Misure di sicurezza e accertamento della pericolosità sociale
06 Ottobre 2022
È controversa la questione circa la possibilità o meno la misura di sicurezza di cui all'art. 417 c.p., nell'ipotesi di condanna per associazione mafiosa, in assenza di un previo reale accertamento della pericolosità sociale dell'agente.
La disposizione di cui all'art. 417 c.p., originariamente riferita all'art. 416 c.p., attualmente essa è applicabile esclusivamente in caso di condanna per i reati di cui agli artt. 416-bis e 416-ter c.p. e non 416 c.p., cui pure originariamente accedeva. In dottrina è stata proposta una interpretazione sostanzialmente analogica, alla luce della ratio normativa, che porterebbe a considerare la norma applicabile a tutte e tre le fattispecie, ma che confligge con i fondamentali criteri interpretativi del diritto penale.
Ricordo anche che in conseguenza dell'art. 31, comma 2, l. 10.10.1986, n. 663, che ha abrogato l'art. 204, sono scomparse dal nostro ordinamento le forme di pericolosità sociale presunta, perciò la stessa va oggi accertata, non solo per l'eventuale applicazione di misure detentive, ma anche per la libertà vigilata. Ciò dovrebbe essere valido anche per l'art. 7, l. 31.5.1965, n. 575, sostituito dall'art. 18 l. 13.9.1982, n. 646, secondo cui consegue obbligatoriamente una misura di sicurezza detentiva quando il soggetto sia già stato sottoposto definitivamente a misura di prevenzione durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione. Per il reato di cui all'art. 416-bis e 416 comma 6 c.p., tuttavia, l'art. 275, comma 3, c.p.p. pone a sua volta una presunzione di pericolosità.
In caso di condanna per uno dei delitti indicati dall'art. 417 la libertà vigilata deve essere applicata dal giudice senza effettuare alcun esame particolare della pericolosità del condannato, presunta dalla legge, mentre l'assegnazione ad una colonia agricola o a casa di lavoro può essere ordinata soltanto con adeguata motivazione, in base all'accertamento di un grado qualificato di pericolosità sociale, più intenso di quello presunto dalla legge (Cass pen., sez. II, 3 ottobre 1984). Anche dopo la l. 10.10.1986, n. 663, si continua ad affermare l'applicabilità della libertà vigilata in caso di associazione per delinquere di stampo mafioso a prescindere da qualsivoglia accertamento di pericolosità sociale, coerentemente con la presunzione posta dall'art. 275, comma 3, c.p.p. (Cass. pen., sez. V, 3 maggio 2001).
Secondo gli orientamenti più recenti della Suprema Corte nel caso di condanna per associazione di tipo mafioso l'applicazione della misura di sicurezza non richiede l'accertamento in concreto della pericolosità del soggetto; il che, peraltro, non dà luogo alla configurabilità di una pericolosità sociale presunta ex lege, dovendosi invece ritenere l'operatività di una presunzione semplice (desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla connaturata persistenza nel tempo del vincolo malavitoso), la quale è superabile quando siano acquisiti elementi idonei ad escludere la concreta sussistenza della pericolosità (Cass. pen., sez. I, 13 settembre 2021, n. 33951; Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio 2020, n. 4115).
Altro orientamento afferma invece che l'applicazione della misura di sicurezza ex art. 417 c.p. nei confronti di persone condannate per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso presuppone sempre l'accertamento di un'attuale pericolosità del soggetto ai sensi dell'art. 203 (Cass. pen., sez. I, 24 febbraio 2021, n. 7188; Cass. pen., sez. I, 13 agosto 2019, n. 35996).
Tale ultimo orientamento appare maggiormente in linea con i principi di garanzia del sistema penale, segnatamente stretta legalità e presunzione di non colpevolezza, oltre che con la natura afflittiva delle misure di sicurezza, collegate alla commissione di un reato o di un quasi reato (artt. 49, comma 2 e 115 c.p.) e con i canoni che governano l'onere probatorio in materia penale, i quali non ammettono l'uso di coefficienti presuntivi.
L'accertamento in concreto della pericolosità attuale del soggetto, pur non necessario al momento della pronuncia della sentenza di condanna, dovrà essere in ogni caso svolto dal magistrato di sorveglianza, alla luce degli elementi di cui all'art. 133 e del comportamento del condannato durante e dopo l'espiazione della pena (Cass. pen., sez. II, 11 marzo 2015, n. 28582).
La misura, in quanto discrezionale, non è applicabile in caso di condanna a pena condizionalmente sospesa, in forza del disposto dell'art. 164, comma 3 c.p. (Cass. pen., sez. II, 21 maggio 2021, n. 20323). |