Spese non proficue e detrazione dell'IVA

Pasqualina Condello
Pasqualina Condello
06 Ottobre 2022

Ove prestazioni di servizi costituiscano operazioni soggette ad IVA ai sensi dell'art. 2 della direttiva 2006/112/Ce e presentino “nesso diretto ed immediato” con una o più operazioni imponibili a valle o, risolvendosi in costi generali, con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo, il diritto alla detrazione dell'IVA non può essere disconosciuto al soggetto passivo che abbia assolto l'imposta a monte, pur in presenza di un prezzo fatturato eccessivo rispetto a un valore di riferimento definito dall'amministrazione finanziaria nazionale e anche laddove i servizi acquistati non abbiano dato luogo ad un aumento del fatturato del soggetto passivo,
Il principio

Con sentenza 25 novembre 2021, Amper Metal Kft v. Nemzeti Adò- és Vamhivatal Fellebbviteli Igazgatòsaga, la Corte di Giustizia U.e. ha affermato che l'articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che un soggetto passivo può detrarre l'imposta sul valore aggiunto (IVA) assolta a monte per servizi pubblicitari ove una siffatta prestazione di servizi costituisca un'operazione soggetta all'IVA, ai sensi dell'articolo 2 della direttiva 2006/112, e ove essa presenti un nesso diretto e immediato con una o più operazioni imponibili a valle o con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo, a titolo di sue spese generali, senza che sia necessario prendere in considerazione la circostanza che il prezzo fatturato per i suddetti servizi sia eccessivo rispetto a un valore di riferimento definito dall'amministrazione finanziaria nazionale o che tali servizi non abbiano dato luogo a un aumento del fatturato di detto soggetto passivo.

Il fatto

Nel corso del 2014, la società ungherese Amper Metal concluse con la Sziget-Reklam Kft. un contratto avente ad oggetto la fornitura di servizi pubblicitari, procedendo alla detrazione dell'IVA assolta nelle dichiarazioni fiscali relative al periodo compreso tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre 2014.

La Direzione per il contenzioso dell'Amministrazione nazionale delle imposte e delle dogane ungherese di primo grado, fondandosi su pareri di periti in materia fiscale e pubblicitaria, in esito al controllo delle dichiarazioni fiscali, negò alla contribuente il beneficio del diritto alla detrazione sul rilievo che il contratto di servizi pubblicitari non soddisfaceva i requisiti di una ‹‹gestione ragionevole››, ai sensi del punto 4 dell'allegato 3 della legge relativa all'imposta sul reddito delle società.

Respinto il ricorso amministrativo anche dinanzi all'Amministrazione finanziaria di secondo grado, la contribuente agì in via giurisdizionale, al fine di chiedere l'annullamento delle decisioni delle amministrazioni finanziarie di primo e secondo grado, deducendo, da un lato, che il diritto alla detrazione dell'IVA ben poteva essere esercitato anche se la spesa effettuata dal soggetto passivo non era stata né ragionevole, né economicamente redditizia, non potendo l'asserita mancanza di valore pubblicitario dei servizi resi incidere su tale diritto, e, dall'altro, che il requisito della proficuità quantificabile, elemento per elemento, si poneva in contrasto con il diritto dell'Unione, posto che la finalità del sistema comune dell'IVA era proprio quella di garantire una perfetta neutralità dell'imposizione fiscale per tutte le attività economiche. Evidenziò, pure, che, corrispondendo la base imponibile al corrispettivo effettivamente ricevuto dal prestatore, non si poteva escludere il diritto alla detrazione per il fatto che il prezzo versato al prestatore fosse asseritamente sproporzionato.

Il giudice adito, partendo dalla considerazione che l'art. 120, lett. a), della legge sull'IVA, utilizzando l'espressione ‹‹sfrutti in altro modo››, richiedeva un utilizzo del servizio idoneo a far conseguire un risultato economicamente redditizio, ha sospeso il procedimento e proposto questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione dell'art. 168, lettera a), della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, al fine di acclarare se:

a) la detrazione dell'IVA relativa all'acquisto di beni al soggetto passivo sia preclusa quando, secondo la valutazione dell'amministrazione finanziaria, il servizio reso dall'emittente della fattura nell'ambito di un'operazione realizzata tra parti indipendenti non sia “proficuo” per le attività soggette a imposta del destinatario della fattura, in quanto il valore del servizio fornito dalla parte che emette la fattura è sproporzionato rispetto al profitto determinato dallo stesso servizio per il suo destinatario o perché detto servizio non ha generato alcun fatturato per il suo destinatario;

b) la detrazione dell'IVA possa essere negata quando, secondo la valutazione dell'amministrazione finanziaria, il servizio reso dall'emittente della fattura abbia un valore sproporzionato, per essere il servizio costoso ed il suo prezzo eccessivo rispetto a uno o più altri servizi presi a titolo di confronto.

