L'esdebitazione del fallito ai sensi degli articoli 142 e 143 della legge fallimentare travolge anche i debiti IVA

Pasqualina A. P. Condello
26 Ottobre 2022

L'esdebitazione del fallito ai sensi degli artt. 142 e 143 l. f. è applicabile anche ai debiti IVA, non ponendosi in contrasto con l'art. 4, par. 3, TUE e con gli artt. 2 e 22 della Direttiva 77/388/CEE, in materia di sistema comune di imposta sul valore aggiunto.
Il principio

Con sentenza 6 giugno 2022 n. 18124/2022, la Corte di Cassazione, in osservanza dei criteri sanciti da Corte di giustizia U.e. 16 marzo 2017 in causa C- 493/15, Identi, ha affermato che “In tema di fallimento, l'esdebitazione del fallito di cui agli artt. 142 e 143 legge fallimentare è applicabile anche ai debiti IVA, non contrastando con l'art. 4, par. 3, TUE e con gli artt. 2 e 22 della Direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977 (cd. “Sesta Direttiva”), in materia di sistema comune di imposta sul valore aggiunto”.

Il fatto

La Commissione tributaria regionale del Piemonte, rigettando l'appello dell'Agenzia delle entrate, confermò l'illegittimità di una cartella di pagamento con cui era stato chiesto a Marco Identi, socio accomandatario della società PVA s.a.s., dichiarata fallita, il versamento di somme a titolo di IVA e IRAP per l'anno d'imposta 2003.

A fondamento della decisione i giudici di merito rilevarono che il contribuente, fallito in proprio, aveva ottenuto un decreto di esdebitazione in forza del quale era stato liberato dal complesso dei debiti residui, tra cui anche alcuni di natura fiscale, nei riguardi dei creditori concorsuali rimasti insoddisfatti dalla liquidazione fallimentare, di talché l'Ente impositore non aveva titolo per richiedere il versamento dei tributi.

La Corte di Cassazione, dinanzi alla quale l'Ente impositore propose ricorso avverso la sentenza di secondo grado sul rilievo che i tributi fossero esclusi dall'alveo del beneficio dell'esdebitazione, ha sospeso il procedimento e chiesto alla Corte di Giustizia: se l'articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, ostano o non all'applicazione, in materia di imposta sul valore aggiunto, di una disposizione nazionale che prevede l'estinzione dei debiti nascenti dall'IVA in favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione disciplinata dagli artt. 142 e 143 del R.D. n. 267/1942.

Al proposto quesito interpretativo, la citata decisione della Corte di giustizia ha dato risposta nel senso che Il diritto dell'Unione non osta a che i debiti da imposta sul valore aggiunto siano dichiarati inesigibili in applicazione di una procedura nazionale di esdebitazione, comportante l'inesigibilità dei debiti di persona fisica non liquidati all'esito di procedura fallimentare cui detta persona sia stata sottoposta, purché l'esdebitazione sia subordinata a condizioni di applicazione particolarmente rigorose e, in forza di tali condizioni, non costituisca rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell'IVA e, in tal modo, non si ponga in contrasto all'obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell'IVA nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione.

La motivazione

1 – Nel definire la controversia alla luce dell'interpretazione della corte europea, la Corte di Cassazione - scrutinati unitariamente i motivi di ricorso, tutti involgenti il tema generale della compatibilità dell'esdebitazione ex art. 142 legge fallimentare con il diritto dell'unione in materia di debiti IVA - ha confermato la piena compatibilità dell'istituto nazionale al diritto unionale, escludendo, in particolare, che esso contrasti con l'art. 4, par. 3, TUE e con gli artt. 2 e 22 della Direttiva 77/388/CEE.

Segnatamente, ha rilevato che la Corte di Giustizia, pur partendo dalla considerazione che la libertà degli Stati membri nell'utilizzare i mezzi a propria disposizione al fine di garantire il prelievo IVA nei rispettivi territori è limitata dall'obbligo di assicurare l'effettiva riscossione delle risorse proprie dell'Unione, ha, tuttavia, osservato che il quadro sovranazionale non osta alla declaratoria di inesigibilità dei debiti IVA correlata all'applicazione della normativa interna sull'esdebitazione del fallito persona fisica, essendo la concessione del beneficio ex art. 142 legge fallimentare sottoposta a condizioni rigorose.

