La citycard del turista, ai fini IVA, è un buono multiuso

Riccardo Guida
26 Ottobre 2022

Uno strumento che conferisce al suo titolare il diritto di usufruire di diversi servizi in un determinato luogo, per un periodo limitato e fino a un certo importo, può costituire “buono” ai sensi dell'articolo 30-bis, punto 1, della direttiva 2006/112/CE, anche se, a causa della limitata durata, un consumatore medio non può sfruttare tutti i servizi offertigli e, più precisamente, può costituire “buono multiuso” ai sensi del successivo punto 3, giacché l'imposta sul valore aggiunto dovuta su tali servizi non è nota al momento della sua emissione.
La sentenza 28 aprile 2022 della Corte di Giustizia U.e., in causa C-637/20, «Skatteverket contro DSAB Destination Stockolm AB»

Con sentenza 28 aprile 2022 in causa C-637/20, «Skatteverket contro DSAB Destination Stockolm AB», la Corte di Giustizia U.e., su rinvio pregiudiziale della Corte suprema amministrativa svedese (1), ha dichiarato che l'articolo 30-bis della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva (UE) 2016/1065 del Consiglio, del 27 giugno 2016, deve essere interpretato nel senso che uno strumento che conferisce al suo titolare il diritto di usufruire di diversi servizi in un determinato luogo, per un periodo limitato e fino a un certo importo, può costituire un “buono”, ai sensi dell'articolo 30-bis, punto 1, di tale direttiva, anche se, a causa della durata di validità limitata di tale strumento, un consumatore medio non può usufruire di tutti i servizi proposti. Detto strumento costituisce un “buono multiuso”, ai sensi dell'articolo 30-bis, punto 3, della medesima direttiva, in quanto l'imposta sul valore aggiunto dovuta su tali servizi non è nota al momento dell'emissione di quest'ultimo.

La citycard venduta ai turisti della città di Stoccolma, ai fini IVA, è qualificabile come un “buono monouso” o come un “buono multiuso”?

La DSAB è un'impresa che commercializza una citycard per i turisti che visitano la città di Stoccolma (2). Il voucher attribuisce al suo titolare il diritto di accedere, entro un certo arco temporale e fino a un certo importo, a numerose attrazioni turistiche (siti di interesse o musei), l'accesso a servizi di trasporto di persone (tour su autobus e battelli della DSAB) e visite organizzate da altri prestatori. Alcuni di questi servizi sono soggetti all'IVA, mentre altri sono esenti. Il titolare utilizza la carta come mezzo di pagamento dei servizi, senza versare alcun supplemento.

In base ad un contratto stipulato tra la DSAB e il prestatore, quest'ultimo riceve dalla contribuente, in un secondo momento, un corrispettivo, per ogni accesso o utilizzo, in misura percentuale al prezzo normale di accesso o utilizzo. Inoltre, DSAB non garantisce un numero minimo di visitatori. Esistono diverse versioni della carta, a seconda della durata di validità e dei limiti di valore.

Per la Commissione tributaria svedese (3), adìta dalla società contribuente, la citycard in esame non costituiva un “buono multiuso”, secondo l'accezione propria dell'art. 30-bis della direttiva IVA. Infatti, in base a tale norma, per il giudice svedese, un “buono” deve avere un determinato valore nominale o riguardare cessioni di beni o prestazioni di servizi specifiche, anche se, nel caso di “buono multiuso”, può sussistere un'incertezza sull'aliquota d'imposta o sul paese d'imposizione.

