Brevi note ancora sul caso Randstad

19 Settembre 2022

Una limitazione della possibilità di ricorrere in cassazione avverso le sentenze dell'organo supremo della giustizia amministrativa non viola né il principio di equivalenza né quello di effettività e quindi non è contrario al diritto dell'Unione. Infatti è garantito il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell'Unione se lo Stato membro membro al supremo organo della giustizia ammnistrativa di detto Stato la competenza a pronunciarsi in ultima istanza...
La vicenda

In un sistema giuridico multilivello, quale quello dell'Unione europea, nel quale sono destinati a convivere e ad intrecciarsi variamente istituti, principi e regole nazionali e sovranazionali e nel quale sono chiamato ad operare sia gli organi giurisdizionali dei singoli Stati membri sia la Corte di Giustizia dell'Unione, il modo in cui questi reciprocamente si rapportano e dialogano gli uni con gli altri non è mai scontato; né la spesso invocata primazia del diritto comunitario, alla cui concreta attuazione anche i giudici nazionali debbono peraltro concorrere, è sempre sufficiente a sciogliere ogni nodo. La vicenda Randstad, alla quale le poche pagine che seguono saranno dedicate, nel mettere direttamente o indirettamente a confronto gli organi di vertice della giurisdizione ordinaria ed amministrativa italiana, la nostra Corte costituzionale e la Corte di Giustizia dell'Unione europea, offre un chiaro esempio, al tempo stesso, dell'importanza ma anche della difficoltà del dialogo che tra tali diverse corti dovrebbe auspicabilmente potersi sviluppare.

La vicenda merita, perciò, qualche considerazione.

La sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea 21 dicembre 2021, C-497/20, Randstad Italia SpA (cui d'ora innanzi ci si riferirà semplicemente come sentenza Randstad), ha fatto molto scalpore, in verità più per le sue ricadute sul nostro diritto interno che non per la sua rilevanza nell'ambito del diritto dell'Unione europea (1). Va detto subito, del resto, che i principi ivi enunciati non appaiono né particolarmente innovativi né sorprendenti. Ma andiamo con ordine.

L'accaduto è riassumibile in pochi tratti.

La società Randstad Italia SpA (in prosieguo Randstad) aveva partecipato ad una gara d'appalto pubblico indetta da un'azienda sanitaria italiana, ma ne era stata esclusa perché alla sua offerta era stato attribuito un punteggio inferiore a quello minimo previsto nel bando. Randstad aveva allora proposto ricorso al Tar territorialmente competente contestando sia la propria esclusione dalla gara sia la regolarità dell'aggiudicazione dell'appalto ad altro concorrente. Avendo il giudice di primo grado respinto nel merito tale ricorso, sotto entrambi i profili, Randstad aveva proposto appello, ma con scarso risultato, giacché il Consiglio di Stato, accogliendo un motivo di appello incidentale presentato dall'aggiudicataria, ha escluso che la ricorrente, in quanto priva dei requisiti minimi richiesti per partecipare alla gara, fosse legittimata a contestare la legittimità dell'aggiudicazione. Randstad, però, non si è arresa ed ha impugnato la sentenza del Consiglio di Stato dinanzi alle Sezioni unite della Corte di cassazione, per motivi inerenti alla giurisdizione, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 111 Cost.

