Beni e diritti detenuti all'estero e obbligo di “monitoraggio”

Aurelio Cappabianca
Aurelio Cappabianca
10 Ottobre 2022

Una normativa nazionale che imponga obblighi di “monitoraggio” fiscale su cespiti detenuti all'estero, al fine di contrastare più efficacemente l'evasione e l'elusione fiscali ad essi relativi, è astrattamente compatibile con il diritto dell'Unione, pur in presenza di meccanismi di scambio di informazioni o di assistenza amministrativa tra gli Stati, e la presenza di tali meccanismi può, al più, incidere sulla valutazione della “proporzionalità” delle misure in concreto adottate in rapporto allo scopo perseguito.
Il dispositivo

Con sentenza 27 gennaio 2022 in causa C 788/19‑, Com. europea vs. R. di Spagna, la Corte di Giustizia ha affermato che Il Regno di Spagna ha violato le prescrizioni di cui all'art. 63 TFUE (1) e dell'art. 40 dell'accordo sullo Spazio economico europeo 2 maggio 1992 (2), prescrivendo, in ipotesi d'inadempimento o di adempimento inesatto o tardivo dell'obbligo d'informazione sui beni e sui diritti detenuti all'estero (3):

a) l'assoggettamento ad imposta delle attività estere non dichiarate, quali presunte “plusvalenze patrimoniali non giustificate”, in misura corrispondente al loro valore e senza possibilità di beneficiare della prescrizione,

b) l'irrogazione, per le violazioni degli obblighi dichiarativi, di sanzioni forfettarie d'importo non commisurato alle sanzioni previste per infrazioni simili in contesto puramente nazionale e, nell'ammontare complessivo, privo di limite massimo.

c) l'irrogazione, per la violazione dell'obbligo di pagamento delle plusvalenze presunte in ragione dell'inadempimento dell'obbligo dichiarativo, di sanzione proporzionale, da cumularsi alle sanzioni forfettarie, pari al 150% dell'imposta calcolata sulle somme corrispondenti al valore delle attività estere non dichiarate o inesattamente dichiarate (4).

La questione

In base alla legge spagnola (5), i soggetti residenti in Spagna, che omettono di dichiarare o dichiarano in modo inesatto o tardivo i beni e i diritti detenuti all'estero (6), sono assoggettati, in forza della presunzione di corrispondenti ingiustificate plusvalenze patrimoniali, alla rettifica dell'imposta dovuta in rapporto al valore dei beni e/o diritti suddetti, anche qualora questi siano stati acquistati nel corso di periodo d'imposta per il quale il potere di accertamento risulti già perento. Sono, altresì, assoggettati all'irrogazione di sanzioni forfettarie, per ogni omessa o inesatta dichiarazione di dato o insieme di dati relativo a ciascuno degli elementi patrimoniali o finanziari detenuti all'estero, e di una sanzione proporzionale (cumulabile a quelle forfetarie), per i conseguenti (presunti) omessi versamenti, in misura pari al 150% dell'imposta calcolata sulle somme corrispondenti del valore dei beni e/o dei diritti non dichiarati o inesattamente dichiarati.

Secondo la Commissione - che, a fronte del negativo esito della fase precontenziosa della procedura d'infrazione, ha proposto ricorso per inadempimento davanti alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 258, § 2, TFUE (7) - la normativa sopradescritta (che non ha equivalenti per quanto riguarda i beni o i diritti detenuti dai contribuenti nel territorio nazionale) comporta una restrizione alla libertà di circolazione dei capitali, giacché produce l'effetto di dissuadere i residenti in Spagna dall'investire le loro attività all'estero, e pregiudica, altresì (seppur in via secondaria), altre libertà tutelate dai Trattati e, in particolare, le libertà di prestazione di servizi, di stabilimento e di lavoro.

Il Regno di Spagna sostiene, per contro, che i soggetti che occultano i loro cespiti esteri per motivi fiscali non possano farsi scudo della libertà di circolazione dei capitali (o di altre libertà garantite dai Trattati) e nega che le sanzioni prescritte a presidio dell'obbligo d'informazione sui beni e i diritti detenuti all'estero implichino illegittime restrizioni alle indicate libertà, giacché indispensabili per garantire l'effettività del predetto obbligo.

