Absolute e relative priority rule a confronto nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza

Antonio Auricchio
Gabriella Covino
Luca Jeantet
Paola Vallino
06 Ottobre 2022

Il tema della distribuzione del patrimonio del debitore nelle procedure concorsuali è stato molto dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza; oggi ha trovato una sua espressa regolazione nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza. Gli Autori analizzano la disciplina introdotta dal CCII, che apporta significative modifiche al concordato preventivo in continuità, offrendo maggiore libertà di azione dell'imprenditore ed introducendo la RPR.
Cenni introduttivi

La distribuzione del patrimonio del debitore nelle procedure concorsuali ha costituito tema vivacemente dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza (per tutti, si vedano MACAGNO, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità, 2022, e PACCHI, Par condicio e relative priority rule. Molto da tempo è mutato nella disciplina della crisi d'impresa, 2022), trovando oggi una sua espressa regolazione nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (“CCII”).

Un primo inquadramento si rende necessario.

Il fallimento, e specularmente oggi la liquidazione giudiziale, prevede una rigorosa applicazione del principio dell'ordine delle prelazioni, senza possibilità di alcuna eccezione giusto il disposto dell'art. 2741 c.c. Per converso, il concordato preventivo, già nella normativa previgente al CCII, ha dato origine a differenti ricostruzioni che vedono contrapposta la regola della absolute priority rule (“APR”) a quella della relative priority rule (“RPR”).

L'APR impedisce la soddisfazione del creditore di grado successivo qualora non sia stato integralmente soddisfatto quello di grado precedente, salvo che siano utilizzate risorse finanziarie non provenienti dal patrimonio assoggettato al concorso e che costituiscano apporti "neutri" di terzi estranei. La RPR consente, al contrario, il pagamento di creditori di rango inferiore anche in assenza di pagamento integrale dei creditori di rango superiore, a condizione che il primo pagamento sia di misura inferiore rispetto al secondo e che, quindi, il trattamento complessivo dei creditori appartenenti alle diverse classi rispetti comunque l'ordine delle prelazioni.

Due le ricadute interpretative. La prima consiste nella verifica di ammissibilità della soddisfazione di creditori di rango inferiore nel caso in cui quelli di rango superiore non siano pagati integralmente ed acquista centralità in un momento storico in cui l'indebitamento di un debitore che acceda ad una procedura di regolazione del proprio stato di crisi risulta prevalentemente concentrato nei confronti di enti erariali o previdenziali oppure, e sempre più di frequente, nei confronti dei garanti statali della finanza disciplinata dal, ed erogata ai sensi del, c.d. Decreto Liquidità.

La seconda consiste nella verifica di quali siano le fonti attive liberamente distribuibili e, se tra esse, se le risorse prodotte dalla prosecuzione dell'attività aziendale siano destinabili in modo non omogeneo ai creditori concorsuali, privilegiati e chirografari, o comunque senza il rispetto tassativo della APR. Tutto ciò essendo necessario appurare come il CCII disciplini il profilo e rispetto a quali procedure di regolazione di uno stato di crisi esso venga in evidenza.



La disciplina del CCII

Avuto riguardo al quadro di riferimento, vediamo ora la disciplina introdotta dal CCII, che apporta significative modifiche alla disciplina del concordato preventivo in continuità aziendale, offrendo maggiore libertà di azione dell'imprenditore ed introducendo la RPR. Più nel dettaglio.

L'art. 47 CCII, nel regolare l'apertura del concordato preventivo, distingue “per tipi di concordato” i criteri che devono ispirare il giudizio di ammissibilità, prevedendosi che il tribunale verifichi (art. 47, comma 1, lett. a), CCII “in caso di concordato liquidatorio, l'ammissibilità della proposta e la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine del medesimo a raggiungere gli obiettivi prefissati” e (comma 1, lett. b) “in caso di concordato in continuità aziendale, la ritualità della proposta”, con il limite che “la domanda di accesso al concordato in continuità aziendale è comunque inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali”.

