Non discriminazione e pro-rata temporis nel calcolo dell'anzianità retributiva: il punto della Corte di Giustizia in materia di lavoro a tempo parziale

21 Ottobre 2022

La clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale che, ai fini del calcolo della retribuzione di lavoratori assunti a tempo pieno, computa, a titolo di anzianità retributiva, i servizi precedentemente prestati per lo svolgimento di analoghe mansioni a tempo parziale, secondo il principio del pro rata temporis, vale a dire in funzione del volume delle prestazioni effettivamente svolte e non in funzione della durata del periodo nel corso del quale sono state effettuate le predette prestazioni.
Il caso

La Corte del lavoro di Mons (Belgio), adita quale giudice d'appello, avverso la sentenza del Tribunale del lavoro dell'Hainaut, divisione di Mons, che aveva accolto la domanda di RM, dichiarando che gli anni di servizio da quest'ultimo maturati in qualità di vigile del fuoco volontario (a tempo parziale) dovevano essere integralmente computati in sede di determinazione della sua anzianità retributiva, senza tener conto del volume delle prestazioni effettivamente svolte, sospende il procedimento e sottopone alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale.

La Corte in particolare premesso che i vigili del fuoco volontari (a tempo parziale) svolgono compiti analoghi a quelli dei professionisti, pur nell'ambito di rapporti di lavoro disciplinati da normative diverse, considerato che RM dal 1.1.1982 al 30.3.2001, ossia prima dell'assunzione a tempo pieno avvenuta il 1.4.2001, aveva svolto attività di vigile del fuoco volontario per un determinato e limitato numero di ore, oltre a lavorare nel settore privato come autista di automezzi pesanti e di custode, rilevato che l'amministrazione locale aveva riconosciuto a RM per il periodo precedente alla nomina, un'anzianità calcolata sull'effettivo servizio antincendio prestato, ha ritenuto che al lavoratore trovasse applicazione la normativa comunitaria in materia di lavoro a tempo parziale, rientrando la determinazione dell'anzianità retributiva nella nozione di condizioni di impiego e si è domandata se il diritto comunitario impedisse una tale disciplina nazionale. Sulla base di tali premesse il giudice del rinvio nutrendo dubbi in merito all'interpretazione della clausola 4 dell'accordo quadro, e in particolare in merito alla portata del principio del pro rata temporis, ai fini della determinazione dell'anzianità retributiva di RM, ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione.

La questione

Il giudice del rinvio ha, dunque, formulato la seguente questione pregiudiziale:

«Se la clausola 4 dell'accordo quadro (…) debba essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, ai fini del calcolo della retribuzione dei vigili del fuoco professionisti assunti a tempo pieno, computa, a titolo di anzianità retributiva, i servizi prestati a tempo parziale in qualità di vigile del fuoco volontario in funzione del volume di lavoro, vale a dire della durata delle prestazioni effettivamente svolte, secondo il principio del pro rata temporis, e non in funzione della durata del periodo nel corso del quale sono state effettuate le prestazioni».

Le soluzioni giuridiche

La Corte ritiene innanzitutto che la controversia sottoposta al suo esame rientri nell'ambito di applicazione dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva 97/81/CE, la cui portata va intesa in senso ampio, in quanto il principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili, in tale accordo riconosciuto, è espressione di un principio di diritto sociale dell'Unione: in tale prospettiva non appare dirimente la natura pubblica o privata del datore di lavoro, né che il rapporto di lavoro sia disciplinato, in base al diritto nazionale, da un contratto o dalla legge, né tantomeno che il lavoratore sia al momento della domanda lavoratore a tempo pieno, ove invochi tale principio per un periodo in cui prestava servizio a tempo parziale.