Tale parere preliminare è stato impugnato dinanzi al giudice del rinvio sia dall'amministrazione tributaria che da parte di DSAB. Queste, in sintesi, le opposte tesi sostenute dalle parti: (i) per il fisco, la citycard non è un “buono”, secondo la nozione dell'articolo 30-bis, ma una carta per il tempo libero, con un limite di valore molto elevato e una durata di validità assai breve, ragion per cui il consumatore medio non sarebbe in grado di usufruire di tutte le possibilità offerte dalla carta. Inoltre, il titolare fruisce di uno sconto (rispetto al prezzo normale delle attrazioni visitate) proporzionale al grado di utilizzo della carta, che non è riscattata a fronte di beni o servizi; (ii) per la DSAB, invece, la citycard è un “buono multiuso” perché soddisfa le condizioni enunciate dell'articolo 30-bis, nel senso che: (a) i prestatori interessati sono obbligati ad accettare tale carta come mezzo di pagamento e le condizioni applicabili ai titolari di quest'ultima indicano quali servizi possono essere pagati con detta carta e quali sono i prestatori di tali servizi; (b) la carta può essere utilizzata come corrispettivo di servizi soggetti ad aliquote diverse; (c) l'importo dell'IVA dovuta per le prestazioni che possono essere fornite come corrispettivo del voucher non è noto al momento dell'emissione di quest'ultima.

A causa dell'incertezza sull'esegesi delle disposizioni della direttiva IVA relative ai “buoni”, in assenza di specifici precedenti della Corte di Giustizia, dato altresì il contrasto tra le parti sul trattamento fiscale degli strumenti quali la citycard in questione, la Corte suprema amministrativa svedese ha sottoposto al Giudice unionale la questione se l'articolo 30-bis debba essere interpretato nel senso che una carta di quel tipo, che consente al titolare di ricevere diversi servizi in un determinato luogo, per un periodo limitato e fino a un certo valore, costituisce un “buono”, e se, in circostanze siffatte, costituisce un “buono multiuso”.

La soluzione della Corte di Giustizia

La Corte di Giustizia opta per la soluzione dianzi indicata (cfr. § 1) a conclusione di un articolato ragionamento che muove dalla premessa che, per costante giurisprudenza, una disposizione di diritto dell'Unione si interpreta non soltanto secondo il suo significato letterale, ma anche tenendo conto del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (4). Ciò precisato, la Corte si interroga, in primo luogo, sulle condizioni in presenza delle quali, a mente dell'articolo 30-bis, punto 1, della direttiva IVA, uno strumento possa essere qualificato come “buono”. A tale riguardo, osserva la Corte, un “buono” è uno strumento: (a) che contiene un obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di una cessione di beni o di una prestazione di servizi; (b) nel quale i beni o i servizi da cedere o prestare o le identità dei potenziali cedenti o prestatori sono indicati sullo strumento medesimo o nella relativa documentazione, ivi incluse le condizioni generali di utilizzo ad esso relative. Spetta al giudice del rinvio verificare la sussistenza o meno di tali due condizioni (che comunque, ad avviso del Giudice eurounitario, paiono essere soddisfatte) (5).

Detto che sembra possibile qualificare la citycard come “buono”, in secondo luogo, quanto alla sua qualifica come “buono multiuso”, ai sensi dell'articolo 30-bis, punto 3, della direttiva IVA, prosegue la sentenza, si deve rilevare la portata residuale di tale nozione in quanto, per la stessa disposizione, tutti i buoni diversi dai “buoni monouso” costituiscono “buoni multiuso”.

Di conseguenza, si deve verificare, anzitutto, se la carta oggetto del procedimento principale rientri nella nozione di “buono monouso” che, per l'articolo 30-bis, punto 2, della direttiva IVA, è un buono in relazione al quale il luogo della cessione dei beni o della prestazione dei servizi cui tale buono si riferisce e l'IVA dovuta su tali beni o servizi sono noti al momento della sua emissione.

Nel caso di specie, ad avviso della Corte, dalla decisione di rinvio emerge che la citycard consente l'accesso a diverse prestazioni di servizi, che sono soggette ad aliquote IVA diverse o esenti da IVA, e che è impossibile prevedere in anticipo quali siano le prestazioni che saranno scelte dal titolare di tale carta. Ed è giocoforza constatare che l'IVA dovuta sui servizi ottenuti dal titolare della carta non è nota al momento della sua emissione, il che porta ad escludere la sua qualifica come “buono monouso”, ai sensi dell'articolo 30-bis, punto 2, della direttiva IVA.