L'istituto, infatti, secondo quanto già evidenziato dalla giurisprudenza della stessa Corte di giustizia, è ancorato ad un complesso di requisiti soggettivi ed oggettivi, per cui, esigendo la presenza di presupposti molto rigidi, assicura il superamento della regola “ordinaria” della responsabilità perpetua del debitore, di cui all'art. 2740 c.c., in forza della quale il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (salvi i casi stabiliti dalla legge). La severità delle condizioni che caratterizzano la procedura di esdebitazione ex art. 142 legge fallimentare assume, dunque, valenza decisiva, posto che i requisiti e i presupposti contemplati dalla norma sono suscettibili di offrire “garanzie per quanto riguarda segnatamente la riscossione dei crediti IVA”, senza che, per il tramite del beneficio si addivenga ad una “rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione” del tributo (Pagine 4 e 5 della decisione e la giurisprudenza ivi richiamata).

2 – Muovendo da tali premesse, la Corte di legittimità ha posto in rilievo come l'art. 142 legge fallimentare inglobi nel perimetro dell'esdebitazione tutte le obbligazioni derivanti da rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa, ab implicito, ma inequivocabilmente, annettendovi anche i debiti tributari e le correlate sanzioni ed escludendo dall'efficacia liberatoria del beneficio esclusivamente gli obblighi di mantenimento e alimentari, i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario non accessorie dei debiti estinti e le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all'esercizio d'impresa. Nel novero delle esclusioni non si fa menzione dei rapporti tributari, considerato che, nell'ambito della concorsualizzazione dei debiti, essi risultano falcidiabili (ex art. 160, comma 2, legge fallimentare) e transigibili (ex art. 182-ter legge fallimentare).

Ha, quindi, sottolineato che la sentenza resa nella causa C-493/15 si allinea alla precedente pronuncia emessa nella causa C-546/14, che, in modo incisivo, aveva evidenziato che “l'obbligo della riscossione effettiva non può essere assoluto” (punto 35) e che “uno Stato membro può ragionevolmente ritenere legittima la rinuncia al pagamento integrale di un credito IVA, purché siffatte circostanze siano eccezionali, puntuali e limitate e purché lo Stato membro non crei significative differenze nel modo in cui sono trattati i soggetti d'imposta nel loro insieme e, pertanto, non pregiudichi il principio di neutralità fiscale” (punto 36).

Dando, infine, atto che la Corte di Giustizia non si sofferma ad analizzare la relativa ratio, la Corte puntualizza che l'esdebitazione risponde proprio alla rilevante esigenza, avvertita in misura crescente in ambito unionale, di consentire al debitore, svincolato da debiti pregressi (c.d. discharge), di ripartire e riproporsi nella società (c.d. fresh restart), senza dover subire limitazione alcuna nel reinserimento nel circuito sociale ed economico per il fatto che alcuni debiti sono rimasti insoddisfatti.

3 – La conclusione, pertanto, è che “l'esdebitazione del fallito ex art. 142 legge fallimentare, introdotta proprio sulla scia di altre legislazioni europee e dell'impulso unionale che proprio sull'esdebitazione insiste nel crinale fra la Raccomandazione della Commissione 2014/135/UE del 12 marzo 2014 alla Direttiva Europea 2019/1023”, è applicabile anche ai debiti IVA.

Considerazioni

1 – La decisione in esame, traendo origine da una controversia insorta tra l'Amministrazione fiscale nazionale e un soggetto fallito persona fisica, risponde all'esigenza di svolgere una verifica di compatibilità dell'istituto dell'esdebitazione, disciplinato dalla normativa nazionale (artt. 142 e 143 legge fallimentare), con le disposizioni comunitarie, ed in particolare con l'art. 4, paragrafo 3, TUE e con gli artt. 2 e 22 della sesta direttiva IVA 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977.

Il legislatore nazionale, con il decreto legislativo n. 5 del 9 gennaio 2006, modificando gli articoli da 142 a 144 della legge fallimentare, ha introdotto la procedura di esdebitazione che consente al soggetto fallito persona fisica di liberarsi dai debiti residui vantati dai creditori concorsuali non soddisfatti purché ricorrano alcune condizioni di meritevolezza. Nello specifico, è previsto che alla procedura sia ammesso il debitore fallito che abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all'accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni; non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura; non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta; non abbia distratto l'attivo o esposto passività insussistenti; non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l‘economia pubblica, l'industria e il commercio e altri delitti compiuti in connessione con l'esercizio dell'attività d'impresa. Verificata la sussistenza dei predetti presupposti, all'esito di una fase istruttoria e previa assunzione del parere del curatore e del comitato dei creditori, il Tribunale, pronunciandosi sull'istanza depositata dal fallito, decide con decreto motivato, reclamabile in appello, cosicché, in caso di parere positivo, il fallito non è più obbligato a pagare i crediti residui dalla procedura fallimentare e l'esdebitazione si estende sia agli interessi relativi ai crediti, sia alle garanzie reali accessorie al diritto di credito.