L'art. 53, comma 5 bis, CCII, in attuazione di quanto contemplato dall'art. 16 Dir. Insolvency, prevede che “in caso di accoglimento del reclamo proposto contro la sentenza di omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale, la corte d'appello, su richiesta delle parti, può confermare la sentenza di omologazione se l'interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest'ultimo il risarcimento del danno”.

La prima conclusione è che alla migliore soddisfazione dei creditori si associano, quali obiettivi di pari livello, la conservazione dell'azienda e l'interesse al mantenimento dei livelli occupazionali.

L'art. 84, comma 1, CCII stabilisce, tra l'altro, che la miglior soddisfazione dei creditori debba essere garantita “in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale”, riprendendo, all' art. 84, comma 5, CCII, la disposizione del previgente art. 160, comma 2, l.fall., sulla possibilità di pagamento non integrale dei creditori privilegiati con declassamento al chirografo della parte incapiente e recependo, all' art. 84, comma 6, CCII e per il concordato in continuità aziendale, la RPR sulla parte di valore del patrimonio generata dalla prosecuzione dell'attività con la quale è stato attuato l'art. 11, par. 1 lettera c) Dir. Insolvency.

La Relazione illustrativa precisa che “la regola di distribuzione contenuta nel comma 6 dell'articolo 84 detta due principi distinti da osservare nella ripartizione dell'attivo concordatario e che dipendono dalla natura delle risorse distribuite. Essa prevede, in particolare, che il valore di liquidazione dell'impresa sia distribuito nel pieno rispetto delle cause legittime di prelazione e cioè secondo la regola della priorità assoluta (che impedisce la soddisfazione del creditore di rango inferiore se non vi è stata la piena soddisfazione del credito di grado superiore) mentre il valore ricavato dalla prosecuzione dell'impresa, il c.d. plusvalore da continuità, può essere distribuito osservando il criterio della priorità relativa (secondo il quale è sufficiente che i crediti di una classe siano pagati in ugual misura rispetto alle classi di pari grado e in misura maggiore rispetto alla classe di rango inferiore)”, chiarendo che “nel recepire la regola della priorità relativa (c.d. RPR) non ci si è avvalsi della deroga consentita dal paragrafo 2 dell'articolo 11 della direttiva”.

L'art. 84 CCII prevede, dunque, che “5. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente. La quota residua del credito è trattata come credito chirografario” e che “6. Nel concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”, dettando, all' art. 84, comma 7, CCII ed in applicazione della APR, disposizioni a tutela dei lavoratori in attuazione dell'art. 13 Dir. Insolvency e della più generale “clausola di non regresso”, di matrice comunitaria, secondo la quale ogni intervento normativo che incide sui diritti dei lavoratori non può determinare una riduzione delle garanzie e dei diritti già garantiti dal singolo ordinamento nazionale.

Ciò significa che ai crediti da lavoro subordinato privilegiati ai sensi dell'art. 2751 bis c.c. si applica la APR, sia sul valore di liquidazione, sia sul valore di continuità, facendosi salve le prestazioni pensionistiche garantite dall'art. 2116 c.c., in attuazione dell'art. 1 par. 6 Dir. Insolvency.

Il quadro appena descritto trova completamento con l'art. 85, comma 3, CCII secondo cui, nel concordato in continuità aziendale, la suddivisione in classi è “in ogni caso obbligatoria” e, in particolare, sussiste l'obbligatorietà della suddivisione in classi autonome dei creditori privilegiati quando il loro pagamento sia previsto oltre i termini indicati dall'art. 109, comma 5, CCII; ipotesi in cui essi sono considerati sempre parti interessate, anche per la parte privilegiata.

