I nuovi criteri di approvazione delle procedure di concordato preventivo introdotti dal CCI

Angelo Sica
Lorenzo Rossi
12 Ottobre 2022

Gli Autori analizzano le più significative novità in tema di approvazione delle procedure di concordato preventivo, sia liquidatorie sia in continuità aziendale, introdotte dal CCI. In particolare, approfondiscono i nuovi criteri di formazione delle classi di creditori, quelli per l'ammissione al voto dei creditori privilegiati nonché le nuove maggioranze richieste per l'approvazione delle procedure di concordato preventivo.
I criteri per la formazione delle classi di creditori e per l'approvazione delle procedure di concordato preventivo nella legge fallimentare

L'istituto della suddivisione dei creditori in classi, previsto, seppur con alcuni distinguo, anche nel CCI, è stato introdotto solo recentemente nel nostro ordinamento.

In particolare, l'art. 160, comma 1, lett. c), L. Fall., nella sua formulazione successiva al 2005, stabiliva che il piano di concordato potesse prevedere la suddivisione dei creditori in classi.

Come noto, l'introduzione di questa previsione normativa trae ispirazione da due differenti esigenze: da un lato, quella di agevolare l'imprenditore nell'accesso alla procedura di concordato preventivo e, dall'altro lato, quella di perseguire in modo ancor più pregnante la parità di trattamento dei creditori.

È evidente, infatti, come, attraverso la suddivisione dei creditori in classi, il legislatore abbia permesso all'imprenditore di progettare la struttura di piano più confacente alle caratteristiche, oggettive e soggettive, dei crediti concorsuali, per ottenere l'omologazione del concordato preventivo.

D'altra parte, mediante la suddivisione in classi al debitore risulta possibile differenziare il trattamento del ceto creditorio sulla base della specifica posizione di ciascun gruppo di creditori, attribuendo una migliore soddisfazione ad alcuni ed una peggiore ad altri. In altri termini, suddividere i creditori in classi significa poter trattare in modo differente creditori collocati in classi diverse, rompendo la tradizionale uniformità del grado di soddisfazione dei chirografari.

Classare i creditori, dunque, nonostante qualche isolata pronuncia difforme, equivale a prevedere un trattamento differenziato tra creditori.

È bene precisare che, nonostante si sia levata in dottrina qualche voce di senso contrario, l'opinione prevalente degli interpreti è che la suddivisione dei creditori in classi nell'ambito del piano, sotto la vigenza della legge fallimentare, fosse una mera facoltà e non un obbligo per il debitore.

Conduceva a questa conclusione lo stesso tenore letterale dell'art. 160, comma 1, L. Fall., laddove stabiliva che il piano poteva (e non doveva) prevedere la suddivisione in classi dei creditori.

Analogamente, l'art. 177 L. Fall. stabiliva che il concordato preventivo potesse dirsi approvato nell'ipotesi di voto favorevole della maggioranza dei creditori ammessi al voto e, nel caso di previsione di diverse classi di creditori, solamente laddove, oltre alla maggioranza assoluta dei medesimi, la proposta fosse stata approvata dalla maggioranza delle classi istituite.

A tale conclusione, inoltre, conducevano anche esigenze di coerenza della disciplina del diritto concorsuale, alla luce delle disposizioni che regolavano il concordato fallimentare nel pregresso sistema.

La rimessione all'imprenditore della scelta se suddividere o meno i creditori in classi, peraltro, non comportava assoluta libertà dell'imprenditore nella costituzione delle medesime, dovendo il proponente rispettare, nella definizione del piano, alcuni criteri imposti dalla legge.

Nel dettaglio, l'art. 160, comma , lett. c), L. Fall. stabiliva che le eventuali classi istituite nel piano di concordato avrebbero dovuto rispecchiare la «posizione giuridica» e gli «interessi economici» dei creditori. Più precisamente, all'interno di una classe potevano trovare collocazione solo creditori aventi posizione giuridica e interessi economici con carattere omogeneo.

L'utilizzo della congiunzione «e» (in luogo di «o») non è per nulla casuale, avendo inteso il legislatore imporre all'imprenditore il rispetto congiunto (e non alternativo) dei due criteri normativi nell'attività di classamento.