La Corte di giustizia U.e. ha risolto la questione nei termini riportati in premessa (1).


La motivazione

1 – La decisione prende le mosse dalla constatazione che il diritto a detrazione costituisce parte integrante del meccanismo dell'IVA e che, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni.

Difatti, il sistema delle detrazioni è inteso ad esonerare interamente l'imprenditore dall'IVA dovuta o assolta, essendo il meccanismo applicativo dell'imposta incentrato sulla neutralità dell'imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle stesse, purché si tratti di attività di per sé soggette all'IVA.

In conformità alla finalità della disciplina unionale, che mira a stabilire un sistema comune dell'IVA basato, in particolare, su una definizione uniforme delle operazioni imponibili, la nozione di “cessione di un bene”, di cui all'articolo 14, paragrafo 1, della direttiva n. 2006/112/CE, ha carattere obiettivo e deve essere interpretata indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi, senza che l'Autorità fiscale sia obbligata a procedere a indagini per accertare la volontà del soggetto passivo o a tenere conto dell'intenzione dell'operatore intervenuto, a monte o a valle, nella catena di cessioni.

Inoltre, l'esercizio del diritto a detrazione, secondo la previsione dell'art. 168 della direttiva 2006/112, è subordinato, sotto il profilo sostanziale, sia alla effettiva cessione o fornitura di beni o servizi al soggetto passivo interessato alla detrazione da altro soggetto, non estendendosi all'imposta che risulti dovuta, ai sensi dell'art. 203 della stessa direttiva, solo perché addebitata in fattura, sia all'utilizzo dei beni e servizi scambiati, da parte del soggetto interessato, ai fini di sue operazioni soggette ad imposta. Sotto il profilo formale, l'art. 178 della direttiva 2006/112 prevede, poi, per l'esercizio del diritto in esame, di regola, il possesso di una fattura di acquisto redatta in conformità agli articoli da 220 a 236 e agli articoli da 238 a 240 della direttiva stessa (2).

Muovendo dall'esposta premessa, la decisione si sviluppa come di seguito riportato.

2 – Con specifico riferimento alla incidenza sul diritto alla detrazione del carattere eccessivo del prezzo fatturato per servizi resi al soggetto passivo, richiamando la propria giurisprudenza costante, la Corte ha, in primo luogo, sottolineato che il soggetto passivo può detrarre l'IVA assolta a monte a condizione che la prestazione di servizi sia stata effettuata a titolo oneroso e configuri un'operazione imponibile, il che si verifica quando sussista un “nesso diretto” tra il servizio reso ed il controvalore ricevuto, cosicché le somme versate costituiscono l'effettivo corrispettivo di un servizio fornito nell'ambito di un rapporto giuridico in adempimento del quale avviene lo scambio di reciproche prestazioni. In particolare – ha spiegato la Corte – sussiste un “nesso diretto” quando due prestazioni si condizionano reciprocamente, per cui l'una è effettuata solo a condizione che lo sia anche l'altra e viceversa, restando irrilevante, per contro, che un'operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo o al prezzo di mercato, non potendo tale circostanza compromettere il “nesso diretto” esistente tra le prestazioni di servizi effettuate o da effettuare ed il corrispettivo ricevuto o da ricevere (3).

L'importo dell'IVA che può essere detratto dal soggetto passivo deve essere calcolato in funzione della base imponibile e, secondo la regola generale enunciata all'articolo 73 della direttiva IVA, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui agli articoli da 74 a 77 di detta direttiva, la base imponibile comprende il corrispettivo effettivamente versato o da versare al fornitore o al prestatore da parte dell'acquirente, stabilito tra le parti, e non il valore oggettivo, come quello di mercato o di riferimento determinato dall'amministrazione finanziaria.

In via di eccezione a tale regola, allo scopo di prevenire ipotesi di elusione e di evasione fiscale, quando la cessione di beni e la prestazione di servizi si svolge tra destinatari collegati da legami familiari o altri stretti vincoli personali, gestionali, di associazione, di proprietà, finanziari o giuridici quali definiti dallo Stato membro interessato, l'art. 80 della direttiva IVA prevede che la base imponibile possa corrispondere al valore normale dell'operazione (4).

