Sulla pubblicazione in rete della dichiarazione di interessi privati che il direttore di un ente percettore di fondi pubblici è tenuto a presentare

La Redazione
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02 Agosto 2022

La Corte di giustizia UE, Grande Sezione, ha dichiarato che il diritto dell'Unione europea osta a una normativa nazionale che prevede la pubblicazione in rete della dichiarazione di interessi privati che qualsiasi direttore di un ente percettore di fondi pubblici è tenuto a presentare, in quanto, in particolare, tale pubblicazione riguardi determinati dati, ossia i dati nominativi relativi ad altre persone eventualmente menzionate in tale dichiarazione, nonché qualsiasi operazione del dichiarante eccedente un certo valore.

Sintesi

Con decisione del 7 febbraio 2018, la Vyriausioji tarnybinės etikos komisija (commissione superiore per la prevenzione dei conflitti di interessi nel servizio pubblico, Lituania; in prosieguo: la «commissione superiore») ha constatato che il direttore di un ente di diritto lituano percettore di fondi pubblici era venuto meno al proprio obbligo di presentare una dichiarazione di interessi privati.

Tale persona ha impugnato la decisione della commissione superiore dinanzi al Vilniaus apygardos administracinis teismas (Tribunale amministrativo regionale di Vilnius, Lituania). In particolare, ha sostenuto che, anche qualora fosse tenuta a presentare una dichiarazione di interessi privati, circostanza che essa contesta, la pubblicazione di tale dichiarazione sul sito della commissione superiore in forza della legge sulla conciliazione degli interessi lederebbe sia il suo diritto al rispetto della vita privata sia quello delle altre persone eventualmente menzionate nella sua dichiarazione. Nutrendo dubbi quanto alla compatibilità con il RGPD del regime di pubblicazione delle informazioni contenute nella dichiarazione di interessi privati istituito dalla legge sulla conciliazione degli interessi, il Tribunale amministrativo regionale di Vilnius ha adito la Corte in via pregiudiziale.

Nella sua sentenza, pronunciata in Grande Sezione, la Corte dichiara, in sostanza, che il diritto dell'Unione osta a una normativa nazionale che prevede la pubblicazione in rete della dichiarazione di interessi privati che qualsiasi direttore di un ente percettore di fondi pubblici è tenuto a presentare, in quanto, in particolare, tale pubblicazione riguardi determinati dati, ossia i dati nominativi relativi ad altre persone eventualmente menzionate in tale dichiarazione, nonché qualsiasi operazione del dichiarante eccedente un certo valore.

Giudizio della Corte

Anzitutto, la Corte ricorda che la normativa pertinente dell'Unione prevede un elenco esaustivo e tassativo dei casi nei quali un trattamento di dati personali può essere considerato lecito, tra i quali figura il trattamento necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento. Poiché il trattamento in questione, ossia la pubblicazione, sul sito Internet della commissione superiore, di una parte dei dati personali contenuti nella dichiarazione di interessi privati, è richiesto dalla legge sulla conciliazione degli interessi alla quale tale autorità è soggetta, esso rientra effettivamente in tale caso. La Corte aggiunge che, in forza del RGPD, un simile trattamento deve essere basato sul diritto dell'Unione o sul diritto dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento, e che tale base giuridica deve rispondere a un obiettivo di interesse generale ed essere proporzionata all'obiettivo legittimo perseguito, come d'altronde richiesto dalla Carta. A questo proposito, da un lato, la Corte rileva che il trattamento di dati personali previsto dalla legge sulla conciliazione degli interessi tende effettivamente a rispondere a un obiettivo di interesse generale consistente nel prevenire i conflitti di interessi e nel contrastare la corruzione nel settore pubblico. Dall'altro lato, essa sottolinea che, in un caso del genere, possono essere ammesse limitazioni all'esercizio dei diritti al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, garantiti rispettivamente dagli articoli 7 e 8 della Carta, purché, in particolare, esse rispondano effettivamente all'obiettivo di interesse generale perseguito e siano proporzionate allo stesso.

