Deposito telematico: sì alla rimessione in termini se la cancellaria induce in errore l’avvocato

Redazione scientifica
21 Ottobre 2022

La serie di messaggi PEC che scandisce il deposito telematico di atti, così come le indicazioni date dalla cancelleria alle parti, sono considerate come “istruzioni” che l'amministrazione della giustizia dà alle parti e pertanto sono fonti di affidamento qualificato, meritevole di essere considerato nell'ambito del giudizio ex art. 294, comma 2 c.p.c. sul presupposto della rimessione in termini, laddove – a cagione dei loro difetti - s'inseriscano con ruolo determinante nella catena causale sfociata nella decadenza, fermo rimanendo che l'apprezzamento circa la non imputabilità alla parte nel caso concreto è affidato al giudice del merito.

La Corte d'Appello di Milano, a conferma della decisione di prime cure, dichiarava l'improcedibilità di un'opposizione a decreto ingiuntivo per tardività dell'iscrizione della causa a ruolo. La società opponente ha proposto ricorso in Cassazione.

Dalla ricostruzione della vicenda emerge che il difensore della società aveva notificato l'opposizione a decreto ingiuntivo e depositato telematicamente la relativa nota di iscrizione a ruolo ricevendo dal sistema la prima PEC di accettazione, la seconda PEC di ricevuta di consegna, mentre la terza PEC relativa all'esito dei controlli automatici lo informava della mancanza dell'atto di citazione tra gli allegati. Non ricevendo la quarta PEC, relativa all'esito delle verifiche manuali, il difensore si recava in cancelleria e otteneva rassicurazioni sulla tempestività del deposito. In realtà, dopo lo spirare del termine di costituzione, riceveva la comunicazione che l'iscrizione a ruolo era risultata affetta da errore fatale. Il difensore provvedeva dunque ad un secondo deposito telematico, accompagnato da istanza di rimessione in termini. Con il ricorso in Cassazione, la società ricorrente afferma che l'errore del difensore è conseguenza di un messaggio errato dell'Ufficio e che dunque i giudici di merito hanno errato nel rigettare la richiesta di restituzione in termini. Il ricorso risulta fondato.

La Corte richiama l'art. 153, comma 2, c.p.c. e l'art. 294, comma 2, c.p.c. ricordando che, a fronte della richiesta di rimessione in termini, il giudice deve provvedere ad un giudizio di verosimiglianza della non imputabilità alla parte della causa che abbia determinato la decadenza. Laddove il prudente apprezzamento del giudice lo conduca a ritenere plausibili le dichiarazioni della parte, deve concedere la rimessione in termini. La pronuncia ricorda poi che, secondo le specifiche tecniche del responsabile per i servizi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia, le possibili anomalie riscontrate dal gestore dei servizi telematici all'esito dei controlli automatici formali sulla busta telematica sono:

«a) warn (warning): anomalia non bloccante: si tratta in sostanza di segnalazioni, tipicamente di carattere giuridico (ad esempio manca la procura alle liti allegata all'atto introduttivo);

b) error: anomalia bloccante, ma lasciata alla determinazione dell'ufficio ricevente, che può decidere di intervenire forzando l'accettazione o ri-fiutando il deposito (esempio: certificato di firma non valido o mittente non firmatario dell'atto);

c) fatal: eccezione non gestita o non gestibile (esempio: impossibile decifrare la busta depositata o elementi della busta mancanti ma fondamentali per l'elaborazione). A sua volta, tale tipologia è articolata in una serie di messaggi di “esito atto”, descritta a p. 80 ss., sezione 8.3. delle Specifiche di interfaccia tra punto di accesso e gestore centrale (versione 2.0.), adottate dal Ministero della Giustizia (D.G.S.I.A.) con riferimento al processo civile telematico».

La terza PEC ricevuta dal difensore nel caso di specie non ha dunque la qualità di comunicazione di errore irrimediabile (Fatal) e ha generato dunque l'affidamento del mittente sul tempestivo svolgimento delle verifiche da pare della cancelleria, attendendo così la quarta PEC, giunta poi però oltre la scadenza del termine perentorio per il deposito.

In conclusione, la Corte, accogliendo il ricorso e cassando con rinvio la sentenza impuganta, afferma il principio secondo cui «la serie di messaggi PEC che scandisce il deposito telematico di atti (descritti dalle «specifiche di interfaccia tra punto di accesso e gestore centrale»), così come le indicazioni date dalla cancelleria alle parti, sono specie di «istruzioni» che l'amministrazione della giustizia dà alle parti e pertanto sono fonti di affidamento qualificato, meritevole di essere considerato nell'ambito del giudizio ex art. 294, comma 2 c.p.c. sul presupposto della rimessione in termini, laddove – a cagione dei loro difetti - s'inseriscano con ruolo determinante nella catena causale che sfocia nella decadenza, fermo rimanendo che l'apprezzamento circa la non imputabilità alla parte nel caso concreto è affidato al giudice del merito»

(Fonte: dirittoegiustizia.it)