La Corte ribadisce poi che, ai fini dell'applicabilità del principio di non discriminazione di cui all'accordo quadro, la determinazione dell'anzianità retributiva rientra nella nozione di condizioni di impiego. La Corte ricorda che il requisito di equivalenza tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale per quanto riguarda le condizioni di lavoro, derivante dal principio di non discriminazione, non pregiudica la corretta applicazione del principio del pro rata temporis (clausola 4, punto 2). In particolare la presa in considerazione della quantità di lavoro effettivamente svolta da un lavoratore a tempo parziale, comparata a quella di un lavoratore a tempo pieno, costituisce una ragione obiettiva che giustifica una riduzione proporzionata dei diritti e delle condizioni di lavoro di un lavoratore a tempo parziale. Nel caso di specie l'applicazione, per quanto riguarda i vigili del fuoco professionisti, di un elemento che determina il livello della loro retribuzione, quale l'anzianità retributiva, che corrisponde alla percentuale del tempo di lavoro da essi compiuto in qualità di lavoratori a tempo parziale rispetto al tempo di lavoro compiuto dai lavoratori a tempo pieno che svolgono la medesima attività, costituisce una corretta applicazione del principio del pro rata temporis.

Tale conclusione, precisa la Corte, non può essere messa in discussione dal fatto che successivamente all'assunzione del ricorrente, la determinazione per i neoassunti a tempo pieno dell'anzianità retributiva per il lavoro a tempo parziale sia stata determinata in base al numero di anni di servizio svolti come volontari (part-time) senza considerare il volume delle prestazioni effettivamente svolte: il principio del pro rata temporis si applica infatti “dove opportuno”; la disposizione non impone l'applicazione di tale principio, così come a maggior ragione non impedisce di escluderne l'applicazione ad un settore al quale esso si applicava in precedenza. Sostenere il contrario contrasterebbe con gli obiettivi dell'accordo quadro, il quale mira, in particolare, come enunciato dalla sua clausola 1, lettera a), a migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale. In ogni caso, un'eventuale differenza di trattamento tra due categorie di lavoratori a tempo parziale non rientrerebbe nell'ambito del principio di non discriminazione sancito dall'accordo quadro.

Osservazioni

La sentenza in commento risulta di particolare interesse in quanto richiama, consolidandoli, alcuni orientamenti interpretativi già espressi dalla Corte di Giustizia in materia di lavoro a tempo parziale.

Innanzitutto, la Corte afferma che la nozione di lavoratore part-time di cui all'accordo quadro, che fa riferimento ai lavoratori che hanno un contratto o un rapporto di lavoro definito per legge, contratto collettivo o in base alle prassi in vigore in ogni stato membro, va intesa in senso ampio, senza in particolare operare alcuna distinzione basata sulla natura pubblica o privato del datore di lavoro (sentenza del 1° marzo 2012, O'Brien, C.393/10).

La clausola 4 dell'accordo quadro (“Clausola 4: Principio di non discriminazione. 1.Per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive. 2.Dove opportuno, si applica il principio “pro rata temporis”…”) che mira da un lato a promuovere il lavoro a tempo parziale e, dall'altro, a eliminare la discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e quelli a tempo pieno, esprime un principio di diritto sociale dell'Unione (espressione specifica del principio generale di uguaglianza) che non può essere interpretato in modo restrittivo (cfr. sentenza del 10 giugno 2010, Bruno e a., C.395/08 e C396/08,ossia il caso del lavoro a tempo parziale di tipo verticale ciclico del personale di cabina Alitalia e il calcolo dell'anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, e sentenza del 5 maggio 2022 Universiteit Antwerpen e a. , C-265/20; v., per analogia, sentenze 13 settembre 2007, causa C‑307/05, Del Cerro Alonso e sentenza 15 aprile 2008, causa C‑268/06, Impact).

In tale prospettiva un lavoratore che abbia acquisito la qualità di lavoratore a tempo pieno non esclude per lui la possibilità di avvalersi, in determinate circostanze, della predetta clausola 4, laddove la discriminazione addotta riguardi periodi di servizio compiuti in qualità di lavoratore a tempo parziale, contrastando tale soluzione con l'obiettivo di tutela assegnato a detta clausola: tale principio ha carattere generale tanto che la Corte richiama per analogia dei suoi precedenti in relazione all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (sentenza del 18 ottobre 10\1, Valenza e a, da C-302/11 a C-305/11).

