Il danno da privazione della commessa rileva sul piano risarcitorio a titolo di lucro cessante

Angelica Cardi
07 Ottobre 2022

L'ingiusto danno della privazione della commessa rileva sul piano risarcitorio a titolo di lucro cessante. In relazione alla quantificazione di tale voce di danno, grava a carico dell'impresa danneggiata l'onere di una prova rigorosa della misura di utile effettivo che essa avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria dell'appalto. Il risarcimento dovuto va, dunque, parametrato al valore dell'appalto risultante dall'offerta economica di gara dell'avente diritto e al periodo di mancata esecuzione del servizio.

Il caso. L'impresa ricorrente, dopo essere risultata prima in graduatoria nella gara di appalto per l'affidamento del servizio di vigilanza, era stata esclusa per aver presentato con otto giorni di ritardo i giustificativi richiesti dalla stazione appaltante per la verifica dell'anomalia dell'offerta e per elusione della clausola sociale. La società ha, quindi, impugnato dinanzi al TAR il provvedimento di esclusione.

La soluzione. La sentenza in esame ha ritenuto fondato il ricorso. Al riguardo, il Collegio ha rilevato che l'impresa aveva presentato i giustificativi con soli otto giorni di ritardo corredati da una plausibile giustificazione e, ad ogni modo, in tempo utile per le sedute fissate dalla Commissione di gara per la valutazione dell'anomalia delle offerte. In tal senso, il TAR ha richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui “la mancata o anche la sola tardiva produzione delle giustificazioni dell'offerta e degli eventuali chiarimenti non possono comportare l'automatica esclusione dell'offerta sospettata di anomalia, essendo in ogni caso la stazione appaltante obbligata alla valutazione della stessa, ovviamente sulla sola scorta della documentazione posseduta, per accertarne l'idoneità e l'adeguatezza ai fini della corretta esecuzione dell'appalto, giacché i termini indicati nell'art. 88, d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (rispettivamente di quindici giorni per la presentazione delle giustificazioni e di cinque giorni per fornire le precisazioni o i chiarimenti richiesti) non sono perentori, ma sollecitatori, avendo lo scopo di contemperare gli interessi del concorrente a giustificare l'offerta e quelli dell'amministrazione alla rapida conclusione del procedimento di gara”.

Quanto all'affermata elusione della clausola sociale, il Collegio, dopo aver ricostruito la normativa rilevante in materia (art. 50 d.lgs. n. 50/2016), ha ribadito come la clausola sociale non può essere intesa in senso rigido: è condizione stessa di validità della clausola la sua elasticità nel senso che “va formulata e intesa in maniera elastica e non rigida, rimettendo all'operatore economico concorrente finanche la valutazione in merito all'assorbimento dei lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario, anche perché solo in questi termini essa è conforme alle indicazioni della giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l'obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d'impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell'appalto”. Escluso, pertanto, l'obbligo di assorbire tutto il personale già impiegato nel precedente gestore, il Collegio ha rilevato l'assenza di violazione da parte della ricorrente della clausola sociale.

Ciò posto, il Collegio ha accolto il ricorso con conseguente annullamento del provvedimento di aggiudicazione definitiva e dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato nelle more con la controinteressata.

Quanto al profilo attinente al risarcimento del danno, la relativa domanda è stata accolta limitatamente al periodo di mancata esecuzione del servizio. Il TAR ha precisato che l'illegittimità dell'aggiudicazione in favore della controinteressata ha cagionato all'impresa ricorrente l'ingiusto danno della privazione della commessa dal cui espletamento avrebbe potuto ricavare un utile che le è stato precluso, rilevando, pertanto, sul piano risarcitorio, a titolo di lucro cessante.

In relazione alla quantificazione di tale voce di danno, il Collegio ha affermato che grava a carico dell'impresa danneggiata l'onere di una prova rigorosa della misura di utile effettivo che essa avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria dell'appalto. Nel caso in esame, tuttavia, la ricorrente non ha offerto nessuna particolare prova.

Ne consegue, pertanto, secondo il TAR, la ragionevolezza di una detrazione dal risarcimento del mancato utile, diffusamente affermata dalla giurisprudenza di settore (in particolare, nella misura del 50%), sia dell'aliunde perceptum, sia dell'aliunde percipiendum con l'originaria diligenza. Nessuna somma, invece, è stata riconosciuta a titolo di danno emergente poiché la pretesa non era sorretta da prova ex art. 2697 c.c.

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