La Corte di giustizia U.e. ha risolto la questione nei termini riportati in premessa (8), in base alle argomentazioni che seguono.

La motivazione

1.- Per costante giurisprudenza della Corte, tutte le misure imposte da uno Stato membro, che si rivelino idonee a dissuadere, a impedire o a limitare le possibilità dei residenti in detto Stato d'investire in altri Stati, costituiscono, in linea di principio, restrizioni alla libertà di circolazione dei capitali, garantita dall'art. 63,§ 1, TFUE.

Con specifico riferimento alla questione in rassegna, l'obbligo dei residenti in Spagna di dichiarare, mediante il “Modello 720”, beni e/o diritti detenuti all'estero e le sanzioni collegate all'inosservanza o all'adempimento inesatto o tardivo di tale obbligo - non avendo equivalenti per quanto riguarda beni o diritti situati in Spagna - discriminano in senso deteriore il trattamento dei residenti titolari all'estero di beni e di diritti e, rivestendo di conseguenza portata dissuasiva rispetto al compimento d'investimenti in altri Stati, configurano restrizione alla libertà di circolazione dei capitali, ai sensi dell'art. 63, § 1, TFUE e dell'art. 40 dell'Accordo sullo Spazio economico europeo (9).

2.- La circostanza che detta normativa sia finalizzata a scongiurare l'occultamento di attività per motivi fiscali non si pone in contrasto con la precedente affermazione, giacché il fatto che una normativa abbia l'obiettivo di garantire l'efficacia dei controlli fiscali e di contrastare l'evasione non esclude l'esistenza di una restrizione alla libertà di circolazione dei capitali, ma, semmai, ne configura la giustificazione; specificamente, nell'ottica di cui all'art. 65,§ 1 lett. b, TFUE, che prevede che le disposizioni dell'art. 63 TFUE non pregiudicano il diritto degli Stati membri di assumere tutte le misure necessarie ad impedire la violazione delle discipline nazionali, in particolare nel settore fiscale (10).

Poiché le informazioni di cui dispongono le autorità nazionali relativamente ai beni e diritti che i loro residenti detengono all'estero sono, complessivamente, inferiori a quelle di cui esse dispongono in merito ai cespiti situati nel loro territorio (anche tenendo conto dell'esistenza di meccanismi di scambio di informazioni o di assistenza amministrativa tra gli Stati membri), la normativa spagnola dedotta in controversia può, a buon ragione, astrattamente inquadrarsi nella suindicata giustificante finalità.

Resta, tuttavia, da valutare se essa ecceda o non quanto utile a garantire il conseguimento dei perseguiti obiettivi di contrasto all'evasione e all'elusione e risponda, quindi, al requisito della proporzionalità (11).

3.1- Nell'indicata prospettiva, la presunzione di plusvalenze patrimoniali prevista dal legislatore spagnolo in caso di inadempimento o inesatto adempimento dell'obbligo di dichiarazione di beni e/o diritti detenuti all'estero non è sproporzionata rispetto all'obiettivo di garantire l'efficacia dei controlli diretti a scongiurare evasione e elusione fiscali.

Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, la circostanza che un contribuente residente detenga beni o diritti al di fuori del territorio di uno Stato membro non legittima, di per sé, una generalizzata presunzione di evasione e di elusione fiscali; e, peraltro, una normativa, che fondi la presunzione la ricorrenza di una condotta fraudolenta in termini di assolutezza e senza concedere al contribuente alcuna possibilità di confutarne il fondamento eccede, in linea di principio, quanto necessario al fine d'un efficace contrasto all'evasione e all'elusione fiscali.

La normativa spagnola in rassegna è in linea con i suindicati precetti.

La presunzione da essa introdotta non è, infatti, fondata sul dato della mera detenzione all'estero di beni o di diritti, bensì sull'inosservanza o sull'inesatto adempimento da parte del contribuente degli obblighi d'informazione, di cui, in ottica di contrasto all'evasione, è, al riguardo, specificamente onerato.