Questa iniziativa ha contribuito a rinfocolare il mai del tutto sopito dibattito sui limiti entro cui la disposizione costituzionale ora citata consente di impugnare per cassazione le pronunce di ultimo grado del giudice amministrativo e di quello contabile, ossia su come vada intesa la dizione “motivi inerenti alla giurisdizione”, solo in presenza dei quali la citata disposizione costituzionale ammette un tal genere di impugnazione. Senza ripercorrere qui la genesi ed il tormentato sviluppo di questo dibattito (2), basterà in sintesi ricordare che nell'ultimo quindicennio la Corte di Cassazione aveva dato segni di una qualche insoddisfazione per la tradizionale lettura secondo cui il sindacato della Suprema corte sulle decisioni del giudice amministrativo e di quello contabile si ridurrebbe al mero controllo del rispetto del c.d. limiti esterni della giurisdizione, ossia consisterebbe solo in un regolamento di confini dell'area di competenza dei diversi plessi giurisdizionali o dell'eventuale esorbitanza della questione dall'ambito stesso della giurisdizione, senza in alcun modo investire il modo in cui questa viene erogata. La propensione ad ampliare i margini del sindacato della Corte di cassazione – almeno entro certi limiti ed in particolare quando ingiustificatamente il giudice amministrativo si sia rifiutato di decidere nel merito la vertenza sottopostagli (il c.d. rifiuto di giurisdizione) – è stata variamente motivata con riferimento ai principi del giusto processo, dell'effettività della tutela e dell'unità funzionale della giurisdizione (3), ma soprattutto è dipesa dall'eccessivo ampliamento delle fattispecie di giurisdizione esclusiva e dalla percezione del conseguente rischio del prodursi di insanabili contrasti giurisprudenziali su molte questioni di diritto soggettivo abbisognevoli di un indirizzo nomofilattico uniforme. Bisogna dire, peraltro, che nella più parte dei casi si è trattato soprattutto di enunciazioni di principio, poiché in concreto la Corte di cassazione aveva poi quasi sempre manifestato un grande self-restraint nel sindacare le pronunce del Consiglio di Stato o della Corte dei conti, da ultimo chiarendo che le denunce di eventuali errori di giudizio o di procedura ravvisabili in dette pronunce potrebbero qualificarsi come “motivi inerenti alla giurisdizione” solo qualora evidenziassero un vero e proprio diniego di giustizia per effetto del radicale stravolgimento delle regole cui qualsiasi giudice deve attenersi nell'esercizio della funzione giurisdizionale (4). Ed è proprio in questo ambito – quello del diniego di giustizia – che è venuta assumendo un particolare rilievo l'eventuale violazione di regole o principi del diritto sovranazionale europeo, soprattutto quando il giudice amministrativo si sia ingiustificatamente discostato da un vincolante orientamento della Corte di Giustizia dell'Unione (5). Un brusco intervento della Corte costituzionale è suonato però come una sorte di rappel à l'ordre, poiché i giudici della Consulta hanno drasticamente rifiutato ogni apertura a concezioni “dinamiche” o “evolutive” della giurisdizione per ribadire invece che il sindacato della Cassazione sui provvedimenti di giudici speciali può riguardare unicamente lo sconfinamento nell'altrui ambito di competenza giurisdizionale o il difetto assoluto di giurisdizione del giudice in merito alla vertenza sottoposta al suo esame (6).

Tre domande alla Corte di Giustizia

È da qui che nasce il “caso Randstad”: dal rifiuto delle Sezioni unite di accettare supinamente il richiamo all'ordine operato dalla Corte costituzionale, pur nella consapevolezza di non poterlo semplicemente trascurare, e quindi dal tentativo di ottenere in sede europea l'avallo necessario per recuperare un maggiore spazio nel sindacato sulle decisioni dei giudici speciali. Donde la formulazione di tre quesiti interpretativi rivolti alla Corte di Giustizia: due proprio attinenti al tema di cui appena s'è detto, ed il terzo riguardante il merito della vertenza avente ad oggetto la controversa legittimazione di Randstad a contestare la regolarità della gara d'appalto da cui era stata esclusa (7).