La ratio dell'istituto è stata individuata dalla Relazione ministeriale al decreto legislativo n. 5 del 2006 nell'obiettivo di “recuperare l'attività economica del fallito per permettergli un nuovo inizio, una volta azzerate tutte le posizioni debitorie”; dal complesso della disciplina si evince chiaramente che la finalità perseguita, del tutto coerente con la qualificazione in termini di “beneficio”, è quella di premiare il fallito “onesto, ma sfortunato” (analogamente a quanto previsto per l'imprenditore meritevole del concordato preventivo), al fine di incentivare l'imprenditore assoggettabile a fallimento a tenere, sia prima che durante la procedura, una condotta irreprensibile tesa a salvaguardare le aspettative di soddisfacimento dei creditori.

In altri termini, l'interesse del debitore a liberarsi dai residui vincoli obbligatori viene ad avere preferenza rispetto al contrapposto interesse dei creditori alla persistenza dei vincoli, ma solo quando si sia fatto di tutto per procurare ai creditori la massima soddisfazione possibile attraverso una procedura alla quale il debitore abbia fattivamente collaborato e sempre che lo stesso debitore anche prima della procedura concorsuale abbia agito correttamente nella gestione dell'impresa e nei rapporti con i creditori.

Per espressa disposizione dell'art. 14-terdecies della legge n. 3/2012, l'istituto della esdebitazione è stato poi esteso ai soggetti non fallibili che possono accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (e, anche se non rileva in questa sede, il Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza, introdotto dal d.lgs. n. 14/2019, ha implementato l'istituto per le persone giuridiche).

In tale quadro normativo di riferimento, in risposta alla questione pregiudiziale sollevata dalla Corte di legittimità con l'ordinanza di rimessione del 1° luglio 2015, n. 13542, oggetto della sentenza in commento - la Corte di Giustizia, con la sentenza resa nella causa C-493/15, è intervenuta a dirimere in modo definitivo il dibattito sorto nell'ambito nazionale in merito alla questione della falcidiabilità dell'IVA nelle procedure concorsuali, dando sostanziale continuità alla linea interpretativa già individuata con la precedente decisione del 7 aprile 2016 resa con riguardo ad analoga questione prospettata in relazione al concordato preventivo (C.G.U.E. 7 aprile 2016, causa C- 546/14, Degano Trasporti).

2 – Nell'ambito di tale ultima procedura si è, infatti, a lungo discusso della possibilità o meno da parte del debitore di effettuare un pagamento parziale dell'IVA dovuta, anche nel caso in cui non si faccia ricorso all'istituto della transazione fiscale ex art. 182-ter della legge fallimentare, posto che tale norma, nella versione precedente a quella prevista dalla legge dell' 11 dicembre 2016, n. 232 (c.d. Legge di bilancio 2017), prevedeva solamente la possibilità di dilazionare il pagamento dell'imposta, senza alcuna riduzione del relativo debito.

La Corte di Giustizia, con la sentenza resa nella causa C- 546/14 - investita dal Tribunale di Udine della questione pregiudiziale se sia ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda, con la liquidazione del patrimonio del debitore, il pagamento soltanto parziale del credito dello Stato relativo all'IVA qualora non venga utilizzato lo strumento della transazione fiscale e non sia prevedibile per quel credito, sulla base dell'accertamento di un esperto indipendente e all'esito del controllo formale del Tribunale, un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare - ha innanzitutto ricordato, richiamando gli articoli 2, 29, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA, nonché l'art. 4, paragrafo 3, TUE, che gli Stati membri hanno l'obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire il prelievo integrale dell'IVA nel loro territorio (C.G.U.E. 7 aprile 2016, causa C-546/14, Degano Trasporti, punto 19 e giurisprudenza ivi richiamata) e che, nell'ambito del sistema comune dell'IVA, benché gli Stati membri beneficiano di una certa libertà in relazione alle modalità di utilizzo dei mezzi a loro disposizione al fine di assicurare il rispetto degli obblighi posti a carico dei soggetti passivi (C.G.U.E. 7 aprile 2016, causa C-546/14, Degano Trasporti, punto 20 e giurisprudenza ivi richiamata), hanno comunque l'obbligo di garantire una “riscossione effettiva” delle risorse proprie dell'Unione e di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, in conformità al principio di neutralità fiscale, in base al quale operatori economici che effettuino operazioni uguali non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell'IVA (C.G.U.E. 7 aprile 2016, causa C-546/14, Degano Trasporti, punto 21 e giurisprudenza ivi richiamata). Con l'ulteriore precisazione che le risorse proprie dell'Unione comprendono le entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo le regole dell'Unione, sussistendo un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell'IVA nell'osservanza del diritto dell'Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell'Unione delle corrispondenti risorse IVA, “poiché qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde (C.G.U.E. 7 aprile 2016, causa C-546/14, Degano Trasporti, punto 22 e giurisprudenza ivi richiamata).