Si tratta, inoltre, di presunzione che non presenta il crisma dell'assolutezza, ma il carattere della relatività. Il contribuente, che abbia violato l'obbligo d'informazione o che lo abbia adempiuto inesattamente, ha, infatti, la possibilità di neutralizzare la presunzione e di evitare l'imposizione delle somme corrispondenti al valore dei beni o dei diritti non dichiarati, quali plusvalenze patrimoniali non giustificate, offrendo la prova che detti beni e/o diritti sono stati acquistati mediante redditi dichiarati o percepiti nel corso di periodi di imposta per i quali non vi era assoggettamento ad imposta. E, comunque, opponendo l'affermazione di aver adempiuto il proprio corrispondente obbligo di pagamento; affermazione che, in forza delle norme generali sulla ripartizione dell'onere della prova, incombe, poi, all'amministrazione finanziaria smentire sul piano probatorio (12).

3.2- La normativa spagnola viola, invece, Il canone della proporzionalità, laddove, in caso d'inosservanza o inesatto adempimento dell'obbligo d'informazione, consente all'amministrazione finanziaria di procedere alla rettifica dell'imposta dovuta per le somme corrispondenti al valore dei beni o dei diritti detenuti all'estero sostanzialmente senza limite di tempo e peraltro, così vanificando una decadenza già maturata, anche in relazione a periodi d'imposta per i quali il potere d'accertamento risulti già perento.

Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, infatti, per contrastare più efficacemente l'evasione e l'elusione fiscali (e, specificamente, quelle realizzate attraverso l'occultamento di attività estere), il legislatore nazionale può stabilire un termine di perenzione del potere di accertamento più lungo di quello ordinario. Tuttavia - atteso che la fondamentale esigenza di certezza del diritto osta, in linea di principio, a che le autorità pubbliche possano agire senza limite di tempo al fine di reprimere una situazione illegale - può farlo soltanto a condizione che la durata di detto termine non ecceda quanto necessario al conseguimento delle prefissate cautele (tenuto anche, conto dei meccanismi di scambio di informazioni e di assistenza amministrativa tra Stati membri) e, quindi, purché, in tal modo non si realizzi un prolungamento indefinito del potere di accertamento e non s'inficino gli effetti di una prescrizione già maturata (13).

3.3.1- Anche l'impianto sanzionatorio posto dalla normativa spagnola a corredo dell'obbligo d'informazione sui beni e diritti detenuti all'estero ristringe illegittimamente, sotto il profilo della (s)proporzionalità, il principio di libera circolazione dei capitali.

Se è vero che, in assenza di armonizzazione nel diritto dell'Unione, spetta agli Stati membri scegliere le sanzioni per l'inosservanza degli obblighi prescritti dalla normativa nazionale in materia d'imposte dirette, ciò non toglie che la scelta del legislatore nazionale, dovendo essere ispirata all'osservanza del diritto dell'Unione e dei suoi principi generali, debba essere necessariamente rispettosa del canone della proporzionalità.

A tale canone non rispondono né le sanzioni forfetarie né quella proporzionale, previste dalla normativa spagnola.

3.3.2- Ai sensi del § 2 della diciottesima disposizione aggiuntiva alla Ley 58/2003, e successive modifiche (Codice generale dei tributi), le sanzioni forfetarie reprimono, in relazione a ciascun dato o insieme di dati non dichiarati, le violazioni degli obblighi dichiarativi specificamente connessi alla detenzione di cespiti esteri (14), nella loro essenza di obblighi puramente informativi e a prescindere dall'eventualità che vi si riconnetta un effettivo danno economico per il Fisco. Lo fanno, peraltro, in misura largamente superiore a quelle fissate dagli articoli 198 e 199 del codice generale dei tributi, nel sanzionare la generalità dei comparabili obblighi informativi o puramente formali, e senza prefigurazione di un limite massimo, così di per sé, denunziando una sproporzionata restrizione del principio di libera circolazione dei capitali rispetto al fine sanzionatorio perseguito.