Ulteriore passaggio motivazionale significativo riguarda la precisazione secondo cui l'esclusione (totale o parziale) della disciplina in esame, previsto dalla clausola 2, punto 2 dell'accordo («Gli Stati membri, dopo aver consultato le parti sociali conformemente alla legge, ai contratti collettivi o alle prassi nazionali, e/o le parti sociali a livello appropriato conformemente alle prassi nazionali relative alle relazioni industriali, possono, per ragioni obiettive, escludere totalmente o parzialmente dalle disposizioni del presente accordo i lavoratori a tempo parziale che lavorano su base occasionale. Queste esclusioni dovrebbero essere riesaminate periodicamente al fine di stabilire se le ragioni obiettive che le hanno determinate rimangono valide»), con riferimento ai lavoratori a tempo parziale che lavorano su base occasionale, non è automatica, essendo soggetta a specifiche procedure e condizioni e dovendo risultare in base agli atti di causa (si tratta quindi di indagine demandata al giudice del rinvio),(sentenza 12 ottobre 2004, Wippel, C-313/02).

Ancora sulla nozione di condizioni di impiego che ricomprende quelle relative alla retribuzione la Corte conferma un orientamento interpretativo logico sistematico consolidato. In primo luogo la Corte afferma che un'interpretazione della clausola 4 dell'accordo quadro che escludesse dalla nozione di «condizioni d'impiego», ai sensi della stessa clausola, le condizioni economiche, quali quelle relative alle retribuzioni e alle pensioni (rispetto alle quali tuttavia occorre distinguere tra le pensioni che dipendono da un rapporto di lavoro che lega il lavoratore al datore di lavoro, rientranti nella nozione, da quelle derivanti da un sistema legale al cui finanziamento contribuiscono i lavoratori, i datori di lavoro e, eventualmente, i pubblici poteri in una misura meno dipendente da un rapporto di lavoro siffatto che da considerazioni di politica sociale, c.d. pensioni legali di previdenza sociale, che in tale nozione non rientrano; v., in particolare, sentenze 25 maggio 1971, causa 80/70, Defrenne, punti 7 e 8; 13 maggio 1986, causa 170/84, Bilka-Kaufhaus, punti 16-22; 17 maggio 1990, causa C‑262/88, Barber, punti 22‑28, nonché 23 ottobre 2003, cause riunite C‑4/02 e C‑5/02, Schönheit e Becker, punti 56‑64 e 58, 90-91 per analogia, sentenza Impact, cit., punto 132, sentenza 16 luglio 2009, causa C‑537/07, Gómez-Limón Sánchez-Camacho, punti 48‑50, 59), equivarrebbe a una riduzione, in spregio all'obiettivo assegnato alla detta clausola, dell'ambito della tutela accordata ai lavoratori interessati contro le discriminazioni, introducendo una distinzione, basata sulla natura delle condizioni d'impiego, che il testo di tale clausola non suggerisce affatto. Un'interpretazione siffatta porterebbe, inoltre, a privare di qualsiasi utilità il riferimento fatto dalla clausola 4, punto 2, dell'accordo quadro al principio del pro rata temporis, la cui applicabilità è concepibile per definizione solo in presenza di prestazioni divisibili come quelle derivanti da condizioni di impiego di tipo economico, connesse, ad esempio, alle retribuzioni e alle pensioni (v., sentenza Bruno, cit., punti 33 e 34 e per analogia, sentenza Impact, cit., punto 116). In secondo luogo la Corte ha precisato che se la determinazione del livello delle retribuzioni rientra nell'autonomia contrattuale delle parti sociali su scala nazionale, nonché nella competenza degli Stati membri in materia per cui deve allo stato ritenersi esclusa la determinazione del livello dei salari da un'armonizzazione sulla base degli artt. 136 CE e seguenti (secondo il testo dell'art. 2, n. 6, dell'accordo sulla politica sociale, ripreso dall'art. 137, n. 5, CE, come modificato dal Trattato di Nizza, oggi art. 153 TFUE, le disposizioni di questo articolo «non si applicano alle retribuzioni, al diritto di associazione, al diritto di sciopero né al diritto di serrata»; v. citate sentenze Del Cerro Alonso, punti 40 e 46, e Impact, punto 123), tale eccezione deve essere intesa in modo da comprendere le misure, come l'uniformazione di tutti o parte degli elementi costitutivi dei salari e/o del loro livello negli Stati membri o ancora l'instaurazione di un salario minimo, che comporterebbero una diretta ingerenza del diritto dell'Unione nella determinazione delle retribuzioni all'interno di quest'ultima ma non può, tuttavia, essere estesa a ogni questione avente un qualsiasi nesso con la retribuzione, pena svuotare taluni settori contemplati dall'art. 137, n. 1, CE di gran parte dei loro contenuti (v., per analogia, sentenza Impact, cit., punto 125).