Fatta questa premessa, nell'esaminare l'ammissibilità di un pagamento parziale di un credito IVA da parte di imprenditore in stato di insolvenza nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, la Corte ha rilevato, conformandosi alle conclusioni dell'Avvocato generale, come la procedura di concordato preventivo sia soggetta a presupposti di applicazione rigorosi, “allo scopo di offrire garanzie per quanto concerne, in particolare, il recupero dei crediti privilegiati e pertanto dei crediti IVA”, cosicché, in caso di insufficienza del patrimonio del debitore in stato di insolvenza a saldare i debiti, è ben possibile il pagamento parziale del credito privilegiato in presenza di attestazione, da parte di un esperto indipendente, che detto credito non potrebbe comunque ricevere un trattamento migliore nel caso di fallimento del debitore (C.G.U.E. 7 aprile 2016, causa C- 546/14, Degano Trasporti, punti da 22 a 25). Così argomentando, ha inteso sottolineare che il principio di “riscossione effettiva” delle risorse proprie dell'Unione risulta pienamente rispettato, nell'ambito della procedura di concordato preventivo, quando, per ragioni di natura oggettiva - e non per inadeguatezza dei mezzi adottati – sia stato in concreto accertato, mediante l'attestazione di un esperto terzo ed indipendente, che lo Stato membro interessato, anche laddove venisse promossa una procedura fallimentare, non potrebbe recuperare il proprio credito IVA in misura maggiore.

Sulla scia di tale pronuncia, in ambito nazionale, le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. 27/12/2016, n. 26988, in senso conforme Cass. 13/01/2017, n. 760), nell'intento di superare i contrasti giurisprudenziali emersi, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui “La previsione dell'infalcidiabilità del credito IVA di cui all'art. 182-ter legge fallimentare trova applicazione solo nell'ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale”. Per addivenire a tale approdo, la Suprema Corte, partendo dalla considerazione che le disposizioni che prevedono l'infalcidiabilità dell'IVA hanno carattere eccezionale, di modo che non potrebbero essere estese a fattispecie diverse da quelle espressamente contemplate da disposizioni speciali, ha precisato che il concordato preventivo con transazione fiscale previsto dall'art. 182-ter legge fallimentare, diversamente dal concordato preventivo di cui all'art. 160 legge fallimentare, “è una speciale figura di concordato preventivo: sia perché viene ovviamente in rilievo solo quando vi siano debiti tributari; sia perché, anche in presenza di debiti tributari, è possibile un concordato preventivo senza transazione fiscale”. Nell'evidenziare che il debitore, in presenza di debiti tributari, può scegliere tra due tipologie di concordato, e precisamente quella principale, che prescinde da un previo accordo con il Fisco, e l'altra speciale, che include la transazione fiscale, ha sottolineato che la scelta tra l'uno e l'altro procedimento dipende dall'eventuale esigenza imprescindibile di ottenere il voto favorevole dell'Amministrazione finanziaria, in ragione delle dimensioni del credito, oltre che di offrire certezza ai creditori tutti circa l'effettiva consistenza del debito tributario e di conseguenza circa le concrete prospettive di attuabilità del piano concordatario. Con la conseguenza che “se tra le due fattispecie di concordato preventivo v'è, come è evidente, un rapporto di specialità, non è possibile estendere alla fattispecie generale, del concordato senza transazione fiscale, la disciplina della fattispecie speciale, del concordato con transazione fiscale”.