Ne consegue ulteriormente che, rimarca da ultimo la Corte, dal momento che la citycard, salva la verifica delle circostanze del caso concreto che spetta al giudice del rinvio, può costituire un “buono”, essa dovrebbe essere qualificata come “buono multiuso”, ai sensi dell'articolo 30-bis, punto 3, della direttiva IVA, e il suo trattamento fiscale dovrà essere stabilito alla luce dell'articolo 30-ter, punto 2, nonché dell'articolo 73-bis di detta direttiva.

In aderenza alla decisione della Corte di Giustizia, pertanto, trattandosi di un “buono multiuso”, l'imponibilità ai fini IVA della citycard è rinviata al momento della spendita della carta, secondo quanto previsto dall'articolo 30-ter, punto 2, della direttiva IVA, per il quale l'IVA si applica ai “buoni multiuso” al momento della consegna fisica del bene o della concreta prestazione del servizio in questione, cosicché l'imposta non è applicata ai trasferimenti del buono che si verificano prima del suo riscatto.

Al momento dell'acquisto della citycard, in effetti, non sono note tutte le informazioni rilevanti ai fini dell'IVA — quale imposta sull'effettiva cessione di beni e prestazione di servizi — e come accade per i “buoni multiuso” è impossibile conoscere quali dei beni e dei servizi a cui la carta dà diritto saranno effettivamente ceduti o prestati (6).

La cornice normativa unionale e interna

Per acquisire una completa cognizione della vastità del campo di applicazione della decisione dei Giudici di Lussemburgo rispetto alle questioni che si agitano sul proscenio fiscale domestico, occorre fare un passo indietro e comporre, a grandi linee, la cornice normativa unionale e interna di riferimento.

La direttiva UE 2016/1065 del Consiglio del 27 giugno 2016 (cd. “direttiva voucher”) ha regolamentato a livello comunitario la disciplina IVA dei cd. “voucher” o “buoni”, modificando, con l'inserimento degli articoli 30-bis, 30-ter, 73-bis, 410-bis e 410-ter, la direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (cd. “direttiva IVA”). La disciplina sui voucher è stata recepita in Italia con il d.lgs. 29 novembre 2018, n. 141, che ha aggiunto al d.P.R. n. 633 del 1972 gli articoli da 6-bis a 6-quater e il comma 5-bis dell'articolo 13.

L'articolo 30-bis, punto 1, della direttiva IVA, stabilisce gli elementi essenziali del “buono”, prevedendo che si tratta di «uno strumento che contiene l'obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di una cessione di beni o una prestazione di servizi e nel quale i beni o i servizi da cedere o prestare o le identità dei potenziali cedenti o prestatori sono indicati sullo strumento medesimo o nella relativa documentazione, ivi incluse le condizioni generali di utilizzo ad esso relative». I punti 2 e 3 del medesimo articolo definiscono, rispettivamente, il “buono monouso” e il “buono multiuso” (7).

L'articolo 30-ter, punto 1, della medesima direttiva, (nella parte che qui rileva) prevede che «Ogni trasferimento di un buono monouso effettuato da un soggetto passivo che agisce in nome proprio è considerato come cessione dei beni o prestazione dei servizi cui il buono si riferisce. La consegna fisica dei beni o la concreta prestazione dei servizi dietro presentazione di un buono monouso accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo dal cedente o dal prestatore non sono considerate operazioni indipendenti».

Per il punto 2 dello stesso articolo «La consegna fisica dei beni o la concreta prestazione dei servizi effettuate dietro presentazione di un buono multiuso accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo dal cedente o dal prestatore sono soggette all'IVA ai sensi dell'articolo 2, mentre ogni trasferimento precedente di tale buono multiuso non è soggetto all'IVA».