3 – Con riguardo al secondo profilo oggetto di questione pregiudiziale, se è vero che i beni ed i servizi acquistati devono essere impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta del soggetto passivo, tuttavia, come precisato dalla Corte, né l'art. 168, lettera a), né l'articolo 176, primo comma, della direttiva, secondo cui sono espressamente escluse dalla detrazione le spese non aventi un carattere strettamente professionale, quali le spese suntuarie, di divertimento o di rappresentanza, subordinano il diritto a detrazione a un criterio correlato all'aumento del fatturato del soggetto passivo, o, in termini più generali, a un criterio di redditività economica dell'operazione effettuata a monte.

Nell'ambito di tale valutazione, l'assenza di aumento del fatturato del soggetto passivo non può, dunque, incidere sull'esercizio del diritto a detrazione. E ciò perché il sistema comune dell'IVA garantisce la neutralità dell'imposizione fiscale per tutte le attività economiche, a prescindere dallo scopo o dai risultati delle stesse (5), purché dette attività siano di per sé soggette all'IVA. Una volta sorto, il diritto a detrazione rimane acquisito anche se, successivamente, l'attività economica prevista non è stata realizzata e non ha dato luogo ad operazioni soggette ad imposta o se il soggetto passivo non ha potuto utilizzare i beni o servizi che hanno dato luogo a detrazione nell'ambito di operazioni imponibili a causa di circostanze estranee alla sua volontà (6).

Ne discende che, la circostanza che il prezzo pagato sia eccessivo, perché superiore al prezzo di mercato o a un eventuale valore di riferimento determinato dall'amministrazione finanziaria per servizi analoghi o simili, non può giustificare un diniego dell'esercizio del diritto a detrazione a scapito del soggetto passivo. In tal caso, l'importo dell'IVA che può essere detratta dovrà essere determinato conformemente alla “base imponibile pertinente” (7), in funzione del corrispettivo effettivamente pagato dal soggetto passivo, emergente dalle fatture da quest'ultimo prodotte.

Compete, quindi, ai giudici nazionali verificare, nella fattispecie concreta, se la spesa sostenuta per l'acquisto di beni o servizi possa essere ricompresa tra le spese generali d'impresa, avendo come scopo la promozione di beni e servizi commercializzati dal soggetto passivo, o se, al contrario, la stessa si riveli priva di qualsiasi nesso con l'attività economica del soggetto passivo. Esula, invece, da tale valutazione ogni considerazione circa l'eventuale aumento di fatturato che possa derivare dall'acquisto dei beni o servizi.

4 - La conclusione è, quindi, che il diritto alla detrazione dell'IVA non può essere disconosciuto al soggetto passivo che l'abbia assolta a monte qualora la prestazione di servizi costituisca operazione soggetta all'IVA, ai sensi dell'art. 2 della direttiva IVA, e presenti un “nesso diretto ed immediato” con una o più operazioni imponibili a valle o con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo, a titolo di sue spese generali. Ciò, pur in presenza di un prezzo fatturato eccessivo rispetto a un valore di riferimento definito dall'amministrazione finanziaria nazionale e anche laddove i servizi acquistati non abbiano dato luogo ad un aumento del fatturato del soggetto passivo (8).

Considerazioni

1 – L'elemento centrale su cui poggia la decisione in rassegna è rappresentato dalla interpretazione che essa fornisce del termine “impiegati”, contenuto nell'art. 168 della direttiva IVA, riferito ai beni e servizi acquistati dal soggetto passivo per effettuare operazioni soggette ad imposta. Privilegiando il principio di neutralità dell'IVA, l'esercizio della detrazione è riconosciuto in funzione della destinazione dei beni e servizi acquistati dal soggetto passivo “a monte” nell'ambito dell'attività economica che dà luogo alla realizzazione di operazioni imponibili “a valle”, escludendo la necessità della dimostrazione, da parte del soggetto passivo, che l'utilizzo dei beni e servizi acquistati abbia generato un “profitto” o, comunque, un risultato economicamente apprezzabile, valutato in relazione ai ricavi che ne sono derivati e ai costi sostenuti.

La soluzione assicura continuità alla costante giurisprudenza unionale che, differenziando l'IVA dalle imposte sui redditi – ove la valutazione dell'antieconomicità può assumere valore sintomatico di mancata inerenza e di impossibilità di deduzione del costo - considera irrilevante ai fini della detrazione dell'imposta l'antieconomicità della spesa, salvo che risulti che non vi sia un nesso diretto tra il servizio prestato ed il corrispettivo ricevuto o che l'antieconomicità manifesta e macroscopica dell'operazione, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, sia tale da assumere rilievo quale indizio di non verità della fattura, e, dunque, di non verità dell'operazione stessa o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all'utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA (9).