Al primo quesito, volto a sapere se il diritto dell'Unione osti ad una disposizione di diritto interno che, così come interpretata dalla giurisprudenza nazionale, non consentirebbe di impugnare dinanzi alla Corte di cassazione una pronuncia del giudice amministrativo non conforme al diritto dell'Unione, la Corte di Lussemburgo ha dato risposta negativa. Secondo i giudici europei, infatti, né dal principio di leale cooperazione di cui all'art. 4, par. 3 TUE, né dalla direttiva 89/665, letta alla luce dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, si può ricavare un vincolo al diritto nazionale che imponga di sottoporre le eventuali erronee valutazioni del Consiglio di Stato al sindacato della Corte di cassazione. La ragione di questa decisione si coglie anzitutto nella ribadita affermazione che spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità processuali dei rimedi giurisdizionali con cui assicurare una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti, quale richiesta dall'articolo 19 TUE, a condizione che siano rispettati i principi di equivalenza (ossia che il livello della tutela non sia inferiore a quello riscontrabile in analoghe situazioni regolate dal diritto interno) ed il principio di effettività (ossia che il ricorso agli strumenti di tutela non sia reso in pratica impossibile o eccessivamente difficile). Nel caso di specie non si è riscontrata la violazione di nessuno di questi due principi. Non del principio di equivalenza, giacché il regime del ricorso per cassazione avverso sentenze del Consiglio di Stato è il medesimo vuoi che si discuta di disposizioni di diritto nazionale vuoi che si tratti di disposizioni di diritto dell'Unione; e neppure del principio di effettività, il quale non risulta leso per il solo fatto che la normativa nazionale, avendo garantito agli interessati la possibilità di ricorrere ad un giudice indipendente e imparziale per far valere una violazione del diritto dell'Unione, assegni al Consiglio di Stato la funzione di giudice ultima istanza nell'ambito della giurisdizione amministrativa senza prevedere la possibilità di un ulteriore ricorso alla Corte di cassazione. Col che – si badi – la Corte di Giustizia non ha affatto escluso che, nel caso di specie, il Consiglio di Stato, negando a Randstad la possibilità di contestare l'esito della procedura di gara da cui essa era stata esclusa, abbia violato la direttiva europea 89/665, la quale, nel settore particolare dell'aggiudicazione degli appalti pubblici, obbliga gli Stati membri a garantire il diritto a un ricorso effettivo, nonché l'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Anzi, la Corte di giustizia espressamente riconosce l'esistenza di tale violazione, ma non per questo reputa che errori di giudizio di tal fatta debbano necessariamente essere denunciabili dinanzi alla Corte di cassazione italiana, volta che sia intervenuta una pronuncia di ultima istanza del giudice amministrativo, potendosi semmai ipotizzare, in simili casi, rimedi di tipo risarcitorio da far valere nei confronti dello Stato (8).

Agli altri due quesiti non è stata data formalmente risposta.

La Corte di cassazione, col secondo quesito, aveva sollecitato il vaglio dei giudici di Lussemburgo sull'orientamento giurisprudenziale che, in ambito nazionale, esclude possa proporsi ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione avverso sentenze del Consiglio di Stato che abbiano omesso immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea quando occorra interpretare la normativa unionale. Ma il quesito è stato dichiarato irricevibile, non risultando che Randstad, nel proprio ricorso per cassazione, si fosse doluta del fatto che il Consiglio di Stato, nella sua veste di giudice amministrativo di ultima istanza, fosse venuto meno al dovere di investire la Corte di Giustizia europea di un quesito interpretativo riguardante la legittimazione di chi sia stato escluso da una gara d'appalto a denunciare l'esito irregolare della procedura di gara. La Corte di cassazione, dunque, non era stata chiamata ad occuparsi di una siffatta questione, irrilevante ai fini della decisione che essa era chiamata ad assumere, né quindi aveva titolo per investirne i giudici di Lussemburgo.

Il terzo quesito esula dal tema della giurisdizione e tocca il merito della doglianza di Randstad, ponendo la questione se il precludere ad un'impresa il diritto di contestare giudizialmente l'esito di una gara d'appalto, quando la sua esclusione da detta gara non sia stata ancora definitivamente accertata, sia compatibile con il diritto dell'Unione. Ma, avendo negato che una violazione in proposito del diritto europeo da parte del giudice amministrativo di ultima istanza debba necessariamente essere soggetta al sindacato delle Sezioni unite della Cassazione, la Corte di Giustizia ha escluso di dovere formalmente rispondere al suddetto quesito. In realtà, come già sopra rilevato, nel motivare la risposta al primo quesito i giudici di Lussemburgo hanno tuttavia chiaramente manifestato il proprio orientamento al riguardo, affermando che erroneamente il Consiglio di Stato, nella vicenda in esame, si era astenuto dall'esaminare nel merito le violazioni della procedura di gara denunciate da Randstad, giacché, quando quest'ultima aveva proposto il suo ricorso dinanzi al giudice amministrativo e tale ricorso è stato deciso, l'esclusione dell'offerente dalla procedura non era ancora stata ritenuta legittima da detto giudice o da qualsiasi altro organo di ricorso indipendente.