Peraltro, sebbene la legge stabilisse i criteri che il debitore avrebbe dovuto rispettare nel creare le classi, non veniva definito il significato delle due nozioni, lasciando così all'interprete il compito di declinarne il contenuto.

La giurisprudenza che si è stratificata nel tempo, anche seguendo gli orientamenti dottrinali formatisi sul tema, aveva variamente decodificato il criterio della «posizione giuridica», anzitutto richiamando la tradizionale distinzione tra il carattere chirografario o quello privilegiato del credito, sino ad arrivare ad intenderlo come natura oggettiva e qualità intrinseca dello stesso diritto, per permettere la differenziazione tra crediti in contestazione o non contestati, tra crediti assistiti da garanzie ovvero privi, tra crediti che trovavano causa in un titolo esecutivo oppure no, e via discorrendo.

Diversamente, il criterio degli «interessi economici», ad avviso di dottrina e giurisprudenza, si rifà prevalentemente alle caratteristiche soggettive del creditore, come ad esempio l'appartenenza di quest'ultimo ad una determinata categoria economica.

In questo senso, si sarebbero dovuti differenziare le banche e gli istituti finanziari dai fornitori e, tra questi ultimi, i fornitori strategici (per la prosecuzione dell'attività di impresa) da quelli rispetto ai quali non era essenziale la prosecuzione dei rapporti commerciali dopo l'omologazione del concordato preventivo.

In ordine al classamento ed al rispetto dei criteri indicati dalla legge, di cui si è dato atto poco sopra, il tribunale era chiamato ad esprimersi in occasione del vaglio di ammissibilità della domanda di accesso al concordato preventivo.

Sebbene si sia potuto riscontrare qualche provvedimento in senso contrario, talvolta già ispirato alle logiche ed alle previsioni del (non ancora entrato in vigore) CCI (cfr. Trib. Milano 22 aprile 2021), il sindacato del tribunale, anche in ragione della facoltà dell'imprenditore, non poteva spingersi durante la vigenza della legge fallimentare sino alla scelta di formare o meno delle classi di creditori. In altre parole, se il ricorrente riteneva opportuno non costituire classi l'autorità giudiziaria non avrebbe potuto sanzionare in alcun modo tale scelta, compiuta nell'alveo della discrezionalità concessa al debitore.

Al contrario, il tribunale era tenuto a giudicare il corretto utilizzo dei criteri di legge e classamento dei creditori.

Il vaglio del tribunale, peraltro, non poteva in alcun modo comportare interferenze sulle scelte dell'imprenditore, attraverso un intervento di carattere sostitutivo alle valutazioni da quest'ultimo formulate. In altre parole, l'autorità giudiziaria non avrebbe potuto né riformulare la suddivisione delle classi individuate dal ricorrente né ridefinire le risorse da attribuire alle classi.

In ogni caso, come accennato in precedenza, l'art. 177 L. Fall. prevedeva che il concordato preventivo il cui piano avesse previsto il classamento dei creditori dovesse essere approvato sia dalla maggioranza delle classi istituite dal debitore che dai creditori che rappresentavano la maggioranza assoluta dei crediti ammessi al voto.

Nel rispetto del principio maggioritario, in ipotesi di approvazione della maggioranza, la minoranza avrebbe dovuto subire le conseguenze delle previsioni contenute nel piano di concordato preventivo.



I criteri di formazione delle classi di creditori nel CCI

L'art. 2, comma 1, lett. r), CCI definisce la classe di creditori un “insieme di creditori che hanno posizione giuridica e interessi economici omogenei”.

Per quanto riguarda nello specifico le procedure di concordato preventivo, l'art. 85, comma 1, CCI prevede che il piano possa “prevedere la suddivisione dei creditori in classi con trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse”.

Il secondo comma dell'art. 85 CCI individua alcune categorie di creditori per le quali la previsione di un'apposita classe è obbligatoria, ovvero:

  • per i creditori titolari di crediti tributari o previdenziali dei quali non sia previsto il pagamento integrale;
  • per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi;
  • per i creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro;
  • e, infine, per i creditori proponenti il concordato e per le parti ad essi correlate.