Quest'ultima norma prevede che “i creditori muniti di diritto di prelazione non votano se soddisfatti in denaro, integralmente, entro centottanta giorni dall'omologazione, e purché la garanzia reale che assiste il credito ipotecario o pignoratizio resti ferma fino alla liquidazione, funzionale al loro pagamento, dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Nel caso di crediti assistiti dal privilegio di cui all'art. 2751 bis n. 1 c.c., il termine di cui al quarto periodo è di trenta giorni. Se non ricorrono le condizioni di cui al primo e secondo periodo, i creditori muniti di diritto di prelazione votano e, per la parte incapiente, sono inseriti in una classe distinta”.

La Relazione Illustrativa chiarisce che “la qualificazione dei creditori muniti di diritto di prelazione non integralmente soddisfatti quali parti interessate dal piano, con conseguente diritto di voto, rappresenta una regola innovativa per il nostro ordinamento, nel quale il creditore privilegiato non vota se non per la parte incapiente degradata al chirografo o alle condizioni previste in caso di moratoria dall'attuale art. 86 CCII” e che la previsione è stata “introdotta in quanto strettamente funzionale alla piena attuazione delle regole della ristrutturazione trasversale previste nell'articolo 11 della direttiva ed in particolare della definizione di “parti interessate” di cui all'articolo 2, paragrafo 1 n. 2, e di quanto disposto dall'articolo 11, paragrafo 1, lettera a)”.

L'art. 85 CCII stabilisce che “il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione”, ma facendo salve le disposizioni dell'art. 84 CCII sulla regola di distribuzione della RPR, che dunque viene – con rilevanza sistematica – qualificata esplicitamente come eccezione, nell'ambito del concordato in continuità aziendale, al principio di cui all'art. 2741 c.c.

Due le norme che meritano di essere ancora prese in considerazione ai fini del confronto tra APR e RPR.

La RPR trova la sua traduzione normativa nell'introduzione all'art. 112, comma 2, CCII c.d. cross class cram-down, disponendo che “nel concordato in continuità aziendale, se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale, su richiesta del debitore o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti, omologa altresì se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; b) il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall'articolo 84, comma 7; c) nessun creditore riceve più dell'importo del proprio credito; d) la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”.

Se così è, è allora chiaro che la RPR introdotta dal CCII deve intendersi attenuata nel senso di incontrare il limite dell'obbligo di assicurare alle classi di creditori superiori un trattamento che sia complessivamente migliore.

La discrezionalità assoluta ha trovato invece spazio nel nuovo strumento del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione previsto dall'art. 64 bis comma 1 lett. b) CCII, attuativo dell'art. 11 par. 1 Dir. Insolvency, la quale richiede la previsione di un quadro di ristrutturazione che possa prescindere dalle regole distributive delle procedure concorsuali, ma che possa essere omologato solo se approvato da tutte le parti interessate in ciascuna classe di voto.

L'impianto sistemico che emerge dalla normativa appena esaminata è che, in applicazione della RPR e con il solo limite del trattamento da riservare ai crediti assistiti dal privilegio di cui all'art. 2751 bis n. 1 c.c., alle ipotesi “tradizionali” di finanza c.d. esterna (i.e. versamento a fondo perduto in senso proprio perché erogazione liberale di un terzo oppure in senso relativo perché erogazione eseguita con questa causale in sede di aumento di capitale ma con iscrizione di una corrispondente riserva di patrimonio netto) si aggiunge oggi il plusvalore della continuità aziendale come oggetto dei flussi che non vi sarebbero in caso di liquidazione giudiziale, potendosi registrare nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione un'applicazione assoluta della RPR alla condizione che vi sia l'approvazione di tutte le parti interessate in ciascuna classe di voto.

I profili meritevoli di approfondimento: la distribuzione del surplus

Il primo profilo meritevole di approfondimento è se il plusvalore della continuità aziendale sia liberamente distribuibile oppure se debba comunque essere computato al fine di verificare il rispetto complessivo della RPR.