Infine, l'articolo 73-bis della direttiva IVA così dispone: «Fatto salvo l'articolo 73, la base imponibile della cessione di beni o della prestazione di servizi effettuate a fronte di un buono multiuso è pari al corrispettivo versato per il buono o, in assenza di informazioni su tale corrispettivo, al valore monetario indicato sul buono multiuso stesso o nella relativa documentazione diminuito dell'importo dell'IVA relativo ai beni ceduti o ai servizi prestati».

Sul versante del diritto interno, in base all'art. 6-ter, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, (rubricato “Buono-corrispettivo monouso”) un buono si considera monouso se al momento della sua emissione «è nota la disciplina applicabile ai fini dell'imposta sul valore aggiunto alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi a cui il buono-corrispettivo dà diritto».

Per l'art. 6-quater, comma 1, un buono-corrispettivo si considera multiuso se al momento della sua emissione non è nota la disciplina applicabile ai fini dell'imposta sul valore aggiunto alla cessione dei beni o alla prestazione a cui il medesimo buono dà diritto.

Il terzo comma dell'articolo 6-quater prevede che la cessione di beni o la prestazione di servizi a cui il buono-corrispettivo multiuso dà diritto si considera effettuata al verificarsi degli eventi di cui all'articolo 6 assumendo come pagamento l'accettazione del buono-corrispettivo come corrispettivo o parziale corrispettivo di detti beni o servizi (8).

Si ricorda, infine, la relazione illustrativa al d.lgs. n. 141 del 2018, che puntualizza che, nel caso di buono-corrispettivo monouso, al momento dell'emissione, devono essere noti «tutti gli elementi richiesti ai fini della documentazione dell'operazione (natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell'operazione)». Infine, quanto alla distinzione tra le due tipologie di buoni-corrispettivo, la stessa relazione precisa che «[essa] si fonda sulla disponibilità delle informazioni necessarie per la tassazione già al momento dell'emissione del buono corrispettivo o al momento del riscatto qualora l'utilizzo finale sia lasciato alla scelta del consumatore» (9).

La prassi amministrativa domestica: “buono monouso” o “buono multiuso”, è questo il dilemma

Successivamente all'entrata in vigore delle disposizioni sul trattamento fiscale dei voucher, l'amministrazione finanziaria, su input delle imprese, con risposte a interpelli (10), ha espresso più volte la propria opinione sulla disciplina IVA dei buoni monouso e multiuso. Ne è scaturita una casistica che sembra utile ripercorrere, per sommi capi, senza pretesa di completezza, a riprova della consistenza della platea degli operatori economici potenzialmente interessati al pronunciamento della Corte di Giustizia, nonché dell'opportunità che il fisco orienti il proprio agire seguendo meticolosamente le coordinate ivi fissate.

Questa la sintesi di alcune fattispecie di rilievo:

1) a giudizio dell'Agenzia delle entrate (11), l'operatore che svolge attività di trasporto di persone e organizza tour alle isole della laguna veneta, tramite una propria agenzia di viaggi (tour operator) — la quale rilascia al cliente un voucher che quest'ultimo presenta alla società istante al momento del tour —, deve emettere la fattura direttamente nei confronti del tour operator che ha rilasciato il buono corrispettivo (società emittente) e non nei confronti del cliente. E ciò accade perché, spiega l'Agenzia, in base alla succinta rappresentazione fornita nell'interpello, non emerge che il “buono” in esame consenta di ottenere alcuna altra prestazione di servizi o cessione di beni. Si tratta, quindi, di un “buono monouso”, sicché, in conclusione, «il tour si considera reso nei confronti del soggetto passivo d'imposta che ha emesso il buono»;

2) la società richiedente ha intenzione di incentivare la propria clientela mediante il riconoscimento di un voucher da assegnare come omaggio, a titolo promozionale, che la stessa società intende acquistare da aziende specializzate nel settore delle campagne promozionali, in varie forme riconducibili alla categoria dei cc.dd. “cofanetti regalo” (smart box) di vario tipo.