Il terzo comma dell'art. 85 CCI prevede, invece, alcune disposizioni specifiche per il concordato preventivo in continuità aziendale, nel quale “la suddivisione dei creditori in classi è in ogni caso obbligatoria”, individuando ulteriori categorie di creditori per le quali occorre individuare un'apposita classe, ovvero:

  • “i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, interessati dalla ristrutturazione perché non ricorrono le condizioni di cui all'art. 109 comma 5 CCI”, condizioni di cui si dirà nel successivo paragrafo;
  • “le imprese minori [ovvero le imprese che presentino congiuntamente: un attivo patrimoniale non superiore ad euro trecentomila, ricavi annui non superiori ad euro duecentomila ed un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiori ad euro cinquecentomila], titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi”.

L'ultimo comma prevede, infine, che “il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione”, ovvero la possibilità di differenziare il trattamento dei creditori appartenenti a classi diverse prevista al comma 1 dovrà essere, in ogni caso, limitata dal rispetto della cause legittime di prelazione. Ciò significa che la proposta di concordato preventivo non potrà in alcun modo prevedere, pena l'inammissibilità della stessa, una soddisfazione maggiore, sia in termini monetari che temporali, per una classe di creditori avente un grado di privilegio inferiore rispetto ad una classe avente un grado di privilegio superiore.

L'ultimo periodo dell'ultimo comma dell'art. 85 CCI prevede, tuttavia, delle possibilità di deroga a tale principio, regolate dall'art. 84, commi 5, 6 e 7 CCI.

In particolare, l'art. 84, comma 5, CCI stabilisce che “i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente. La quota residua del credito è trattata come credito chirografario”.

Tale comma prevede quindi la possibilità di stralcio dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, purchè la proposta preveda per tali creditori una soddisfazione almeno pari al valore di cessione dei beni o dei diritti sui quali sussiste il privilegio nell'ambito di una procedura di liquidazione giudiziale, al netto delle spese di procedura e della quota parte delle spese generali attribuibili al bene. La congruità del conteggio di tale valore dovrà essere attestato da un “professionista indipendente” così come definito dall'art. 2, comma 1, lett. o,) CCI, ovvero da un professionista che, oltre a non essere legato all'impresa da rapporti di natura personale o professionale, dev'essere iscritto all'albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese, nel registro dei revisori legali ed essere in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2399 c.c.

La quota del credito vantata dai creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca non soddisfatta dovrà, invece, subire lo stesso trattamento riservato ai creditori chirografari.

Il sesto comma dell'art. 84 CCI, recependo le disposizioni previste nell' art. 11 Dir. Insolvency (Dir. 1023/2019), prevede, invece, per il concordato preventivo in continuità, il superamento del principio della cd. “priorità assoluta”, che non permette alcuna soddisfazione del creditore di rango inferiore se non vi è stata la piena soddisfazione del creditore di grado superiore. Secondo tale principio, infatti, non era possibile alcuno stralcio dei creditori privilegiati sino a capienza dei valori dell'attivo, ed eventuali creditori insoddisfatti potevano essere soddisfatti solamente mediante l'apporto di risorse esterne. Tale comma dispone infatti che: “nel concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”.

Nel concordato preventivo in continuità aziendale, quindi, l'attivo concordatario potrà essero distinto in due parti:

  • la prima, di importo pari al valore di liquidazione dell'attivo in caso di liquidazione giudiziale, che dovrà essere distribuita ai creditori secondo il principio della priorità assoluta, ovvero nel pieno rispetto della cause legittimente di prelazione;
  • la parte eccedente tra l'attivo previsto nella proposta a favore dei creditori ed il valore di liquidazione, invece, potrà essere distribuita liberamente tra i creditori, purchè i creditori aventi grado superiore vengano sempre soddisfatti in misura superiore ai creditori aventi grado inferiore, cd. principio della “priorità relativa”.

Il settimo comma dell'art. 84 CCI, tuttavia, prevede una deroga a tale libertà di distribuzione ai creditori del “valore eccedente quello di liquidazione” a favore dei creditori privilegiati ex art. 2751-bis n. 1 c.c., i quali dovranno sempre essere “soddisfatti, nel concordato in continuità aziendale, nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione sul valore di liquidazione e sul valore eccedente il valore di liquidazione”. Tale comma provede quindi una maggior tutela per i lavoratori dipendenti rispetto agli altri creditori privilegiati, i quali dovranno essere soddisfatti, salvo casi eccezionali in cui l'attivo concordatario non fosse capiente, integralmente.

