Oltre l'errore: abnormità del provvedimento e impasse processuale
10 Ottobre 2022
Il G.u.p. dichiarava nulla la richiesta di rinvio a giudizio per asserita diversità dei fatti ivi descritti rispetto a quelli riportati nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari. Il Procuratore della Repubblica impugnava quindi l'ordinanza del G.u.p. rilevandone l'abnormità.
Nell'affrontare il caso sottopostole, la Corte di Cassazione precisa anzitutto la sostanziale differenza di funzioni tra l'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p. e la richiesta di rinvio a giudizio prevista dall'art. 417 c.p.p. in ciò rilevando anche una non sovrapponibilità di contenuti. Con l'avviso di conclusione delle indagini, contenente un'enunciazione solo sommaria dei fatti, si rende edotto l'indagato delle indagini svolte e lo si informa del diritto a prendere visione dei documenti raccolti nonché di presentare eventuali memorie, svolgere indagini difensive o chiedere di essere interrogato. Tale avviso non ha però anche la funzione di contestare il fatto reato all'indagato, essendo a questo scopo preposta la richiesta di rinvio a giudizio, che deve, al contrario, contenere un'enunciazione dei fatti chiara e precisa.
In ragione di tale diversità di scopi, il G.u.p. avrebbe pertanto errato nel ritenere nulla la richiesta di rinvio a giudizio. Pur con tale premessa, però, non si può ritenere che l'ordinanza impugnata sia affetta da abnormità del provvedimento, essendo tali gli atti che si pongono fuori dall'ordinamento e che comportano una stasi procedimentale irreversibile; il giudice, nel caso de quo ha comunque esercitato un potere riconosciutogli dalla legge e, in ogni caso, il PM ben avrebbe potuto disporre la rinnovazione degli atti ritenuti, pur erroneamente, viziati. Alla stregua di diverse pronunce delle Sezioni Unite è affetto da abnormità solo il provvedimento che, «per singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale e tale sia anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite» (Cass. pen., sez. un., 10 dicembre 1997, n. 17, Cass. pen., sez. un., 24 novembre 1999, n. 26).
Sempre le Sezioni Unite (Cass. pen., sez. un., 26 marzo 2009, n. 25957) ricordano che «non si può ricorrere alla categoria dell'abnormità quando l'atto o il provvedimento che si vuole rimuovere rientri nei poteri del giudice che lo ha adottato, e cioè discende da un potere riconosciuto o attribuito dalla legge, dato che in tal caso nessuna estraneità al sistema può evidenziarsi».
Per tali ragioni, il provvedimento impugnato nel caso in esame è sì un provvedimento “contro norma”, ma non “extra norma” e pertanto non è da qualificarsi come abnorme, ma solo errato. In conclusione, l'aver comportato una regressione processuale non irreversibile non è sufficiente a definire l'atto oggetto di impugnazione come abnorme, essendo a tal fine necessario che tale stasi processuale non sia risolvibile in altra maniera se non con l'adozione di un atto nullo, che in quanto tale non potrebbe risolvere lo stallo creatosi.
Per tali ragioni, non ravvedendo la Suprema Corte i requisiti per dichiarare abnorme l'ordinanza impugnata dal Pubblico Ministero, rigetta il ricorso. |