La Corte di giustizia torna a pronunciarsi in materia di conservazione dei dati delle telecomunicazioni

Valentina Pirozzi
Valentina Pirozzi
21 Ottobre 2022

La Corte di Giustizia appare tenere dritta la barra della propria rigorosa giurisprudenza in tema di conservazione dei dati di traffico anche quando la stessa tragga origine dalla sensibile materia degli abusi di mercato che, per sua stessa natura, appare poter difficilmente prescindere dal ricorso all'utilizzo di tali dati nel corso delle indagini ad essa relative.

Dopo l'intervento dello scorso 5 aprile (C-140/20, in questo Portale), la Corte di giustizia, interpellata in via pregiudiziale dalla Corte di Cassazione francese, è stata chiamata ad esprimersi nuovamente sulla spinosa questione relativa al periodo di conservazione dei dati di traffico di comunicazioni elettroniche.

La domanda è stata presentata nell'ambito di procedimenti penali avviati in seguito alla acquisizione, da parte dell'Autorità dei mercati finanziari (AMF), di dati personali ai quali era stato possibile risalire attraverso chiamate provenienti da dispositivi in uso a due soggetti, sospettati di market abuse.

Condannati sulla base della raccolta di tali dati, gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che l'AMF avesse fatto applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con il diritto dell'Unione, in quanto prevedevano una conservazione generalizzata e indiscriminata dei dati di connessione.

Con la prima domanda proposta in via pregiudiziale, la Corte di Cassazione aveva chiesto ai giudici di Lussemburgo come potessero conciliarsi le disposizioni della direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche (articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del 12 luglio 2002) - alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - con quelle della direttiva (articolo 12, paragrafo 2, lettere a) e d), della direttiva 2003/6/C del 28 gennaio 2003) e del regolamento (articolo 23, paragrafo 2, lettere g) e h), del regolamento (UE) n. 596/2014 del 16 aprile 2014) sugli abusi di mercato, nell'ambito delle misure legislative nazionali che prevedono una conservazione generalizzata e indiscriminata dei dati relativi al traffico per un anno a decorrere dal giorno della registrazione.

Con un secondo quesito poi - e nella ipotesi in cui la Corte avesse dovuto concludere nel senso di una incompatibilità della normativa nazionale con il diritto dell'Unione - il giudice del rinvio si interrogava sulla possibilità di mantenimento provvisorio degli effetti di tale normativa, in modo da evitare un'incertezza del diritto e da consentire che i dati conservati sulla base di tale normativa potessero essere utilizzati ai fini dell'accertamento e del perseguimento dell'abuso di informazioni privilegiate.

Con la sentenza dello scorso 20 settembre (nelle cause riunite C-339/20 e C-397/20) la Corte di giustizia, riaffermando e sviluppando ulteriormente i principi propri della sua precedente giurisprudenza, ha conclusivamente affermato che la conservazione generalizzata e indiscriminata, da parte degli operatori di servizi di comunicazione elettronica, dei dati relativi al traffico per un anno a decorrere dal giorno della registrazione non è autorizzata, a titolo preventivo, per finalità di contrasto dei reati di abuso di mercato, categoria di cui fa parte l'abuso di informazioni privilegiate.

Il percorso argomentativo compiuto dai giudici di Lussemburgo si snoda attraverso tre passaggi fondamentali.

In primo luogo la Corte evidenzia che la direttiva e il regolamento in materia di abusi di mercato non costituiscono il fondamento giuridico di un generale obbligo di conservazione delle registrazioni di dati relativi al traffico detenuti dagli operatori di servizi di comunicazione elettronica ai fini dell'esercizio dei poteri conferiti alle autorità competenti in materia finanziaria.

Ribadito poi che la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche rappresenta l'atto di riferimento in materia di conservazione e, più in generale, di trattamento dei dati personali nel settore delle comunicazioni elettroniche, la Corte osserva che la ricordata direttiva disciplina quindi anche le registrazioni dei dati relativi al traffico detenute dagli operatori di servizi di comunicazione elettronica, che possono essere richieste dalle autorità competenti in materia finanziaria. Conseguentemente la valutazione della liceità del trattamento delle registrazioni conservate dagli operatori di servizi di comunicazione elettronica deve essere compiuta alla luce delle condizioni previste dalla direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche nell'interpretazione elaborata dalla Corte.

In terzo luogo, la Corte richiama la sua precedente giurisprudenza in base alla quale il diritto dell'Unione osta a che un giudice nazionale limiti nel tempo gli effetti di una declaratoria di invalidità, in forza del diritto nazionale, nei confronti di una normativa nazionale che impone agli operatori di servizi di comunicazione elettronica una conservazione generalizzata e indiscriminata dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all'ubicazione, essendo tale normativa incompatibile con la direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche.

Come è dato vedere la Corte di Giustizia appare tenere dritta la barra della propria rigorosa giurisprudenza in tema di conservazione dei dati di traffico anche quando la stessa tragga origine dalla sensibile materia degli abusi di mercato che, per sua stessa natura, appare poter difficilmente prescindere dal ricorso all'utilizzo di tali dati nel corso delle indagini ad essa relative.