Nella formazione delle classi andrà considerato altresì il trattamento specifico da riservare ai crediti tributari e contributivi previsto dall'art. 88 c. 1 ultimo periodo CCI, secondo il quale “se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, anche a seguito di degradazione per incapienza, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri crediti chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei crediti rispetto ai quali e' previsto un trattamento più favorevole”. La norma prevede quindi che la proposta non possa prevedere un trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi rispetto agli altri creditori chirografari, e ciò dovrà essere confermato dal “professionista indipendente” nella propria attestazione.

In caso di presentazione di un'offerta concorrente da parte di un creditore, lo stesso, unitamente alla società da questo controllate, le società controllanti o sottoposte a comune controllo ai sensi dell'art. 2359 c. 1 c.c., avranno diritto di voto solamente se inseriti in apposita classe ai sensi dell'art. 109, comma 7, CCI.

Infine, il superamento del principio di priorità assoluta previsto dal CCI nelle procedure di concordato preventivo in continuità aziendale comporta, in linea di principio, la possibilità di soddisfacimento all'interno di tale procedure anche dei soci anteriori alla presentazione della domanda. Tale possibilità sembra confermata dalle previsioni dell'art. 120 quater CCI, che stabilisce le “condizioni di omologazione del concordato con attribuzione ai soci”.

In tale ipotesi, occorrerà prevedere, ai sensi dell'art. 120 ter CCI, la formazione “di una classe di soci o di più classi se esistono soci ai quali lo statuto, anche a seguito delle modifiche previste dal piano, riconosce diritti diversi”.

Il successivo art. 120 ter, comma 2, CCI prevede l'obbligatorietà della formazioni delle classi indicate dal comma 1 “se il piano prevede modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci e, in ogni caso, per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio”, stabilita in ogni caso nelle procedure di concordato in continuità aziendale.

L'art. 120 ter, comma ,3 CCI prevede che i soci esprimano il proprio voto nei medesimi termini previsti per gli altri creditori, nonché che abbiano diritto di voto, indipendentemente dai diritti loro riconosciuti dallo statuto, “in misura proporzionale alla quota di capitale posseduta anteriormente alla presentazione della domanda”.

L'ultimo periodo del comma 3, tuttavia, contrariamente al principio generale del “silenzio-dissenso”, prevede che qualora il socio non abbia espresso il proprio dissenso entro il termine previsto per l'espressione del voto, tale voto debba ritenersi consenziente.

L'ultimo comma dell'art. 120 ter CCI dispone, infine, che tali disposizioni si applichino, in quanto compatibili, anche “ai titolari di strumenti finanziari, a eccezione di quelli che attribuiscono il diritto incondizionato al rimborso anche parziale dell'apporto”.



Le tempistiche per il soddisfacimento dei creditori privilegiati ed i criteri per l'ammissione al voto previsto dal CCI

L'art. 86 CCI dispone che nel concordato preventivo in continuità sia possibile prevedere una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, a meno che sia prevista la liquidazione dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Contrariamente, quindi, a quanto era previsto nella legge fallimentare dove l'art. 186 bis, lett. c) L.Fall. prevedeva, nell'ultima formulazione, un moratoria fino a due anni dall'omologazione della proposta, nel CCI non viene posto alcun limite temporale per la moratoria per il pagamento dei creditori privilegiati.

Tuttavia, il secondo periodo dell'art. 86 CCI stabilisce un limite temporale, che sembrerebbe inderogabile, alla moratoria per quanto riguarda i crediti assistiti dal privilegio previsto dall'art. 2751 bis n. 1 c.c. Nello specifico, per tali crediti è previsto, pena l'inammissibilità della proposta, che la moratoria non possa eccedere i sei mesi dall'omologazione della proposta di concordato preventivo.