3.3.3- Ai sensi della prima disposizione aggiuntiva alla legge 7/2012 (15), è, poi, prevista - per l'ipotesi di operatività delle presunzioni di cui all'art. 39, paragrafo 2, della legge relativa all'imposta sul reddito delle persone fisiche e dell'art. 134, paragrafo 6, della legge relativa all'imposta sulle società e d'inosservanza dell'obbligo di pagamento che ne scaturisce - l'irrogazione di una sanzione pari 150% (concepita quale aliquota fissa) dell'importo complessivo dell'imposta dovuta sulle somme corrispondenti al valore dei non dichiarati beni e/o diritti detenuti all'estero.

Anche tale sanzione - che, incidendo sulla violazione soltanto presunta di un obbligo sostanziale di pagamento, finisce, in ultima analisi, per restare ancorata all'inosservanza dell'obbligo di pura dichiarazione che della presunzione costituisce il presupposto (16) - reca un pregiudizio sproporzionato al principio della libertà di circolazione dei capitali, giacché si applica, automaticamente e senza possibilità di graduazione, in percentuale assai elevata, che le conferisce carattere particolarmente afflittivo, priva di riscontri in situazioni analoghe di ambito esclusivamente nazionale.

La prevista cumulabilità della sanzione percentuale al 150% con quelle forfetarie non fa, d'altro canto, che aggravare il deficit di proporzionalità del complessivo impianto sanzionatorio delle violazioni degli obblighi dichiarativi in oggetto (17).

Osservazioni

1. - La decisione della Corte di giustizia e l'ordinamento italiano. La sentenza della Corte di Giustizia presenta indubbio interesse anche per l'ordinamento italiano, che, pure, dispone di una complessa normativa in merito al “monitoraggio” dei cespiti detenuti all'estero (18).

Si tratta, tuttavia, di disciplina non sovrapponibile a quella spagnola e per la quale, pertanto, non possono assumersi automaticamente come valide le conclusioni assunte dai giudici europei in merito alle norme spagnole. Occorre, piuttosto, valutarla analiticamente alla luce dei criteri di generale valenza con certezza enucleabili dalla decisione.

2.- I principi enucleabili dalla decisione. In tale ottica, va, in primo luogo, osservato che la Corte europea riconosce che una normativa nazionale che imponga obblighi di “monitoraggio” fiscale su cespiti detenuti all'estero, al fine di contrastare più efficacemente l'evasione e l'elusione fiscali ad essi relativi, è astrattamente compatibile con il diritto dell'Unione, pur in presenza di meccanismi di scambio di informazioni o di assistenza amministrativa tra gli Stati, e che la presenza di tali meccanismi può, al più, incidere sulla valutazione della “proporzionalità” delle misure in concreto adottate in rapporto allo scopo perseguito.

La Corte, poi, sancisce:

- la compatibilità con il diritto dell'Unione della previsione di una presunzione di attività imponibili collegata all'inosservanza ovvero all'inesatto o tardivo adempimento di obblighi dichiarativi, purché si tratti di presunzione non fondata sul mero dato della detenzione di beni e/o diritti al di fuori del territorio dello Stato e non concepita in termini di assolutezza e senza possibilità per il contribuente di confutarne il fondamento;

- la compatibilità con il diritto dell'Unione della previsione, per l'accertamento delle suindicate attività imponibili, di un termine di perenzione più lungo di quello ordinariamente previsto per accertamenti rientranti in ambito puramente nazionale;

l'incompatibilità, viceversa, della previsione di un prolungamento indefinito del potere di accertamento nonché della caducazione degli effetti di una perenzione già maturata;

l'incompatibilità con il diritto dell'Unione della previsione, per le violazioni degli obblighi puramente dichiarativi connessi alla detenzione di cespiti esteri, di sanzioni forfetarie in misura largamente superiore a quelle prescritte per la generalità dei comparabili obblighi informativi o puramente formali e senza prefigurazione di un limite massimo.

l'incompatibilità con il diritto dell'Unione della previsione, in caso di accertamento presuntivo di attività imponibili in conseguenza della violazione degli obblighi dichiarativi, di una sanzione, automatica, non graduabile e cumulabile alle sanzioni forfetarie, in misura pari al 150% dell'importo complessivo dell'imposta dovuta sulle somme corrispondenti al valore delle non dichiarate attività estere.