Il principio di effettività della tutela giurisdizionale

Che dire ancora di questa vicenda, dalla quale non mi pare esca molto bene nessuno dei vertici giurisdizionali italiani, né la Corte di cassazione, né il Consiglio di Stato (9)?

Era certamente assai ambizioso, se non addirittura temerario, il tentativo di invocare l'intervento di un giudice sovranazionale per dirimere un contrasto insorto tra vertici di diversi plessi giurisdizionali italiani, sollecitando su basi oggettivamente assai fragili una pronuncia della Corte di Giustizia che avrebbe dovuto dichiarare illegittima, alla luce del diritto europeo, una disposizione della nostra Costituzione per come interpretata dalla Corte costituzionale; con l'inevitabile conseguente rischio di innescare un conflitto ancor più delicato tra la Corte europea e la stessa Corte costituzionale italiana.

Se c'è un terreno sul quale il diritto dell'Unione e, per parte sua, la Corte di Giustizia appaiono particolarmente cauti nell'invadere la sfera di competenza dei singoli ordinamenti nazionali, quello è certamente il terreno del diritto processuale civile. Qui le diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri conservano pressocché intatte le loro peculiari regole e ben scarsi sono stati finora gli sforzi di armonizzazione. Era perciò assai arduo immaginare che la Corte europea accettasse di assumere il ruolo di arbitro in una contesa avente ad oggetto un tema squisitamente processuale, quale quello riguardante i limiti della proponibilità del ricorso per cassazione avverso provvedimenti del giudice amministrativo, e che si avventurasse in un'interpretazione del più volte citato ottavo comma dell'art. 111 Cost. per giudicare se la lettura datane dalla Corte costituzionale italiana fosse o meno conforme al diritto europeo, volta che risultavano comunque rispettati i generalissimi principi di equivalenza ed effettività della tutela. Si può certo convenire che quello dell'effettività sia un parametro assai elastico, non più d'altronde di molti altri criteri a quali l'ordinamento sovranazionale spesso si ispira (basti pensare, ad esempio, al sovente invocato criterio della proporzionalità), ma è davvero difficile sostenere che la tutela assicurata dall'ordinamento nazionale ai diritti soggettivi ed agli interessi legittimi non sia effettiva sol perché le decisioni assunte al riguardo, all'esito di due gradi di giudizio, da un giudice indipendente ed imparziale, quale è pur sempre da considerare il Consiglio di Stato, non siano suscettibili di un ulteriore sindacato da parte delle Sezioni unite della Corte di Cassazione. E' ovvio che un tale sindacato implicherebbe un rafforzamento degli strumenti di tutela a disposizione degli interessati, ma ciò non significa che la tutela non sia effettiva se non venga previsto anche questo altro grado di giudizio. A ragionare diversamente, d'altronde, si rischierebbe paradossalmente di concludere che non vi è mai un numero di gradi di giudizio sufficiente ad assicurare appieno l'effettività della tutela.