In questa prospettiva, ai fini della detraibilità dell'IVA, non è neppure richiesto che il bene o il servizio venga effettivamente utilizzato nell'attività economica, dovendo piuttosto la destinazione dei beni e servizi acquistati essere valutata in una ottica prospettica ed essere giustificata dall'intenzione del soggetto passivo di esercitare una attività economica, ai sensi dell'art. 9, paragrafo 1, della direttiva IVA, che dia luogo ad operazioni imponibili, confermata da elementi oggettivi (10).

In sostanza, la Corte riafferma che il principio fondamentale di neutralità dell'IVA esige che l'Amministrazione finanziaria, una volta che disponga delle informazioni necessarie per accertare che i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti, non può imporre, riguardo al diritto del soggetto passivo di detrarre l'imposta, condizioni supplementari che possano produrre l'effetto di vanificare l'esercizio del diritto medesimo[3]. La detraibilità dell'imposta deve, quindi, essere accordata quando sia stata fornita, dal soggetto passivo, la prova certa della sussistenza delle condizioni sostanziali, riguardanti l'inerenza dell'acquisto rispetto all'attività d'impresa, anche se taluni requisiti formali sono stati omessi (11).

2 – Sul piano del nostro ordinamento nazionale, l'art. 19, comma 1, d.p.r. 633/1972, nel recepire la direttiva IVA, correla il diritto alla detrazione all'esercizio dell'attività d'impresa, anziché all'impiego di beni e servizi acquistati per realizzare operazioni imponibili, mentre il successivo comma 2 dello stesso art. 19, espressione del medesimo principio trasposto nell'ordinamento interno dall'art. 168 della direttiva IVA, prevede che la detrazione compete nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati per realizzare operazioni soggette all'imposta e presuppone, dunque, la correlazione tra l'acquisto dei beni e servizi e il loro impiego in operazioni soggette ad IVA.

In tale contesto normativo, i principi espressi dalla decisione della corte unionale rafforzano l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della nostra corte di legittimità, che, riallineando la nozione fiscale di inerenza al fenomeno economico peculiare all'esercizio dell'attività d'impresa, ha affermato che, in tema di IVA, il concetto di inerenza, inteso come correlazione di tipo qualitativo tra i costi e l'attività d'impresa, prescinde da valutazioni di tipo quantitativo o utilitaristico, in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico (12).

Necessario corollario di tale principio è che, in materia di IVA, l'inerenza del costo non può essere esclusa in base ad un giudizio di congruità della spesa e che l'eventuale antieconomicità delle operazioni, contestata dall'amministrazione finanziaria, non può spiegare alcuna incidenza sulla detrazione dell'imposta. Non rilevando, infatti, l'aspetto quantitativo, l'antieconomicità può eventualmente essere sindacata solo quando risulti talmente macroscopica da rilevare quale indizio dell'assenza di connessione tra il costo e l'attività d'impresa e, quindi, da costituire sintomo della falsità (o inesistenza) dell'operazione e di non inerenza della destinazione del bene o servizio all'utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA.

A tale approdo le citate pronunzie sono pervenute attraverso un percorso evolutivo che ha condotto la Corte di legittimità a superare una nozione di inerenza che, pur collegando il costo all'attività d'impresa, risultava limitativa rispetto alla realtà economica cui si rapportava, richiedendo la suscettibilità, anche solo potenziale, di arrecare, direttamente o indirettamente, una utilità all'attività d'impresa (13).

Dall'irrilevanza della mera antieconomicità dell'operazione deriva, ovviamente, un più rigoroso onere probatorio a carico dell'amministrazione finanziaria che potrà negare il diritto alla detrazione solo in presenza di elementi oggettivi che indichino la sussistenza di comportamenti fraudolenti o abusivi.

Sulla scia dell'orientamento giurisprudenziale sopra esposto, che si inserisce nell'alveo della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ed è, quindi, del tutto compatibile con l'interpretazione dell'art. 168 della direttiva IVA fornita dalla decisione in esame, in sintesi, la detrazione dell'IVA può essere esercitata in via immediata, sin dal momento dell'acquisto, in base alla destinazione prospettica dei beni e servizi acquistati, che deve essere giustificata dall'elemento (soggettivo) dell'intenzionalità di realizzare operazioni imponibili, in modo da ribaltare “a valle” l'imposta detratta “a monte”.