I cofanetti regalo possono avere ad oggetto servizi imponibili, assoggettati a una stessa aliquota IVA (ad esempio, soggiorno presso strutture alberghiere e simili oppure cena presso determinati ristoranti), oppure a diverse aliquote IVA, quali soggiorno presso strutture alberghiere e pratica del golf all'interno di un golf club. I voucher, inoltre, possono riguardare il diritto del beneficiario alla consegna di un singolo bene (ad esempio, uno smartphone) da ritirare presso una catena commerciale, oppure una pluralità di beni (ad esempio, un tablet e uno smartphone) con aliquota IVA identica o diversa.

All'istante che chiede di conoscere se, agli effetti dell'IVA, si tratti di “buoni monouso” o “buoni multiuso”, l'Agenzia risponde (12), innanzitutto, inquadrando la fattispecie concreta nell'àmbito della direttiva voucher e del diritto interno che ha recepito la normativa comunitaria, e aggiunge che «Ciò che assume rilevanza dirimente ai fini della qualificazione come monouso o multiuso di un buono-corrispettivo è la certezza o meno, già al momento dell'emissione del buono-corrispettivo, del trattamento ai fini dell'IVA attribuibile alla corrispondente cessione di beni o prestazione di servizi, da intendersi come certezza circa la territorialità dell'operazione e la natura, qualità, quantità nonché l'IVA applicabile ai beni e servizi formanti oggetto della stessa, tutti elementi richiesti ai fini della documentazione dell'operazione. Di conseguenza, nel caso in esame, in sede di stipulazione dei contratti con i propri fornitori la Società terrà conto delle predette indicazioni, ai fini della corretta qualificazione dei buoni-corrispettivo che acquisterà da terzi come buoni monouso o multiuso» (13).

A titolo di esempio, per l'Agenzia, rientrerebbero nella categoria dei buoni monouso i cofanetti regalo in cui sono noti, al momento della loro emissione, il luogo dell'operazione e la natura, qualità, quantità nonché l'IVA applicabile, le cui aliquote possono essere anche diverse. Rientrerebbero invece nella categoria dei buoni multiuso i cofanetti regalo che offrono la possibilità al possessore di scegliere, nell'àmbito di un paniere, uno o più servizi, soggetti ad aliquote IVA diverse.

E tale decisiva distinzione, conclude l'ufficio, assume rilevanza per individuare, nel rispetto della menzionata normativa, il momento in cui le cessioni di beni e le prestazioni di servizi oggetto dei buoni-corrispettivo si intendono effettuate (14);

3) il “Piano voucher sulle famiglie a basso reddito” di cui al decreto del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) 07 agosto 2020, prevede che alle famiglie che presentino ISEE inferiore a euro 20.000,00 sia erogato un voucher non superiore ad euro 500,00, che comprende il servizio di connessione a Internet e la fornitura di un tablet o un personal computer sulla base delle offerte commerciali di un operatore accreditato presso la piattaforma gestita da un soggetto attuatore della strategia nazionale per la banda ultra-larga. È opinione dell'Agenzia delle entrate che il voucher, malgrado la natura pubblicistica del contributo — che sta alla base del particolare processo di emissione e di attivazione del voucher stesso e dei relativi controlli — emesso sulla piattaforma digitale dall'operatore accreditato, a seguito della domanda di ammissione che il beneficiario sottoscrive con l'operatore, in ragione della completezza dei dati identificativi di quest'ultimo e delle caratteristiche tecniche del tablet o del personal computer inclusi nell'offerta, della tipologia di servizio di connettività Internet individuato dall'offerta, nonché del luogo di effettuazione dell'operazione (oltre che, si intende, dell'operatore e del beneficiario), sia qualificabile come “buono monouso”, ai fini dell'IVA. Pertanto, conclude l'ufficio, l'operatore dovrà rilevare ai fini IVA l'operazione nei confronti del committente/cessionario (cliente finale) in relazione al bene ceduto e al servizio prestato cui si riferisce il voucher. E, più nel dettaglio, quanto all'individuazione del momento di emissione del voucher, è parere dell'amministrazione finanziaria che essa coincida con lo stato del voucher (non semplicemente “prenotato”, ma) “attivato” (e cioè dopo l'avvenuta attivazione del servizio e l'avvenuta consegna del tablet o del personal computer), nell'àmbito del portale voucher back-end (15).