Verificata l'inanità della sortita europea, non resta dunque che ricondurre la questione nell'alveo del diritto nazionale, ed in quest'ottica va constatato che la giurisprudenza della Suprema corte appare essersi subito adeguata alle indicazioni provenienti dal caso Randstad, ribadendo che il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione è proponibile nei soli casi di difetto assoluto di giurisdizione, configurabile quando il giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione ovvero, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale, e nei casi di difetto relativo di giurisdizione, che ricorre quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici. Con la precisazione che tale rimedio non è utilizzabile nemmeno per far valere violazioni del diritto dell'Unione europea ascritte al giudice amministrativo, il cui accertamento rientra nell'ambito dei limiti interni della giurisdizione perché attiene alle modalità del suo esercizio; sicché la violazione dei principi e delle norme europee dà luogo ad una ragione eventuale di illegittimità, sia pure particolarmente qualificata, che però si sottrae al controllo di giurisdizione della Corte di cassazione, non potendosi attribuire in tal senso rilevanza al dato “qualitativo” della gravità del vizio (10). Non senza peraltro aggiungere che la sottrazione della violazione del diritto unionale all'area dell'eccesso di potere giurisdizionale non esclude che il rifiuto di giurisdizione, quale negazione della cognizione giurisdizionale in termini assoluti, sia configurabile anche con riferimento ad una situazione soggettiva protetta direttamente da norme dell'Unione europea; onde, se è v ero che la violazione del diritto euro-unitario non è deducibile come error in procedendo o in iudicando mediante ricorso per cassazione ex art. 111, ottavo comma, Cost., ciò non toglie che il motivo di giurisdizione possa configurarsi con riferimento ad una norma sovranazionale quando si tratti di una negazione della cognizione giurisdizionale in senso assoluto, e non in concreto, cioè sia frutto della negazione del potere in contrasto con la regola iuris che lo attribuisce e non quale esito della violazione di meri errori di giudizio o di procedura (11).

Il mancato rinvio pregiudiziale

Resterebbe in teoria aperta la questione se sia o meno riconducibile ai “motivi inerenti alla giurisdizione” la denuncia del mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia quando il giudice amministrativo o contabile di ultima istanza sarebbe stato tenuto a farlo a norma dell'art. 267 TFUE[1]. Poiché il primo comma dell'articolo ora citato attribuisce alla Corte di Giustizia la “competenza” a pronunciarsi in via pregiudiziale sull'interpretazione dei trattati e degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione (oltre che sulla validità di tali atti), si potrebbe a prima vista esser tentati di ritenere che, quando si discuta dell'eventuale violazione del dovere di investire il giudice europeo di una siffatta questione interpretativa, ci si stia effettivamente ponendo un interrogativo inerente alla giurisdizione; oppure, detto in altri termini, che l'eventuale violazione da parte del giudice nazionale di ultima istanza del dovere di rimettere la questione interpretativa del diritto unionale all'esame del giudice europeo, a ciò competente, comporti un indebito sconfinamento nell'ambito giurisdizionale che a quel giudice europeo è invece riservato. A ben guardare, però, una simile conclusione non appare convincente; ed infatti – ove si prescinda dall'ordinanza emessa nel caso Randstat (ma, come si è visto, in difetto di rilevanza della questione) – l'orientamento della Suprema corte appare fermamene contrario ad ammettere per questi motivi la possibilità di ricorso per cassazione avverso una pronuncia del giudice amministrativo o contabile di ultima istanza (12). Se è vero che il demandare ad un altro giudice (in questo caso la Corte di Giustizia) il compito di interpretare la normativa in base alla quale dev'esser decisa la causa comporta, in un certo senso, l'abdicazione da parte del giudice a quo di un compito che altrimenti a lui solo spetterebbe, resta nondimeno il fatto che l'interpretazione delle norme è funzionale alla pronuncia sulle domande e sulle eccezioni proposte in giudizio dalle parti, in cui risiede il nocciolo dell'attività giurisdizionale; la quale, quindi, resta comunque totalmente in capo al giudice della causa, ancorché egli possa esser tenuto a richiedere ad altro giudice un responso interpretativo che sarà poi però sempre lui a dover applicare al caso concreto. D'altronde, il dovere del giudice nazionale di ultima istanza di sollevare la questione pregiudiziale riguardante l'interpretazione del diritto europeo non sorge automaticamente per il solo fatto che la parte lo richieda, ma postula pur sempre una valutazione sia sulla rilevanza della questione sia sulla plausibilità del proposto dubbio interpretativo, la quale può essere esclusa tanto nel caso in cui la norma europea sia già di per sé sufficientemente chiara (acte clair), quanto se vi sia già un orientamento della Corte di Giustizia che sia valso a chiarirne il significato (acte éclairé) (13). Spetta cioè comunque anzitutto al giudice nazionale valutare se la corretta applicazione del diritto dell'Unione si imponga con una evidenza tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio, e pertanto la mancata proposizione del rinvio pregiudiziale, ove ne ricorrano i presupposti di obbligatorietà, si traduce non già nell'invasione in un campo nel quale il medesimo giudice nazionale sia privo di giurisdizione, bensì in un mero error in procedendo, come tale sottratto al sindacato della Corte di cassazione.

