21).

Note

(*) Giovanni Tulumello, Consigliere di Stato - Componente dell'Ufficio Studi della Giustizia Amministrativa.

(1) G. Tulumello, Sui presupposti dell'obbligatorietà del rinvio pregiudiziale per i giudici nazionali di ultima istanza: segnali (convergenti) di un'esigenza di ripensamento della giurisprudenza Cilfit, in giustizia-amministrativa.it, 28 settembre 2021.

(2) B. Nascimbene - P. Piva, Rinvio pregiudiziale e garanzie giurisdizionali effettive. Un confronto fra diritto dell'Unione e diritto nazionale. Commento all'ordinanza n. 2327/2021 del Consiglio di Stato, in giustiziainsieme.it.

(3) CGUE, sez. IX, 7 luglio 2022, C-261/21, Hoffmann-La Roche e altri.

(4) In merito a tali questioni sia consentito il rinvio a G. Tulumello, Sui presupposti dell'obbligatorietà del rinvio pregiudiziale per i giudici nazionali di ultima istanza: segnali (convergenti) di un'esigenza di ripensamento della giurisprudenza Cilfit, cit.; e a G. Tulumello, Il rinvio pregiudiziale fra mito e realtà (brevi note a primissima lettura della sentenza della Corte di Giustizia dell'U.E., Grande Sezione, 6 ottobre 2021 ,in causa C-561/19, Consorzio Italian Management - Catania Multiservizi SpA/Rete Ferroviaria Italiana), in giustizia-amministrativa.it, 8 ottobre 2021.

(5) F. Ferraro, Corte di giustizia e obbligo di rinvio pregiudiziale del giudice di ultima istanza: nihil sub sole novum, in giustiziainsieme.it.

(6) Così G.L. Barreca, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea e l'obbligo di rinvio del giudice nazionale di ultima istanza, in giustizia-amministrativa.it, 23 dicembre 2021, con adesione quasi letterale al rilievo secondo cui “Si tratta, a ben vedere, di un filtro di “non manifesta infondatezza” della questione che si aggiunge – nella prospettiva della necessaria “oggettività” della questione, e comunque con riguardo alla fattispecie concreta - a quello della rilevanza (nel senso che quand'anche la questione, pur rilevante ai fini della decisione, sia tuttavia manifestamente infondata alla luce di un contrario e consolidato orientamento giurisprudenziale, l'obbligo del rinvio va riconsiderato)” (G. Tulumello, Il rinvio pregiudiziale fra mito e realtà, cit.).

(7) Su tale vicenda, G.L. Tosato e D. Aliotta, Corte di Giustizia e Consiglio di Stato sulla dottrina dell'Acte Clair, in Giornale di diritto amministrativo, n. 3/2022, pagg. 355 e segg.

(8) M.P. Chiti, Un conflitto tra i giudici supremi italiani deciso dalla Corte di Giustizia: "tutti gabbati"?, in Giornale Dir. Amm., n. 2/2022, pagg. 225 e ss., ove (pag. 229) il rilievo che “il tema del ricorso in Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione era stato inquadrato correttamente dalla Corte costituzionale nella più volte citata sentenza n. 6/2018; anche nei risvolti di diritto comunitario. Tale circostanza è, nel merito, l'unica positiva per il nostro ordinamento; ma istituzionalmente la Corte costituzionale ha dovuto subire una sorte di "appello" nei confronti di una sua sentenza (…), voluto dalle Sezioni Unite che contestavano la "sua prassi giurisprudenziale" (espressione a dir poco denigratoria)”. Sulla vicenda si vedano altresì A. Sandulli, Impervi sentieri dell'interlegalità: dal conflitto tra giurisdizioni allo scontro tra ordinamenti, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2021, 57; e A. Carbone, Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e rapporti tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2021, 65.

(9) In www.curia.europa.eu.

(10) Idem.

(11) G. Tulumello, Il rinvio pregiudiziale fra mito e realtà (brevi note a primissima lettura della sentenza della Corte di Giustizia dell'U.E., Grande Sezione, 6 ottobre 2021 ,in causa C-561/19, Consorzio Italian Management - Catania Multiservizi SpA/Rete Ferroviaria Italiana), cit.