Il ballon d'essai del giudice tributario

Benché il tema della rilevanza fiscale (con specifico riferimento all'imposta sul valore aggiunto) dei voucher, nella duplice versione del “buono monouso” e del “buono multiuso”, sia vasto e suscettibile di coinvolgere una pluralità di operatori economici, in subiecta materia si registra un contenzioso poco vivace. Sulla premessa che non si riscontrano pronunce di legittimità, è degna di nota una delle sporadiche decisioni di merito, da scrutinare alla luce dei principî enunciati dalla Corte di Giustizia in causa C-637/20 (16).

È accaduto che l'amministrazione finanziaria abbia emesso nei confronti di una S.n.c., esercente attività di ristorazione e inserita nel circuito “Smartbox”, un avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai fini IVA, per il 2013, il valore complessivo lordo dei cofanetti regalo (smart-box) che i possessori spendevano presso quell'esercizio.

La società impugnò l'atto impositivo e ne chiese l'annullamento sul rilievo che i cofanetti regalo sarebbero qualificabili come “buoni monouso”, essendo già nota, al momento dell'emissione del “buono”, la disciplina della cessione dei beni o della prestazione di servizi applicabile ai fini IVA.

Al contrario, per l'ufficio, la ripresa era legittima poiché, rispetto all'imposta sul valore aggiunto, la circolazione dei cofanetti regalo assume rilevanza esclusivamente al momento della loro utilizzazione da parte del cliente finale.

Il giudice tributario di appello, sulla scia della pronuncia di primo grado, ha qualificato il “buono” come un documento di legittimazione (art. 2002 c.c.), che consente di identificare l'avente diritto all'acquisto di un bene o di un servizio, con la possibilità di trasferire tale diritto senza l'osservanza delle forme proprie della cessione, sicché la circolazione del “buono” è priva di rilievo ai fini dell'IVA.

A tale proposito, sottolinea la commissione regionale, la cessione del “buono”/titolo di legittimazione è riconducibile alla cessione di un titolo di credito, e trova applicazione l'art. 2, terzo comma, lett. a), d.P.R. n. 633 del 1972, per il quale «Non sono considerate cessioni di beni: a) le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro».

Dunque, il rapporto che rileva ai fini dell'IVA è quello tra il beneficiario del “buono” e l'esercizio convenzionato. In altri termini, per la C.T.R. piemontese, «quando l'utente finale usufruirà del servizio il fornitore di tale servizio […] emetterà regolare scontrino/fattura con IVA per l'intero prezzo del bene/servizio dovuto dal consumatore finale, da cui riceverà in pagamento il buono acquisto».

A prescindere dall'opinione di ciascuno circa la correttezza o meno della decisione, è evidente che l'attenzione del giudice tributario è attratta da un aspetto tutto sommato marginale, quale la qualifica del “buono”, sul piano civilistico, come documento di legittimazione, mentre resta sullo sfondo la questione cruciale della controversia.

Seguendo la direttrice tracciata dalla Corte di Giustizia in causa C-637/20, invece, è indubbio che il fulcro della controversia consiste nello stabilire (con apprezzamento delle circostanze di fatto, appannaggio del giudice tributario) se il cofanetto regalo sia un “buono monouso” o un “buono multiuso”, a seconda che, al momento della sua emissione, sia nota o meno la disciplina applicabile ai fini dell'IVA.