Non mi sembra dunque probabile che, pur quando si presentasse una situazione processuale che teoricamente consentirebbe di farlo, la Corte di cassazione vorrà riproporre il medesimo quesito interpretativo in tema di rinvio pregiudiziale formulato nel caso Randstad e ritenuto irricevibile dalla Corte di Giustizia. Ma, se questo nondimeno accadesse, mi aspetterei dai giudici europei una risposta sostanzialmente non diversa da quella fornita a proposito del primo quesito: ossia che l'ordinamento europeo vincola, certo, i giudici nazionali di ultima istanza ad interpellare la Corte di Giustizia, a determinate condizioni, quando si tratta di interpretare il diritto dell'Unione, ma lascia i singoli ordinamenti nazionali liberi di prevedere se l'eventuale violazione di tale obbligo sia o meno sindacabile da parte della Corte di cassazione, ferma comunque restando la possibilità di chiamare lo Stato membro a risarcire il danno sofferto dagli interessati.

Legittimazione al ricorso in materia di appalti pubblici (solo un cenno)

Si è accennato che la vicenda Randstad ha messo anche nuovamente in evidenza le difficoltà cui vanno incontro i nostri giudici amministrativi quando sono chiamati a trattare la materia degli appalti pubblici e ad adeguarsi agli orientamenti della Corte di Giustizia a proposito della legittimazione a ricorrere. Per complessità ed ampiezza questo tema richiederebbe però una trattazione a sé stante, di sicuro non breve, e non è quindi il caso di affrontarlo in questa sede (14), tanto più che – come s'è visto – la stessa sentenza Randstad se ne occupa solo incidentalmente, senza dare una formale risposta al quesito che al riguardo le era stato posto.

Varrà solo la pena di notare, in estrema sintesi, come – al di là delle specifiche questioni processuali legate all'ordine logico e cronologico nel quale occorre esaminare le diverse doglianze, quando l'accoglimento o il rigetto di una di esse potrebbe escludere la necessità di scrutinare le altre (15) – la Corte di Giustizia si mostra in genere propensa ad una maggiore apertura verso l'esame nel merito di ricorsi tesi a consentire il sindacato sulla regolarità delle procedure di appalto, in un'ottica che per certi versi sembra privilegiare esigenze di tutela del diritto oggettivo più ancora che delle posizioni soggettive dei singoli interessati. Il che mal si accorda con l'impostazione del Consiglio di Stato, ancora legata sia ad una tradizionale nozione di interesse ad agire, concreto ed attuale, onde chi non abbia titolo per partecipare ad una gara non potrebbe dolersi delle eventuali irregolarità evocando la mera eventualità di poter prender parte alla futura ripetizione della medesima gara, sia ad un altrettanto tradizionale orientamento secondo il quale la legittimazione a ricorrere postula che la norma di cui si lamenta la violazione sia destinata anche alla protezione dell'interesse specifico del ricorrente. Ed è appunto per questo che, nel caso in esame, Randstad, una volta estromessa dalla gara, è stata considerata portatrice di un interesse di mero fatto, al pari di qualunque soggetto terzo estraneo al procedimento di aggiudicazione dell'appalto che non sarebbe dunque non legittimato a censurarne i vizi. Invece, anche nella sentenza Randstad, i giudici di Lussemburgo ribadiscono che, in forza dell'articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 89/665 ed in conformità a quanto previsto agli articoli da 2 a 2 septies di tale direttiva, i ricorsi tesi a contestare la legittimità dell'aggiudicazione intervenuta all'esito di una gara di appalto disciplinata dalla direttiva 2014/24 o dalla direttiva 2014/23 “devono essere accessibili, quanto meno, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione” (punto 68). Ai fini dell'ammissibilità del ricorso dovrebbe quindi essere sufficiente la mera possibilità che l'amministrazione aggiudicatrice, in caso di accoglimento, sia costretta a ripetere la procedura di gara; e ciò anche se il ricorrente non dimostri che l'amministrazione aggiudicatrice, in caso di accoglimento del ricorso, sarà indotta a ripetere la procedura di aggiudicazione di appalto (punto 70). Solo una decisione che accerti in modo indipendente, imparziale e definitivo l'inesistenza del diritto del ricorrente a partecipare alla gara varrebbe, quindi, a precludergli la legittimazione ad impugnare il provvedimento di aggiudicazione (punti 72-73).

