La corrispondenza del coniuge come elemento di prova

04 Ottobre 2022

Usare chat o corrispondenza del coniuge trovate sul computer di casa è illecito?

È illecito produrre in giudizio le chat e la corrispondenza riservata del coniuge trovata sul computer di casa?

Per rispondere correttamente al quesito è opportuno distinguere l'utilizzo delle chat e della corrispondenza riservata nel procedimento penale piuttosto che in quello civile.

Va premesso innanzitutto che il codice di procedura penale sanziona all'art. 191 l'utilizzo di prove acquisite in violazione di disposizioni di legge: in breve, chi introduce un documento illecitamente acquisito nel processo penale, non può utilizzarlo ai fini probatori.

Di contro, il codice di procedura civile non contempla, al suo interno, un'analoga sanzione.

Ma cosa si intende per prova illecita?

A stretto rigore, si tratta di una prova formata o ottenuta in violazione di una norma di natura sostanziale, da cui deriva una sanzione.

È il caso, ad esempio, di lettere o e-mail, che il coniuge abbia acquisito in maniera illegittima sul computer in uso all'altro, ovverosia violando un precetto costituzionale, per volersene servire nel processo ai fini della prova dell'adulterio (l'art. 15 Cost. sancisce, infatti, che “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”).

Da tempo, specie nell'ambito delle controversie civili in materia di separazione, di divorzio e/o di affidamento della prole, la Suprema Corte si è interessata della questione dell'utilizzabilità o meno della prova c.d. illecita.

Con l'ordinanza dell'8 novembre 2016, n. 22677, la Cassazione si è pronunciata nel senso dell'inutilizzabilità del materiale probatorio sottratto in maniera fraudolenta da uno dei coniugi ai danni dell'altro.

(cfr. al riguardo, il commento di Ventorino L., La prova illecita nei procedimenti di affidamento della prole in Ilfamiliarista.it).

La dottrina, dall'altro, è divisa tra chi ritiene che l'introduzione nel processo civile di una prova acquisita illecitamente, al di là dell'accertamento di eventuali responsabilità penali in separata sede, sia sempre consentita ai fini dell'accertamento della verità dei fatti (dovendo il processo tendere a quell'obbiettivo), potendo il giudice servirsene nell'ambito dei poteri a lui riservati ex art. 116 c.p.c. e tra chi, invece, valorizzando un'interpretazione estensiva delle norme processual-civilistiche, non ne ammette l'introduzione nel processo in alcun caso.

D'altro canto, non sempre la giurisprudenza di merito si è allineata al giudice di legittimità (cfr. ad es., Trib. Roma, 20 gennaio 2017: sì all'uso delle prove illecite nei procedimenti di affidamento dei minori in ilFamiliarista.it).

In un altro caso, sempre il Tribunale di Roma ha stabilito che “in un contesto di coabitazione e di condivisione di spazi e strumenti di uso comune quale quello familiare, la possibilità di entrare in contatto con dati personali del coniuge sia evenienza non infrequente, che non si traduce necessariamente in una illecita acquisizione di dati. È la stessa natura del vincolo matrimoniale che implica un affievolimento della sfera di riservatezza di ciascun coniuge e la creazione di un ambito comune nel quale vi è una implicita manifestazione di consenso alla conoscenza di dati e comunicazioni di natura anche personale di cui il coniuge, in virtù della condivisione dei tempi e degli spazi di vita, viene di fatto costantemente a conoscenza a meno che non vi sia una attività specifica volta ad evitarlo. In un simile contesto, non può ritenersi illecita la scoperta casuale del contenuto di messaggi, per quanto personali, facilmente leggibili su di un telefono lasciato incustodito in uno spazio comune dell'abitazione familiare” (cfr. Trib. Roma sent. 6432/2016).

La questione dirimente riguarda, allora, la modalità di acquisizione delle chat e, in questo caso, l'utilizzo che del computer si fa all'interno dell'abitazione familiare.

Se si tratta di un utilizzo promiscuo, ovverosia di un apparecchio messo a disposizione e utilizzato da tutti i membri della famiglia, ne può derivare che l'altro coniuge, entrato in contatto, per caso, con contenuti informatici non protetti, possa servirsi del materiale acquisito a fini probatori, senza incorrere in sanzioni, almeno secondo questo indirizzo della giurisprudenza di merito.

Ma che dire quando, invece, quei dati, anche se acquisiti nell'unico computer in utilizzo della famiglia, risultino invece protetti da delle chiavi di accesso?

In linea di principio, il matrimonio e/o la convivenza non rappresentano una causa di compromissione e/o sospensione del diritto alla riservatezza di ciascun coniuge/partner, come di ogni altro membro della famiglia, né possono attenuare la portata cogente delle norme costituzionali.

Non pare condivisibile, pertanto, il ragionamento della giurisprudenza di merito citata al riguardo, sul punto.

A ben vedere, quando si discute di prove illecite o acquisite illecitamente nel processo familiare, si fa riferimento a prove precostituite, che non si sono formate all'interno del processo; la loro stessa introduzione può fornire la conferma indiretta, che chi le ha prodotte ha posto in essere una violazione dei doveri coniugali di solidarietà e assistenza morale, consumatasi nel corso della vita di coppia.

Spetta, in ogni caso, al Giudice verificare in concreto se la prova di cui si parla sia stata acquisita con modalità legittima o meno e, laddove ciò non sia, esso è tenuto a un bilanciamento degli interessi e dei diritti in contesa, tale da ammettere un sacrificio dell'uno rispetto all'altro.

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