Ulteriore precisazione di rilievo che emerge dai precedenti citati (v. in particolare sentenza Bruno cit. punti 52-55) e che si ritiene qui di dover evidenziare, riguarda la questione relativa all'applicazione temporale dell'accordo quadro ossia se le disposizioni in esso contenute possano essere applicate solo ai periodi d'impiego successivi all'entrata in vigore della misura nazionale che opera la trasposizione della direttiva 97/81 (nel caso Bruno sottoposto al vaglio della Corte il calcolo dell'anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione fa riferimento, in tutto o in parte, a periodi anteriori alla scadenza del termine di trasposizione di tale direttiva, i quali, di conseguenza, non rientrerebbero nell'ambito di applicazione dell'accordo quadro). La Corte ribadisce che una nuova norma si applica, salvo deroghe, immediatamente agli effetti futuri delle situazioni sorte sotto l'impero della vecchia legge (v., in tal senso, in particolare, sentenze 14 aprile 1970, causa 68/69, Brock, Racc. pag. 171, punto 7; 10 luglio 1986, causa 270/84, Licata/CES, Racc. pag. 2305, punto 31; 18 aprile 2002, causa C‑290/00, Duchon, Racc. pag. I‑3567, punto 21; 11 dicembre 2008, causa C‑334/07 P, Commissione/Freistaat Sachsen, Racc. pag. I‑9465, punto 43, nonché 22 dicembre 2008, causa C‑443/07 P, Centeno Mediavilla e a./Commissione, Racc. pag. I‑10945, punto 61).

Sulle ragioni obiettive che derogano all'operatività del principio di non discriminazione di cui alla clausola 4, punto 1, la Corte ne ha escluso la sussistenza qualora il lavoro a tempo parziale costituisca un modo particolare di esecuzione del rapporto di lavoro, caratterizzato dalla mera riduzione della durata normale del lavoro: tale caratteristica non può infatti essere equiparata alle ipotesi in cui l'esecuzione del contratto di lavoro, a tempo pieno o a tempo parziale, venga sospesa a causa di un impedimento o di un'interruzione temporanea dovuta al lavoratore, all'impresa o ad una causa estranea. Infatti, i periodi non lavorati, che corrispondono alla riduzione degli orari di lavoro prevista in un contratto di lavoro a tempo parziale, discendono dalla normale esecuzione di tale contratto e non dalla sua sospensione. Il lavoro a tempo parziale non implica un'interruzione dell'impiego (v., per analogia con l'impiego a tempo frazionato, sentenza 17 giugno 1998, causa C‑243/95, Hill e Stapleton, punto 32). Una siffatta argomentazione (affermare che la differenza di trattamento è giustificata dal fatto che i periodi corrispondenti alla riduzione degli orari di un contratto di lavoro a tempo parziale hanno l'effetto di sospenderne l'esecuzione), sempre secondo la Corte, confliggerebbe inoltre con la definizione del tempo parziale che figura alla clausola 3 dell'accordo quadro e finisce con il privare di effetto utile il principio, enunciato dalla clausola 4, punto 1, di tale accordo quadro, che vieta, per quanto attiene alle condizioni di impiego, che i lavoratori a tempo parziale siano trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale.