Per quanto riguarda l'ammissione al voto, invece, l'art. 109 c. 5 CCI stabilisce che i creditori muniti di diritto di prelazione debbano essere ammessi al voto e considerati ai fini del conteggio delle maggioranze a meno che gli stessi: (i) vengano soddisfatti in denaro, ovvero non con prestazioni alternative, c.d. datio in solutum, (ii) integralmente, ed (iii) entro centottanta giorno dall'omologazione della proposta di concordato preventivo. Per i creditori ipotecari e pignoratizi è prevista un'ulteriore condizione, che consiste nella permanenza della garanzia reale che assiste il credito fino alla liquidazione, funzionale al loro pagamento, dei beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

Per pagamento integrale si intende, ovviamente, il pagamento del credito nella misura della capienza dei beni oggetto della garanzia, nel rispetto della stima del professionista indipendente incaricato, ciò in quanto il credito, per la parte incapiente, deve essere degradato al chirografo con conseguente inapplicabilità dell'art. 109 c. 5 CCI.

Anche in questo caso viene prevista una maggior tutela per i lavoratori dipendenti, in quanto la norma prevede, a favore di tali creditori privilegiati, una riduzione del termine a soli trenta giorni . Ne consegue che anche i lavoratori dipendenti andranno ammessi al voto nel caso in cui la proposta ne preveda la soddisfazione in un arco temporale superiore a trenta giorni dall'omologazione delle proposta di concordato preventivo, fermo restando il termine perentorio di centottanta giorni previsto dall'art. 86 CCI per la moratoria.

All'art. 109 CCI viene precisato altresì che i creditori muniti di diritto di prelazione, per i quali la proposta di concordato non preveda la soddisfazione integrale, abbiano diritto al voto e debbano essere equiparati ai creditori chirografari per la quota residua del credito, che dev'essere inserita in una classe distinta.

Occorrerà quindi distinguere il credito privilegiato in due parti distinte.

La prima, relativa all'importo del credito capiente sul bene oggetto di garanzia, che avrà diritto di voto solamente nel caso in cui la soddisfazione prevista nella proposta non rispetti i requisiti previsti dall'art. 109 c. 5 CCI.

La seconda parte, residuale rispetto alla prima, che (i) andrà considerata quale credito chirografario, (ii) andrà inserita in apposita classe insieme a tutti gli altri creditori privilegiati degradati aventi lo stesso grado di privilegio, ed (iii) avrà sempre diritto di voto.

Quanto all'importo per cui i creditori privilegiati soddisfatti integralmente, ma oltre i termini previsti dall'art. 109 c. 5 CCI, debbano essere ammessi al voto , l'iniziale versione dell'art. 86 CCI prevedeva che i creditori avvessero diritto al voto per “la differenza fra il loro credito maggiorato degli interessi di legge e il valore attuale dei pagamenti previsti nel piano calcolato alla data di presentazione della domanda di concordato, determinato sulla base di un tasso di sconto pari alla metà del tasso previsto dall'art. 5 del decreto leglislativo 9 ottobre 2022, n. 231, in vigore nel semestre in cui viene presentata la domanda di concordato preventivo”.

Tale periodo è stato tuttavia eliminato nell'attuale formulazione dell'art. 86 CCI, che non prevede ora alcun criterio per individuare l'importo da ammettere al voto per i creditori privilegiati soddisfatti integralmente in denaro ma oltre il termine di centottanta giorni dall'omologazione della proposta di concordato preventivo, che si riducono a trenta per i creditori privilegiati ex art. 2751 bis n. 1 c.c.

Nella relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva Insolvency, approvato dal Consiglio dei ministri, il legislatore chiarisce che “se non concorrono queste condizioni i creditori, anche se pagati integralmente, vanno inseriti in classi separate (come dispone l'articolo 112 di cui si dirà di seguito) e voteranno per l'intero credito”.

Tuttavia, ad avviso degli scriventi, ciò risulta in contrasto con quanto riportato nella medesima relazione illustrativa, dove viene affermato che “considerare sempre i creditori privilegiati quali parti interessate aventi diritto di voto imporrebbe, nel concordato in continuità, in cui la formazione delle classi è obbligatoria, la predisposizione di classi distinte per ciascun grado di privilegio. Ciò significa che, considerato l'ingente numero delle cause legittime di prelazione esistenti nell'ordinamento nazionale, le proposte di concordato in continuità diverrebbero ancor più complesse da predisporre (per il debitore, o per i creditori ed i soci in caso di proposte concorrenti) e da verificare (per il commissario giudiziale e per il tribunale), rendendo la procedura più lunga e farraginosa”, nonché con l'indirizzo adottato dalla giurisprudenza di legittimatà negli ultimi anni.