Pertanto, hanno soggiunto le Sezioni Unite, solamente nel caso in cui si ipotizzasse l'obbligatorietà della transazione fiscale, si potrebbe riconoscere l'infalcidiabilità del credito IVA in qualsiasi concordato. Ma se si esclude che la transazione fiscale debba accompagnare necessariamente ogni ipotesi di concordato preventivo con debiti tributari, deve riconoscersi che la regola dell'infalcidiabilità opera solo per la transazione fiscale. Conseguentemente, senza la transazione fiscale, il concordato preventivo deve essere dichiarato ammissibile anche nel caso in cui si preveda il pagamento parziale del credito IVA, purché la proposta sia completa della relazione giurata del professionista di cui all'art. 160, comma 2, della Legge fallimentare, che certifichi il trattamento deteriore in ipotesi di fallimento e la necessaria degradazione dei creditori privilegiati, compresi i crediti erariali per IVA (in tal senso si muove anche la circolare dell'Agenzia delle entrate n. 16/E del 2018 (paragrafo 1.2) che, rivedendo la propria posizione sulla infalcidiabilità dei debiti IVA in sede di concordato preventivo senza transazione fiscale, espressa nelle precedenti circolari sul tema (circolare n. 40/E del 18 aprile 2008 e circolare n. 19/E del 6 maggio 2015) che facevano leva sulle sentenze della Corte di Cassazione n. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011, ha considerato legittima la proposta di falcidia dell'IVA contenuta nelle domande di concordato preventivo non accompagnato da transazione fiscale, non ancora votata al 7 aprile 2016, data della sentenza emessa in relazione alla causa C-546/14).

3 – Assicurando continuità alla giurisprudenza unionale, la Corte di Giustizia, con la sentenza resa nella causa C-493/15 - di cui fa compiuta applicazione la sentenza in rassegna - facendo leva sui medesimi argomenti su cui poggia la sentenza resa in causa C-546/14, rimarca la compatibilità della procedura di esdebitazione, analogamente a quanto già affermato con riferimento al concordato preventivo, con le norme europee sull'IVA, e ciò sul rilievo che trattasi di procedura normativamente ben congegnata, perché assoggettata a condizioni di applicazione rigorose, la sussistenza delle quali è rimessa ad un esame condotto, caso per caso, da un organo giurisdizionale.

Tale procedura consente, invero, allo Stato membro interessato, detentore di un credito IVA, da un lato, di fornire all'organo giurisdizionale un parere sulla domanda del debitore che chiede di essere ammesso al beneficio e, dall'altro, di proporre eventualmente ricorso avverso la decisione che dichiara inesigibili i debiti IVA non integralmente soddisfatti, in tal modo innescando un doppio controllo giurisdizionale. Conseguentemente, come rilevato dalla giurisprudenza comunitaria, potendo operare solo al ricorrere di specifiche situazioni oggettive, l'istituto non contrasta con l'obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell'IVA e garantisce anch'esso la “riscossione effettiva” delle risorse proprie dell'Unione.

Allineandosi alla ricostruzione del giudice unionale, la sentenza in rassegna ribadisce l'inesigibilità del credito IVA a carico di soggetto beneficiario della procedura di esdebitazione, stante la compatibilità dell'istituto con il diritto comunitario e la finalità dallo stesso perseguita di consentire al debitore di ridiventare un soggetto economico attivo, senza dover scontare una insormontabile limitazione nel reinserimento nel circuito sociale ed economico in ragione di debiti rimasti insoluti.

La decisione assume, quindi, particolare rilevanza sia in quanto costituisce applicazione all'esdebitazione dei principi elaborati con riferimento al concordato preventivo, sia perché essa va ad affiancarsi, in ambito nazionale, all'intervento della Corte costituzionale (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 245/19), che, ispirandosi alla ratio sottesa alla decisione della Corte di Giustizia del 7 aprile 2016 e anticipando la riforma prevista dal d.lgs. n. 14/2019, cd. Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza, ha dichiarato l‘illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge n. 3/2012 (dettato per il sovraindebitamento del soggetto non fallibile) limitatamente alle parole “all'imposta sul valore aggiunto”, contemplandone l'ablazione, sul rilievo che la differenza di disciplina che caratterizza il concordato preventivo, da un lato, e l'accordo di composizione della crisi del debitore non fallibile, dall'altro, dà luogo ad una ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento, tale da concretare la violazione dell'art. 3 della Costituzione.