Ulteriore questione affrontata dalla giurisprudenza richiamata riguarda la compatibilità con il diritto comunitario di una disciplina nazionale che costituisca per i lavoratori un'importante remora alla scelta del lavoro a tempo parziale. La Corte afferma che l'incompatibilità di un tale assetto normativo nazionale (nel caso di specie, sentenza Bruno cit, punto 80: “La combinazione di tali elementi tende a rendere meno interessante il ricorso al lavoro a tempo parziale per questa categoria di lavoratori, se non anche a dissuaderli dall'esercitare la loro attività lavorativa secondo una tale modalità, in quanto una siffatta scelta porta a differire nel tempo la data di acquisizione del loro diritto alla pensione in una proporzione uguale a quella della riduzione del loro orario di lavoro rispetto a quello di lavoratori a tempo pieno comparabili. Questi effetti sono manifestamente in contrasto con l'obiettivo dell'accordo quadro, che consiste nell'agevolare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale”), sottolineando che dalla clausola 1 dell'accordo quadro risulta, in particolare, che esso persegue una duplice finalità consistente, da un lato, nel promuovere il lavoro a tempo parziale e, dall'altro lato, nell'eliminare le discriminazioni tra i lavoratori a tempo parziale e i lavoratori a tempo pieno (v. sentenza Michaeler e a., cit., punto 22). La clausola 5, punto 1, lett. a), dell'accordo quadro prevede, in linea con questa duplice finalità, l'obbligo per gli Stati membri di «identificare ed esaminare gli ostacoli di natura giuridica o amministrativa che possono limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale e, se del caso, eliminarli».

La Corte poi ribadisce quanto già affermato sul principio del pro rata temporis. In particolare con l'ordinanza del 3 marzo 2021, Fogasa, C-841/19, la Corte ha riaffermato la conformità al diritto comunitario di una normativa nazionale che, per quanto riguarda il pagamento, da parte dell'organismo nazionale responsabile, dei salari e delle indennità non pagati ai lavoratori a causa dell'insolvenza del loro datore di lavoro, prevede un massimale a tale pagamento per quanto riguarda i lavoratori a tempo pieno, che, nel caso di lavoratori a tempo parziale, è ridotto proporzionalmente al tempo di lavoro compiuto da questi ultimi rispetto al tempo di lavoro compiuto dai lavoratori a tempo pieno. A questo proposito, la Corte ha già applicato il principio del pro rata temporis a prestazioni legate a un rapporto di lavoro a tempo parziale. Essa ha anche statuito che il diritto dell'Unione non si oppone al calcolo, secondo tale principio, né di una pensione di vecchiaia (v., in tal senso, sentenza del 23 ottobre 2003, Schönheit e Becker, C‑4/02 e C‑5/02, EU:C:2003:583, punti 90 e 91), né delle ferie annuali retribuite (v., in tal senso, sentenza del 22 aprile 2010, Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols, C‑486/08, EU:C:2010:215, punto 33), né di un assegno per figlio a carico versato dal datore di lavoro (v., in tal senso, sentenza del 5 novembre 2014, Österreichischer Gewerkschaftsbund, C‑476/12, EU:C:2014:2332, punto 25).

Ulteriore principio di carattere generale è quello per cui non può applicarsi il principio di non discriminazione riconosciuto dall'accordo quadro tra categorie di lavoratori a tempo parziale: sul punto viene richiamato per analogia il principio affermato con riferimento all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (sentenza del 13 gennaio 2022, MIUR e Ufficio scolastico Regionale per la Campania, C-282/19).

In un ulteriore interessante passaggio motivazionale della sentenza in commento (p.64), con riferimento alla nozione di orario di lavoro, la Corte ribadisce la differenza tra il lavoratore che effettui una guardia secondo un sistema di reperibilità che gli impone di essere sempre raggiungibile, senza però essere obbligato ad essere presente sul luogo di lavoro e lavoratore che sia costretto a passare un periodo di guardia nel suo domicilio tenendosi a disposizione del datore di lavoro ed essere in grado di raggiungere il luogo di lavoro entro 8 minuti, tempo che rientra nell'orario di lavoro ai sensi dell'art. 2 della dir. 2003/88/CE (sentenza del 21 febbraio 2018, Matzak, C-518/15).

In definitiva, la pronuncia in commento consolida orientamenti ormai costanti della giurisprudenza europea in materia di condizioni di condizioni di impiego, ribadendo da un lato l'ampiezza delle tutele riconosciute dal diritto comunitario ai lavoratori atipici (quali i part-timers) e dall'altro i limiti all'applicazione nei casi concreti del principio di non discriminazione che si sostanza in ultima analisi nel basilare principio di trattare in modo uguale situazioni uguali ed in modo diverso situazioni ragionevolmente diverse.

(*) Alessandro Gasparini, Magistrato.