3.- Le norme interne sul “monitoraggio” degli investimenti e delle attività esteri. Al fine di un più efficace contrasto dell'evasione e dell'elusione, lanormativa nazionale sancisce - con l'art. 4, comma 1, d.l. 167/1990, convertito I. 227/1990 (come successivamente modificato) - l'obbligo, per i residenti, d'indicare nella dichiarazione annuale dei redditi (19) gli investimenti ovvero le attività di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, (ovunque) detenuti all'estero.

La disciplina, poi, si divarica a seconda che gli investimenti e le attività finanziarie siano o non detenuti in Stati o territori esteri a regime fiscale privilegiato (cd. “Paesi Black list”).

In particolare, quanto alle attività detenute in Stati o territori esteri non caratterizzati da regime fiscale privilegiato, è prevista, per la violazione del suindicato obbligo dichiarativo, “la sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 al 15 per cento dell'ammontare degli importi non dichiarati”; salvo il caso di ritardo della presentazione della dichiarazione non superiore a novanta giorni, che comporta l'applicazione della sanzione fissa di € 258 (20).

E', quindi, stabilito che “gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria, trasferiti o costituiti all'estero, senza che ne risultino dichiarati i redditi effettivi, si presumono, salvo prova contraria, fruttiferi in misura pari al tasso ufficiale di riferimento vigente in Italia nel relativo periodo d'imposta” (21), con la conseguenza che, quando il contribuente non espone sul quadro “RW” del modello "Redditi" investimenti o attività finanziarie detenute all'estero assoggettate all'obbligo dichiarativo, scatta la presunzione di fruttuosità della stessa, nei termini indicati dalla norma, salva prova contraria a carico del contribuente (22);

Per gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti in Paesi “Black list”, il regime è di maggior rigore.

L'inosservanza dell'obbligo di dichiarazione comporta “la sanzione amministrativa pecuniaria dal 6 al 30 per cento degli importi non dichiarati”, fermo restando l'applicazione della sanzione fissa di € 258 in caso di ritardo della presentazione della dichiarazione non superiore a novanta giorni.

E', poi, sancito che, in deroga ad ogni altra vigente disposizione di legge, gli investimenti e le attività finanziarie in rassegna, se posti in essere senza tener conto delle prescritte limitazioni e in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all'art. 4 d.l. 167/1990, si presumono costituiti a soli fini fiscali, salva prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione e che, in tal caso, le sanzioni, per le violazioni relative alla dichiarazione sull'imposta dei redditi, previste dall'art. 1 d.lgs. 471/1997, sono raddoppiate.

In tal caso, sono anche raddoppiati i termini per l'accertamento di cui agli artt. 43, commi 1 e 2, d.p.r. 600/1973 e 57, commi 1 e 2, d.p.r. 633/1972 nonché i termini per la contestazione e la riscossione delle sanzioni di cui all'art. 20 d.lgs. 472/1997 (23).

Le normative sopra riportate operano, in prospettiva antievasione e antielusione, anche in relazione alle imposte patrimoniali IVIE ed IVAFE, istituite rispettivamente dai commi 13 e ss. e 18 e ss. dell'art. 19 d.l. 201/2011 (conv. in l. 214/2011), per le quali, stante il rinvio di cui ai commi 17 e 22 del citato art. 19, si applica, in particolare con riferimento all'accertamento e alle sanzioni, la disciplina delle imposte sui redditi.

4.1- Regime unionale e norme interne sul “monitoraggio” degli investimenti e delle attività finanziarie detenute in stati e territori esteri non caratterizzati da regime fiscale privilegiato. Quanto alla disciplina interna sull'obbligo di “monitoraggio” degli investimenti e delle attività detenuti in Stati o territori esteri non caratterizzati da regime fiscale privilegiato, il prospettato raffronto non sembra evidenziare criticità di sorta sul piano della compatibilità con il diritto dell'Unione.