In questo come in molti altri casi è evidente che l'adeguamento del diritto vivente nazionale agli standard interpretativi ed applicativi ricavabili dalla giurisprudenza sovranazionale europea (essa stessa, peraltro, non del tutto scevra di incertezze e contraddizioni) è destinato a realizzarsi attraverso un percorso lungo e progressivo. L'importante, però, è non perdere la direzione di marcia, evitando, se possibile, di rendere la strada ancor più impervia intralciandola con conflitti che interessano solo la sfera di competenza delle nostre corti nazionali.

Note

(*) Renato Rordorf, già Presidente aggiunto della Corte di cassazione.

(1) Si veda, tra gli altri, il dibattito pubblicato su www.Giustizia insieme del 1 febbraio 2022 col titolo Il caso Randstad Italia spa: questione di giurisdizione o di giustizia?, al quale sul sito della medesima rivista, in data 16 marzo 2022, ha fatto seguito uno scritto di M. Mazzamuto intitolato Il dopo Randstad: se la Cassazione insiste, può sollevarsi un conflitto?

(2) Su cui, per brevità, mi sia consentito rinviare a quanto ho già scritto in Magistratura Giustizia Società, Cacucci, Bari, 2020, pagg. 369 e segg.

(3) Si veda Cass., S.U., 23 dicembre 2008, n. 30254, in Foro it., 2009, I, 731, con nota di A. Palmieri, Pubblici poteri, responsabilità e tutela innanzi al giudice amministrativo: ancora un passo verso la completa annessione al diritto comune dell'illecito provvedimentale; ed in Riv. dir. proc., 2009, 449, con nota di G. Verde, Ancora su pregiudizialità amministrativa e riparto di giurisdizione.

(4) Cass., S.U., 29 dicembre 2017, n. 31226, in Foro it., 2018, I, 1709, con nota di G. Sigismondi, Questioni di iurisdizione in senso dinamico e nuovi limiti all'impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato con ricorso per cassazione: una via percorribile?

(5) Cass., S.U., 6 febbraio 2015, n. 2242, in Foro it., 2016, I, 327; e Cass. S.U., 29 dicembre 2017, n. 31226, cit.

(6) Corte cost. 18 gennaio 2018, n. 6, in Foro it., 2018, I, 373; in Giur. costit., 2018, 104, con nota di G. Sigismondi, Questioni di legittimità costituzionale con le sentenze della corte edu e ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione contro le sentenze dei giudici speciali: la corte costituzionale pone altri punti fermi; ed in Dir. proc. amm., 2018, 1102, con nota di A. Travi, Un intervento della corte costituzionale sulla concezione «funzionale» delle questioni di giurisdizione accolta dalla corte di cassazione.

(7) Cass., S.U.,18 settembre 2020, n. 19598, in Foro it., 2020, I, 3391, con note di A. Travi, I motivi inerenti alla giurisdizione e il diritto dell'Unione europea in una recente ordinanza delle sezioni unite, e di E. Calzolaio, La violazione del diritto dell'Unione europea come «motivo di giurisdizione».