(12) Ci si riferisce alle domande di rinvio pregiudiziale formulate con provvedimenti nn. 6290/2021, 7839/2021, 490/2022, 2545/2022, 4741/2022, 6013/2022, 6410/2022.

(13) “In sostanza, vengono meno ogni discrezionalità nel giudizio, ogni margine di apprezzamento in capo al giudice di ultima istanza, anche in caso di acte clair; specularmente, alla parte è riconosciuto un vero e proprio diritto all'accoglimento dell'istanza di rinvio pregiudiziale; si soprassiede sul principio di economia processuale e sul suo corollario della giustizia come risorsa scarsa, che pure, negli ultimi anni, è stato usato quale chiave ermeneutica di numerosi istituti processuali, anche al fine di scoraggiare l'esercizio del diritto di azione in giudizio” (P. Patrito, Il rinvio pregiudiziale: Consiglio di Stato e Corte di Cassazione a confronto, in Giur. It., 2/2021, 398 e segg.).

(14) P. Patrito, Il rinvio pregiudiziale: Consiglio di Stato e Corte di Cassazione a confronto, cit.

(15) “(…) la Corte costituzionale ha dovuto subire una sorte di "appello" nei confronti di una sua sentenza, voluto dalle Sezioni Unite che contestavano la "sua prassi giurisprudenziale" (espressione a dir poco denigratoria)” (M.P. Chiti, Un conflitto tra i giudici supremi italiani deciso dalla Corte di Giustizia: "tutti gabbati"?, cit., pag. 229). Il tutto, peraltro, con il “rischio” di un curioso fenomeno di eterogenesi dei fini posto in evidenza dalla dottrina: se fosse passata la tesi del rinvio pregiudiziale Randstad, per cui, nelle questioni relative all'applicazione del diritto comunitario, il giudice di ultima istanza non è il Consiglio di Stato ma la Corte di Cassazione, “il risultato, paradossalmente, potrebbe essere l'esatto opposto di quello voluto dalle Sezioni unite: se cade l'obbligo in capo al Consiglio di Stato e viene meno la responsabilità dello Stato, potrebbe verificarsi un aumento delle decisioni del Consiglio di Stato stesso contrarie al diritto europeo, in quanto, tra il rinvio e la pronunzia tempestiva, il Collegio, erroneamente non rilevando la contrarietà con il diritto europeo, potrebbe optare per tale ultima scelta, restando affidato alla parte soccombente l'onere dell'esperimento dell'ulteriore impugnativa alle Sezioni unite per far valere la pretesa violazione del diritto europeo” (P. Patrito, Il rinvio pregiudiziale: Consiglio di Stato e Corte di Cassazione a confronto, cit.).

(16) P. Patrito, Il rinvio pregiudiziale: Consiglio di Stato e Corte di Cassazione a confronto, cit.

(17) G.L. Tosato e D. Aliotta, Corte di Giustizia e Consiglio di Stato sulla dottrina dell'Acte Clair, cit., pagg. 360/361.

(18) M.P. Chiti, Un conflitto tra i giudici supremi italiani deciso dalla Corte di Giustizia: "tutti gabbati"?, cit., pag. 229.

(19) “La frattura tra pratica e teoria – che il kelsenismo sembrava aver risolto nella purificazione delle categorie e nella positività delle fonti – cambia verso e volge ai bisogni della vita. Non fattispecie astratte ma interessi concreti; non logica delle norme ma decisioni del caso; non fonti unificanti ma formanti dinamici. E così il panorama dell'editoria giuridica si arricchisce di riviste online, colme di massime sentenze e banche dati, sempre aggiornate all'ultima feriale novità. Il tempo del pensiero giuridico parrebbe inghiottito nell'accelerazione della contemporaneità, segnata dalla velocità dei mutamenti e da una sorta di valore euristico del nuovo” (M. Orlandi, Ripartire dalla lentezza, in Nuovo diritto civile, n. 1/2016, pagg. 5/6).

(20) Sono questi i tratti del “pensiero lento” auspicato da M. Orlandi, Ripartire dalla lentezza, cit., pag. 9.

(21) G. Pistorio, Interpretazione e giudici. Il caso dell'interpretazione conforme al diritto dell'Unione europea, Napoli, E.S., 2015, pag. 377.