Invero, la legittimità unionale della normativa interna che stabilisce l'obbligo di “monitoraggio” non è esclusa dall'esistenza di meccanismi di scambio d'informazioni ed assistenza amministrativa tra Stati.

D'altro canto, la presunzione di valore imponibile fondata sull'inosservanza ovvero sull'inesatto o tardivo adempimento di obblighi dichiarativi, risponde ai canoni di compatibilità con il diritto dell'Unione indicati dalla Corte: si tratta, infatti, di presunzione non immediatamente fondata sul mero dato della detenzione di beni e/o diritti al di fuori del territorio dello Stato (ma, appunto, sull'inadempimento del correlativo obbligo di dichiarazione) e, peraltro, di presunzione configurata in termini, non di assolutezza, ma di relatività, con possibilità, per il contribuente, di contraddirne probatoriamente il fondamento.

Pure il sistema sanzionatorio delineato a tutela dell'obbligo di “monitoraggio” dei beni in questione - esclusivamente incidente sulla violazione dell'obbligo di pura dichiarazione - non appare incorrere negli indici di (s)proporzionalità denunziati dalla Corte di giustizia, a proposito della normativa spagnola (concorrenza, senza determinazione di limite massimo, di plurime sanzioni forfetarie, per ciascun dato o insieme di dati non dichiarati, di entità superiore a quelle prescritte per la generalità dei comparabili obblighi informativi o puramente formali). Esso si concreta, infatti, nella predisposizione di sanzione unitaria, rapportata a definita e non esorbitante percentuale del valore delle attività non dichiarate.

4.2- Regime unionale e norme interne sul “monitoraggio” degli investimenti e delle attività finanziarie detenuti in Paesi “Black List”. In merito agli investimenti ed alle attività detenuti in Stati o territori esteri caratterizzati da regime fiscale privilegiato (cd. Paesi “Black list”), per le stesse ragioni esposte in precedenza, non appaiono collidere con i parametri di compatibilità con il diritto dell'Unione tracciati dalla decisione della Corte di giustizia né la presunzione di valore imponibile basata sulla violazione dell'obbligo di “monitoraggio” né la sanzione correlativamente prevista in rapporto ai profili puramente formali dell'inadempimento. Anche in questo caso, infatti, la presunzione non risulta fondata sul semplice dato della detenzione di beni e/o diritti all'estero ed è consentita la prova contraria del contribuente; la sanzione dell'inadempimento, nei suoi profili formali, si rivela, poi, rapportata a definita percentuale del valore delle attività non dichiarate, che, anche per l'esigenza di opporre maggior deterrenza alla maggior appetibilità a fini evasivi dalla detenzione di attività in Paesi “Black list”, sembra giustificatamente determinata in misura maggiore rispetto a quella definita per le attività detenute in Paesi non caratterizzati da regime fiscale privilegiato.

Dalla decisione della Corte, d'altro canto, non sembrano emergere, in linea di principio, indicazioni nel segno dell'incompatibilità con il diritto europeo della disciplina dei termini di perenzione del potere di accertamento in ipotesi di operatività della presunzione di cui all'art. 12 d.l. 78/2009, convertito in l. 102/2009. La decisione europea ha, invero, affermato l'incompatibilità con il diritto europeo della normativa spagnola sotto il profilo della determinazione di un prolungamento indefinito del potere di accertamento nonché sotto quello della caducazione degli effetti di una perenzione già maturata. Mentre la disciplina nazionale prevede solo un prolungamento (raddoppio) dei termini in oggetto, non suscettibile di ulteriore incremento, in ipotesi di applicazione retroattiva (24) della norma che lo prevede, posto che questa non interferisce, dilatandola, sulla durata dei termini medesimi ed, in base ai principi generali, è, peraltro, preclusa rispetto a termini già scaduti all'atto dell'entrata in vigore del raddoppio (25).