Compiuto tale accertamento preliminare e appurato che il cofanetto regalo (smart box) costituisce un “buono multiuso”, soltanto allora diviene possibile affermare che l'IVA si applica all'atto della consegna fisica del bene o della concreta prestazione del servizio cui dà diritto quel tipo di voucher, senza che rilevino i trasferimenti del “buono” che avvengono prima del suo riscatto.

Note
(1) Si tratta dello Högsta förvaltningsdomstolen. (2) Nel testo la DSAB è indicata anche come “società contribuente” o “contribuente”; inoltre, si utilizza la parola “citycard” (o, indifferentemente, “carta” o “voucher”) per designare la carta, oggetto del procedimento principale, che conferisce al suo titolare il diritto di usufruire di varie prestazioni di servizi turistici per un periodo limitato.

(3) Si tratta della Skatterättsnämnden.

(4) La Corte richiama la sentenza del 18 novembre 2020, Kaplan International Colleges UK, C‑77/19, EU:C:2020:934, punto 39. In senso conforme, ex aliis, la sentenza del 20 novembre 2019, Infohos, C‑400/18, EU:C:2019:992, punto 33; la sentenza del 3 ottobre 2019, Wasserleitungsverband Nördliches Burgenland e a., C‑197/18, EU:C:2019:824, punto 48.

(5) La Corte dichiara di non condividere, innanzitutto, l'argomento dell'amministrazione tributaria secondo il quale la citycard non può costituire un “buono” in quanto il consumatore medio sarebbe nell'impossibilità di usufruire di tutti i servizi proposti, tenuto conto della durata di validità limitata della carta. Al riguardo, a giudizio della Corte, come ha osservato l'avvocato generale (al paragrafo 57 delle sue conclusioni), dalla definizione del “buono” enunciata all'articolo 30-bis, punto 1, della direttiva IVA, non emerge che la durata di validità della carta o la possibilità di usufruire di tutti i servizi in essa proposti siano elementi rilevanti al fine di qualificarla come “buono”, ai sensi di tale disposizione. Per la Corte, inoltre, al contrario di quanto sostiene il Governo italiano, nelle sue osservazioni scritte, l'emissione di un simile strumento non può essere qualificata quale “fornitura di un servizio unitario”, tenuto conto della diversità dei servizi proposti e degli operatori economici terzi che intervengono in qualità di prestatori. Ed anche perché siffatta qualifica si porrebbe in contrasto con l'obiettivo del considerando 5 della direttiva 2016/1065, poiché essa porterebbe a imporre un'aliquota d'imposta unica a servizi, quali i trasporti o gli ingressi al museo, che sono soggetti ad aliquote IVA diverse o che sono esenti da tale imposta. E potrebbe infine condurre a una doppia imposizione dei servizi di cui trattasi, nonostante la direttiva 2016/1065 avesse segnatamente lo scopo di evitarla, come emerge dal considerando 2.

(6) La sentenza della Corte di Giustizia, 28 aprile 2022, in causa C-637/20, è annotata da PEIROLO, in L'IVA, n. 6, 2022, pag. 44.

(7) Per l'articolo 30-bis, della direttiva IVA, si intende per «2) «buono monouso», un buono in relazione al quale il luogo della cessione dei beni o della prestazione dei servizi cui il buono si riferisce e l'IVA dovuta su tali beni o servizi sono noti al momento dell'emissione del buono; 3) «buono multiuso», un buono diverso da un buono monouso.

(8) L'art. 6, d.P.R. n. 633 del 1972 (rubricato “Effettuazione delle operazioni”), indica, in termini analitici, il momento in cui si considerano effettuate, ai fini dell'IVA, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi. In linea di massima, le cessioni di beni si considerano effettuate nel momento della stipulazione se riguardano beni immobili e nel momento della consegna o spedizione se riguardano beni mobili. Le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo.

(9) In breve: (i) buono monouso: al momento dell'emissione è nota la disciplina applicabile ai fini dell'IVA; (ii) buono multiuso: al momento dell'emissione non è nota la disciplina applicabile ai fini dell'IVA.