La risposta sta, come anticipato in sede di ricognizione normativa, nell'applicazione del c.d. cross class cram-down di cui all'art. 112 comma 2 CCII, secondo cui “nel concordato in continuità aziendale, se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale, su richiesta del debitore o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti, omologa altresì se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; b) il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall'articolo 84, comma 7; c) nessun creditore riceve più dell'importo del proprio credito; d) la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”, con la conseguenza che la libera distribuzione del surplus nel concordato preventivo in continuità d'azienda non è assoluta, ma incontra comunque un limite nell'obbligo di assicurare alle classi di creditori superiori un trattamento migliore.

La discrezionalità assoluta trova, per contro, spazio nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione previsto dall'art. 64 bis, comma 1, lett. b), CCII, a norma del quale lo strumento può prescindere dalle regole distributive delle procedure concorsuali e può essere omologato solo se approvato da tutte le parti interessate in ciascuna classe di voto; nell'ipotesi di approvazione unanime delle classi, il ricavato del piano possa essere distribuito “anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile”, introducendo così una regola che va a disapplicare, in modo inequivocabile, i principi generali delle obbligazioni.



Segue: la modalità di quantificazione del surplus

Il secondo profilo meritevole di approfondimento è se il c.d. surplus da continuità vada inteso come complessivo ammontare dei flussi di continuità oppure come differenziale rispetto ai c.d. flussi stand alone per effetto di discontinuità gestionali oppure di investimenti oppure ancora di sviluppi aziendali dipendenti da nuove sinergie commerciali.

Il dato normativo sembra deporre a favore della prima qualificazione, anche considerata la circostanza che nella pratica può essere molto complesso determinare se la prosecuzione dell'attività aziendale sia resa possibile esclusivamente da apporti esterni, o se invece gli apporti esterni la facilitino e la supportino, senza che una qualche prosecuzione possa essere tassativamente esclusa in loro assenza. Inoltre, pare anche piuttosto singolare che l'apporto del terzo possa produrre nell'arco del piano flussi di gran lunga superiori all'apporto stesso, da assimilare alla finanza esterna e quindi distribuibili discrezionalmente ai creditori e sottratti alla disciplina dell'art. 2741 c.c.

In ogni caso, una ipotesi che si potrebbe immaginare è quella per cui il piano di continuità aziendale preveda l'esecuzione di determinate capex il cui innesto sia idoneo a generare un surplus maggiore rispetto a quello c.d. stand alone: si pensi ad una società produttiva che, grazie alle capex, acquista un nuovo macchinario e, tramite esso, apre un nuovo canale di produzione che si somma a quelli esistenti.



Segue: la configurabilità di un surplus liberamente distribuibile nel concordato in continuità indiretta

Il terzo profilo meritevole di approfondimento è se il c.d. surplus da continuità sia configurabile nella sola ipotesi di continuità diretta oppure anche nel caso di continuità indiretta, qualora l'acquirente dell'azienda in esercizio identifichi una porzione di corrispettivo e la imputi espressamente ad avviamento futuro dipendente dalla propria esclusiva attività di investimento e/o sviluppo, dunque senza alcun collegamento con il patrimonio originario del debitore.

In particolare, quando si è in presenza di una cessione di azienda è ben possibile distinguere un valore interno ed un valore esterno, con la precisazione che è interno ciò che esiste al momento della cessione aziendale, mentre è esterno ciò che non esiste in capo al debitore in concordato, ma deriva dal nuovo corso dell'attività aziendale in capo ad un soggetto terzo.

Su questa base, è evidente che un terzo potrebbe acquistare l'azienda ad un corrispettivo pari al valore interno esistente all'atto di formulazione dell'offerta oppure, ed è il caso che si vuole qui considerare, non limitarsi a questo, ma aggiungere un valore maggiore rispetto a quello attuale ed attestato dell'azienda.