In questa stessa direzione si collocano, peraltro, sia le pronunzie della corte di legittimità che ammettono la detrazione dell'IVA anche in assenza di operazioni attive, purché siano dimostrabili, sul piano documentale, gli elementi che abbiano reso impossibile l'effettuazione di tali operazioni e sempre che la spesa risulti in stretta connessione funzionale con le finalità imprenditoriali, sia quelle che riconoscono il requisito di inerenza all'esercizio dell'attività d'impresa, con ciò giustificando il diritto di detrazione dell'IVA, per gli acquisti di beni e servizi compiuti in una fase in cui non vi è ancora produzione di ricavi, qualora sia riscontrata da elementi obiettivi l'intenzione del soggetto passivo di utilizzare un bene o un servizio per fini attinenti all'attività d'impresa (14).

Alla decisione della Corte di Giustizia qui in rassegna si uniforma anche un recente documento di prassi (Risposta all'interpello n. 219 del 26 marzo 2021) che, nel precisare che, ai fini del sindacato di inerenza di un costo, non è necessariamente richiesto un "nesso diretto e immediato" con una o più operazioni imponibili, essendo sufficiente anche che lo stesso rientri tra le "spese generali" del soggetto passivo e sia, in quanto tale, un elemento costitutivo del prezzo dei beni e servizi forniti (15), perviene a riconoscere che non è di ostacolo al diritto alla detrazione la circostanza che il costo sostenuto abbia ad oggetto servizi realizzati dal soggetto passivo su bene immobile di proprietà di un terzo non ordinariamente utilizzato nell'esercizio dell'impresa, a condizione, tuttavia, che il vantaggio che il terzo trae da tale prestazione di servizi sia accessorio rispetto alle esigenze del soggetto passivo e con la precisazione che, per poter essere qualificato come accessorio, il vantaggio di cui beneficia il terzo deve derivare da una prestazione di servizi effettuata nell'interesse proprio del soggetto passivo (16).

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, è evidente che la giurisprudenza della nostra Corte di legittimità e le determinazioni assunte dall'Amministrazione finanziaria italiana (diversamente da quella ungherese), in relazione alle questioni qui affrontate, sono già univocamente finalizzate a garantire l'esatta riscossione dell'IVA e ad evitare che le misure adottate per evitare fenomeni di evasione possano eccedere quanto necessario per conseguire tale obiettivo.

Note

(1) Punti da 21 a 40 della decisione.

(2) C.G.U.E. 11 novembre 2021, Ferimet, C- 281/20, punto 26 e giurisprudenza richiamata.

(3) Cfr. punti 26 e 27 della decisione e la giurisprudenza richiamata.

(4) Cfr. punti 28 e 29 della decisione

(5) Cfr. punto 23 della decisione.

(6) Cfr. punto 35 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata.

(7) Cfr. punto 28 della decisione.

(8) Cfr. punti da 36 a 40 della decisione.

(9) Tra le altre: C.G.U.E. 20 giugno 2013, in causa C- 219/12, Finanzamt Frerstadt Rohrbach, punto 25; 20 gennaio 2005, C-412/03, Hotel Scandic Gasaback, punto 22; 26 aprile 2012, C-621/10 e C-129/11, Balkan and Sea Properties e Provadinvest, punto 47; 9 giugno 2011, C - 285/10, Campsa Estaciones de Servici, punto 27; 2 giugno 2016, in C-263/15, Lajvér, punto 26.

(10) Cfr. C.G.U.E. 21 settembre 2017, SMS Group, causa C-441/16, punto 46.

(11) Cfr. C.G.U.E., 11 novembre 2021, Ferimet, C- 281/20, punto 34.

(12) Cfr. C.G.U.E. 11 novembre 2021, Ferimet, C. 281/20, punto 33 e giurisprudenza richiamata.

(13) Cfr. Cass. 450/18, 2240/18, 33574/18, 16010/19, 2867/19, 19341/20, 22005/20, 19212/21, 27961/21.

(14) Cfr. Cass. 10914/15, Cass. 9818/16, Cass. 13300/17, Cass. 20049/17, Cass. 5160/17; Cass. 6185/17.

(15) Cfr. Cass. 7488/20, 23817/17 (e, ma successiva alla decisione della Corte di giustizia qui in rassegna, Cass. 11324/22).

(16) Cfr. C.G.E. 14 settembre 2017, causa C- 132/16, Iberdrola, punto 29.

(17) Cfr. C.G.U.E., 1 ottobre 2020, causa C- 405/19, Vos Aannemingen Bvba, punto 43.