Ai fini della determinazione dell'importo del credito privilegiato soddisfatto integralmente in denaro ma oltre i termini di moratoria previsti dal CCI occorrerrà, pertanto, a nostro avviso, fare riferimento alla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 9 maggio 2014 n. 10112; Id. 26 settembre 2014, n. 20388; Cass. 4 febbraio 2020, n. 2422), secondo la quale “un pagamento dilazionato implica un soddisfacimento solo parziale dei creditori, perché il ritardo con il quale questi conseguono la disponiblità delle somme loro spettanti si traduce in una perdita economica”; perdita economica che corrisponderà all'importo per il quale andranno ammessi al voto i creditori privilegiati.

L'attribuzione del diritto di voto per l'intero importo a tali creditori, infatti, “attribuirebbe un peso eccessivo al voto dei privilegi dilazionati e creerebbe, dunque, un rischio di inquinamento delle maggioranza, in favore di creditori, cioè, destinati ad essere soddisfatti per intero”.

In conclusione, dovrebbe considerarsi ragionevole, aderendo alle conclusioni della più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 18 giugno 2020, n. 11882), che il diritto di voto dei creditori privilegiati dilazionati venga calcolato “sulla base del differenziale tra il valore del credito al momento della presentazione della domanda di concordato e quello al momento del termine della “moratoria” (la cui concreta determinazione deve essere rimessa, come accertamento in fatto, ai giudice del merito)”, con la precisazione, tuttavia, che “i criteri per tale determinazione dovranno essere contenuti nel piano concordatario e certificati nella loro effettività e veridicità dal professionista, a pena di inammissibilità della proposta”.



I criteri per l'approvazione delle procedure di concordato preventivo in continuità aziendale nel CCI

L'art. 109, comma 1, CCI, individua, al primo periodo, il criterio generale per l'approvazione delle procedure di concordato preventivo, ovvero l'ottenimento dell'approvazione della proposta da parte dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto.

In particolare, la formulazione del testo del primo periodo lascia intendere che la proposta concordataria debba essere approvata, con espressione esplicita dell'assenso, da parte dei creditori e che, viceversa, la mancata espressione del voto valga quale manifestazione di dissenso alla propposta, in linea col principio del “silenzio-dissenso” prevista dalla legge fallimentare.

Qualora vi sia un unico creditore titolare di crediti di importo superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, l'art. 109 c. 1 secondo periodo CCI prevede che, per l'approvazione del concordato, occorrerà ottenere altresì la maggioranza “per teste” dei voti espressi dai creditori ammessi al voto. Sarà necessario, in altre parole, che voti la maggior parte dei creditori ammessi al voto, indipendentemente dall'importo del credito vantato dagli stessi.

L'art. 109, comma 1, ultimo periodo, CCI, infine, stabilisce che, qualora vi siano più classi di creditori, occorrerà ottenere la maggioranza dei crediti ammessi al voto anche nel maggior numero di classi.

Peraltro, con specifico riferimento al concordato preventivo in continuità aziendale, l'art. 109, comma 5, CCI, dispone che, ai fini dell'approvazione della proposta, non basti ottenere la maggioranza dei crediti nel maggiori numero di classi, ma che occorra ottenerla in tutte le classi di creditori individuate.

Tuttavia, consapevole della difficoltà di raggiungere la maggioranza in tutte le classi dei creditori, il legislatore, al fine di stemperare la rigidità di tale disposizione, ha dettato alcuni criteri sostitutivi al raggiungimento della maggioranza dei creditori ammessi al voto nella classe in applicazione dei quali si può in ogni caso considerare approvata la proposta di concordato da parte della medesima classe.

Nel dettaglio, la norma prevede che la proposta possa dirsi approvata da parte della singola classe qualora (i) sia raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto, ovvero, in mancanza, (ii) qualora abbiano votato favorevolmente i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purchè abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti ammessi al voto nella medesima classe.