(8) E' noto che, in forza del principio dell'unità statale, la Corte del Lussemburgo riconosce l'obbligo dei Paesi dell'Unione di risarcire anche i danni cagionati dagli organi giurisdizionali di ultima istanza: si vedano Corte di Giustizia, 30 settembre 2003, C-224/01, Köbler, in Foro it., 2004, IV, 4, con nota di E. Scoditti, Francovich presa sul serio: la responsabilità dello stato per violazione del diritto comunitario derivante da provvedimento giurisdizionale; Corte di Giustizia,13 giugno 2006, C-173/03, Traghetti del Mediterraneo, ivi, 2006, IV, 417, con note ancora di E. Scoditti, Violazione del diritto comunitario derivante da provvedimento giurisdizionale: illecito dello stato e non del giudice, di A. Palmieri, Corti di ultima istanza, diritto comunitario e responsabilità dello stato: luci ed ombre di una tendenza irreversibile, e T. Giovannetti, La responsabilità civile dei magistrati come strumento di nomofilachia? Una strada pericolosa; e Corte di Giustizia,24 novembre 2011, C-379/10, Commissione c. Italia, ivi, 2012, IV, 13, con altra nota di E. Scoditti, Violazione del diritto dell'Unione europea imputabile all'organo giurisdizionale di ultimo grado: una proposta al legislatore.

(9) Vicenda della quale ho già avuto occasione di occuparmi in un'intervista dal titoloLa Corte di Giustizia risponde alle S.U. sull'eccesso di potere giurisdizionale. Quali saranno i seguiti a Corte Giust., G. S., 21 dicembre 2021 - causa C-497/20, Randstad Italia?, pubblicata su www.Giustizia insieme il 31 gennaio 2022, cui mi permetto di rinviare.

(10) Cfr. Cass., S.U., 12 luglio 2022, n.22016; Cass., S.U., 10 giugno 2022, nn.18802 e 18803; e Cass., S.U., 27 maggio 2022, n. 17339.

(11) Cass., S.U.,27 maggio 2022, nn.17336, 17337 e 17338.

(12) Per un quadro generale delle questioni concernenti il rinvio pregiudiziale, si veda da ultimo, Il rinvio pregiudiziale, a cura di F. Ferraro e C. Iannone, Giappichelli. Torino, 2020.

(13) Si vedano, da ultimo, tra le altre, Cass., S.U., 27 maggio 2022, nn. 17337 e 17338; Cass., S.U., 25 gennaio 2022, n. 2092, in Foro it., 2022, I, 1292; Cass., S.U., 30 ottobre 2020, n. 24107; e Cass., S.U.,17 dicembre 2018, n. 32623, in Foro it., 2019, I, 2122.

(14) Corte di Giustizia 6 ottobre 1982, Cilfit, in Foro it., 1983, IV, 63, ed in Giur. it., 1983, I, 1, 1008, con nota di F. Capotorti, Sull'obbligo del rinvio alla corte di giustizia per l'interpretazione a titolo pregiudiziale a norma del 3º comma dell'art. 177 del trattato Cee, ebbe a chiarire che i giudici nazionali «sono tenuti, qualora una questione di diritto comunitario si ponga dinanzi ad essi, ad adempiere il loro obbligo di rinvio, salvo che abbiano constatato che la questione non è pertinente, o che la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi». Tale principio è stato di recente ribadito dalla Grande sezione della medesima Corte nella sentenza 6 ottobre 2021, C- 561-19, con l'ulteriore precisazione che l'eventualità di sollevare la questione pregiudiziale da parte di un giudice nazionale « deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell'Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all'Unione», e pertanto lo stesso giudice nazionale «può astenersi dal sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte per motivi d'irricevibilità inerenti al procedimento dinanzi a detto giudice, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività».

(15) In proposito si vedano, comunque, le interessanti considerazioni di M. Magri, Individuazione dell'interesse legittimo e accertamento della legittimazione ad agire nel processo amministrativo, dopo il “caso Randstad”, in www. Giustizia insieme, del 21 aprile 2022.

(16) Per un più approfondito esame di tali questioni si possono consultare, per limitarsi ad alcuni tra gli scritti più recenti, B. Giliberti, Contributo alla riflessione sulla legittimazione ad agire nel processo amministrativo, Cedam, Padova, 2020; e S. Mirate, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, Franco Angeli, Milano, 2019.