La Corte di Giustizia sulla questione della efficacia diretta della proporzionalità delle sanzioni

Valentina Pirozzi
Valentina Pirozzi
23 Settembre 2022

La Corte di giustizia, chiamata nuovamente ad interrogarsi sulla questione della efficacia diretta della proporzionalità delle sanzioni, muta indirizzo giurisprudenziale aprendo la strada alla disapplicazione giudiziaria delle norme sanzionatorie interne.
Il caso

Lo scorso 8 marzo 2022, la Corte di Giustizia, riunita in Grande Sezione, ha depositato una sentenza che afferma il principio secondo il quale il criterio di proporzionalità delle sanzioni - sancito dall'articolo 20 della direttiva 2014/67/UE, relativa al distacco dei lavoratori, per le violazioni delle disposizioni nazionali adottate in attuazione dalla stessa - è dotato di effetto diretto nell'ordinamento degli Stati membri.

Ne consegue, quindi, che il giudice penale, nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione, sarà tenuto a disapplicare le discipline legislative nazionali contrastanti, seppur “nei soli limiti necessari per consentire l'irrogazione di sanzioni proporzionate”.

È interessante evidenziare che la Quinta Sezione della stessa Corte, pochi anni addietro (Sentenza Link Logistic C- 384/17 del 4 ottobre 2018), sempre sul profilo specifico della efficacia diretta della proporzionalità della sanzione (previsto dall'articolo 9-bis della direttiva 1999/62/CE), era apparsa esprimersi in senso sostanzialmente antitetico.

In tale occasione infatti la Corte osservò che una direttiva che impone l'adozione di sanzioni proporzionate attribuisce al giudice nazionale un ampio potere discrezionale quanto alla configurazione di tali sanzioni e non stabilisce alcun criterio per valutare la loro proporzionalità, apparendo dunque disconoscere l'efficacia diretta di tale disposizione.

Una contraria interpretazione, concludeva allora la Corte, avrebbe condotto, in pratica, “alla eliminazione del potere discrezionale conferito ai suoi legislatori nazionali, ai quali spetta predisporre un adeguato regime sanzionatorio”.

Il caso che ha originato questo mutamento giurisprudenziale riguarda un legale rappresentante di una società slovacca che aveva distaccato alcuni dei suoi dipendenti presso un'impresa austriaca.

A seguito di accertamenti, egli viene condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria di 54.000 euro in ragione della inosservanza di vari obblighi concernenti, essenzialmente, la redazione e la conservazione da parte della società della documentazione relativa ai rapporti di lavoro subordinato con i propri dipendenti stranieri distaccati in Austria.

L'interessato aveva impugnato la sanzione dinanzi al tribunale amministrativo regionale austriaco, il quale a sua volta aveva investito la Corte di giustizia di una domanda pregiudiziale sulla conformità al diritto dell'Unione di sanzioni quali quelle previste dalla normativa nazionale applicate nel procedimento principale.

Il Tribunale aveva chiesto alla Corte di chiarire, in primo luogo, se il principio di proporzionalità delle sanzioni sancito dall'articolo 20 della direttiva 2014/67 costituisca una disposizione direttamente applicabile; e, in secondo luogo se il diritto UE richieda ai giudici, in assenza di intervento legislativo, di integrare le disposizioni nazionali sulla misura delle sanzioni sulla base del generale criterio di proporzionalità.

La posizione della Corte

Quanto alla prima questione, la Corte afferma, innanzitutto, che il requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto da detta disposizione presenta un carattere incondizionato, risolvendosi in un divieto, di portata assoluta, di adottare soluzioni “sproporzionate”.

La Corte afferma poi che tale requisito presenta altresì carattere sufficientemente preciso, indicando che il margine di discrezionalità lasciato da tale disposizione agli Stati membri per definire il regime di sanzioni applicabile in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in virtù della direttiva trova i suoi limiti nel divieto enunciato in maniera generale e in termini inequivocabili di prevedere sanzioni sproporzionate.

Anche l'esistenza del già richiamato margine discrezionale non esclude pertanto che possa essere effettuato un controllo giurisdizionale sulla trasposizione di tale disposizione.

Inoltre, il divieto di adottare sanzioni sproporzionate, conseguente a tale requisito, non richiede l'intervento di alcun atto delle istituzioni dell'Unione e tale disposizione non conferisce agli Stati membri la facoltà di condizionare o di restringere la portata di tale divieto.

In forza tali considerazioni, la Corte conclude sostenendo che il requisito della proporzionalità stabilito dalla direttiva 2014/67 deve ritenersi dotato di effetto diretto, potendo conseguentemente essere invocato dall'imputato nella controversia penale che lo riguarda.

Da tale prima conclusione discende che le autorità nazionali hanno l'obbligo di disapplicare la parte della normativa nazionale da cui deriva il carattere sproporzionato delle sanzioni, in modo da “giungere alla irrogazione di sanzioni proporzionate, che permangono, nel contempo, effettive e dissuasive”.

Per eliminare l'incompatibilità della legge nazionale con il diritto dell'Unione, pertanto, non è necessario disapplicare in toto la normativa nazionale, essendo viceversa sufficiente una disapplicazione parziale che consenta di ricondurre la sanzione applicata entro i limiti della proporzione.

La Corte precisa che la circostanza che la sanzione irrogata sarà meno severa della sanzione prevista dalla normativa nazionale applicabile poi non può dirsi incompatibile con i principi di certezza del diritto, di legalità dei reati e delle pene e di irretroattività del diritto penale, in quanto la sanzione è comunque adottata in applicazione di detta normativa.

Inoltre, concludono i Giudici di Lussemburgo, poiché il requisito di proporzionalità previsto dall'articolo 20 della direttiva 2014/67 impone una limitazione delle sanzioni che deve essere osservata da tutte le autorità nazionali competenti in materia, pur consentendo loro di irrogare sanzioni diverse a seconda della gravità dell'infrazione in base alla normativa nazionale applicabile, è da ritenersi escluso che tale requisito violi il principio della parità di trattamento.