In sintesi, quindi, per le procedure di concordato preventivo in continuità aziendale nel CCI viene richiesta ora l'approvazione della proposta da parte di tutte le classi di creditori, riducendo tuttavia, a parziale compensazione dell'irrigidimento della norma, la soglia per il raggiungimento della maggioranza al 66,66% dei crediti dei creditori votanti, purchè abbiamo votato almeno la metà dei crediti dei creditori ammessi al voto.

Tale disposizione, seppur mossa dall'apprezzabile intento di contemperare la necessità che tutte le classi appovino la proposta di concordato con continuità aziendale con la non sempre significativa affluenza al voto da parte dei creditori genera alcuni interrogativi.

L'interrogativo più importante, con ogni evidenza, consiste nell'applicabilità o meno, nelle procedure con continuità aziendale, della disposizione di cui all'art. 109, comma 1, CCI, nella parte in cui richiede che il concordato venga approvato dalla maggioranza dei creditori ammessi al voto, a prescindere dal meccanismo previsto per considerare approvata la proposta da parte delle singole classi.

Ebbene, nonostante si siano già levate voci dottrinali in senso contrario, basate sul tenore letterale dell'art. 109, comma 1, CCI, ed in particolare sulla clausola di salvaguardia «salvo quanto previsto», ad avviso degli scriventi, la portata generale del predetto comma – confermata dalla stessa relazione illustrativa –, che detta regole per qualsiasi tipo di procedura (sia con continuità che liquidatoria), e l'inderogabilità del principio maggioritario nel cocordato, fanno ritenere preferibile che, anche la proposta di concordato con continuità debba essere approvata, oltre che da tutte le classi (nel rispetto delle regole dettate dal comma 5), dalla maggioranza assoluta dei creditori ammessi al voto.

Appare preferibile, dunque, che l'applicazione della clausola di cui al comma 1 venga letta come disposizione integrativa a quella contenuta nel comma 5.

Diversamente, si dovrebbe giungere alla conclusione che nel concordato con continuità aziendale potrebbe essere derogato, nell'ipotesi in cui ci sia un importante astensionismo, il principio maggioritario e la proposta di concordato possa essere approvata solo da una minoranza qualificata di creditori.

L'art. 112, comma 2, CCI, prevede inoltre che, qualora la proposta di concordato con continuità aziendale non venga approvata da una o più classi di creditori, il tribunale, su richiesta del debitore, possa comunque omologare la medesima qualora ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:

  • il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto del principio della cd. “priorità assoluta”;
  • il valore eccedente il valore di liquidazione sia distribuito in modo tale che i creditori inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, e purchè i crediti assistiti dal privilegio di cui all'art. 2751-bis n. 1 c.c. siano soddisfatti, nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione, sul valore di liquidazione nonché sul valore eccedente il valore di liquidazione;
  • nessun creditore riceva una soddisfazione maggiore rispetto all'importo del proprio credito. Ciò potrebbe avvenire, per esempio, nel caso in cui la proposta di concordato preventivo prevedesse per una classe di creditori chirografari la soddisfazione integrale del loro credito oltre alla corresponsione di interessi che per legge non gli spetterebbero, presumibilmente al solo fine di ottenerne il voto favorevole;
  • la proposta venga approvata dalla maggioranza delle classi, purchè almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza (di classi formate da creditori titolari di diritto di prelazione), qualora la proposta sia approvata – si ritiene, sempre dalla maggioranza delle classi – da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti, rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione, anche sul valore eccedente il valore di liquidazione. Occorre in quest'ultima ipotesi verificare che, distribuendo il valore eccedente secondo le cause legittime di prelazione, la classe di creditori in considerazione non venga soddisfatta in misura maggiore rispetto a quanto previsto nella proposta concordataria. In altre parole, occorre verificare che, in caso di liquidazione giudiziale, dove tutto l'attivo viene distribuito seguendo le cause leggettime di prelazione, tali creditori non sarebbero soddisfatti in misura maggiore.

Sebbene il CCI parli genericamente di “valore di liquidazione”, si ritiene che il legislatore si riferisca al valore dell'attivo che spetterebbe ai creditori in ipotesi di liquidazione giudiziale, e non al valore di liquidazione dei beni ricompresi nel patrimonio aziendale che si ricaverebbe nell'ipotesi alternativa della procedura liquidatoria, che sarebbe verosimilmente maggiore.