Diversa soluzione, in questo ambito, sembra doversi prospettare in merito alla sanzione prevista per l'ipotesi di operatività della presunzione basata sulla violazione dell'obbligo di dichiarazione, di cui all'art. 12 d.l. 78/2009, convertito in l. 102/2009. In tal caso, la normativa interna prevede il raddoppio delle sanzioni previste dall'art. 1 d.lgs. 471/1997 (“Violazioni relative alla dichiarazione ...”, che, nell'ipotesi, per così dire ordinaria, contempla la pena pecuniaria dal 90 al 180 per cento della maggior imposta dovuta) e dunque, in definitiva, quella dal 180 al 360 per cento dell'imposta dovuta sui valori non dichiarati; pena, già nel minimo, superiore alla sanzione del 150 per cento dell'imposta dovuta sulle somme corrispondenti ai valori detenuti all'estero e non dichiarati, prevista dalla legge spagnola e ritenuta sproporzionata dalla Corte di giustizia.

La questione, d'altro canto s'iscrive nella specifica tematica della proporzionalità delle sanzioni (26); principio garantito a livello costituzionale dall'art. 49, § 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e che, pur testualmente riferentesi ai “reati” (e, dunque, all'ambito penale) opera, al pari delle garanzie processuali assicurate dall'art. 6 § 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nei confronti di qualsiasi altra espressione di pubblica potestà punitiva anche non qualifica “penale” dagli ordinamenti nazionali (27).

Con riferimento a situazione in cui la proporzionalità della sanzione (28) risulta specificamente prescritta da direttiva (29), sul tema, è da ultimo intervenuta Corte di giustizia (Grande sezione) 8 marzo 2022 in causa C -205/20 (30). Operando un radicale revirement rispetto a propria non remota giurisprudenza (31), la decisione (esplicitamente estendendo la portata del principio alla più generale previsione di cui dall'art. 49, § 3, della Carta U.e.) ha riconosciuto al criterio di proporzionalità effetto diretto negli ordinamenti degli Stati membri e ai giudici nazionali (non senza ingenerare qualche allarme con riguardo alla certezza delle situazioni giuridiche ed alla parità di trattamento) il potere d'individuare in concreto, previa disapplicazione pro parte della norma interna, la sanzione proporzionata (32) (con ciò superando, per quanto riguarda il nostro ordinamento, anche la previsione di cui all'art. 7, comma 4, d.lgs 472/1997, come modificato dall'art. 16, comma 2, d.lgs. 158/2015) (33).

(1) Art. 63 TFUE (ex art. 56 del TCE): “1. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi. 2. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi”.

(2) Art. 40 Accordo sullo Spazio economico europeo: “Nel quadro delle disposizioni del presente accordo, non sussistono fra le Parti contraenti restrizioni ai movimenti di capitali appartenenti a persone residenti negli Stati membri della Comunità o negli Stati AELS (EFTA) né discriminazioni di trattamento fondate sulla nazionalità o sulla residenza delle parti o sul luogo del collocamento dei capitali”.

(3) Da assolversi attraverso la compilazione del cd. “modello 720”.

(4) Cfr. punto 63 della decisione.

(5) Diciottesima disposizione aggiuntiva alla Ley 58/2003 General Tributaria, come modificata dalla legge 7/2012(Codice generale dei tributi); art. 39 Ley 35/2006 del Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas y de Modificación Parcial de las Leyes de los Impuestos sobre Sociedades, sobre la Renta de no Residentes y sobre el Patrimonio; art. 121 della Ley 27/2014 del Impuesto sobre Sociedades; Prima disposizione aggiuntiva alla Ley 7/2012.

(6) Ai sensi del § 1 della diciottesima disposizione aggiuntiva alla Ley 58/2003, per come successivamente modificata (Codice generale dei tributi), i residenti in Spagna hanno l'obbligo di fornire all'amministrazione finanziaria informazioni relative a beni e/o diritti di cui dispongono all'estero e relative, in particolare, a: beni immobili, conti bancari, titoli, attività, valori o i diritti rappresentativi del capitale sociale, fondi propri o patrimonio di qualsiasi tipo di soggetto, assicurazioni sulla vita o per invalidità

(7) Art.258 TFUE (ex art. 226 TCE): “1. La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. 2.Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea”

(8) Cfr. § I).