(10) L'art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, (cd. Statuto dei diritti del contribuente) regola il diritto di interpello, al fine di consentire al contribuente di conoscere l'opinione dell'amministrazione finanziaria sull'applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse. La risposta di quest'ultima, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell'istanza di interpello, e limitatamente al richiedente.

(11) Risposta dell'Agenzia delle entrate all'interpello n. 324 del 26 luglio 2019. Ivi, l'ufficio sottolinea che l'istante, che ha un volume di affari superiore a euro 400.000,00 annui, è obbligato alla fatturazione elettronica.

(12) Risposta dell'Agenzia delle entrate all'interpello n. 519 del 12 dicembre 2019. L'istante ha chiesto anche di conoscere il trattamento tributario, ai fini delle imposte dirette (IRES), applicabile ai “buoni”, ed ha soggiunto di avere qualificato gli oneri per l'acquisto dei voucher come spese di rappresentanza, ai sensi dell'art. 108, comma 2, TUIR, vigente ratione temporis, e del decreto del ministero dell'economia e delle finanze del 19 novembre 2008. L'amministrazione finanziaria ha condiviso tale qualificazione del componente negativo in esame, purché detto onere sia “inerente” nel senso indicato dal d.m. 19 novembre 2008, e dalla circolare dell'Agenzia delle entrate n. 34/E del 2009.

(13) Analoghe questioni sono oggetto della risposta dell'Agenzia delle entrate all'interpello n. 617 del 23 dicembre 2020. Nella specie, la società istante svolge un'attività consistente nel fornire giri di pista su una propria autovettura sportiva. Tale attività è compiuta dalla contribuente che assume la veste di partner (i.e. fornitore del servizio) dell'emittente — che si impegna a procurare i nuovi clienti e a promuovere i servizi del partner in forza di un mandato con rappresentanza — all'interno di cofanetti regalo che i clienti possono acquistare nei centri commerciali o su internet. Dal facsimile di cofanetto esibito dalla società emerge che questo include “n” “esperienze” fornite da “n” partner diversi, la cui “identità” sarà nota solo in seguito, ossia nel termine massimo di due anni, decorsi inutilmente i quali il buono non può più essere utilizzato. Ne consegue che quando l'emittente vende il cofanetto, incassa del denaro in nome e per conto di un partner che tuttavia non è identificato. Dette somme rimangono nella disponibilità dell'emittente finché il cliente non seleziona tra le “n” “esperienze” del cofanetto quella che preferisce. Sicché, in conclusione, la prestazione di servizi resa dalla società istante (partner), previa accettazione del voucher (che rileva quale buono multiuso) a titolo di corrispettivo, è un'operazione imponibile, ai fini IVA. Infatti, è in tale momento che sono noti tutti gli elementi necessari che consentono alla società di certificare l'operazione secondo il suo corretto trattamento IVA.

(14) Nella risposta all'interpello n. 147 del 03 marzo 2021, con riferimento alla “carta regalo” che consente ai clienti di acquistare capi di abbigliamento di moda etc., di diversi marchi commercializzati da tutte le società italiane di un certo gruppo, l'Agenzia delle entrate, in adesione alla prospettazione dell'istante, qualifica tale tipo di voucher come un buono multiuso, con la conseguenza che l'operazione diventa rilevante, e la relativa imposta sul valore aggiunto diventa esigibile, non quando la “carta regalo” viene emessa, ma quando viene utilizzata dal possessore, presso i punti vendita indicati, per l'acquisto di beni.

(15) Risposta dell'Agenzia delle entrate all'interpello n. 535 del 6 agosto 2021.

(16) Commissione tributaria regionale del Piemonte, sentenza n. 874/03/2021, del 04/11/2021, che ha confermato la decisione della Commissione tributaria provinciale di Cuneo n. 5/20, depositata il 20/01/2020.