La Corte si sofferma poi sull'idoneità della misura in questione a raggiungere l'obiettivo di interesse generale perseguito. A tale riguardo, essa constata che tale misura appare idonea a contribuire alla realizzazione di un simile obiettivo. Infatti, la messa in rete di taluni dei dati personali contenuti nelle dichiarazioni di interessi privati dei responsabili delle decisioni del settore pubblico è tale da indurre questi ultimi ad agire in modo imparziale, in quanto consente di rivelare l'esistenza di eventuali conflitti di interessi che possono influire sull'esercizio delle loro funzioni. Una simile attuazione del principio di trasparenza è dunque idonea a prevenire i conflitti di interessi e la corruzione, ad accrescere la responsabilità degli attori del settore pubblico e, pertanto, a rafforzare la fiducia dei cittadini nell'azione pubblica.

Quanto al requisito di necessità, ossia se l'obiettivo perseguito non possa ragionevolmente essere conseguito in modo altrettanto efficace mediante altre misure meno pregiudizievoli per i diritti al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, la Corte precisa che tale valutazione deve essere effettuata tenendo conto di tutti gli elementi di diritto e di fatto propri dello Stato membro interessato. In tale contesto, essa sottolinea altresì che la mancanza di risorse umane a disposizione della commissione superiore per controllare tutte le dichiarazioni di interessi privati che le sono sottoposte, che essa invoca per giustificare la messa in rete di queste ultime, non può in alcun caso costituire un motivo legittimo che consenta di giustificare una lesione dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta.

Inoltre, l'esame del requisito di necessità del trattamento deve essere effettuato tenendo conto del principio cosiddetto della «minimizzazione dei dati». A tale riguardo, la Corte rileva che, in un obiettivo di prevenzione dei conflitti di interessi e della corruzione nel settore pubblico, è pur vero che può essere pertinente esigere che nelle dichiarazioni di interessi privati figurino informazioni che consentano di identificare la persona del dichiarante nonché informazioni relative alle attività del coniuge, convivente o partner. Tuttavia, la divulgazione pubblica, in rete, di dati nominativi relativi al coniuge, convivente o partner di un direttore di un ente percettore di fondi pubblici nonché ai parenti o conoscenti di quest'ultimo che possono dar luogo a un conflitto di interessi risulta eccedere quanto è strettamente necessario. Infatti, non risulta che l'obiettivo di interesse generale perseguito non possa essere raggiunto se si facesse unicamente riferimento alla generica espressione di coniuge, convivente o partner, a seconda dei casi, collegata alla pertinente indicazione degli interessi detenuti da questi ultimi in relazione alle loro attività. Neppure la pubblicazione sistematica, in rete, dell'elenco delle operazioni del dichiarante il cui valore sia superiore a EUR 3 000 appare strettamente necessaria alla luce degli obiettivi perseguiti.

Nel caso di specie, la Corte ravvisa l'esistenza di una grave ingerenza nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali delle persone interessate. Infatti, da un lato, la divulgazione pubblica dei dati e delle informazioni summenzionati può rivelare informazioni su taluni aspetti sensibili della vita privata delle persone interessate e consentire di tracciarne un ritratto particolarmente dettagliato. Dall'altro lato, essa finisce per rendere tali dati personali liberamente accessibili su Internet a un numero potenzialmente illimitato di persone. Di conseguenza, persone che cercano semplicemente di ottenere informazioni sulla situazione personale, materiale e finanziaria del dichiarante e dei suoi familiari possono accedere liberamente a tali dati.

Per quanto riguarda il bilanciamento della gravità di tale ingerenza con l'importanza dell'obiettivo di interesse generale perseguito, la Corte rileva che, nel caso di specie, la pubblicazione in rete della maggior parte dei dati personali non soddisfa i requisiti di un bilanciamento equilibrato. Tuttavia, la pubblicazione di taluni dati contenuti nella dichiarazione di interessi privati può essere giustificata dai benefici che una tale trasparenza apporta nel perseguimento dell'obiettivo considerato. Ciò vale, in particolare, per i dati relativi all'appartenenza del dichiarante o, in maniera non nominativa, del coniuge, convivente o partner a diversi enti, alle loro attività indipendenti o ai doni di terzi eccedenti un certo valore.

Infine, la Corte precisa che il trattamento di dati personali idonei a rivelare, indirettamente, informazioni sensibili riguardanti una persona fisica non è sottratto al regime di protezione rafforzato, poiché una simile sottrazione rischierebbe di pregiudicare l'effetto utile di tale regime e la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche che esso mira ad assicurare. Pertanto, la pubblicazione sul sito Internet della commissione superiore di dati personali idonei a divulgare indirettamente l'orientamento sessuale delle persone interessate costituisce un trattamento di dati sensibili.

(Fonte: curia.europa.eu)