(9) Specularmente, Corte di giustizia 24 febbraio 2022 in causa C - 257/20, Viva Telecom Bulgaria (punto 87) esclude che possa esserci violazione del principio di libertà di circolazione dei capitali, in assenza di discriminazioni normative collegate a fattori territoriali.

(10) Art. 65 TFUE (ex art. 58 del TCE) “1. Le disposizioni dell'art. 63 non pregiudicano il diritto degli Stati membri: a) …; b) di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. 2. …”

(11) V. i punti da 18 a 24 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata.

(12) V. i punti da 27 a 32 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata.

(13) V. i punti da 33 a 41 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata.

(14) Come prescritti dal § 1 della medesima disposizione.

(15) Intitolata “Regime sanzionatorio in caso di plusvalenze patrimoniali non giustificate e di presunta realizzazione di redditi”.

(16) Del resto, rileva la Corte, di tale sanzione sono passibili solo i contribuenti che hanno violato l'obbligo di informazione sui cespiti esteri e non quelli che, avendo acquistato beni o diritti all'estero mediante redditi non dichiarati, hanno, invece, adempiuto all'obbligo informativo.

(17) V. i punti da 42 a 54 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata.

(18) In relazione a tale normativa, pende, peraltro, denuncia di “illegittimità comunitaria” alla Commissione europea, proposta dall'Associazione italiana dei dottori commercialisti (“AIDC”), in data 12 dicembre del 2019.

(19) Attraverso la compilazione dell'apposito quadro “RW”.

(20) Cfr. l'art. 5, comma 2 primo e terzo periodo, d.l. 167/1990, convertito I. 227/1990.

(21) V. l'art. 6 (rubricato “Tassazione presuntiva”) d.l. 167/1990, convertito I. 227/1990.

(22) Cfr. Cass. 15608/21, 1324/22, 10/22.

(23) V. l'art. 12, commi 2 e ss., d.l. 78/2009, convertito in l. 102/109.

(24) Nel senso della retroattività della norma, quale disposizione procedurale, v. Cass. 8653/22, 29632/19, 30742/18.

(25) La disciplina sul raddoppio non integra ipotesi di riapertura o proroga di termini scaduti né di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti: v. Cass. 27629/18, 23628/17, 10345/17,.

(26) V. Corte di giustizia in causa C 213/99 Andrade; 26 aprile 2017, in causa C – 564/15, Farkas, p. 59,

(27) Corte EDU 14 dicembre 2021, causa 11200/19, Malgarejo de Abellanosa V. Spain

(28) In materia diversa da quella fiscale.

(29) La direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente l'applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi.

(30) La decisione ha stabilito: “1) L'articolo 20 della direttiva 2014/67/UE …., laddove esige che le sanzioni da esso previste siano proporzionate, è dotato di effetto diretto e può quindi essere invocato dai singoli dinanzi ai giudici nazionali nei confronti di uno Stato membro che l'abbia recepito in modo non corretto. 2) Il principio del primato del diritto dell'Unione deve essere interpretato nel senso che esso impone alle autorità nazionali l'obbligo di disapplicare una normativa nazionale, parte della quale è contraria al requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto all'articolo 20 della direttiva 2014/67, nei soli limiti necessari per consentire l'irrogazione di sanzioni proporzionate”.

(31) V. Corte di giustizia4 ottobre 2018 in causa C-384/17, Link Logistic.

(32) In proposito, v. F.Viganò, “La proporzionalità della pena tra diritto costituzionale italiano e diritto dell'unione europea: sull'effetto diretto dell'art. 49, paragrafo 3, della carta alla luce di una recentissima sentenza della corte di giustizia”(Nota a Corte di giustizia UE, Grande Sezione, sent. 8 marzo 2022, C-205/20, NE), in “Sistemapenale.it”.

(33) La disposizione recita “Qualora concorrano circostanze che rendano manifesta la sproporzione tra entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo”.