Nel primo caso, si determinerà una perfetta coincidenza tra valore aziendale attuale (ed attestato) e prezzo di acquisto della stessa azienda, con la conseguenza che il debitore dovrà distribuire le risorse così ricavate secondo ordine legale delle prelazioni. Nel secondo caso, il terzo verserà un surplus rispetto al valore aziendale, determinato dalla sua stessa discrezionalità, e liberamente allocabile dal debitore in concordato, se del caso, anche in deroga all'ordine legale delle prelazioni.

Così come il flusso di continuità non esiste nel patrimonio attuale concordatario, così il surplus attribuito al valore prospettico dipendente da sinergie industriali future parimenti non dovrebbe parimenti esistere nel patrimonio attuale concordatario.

Può, in questo senso, leggersi il recente provvedimento con cui il Tribunale di Milano si è pronunciato sul criterio di ripartizione delle somme ai creditori applicabile nel concordato preventivo, vale a dire sulle cosiddetta tesi della “priorità assoluta” e della “priorità relativa” e sul concetto di “finanza esterna”, stabilendo che il principio che deve essere adottato ai fini del riparto è quello della “priorità assoluta” e che costituiscono finanza esterna solo gli apporti che non transitano nel patrimonio del debitore (Trib. Milano 11 febbraio 2021).

Transita, in particolare, nel patrimonio aziendale ciò che esiste alla data attuale e non ciò che deriva da sviluppi prospettici.

D'altronde, è lo stesso Trib. Milano 15 novembre 2018 (pubblicata in data 5 dicembre 2018) ad aver validato il principio secondo il quale gli attivi – in quel caso flussi derivanti dalla continuità aziendale – “resi possibili dall'apporto di un soggetto terzo … non possono ritenersi assoggettati al rispetto dell'ordine delle cause di prelazione, per la semplice ragione che detti flussi, nella prospettiva fallimentare, semplicemente non esisterebbero”.

Anche in questo caso, il surplus prospettico non rappresenta la valorizzazione di un attivo attualmente esistente nel patrimonio aziendale che deve essere distribuito, in virtù dei principi di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c. in favore dei creditori secondo l'ordine legittimo delle prelazioni. Si tratta, invero, del valore delle prospettive di avviamento e profittabilità dell'azienda in considerazione del rilancio industriale della stessa conseguente all'intervento del terzo investitore: un valore che, dunque, nell'alternativo scenario fallimentare non esisterebbe.

In conclusione, il surplus determinato nell'offerta di acquisto di un'azienda in esercizio potrebbe esso stesso costituire una componente estranea al patrimonio aziendale della società in concordato ed i creditori beneficiano solo di questo determinato patrimonio iniziale, senza possibilità di estensione ad un risultato di un'attività economica derivante dalla conduzione di un terzo diverso dal debitore in concordato e dal cumulo di fattori certamente esterni al contesto concordatario, sia in termini procedimentali che sostanziali.



Segue: la composizione negoziata della crisi. Cenni ed opportunità

Un ultimo, ma non per questo meno importante riferimento merita d'essere fatto, in conclusione d'analisi, alla composizione negoziata della crisi, giacché il procedimento (e non la procedura) consente di trattare i creditori, sul presupposto del loro assenso, in base ad una RPR assoluta, anche risultando possibile l'inversione dell'ordine della prelazioni e l'accollo di passività chirografarie, nonché, in caso di acquisto di azienda, la disapplicazione, eventualmente selettiva, dell'art. 2560 c.c. sulla base di un provvedimento giudiziale.

Le statistiche, anche di recente pubblicate da UNIONCAMERE, non depongono a favore del nuovo strumento, ma un suo impiego nel contesto del c.d. distressed M&A dovrebbe consentirne una rivitalizzazione, specie in situazioni in cui il numero dei creditori non sia troppo esteso e si faccia un'applicazione razionale della RPR.

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