Per “valore eccedente il valore di liquidazione”, quindi, si deve intendere la maggiore soddisfazione dei creditori derivante dall'adempimento della proposta di concordato preventivo in continuità aziendale rispetto ad una liquidazione giudiziale, perché, se così non fosse, si ridurrebbe di molto il valore distribuibile al di fuori delle cause legittime di prelazione e sarebbe circoscritto ai soli apporti di finanza esterna a fondo perduto ed ai flussi attivi derivanti dalla continuità aziendale, al netto del valore di liquidazione in ambito concordatario degli attivi per i quali non è prevista la cessione nell'ambito della proposta concordataria. Nel valore eccedente andrebbe quindi ricompreso, ad avviso degli scriventi, il maggior valore dell'attivo derivante dalla prosecuzione dell'attività aziendale derivante, per esempio, da una migliore valorizzazione del magazzino o degli asset aziendali rispetto ad una vendita all'asta nell'ambito di una procedura di liquidazione giudiziale.



Le differenze previste per il concordato preventivo liquidatorio

Con riferimento al concordato preventivo liquidatorio, i criteri per l'approvazione della procedura previsti dal CCI non differiscono di molto dai principi previsti dall'art. 177 L.Fall.

In particolare, per l'approvazione delle procedure di concordato preventivo liquidatorio occorrerà rispettare i criteri generali previsti dall'art. 109, comma 1, CCI, identitici a quelli previsti dall'art. 177 L.Fall., con la sola aggiunta del criterio da utilizzare in presenza di un unico creditore titolare di un credito superiore alla metà dei crediti ammessi al voto. In questo caso, come già esposto in precedenza, occorrerà ottenere, oltre alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, anche il voto della maggioranza dei creditori ammessi al voto, ovvero la cd. “maggioranza per teste”.

Con riferimento, invece, ai criteri di formazione delle classi, il CCI non prevede l'obbligatorietà della suddivisione dei creditori in classi prevista per le procedure di concordato preventivo in continuità aziendale.

Nel dettaglio, alle procedure di concordato preventivo liquidatorio si applicano i principi generali stabiliti dall'art. 85, comma 1 e 2, CCI, che prevedono la facoltà, e non l'obbligo, di suddivisione in classi dei creditori, ad eccezione dell'obbligatorietà prevista per le categorie di creditori individuate al comma 2, già menzionate al paragrafo 2.

Pertanto, qualora la proposta di concordato preventivo liquidatorio preveda l'integrale pagamento dei creditori titolari di crediti tributari o previdenziali, la soddisfazione di tutti i creditori unicamente in denaro e non vi siano creditori titolari di garanzie prestate da terzi non soddisfatti integralmente e proposte concorrenti presentate dai creditori, la stessa potrebbe non prevedere la formazione di classi di creditori e, di conseguenza, trattare in modo identico tutti i creditori chirografari, che lo siano ab origine o a seguito di degradazione per incapienza dell'attivo.

Infine, alle procedure di concordato preventivo liquidatorie non potrà applicarsi l'art. 84, comma 6, CCI, e la proposta dovrà, di conseguenza, prevedere il rispetto del principio della cd. “priorità assoluta”.

Ne consegue che la proposta dovrà predevere il soddisfacimento dei creditori nel pieno rispetto della cause legittime di prelazione, e che non potrà essere prevista alcuna soddisfazione di creditori di rango inferiore se non vi sia stata prima la piena soddisfazione dei creditori di grado superiore. Pertanto, eventuali creditori insoddisfatti potranno essere soddisfatti esclusivamente mediante la distribuzione, nel rispetto del principio della c.d. “priorità relativa”, delle risorse esterne obbligatorie previste dall'art. 84, comma 4, CCI. Si ricorda, infatti, che tale comma prevede per queste procedure l'obbligo di un “apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10 per cento l'attivo disponibile al momento della presentazione della domanda e assicuri il soddisfacimento dei creditori chirografari e dei creditori privilegiati degradati per incapienza in misura non inferiore al 20 per cento del loro ammontare complessivo”.

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