La Corte di Giustizia ed il principio di proporzionalità: al giudice nazionale il compito di rimodulare le sanzioni eccedenti

Andrea Venegoni
26 Ottobre 2022

Il principio del primato del diritto dell'Unione deve essere interpretato nel senso che esso impone alle autorità nazionali l'obbligo di disapplicare una normativa nazionale, parte della quale è contraria al requisito di proporzionalità delle sanzioni, nei soli limiti necessari per consentire l'irrogazione di sanzioni proporzionate.
Introduzione

L'Autorità amministrativa della Repubblica austriaca irrogò al rappresentante di una azienda ceca una sanzione pecuniaria per violazioni commesse nel distacco di propri lavoratori presso una società austriaca.

Su rinvio pregiudiziale dell'adito giudice austriaco, la Corte di giustizia UE (Grande sezione) 8 marzo 2022 in causa C – 205, Ne, è pervenuta all'affermazione dei principi che seguono:

a) in tema di distacco di lavoratori e di cooperazione amministrativa, l'articolo 20 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio n. 2014/67/UE, laddove esige che le sanzioni disposte in attuazione della direttiva medesima siano proporzionate alle violazioni per cui sono comminate, è dotato, di effetto diretto e può, conseguentemente, essere invocato dai singoli, dinanzi ai giudici nazionali, nei confronti di uno Stato membro che l'abbia recepito in modo non corretto.

b) il primato del diritto dell'Unione impone alle autorità nazionali l'obbligo di disapplicare una normativa nazionale, parte della quale è contraria al requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto all'articolo 20 della direttiva 2014/67, nei soli limiti necessari per consentire l'irrogazione di sanzioni proporzionate.

Benché chiamata all'interpretazione di disposizione (sanzionatoria) operante in ben specifico e definito settore (distacco di lavoratori), la decisione in rassegna sembra sviluppare, attesane la motivazione, principi di generalizzata applicazione al campo sanzionatorio (penale e non). Per altro verso, pur nella sua schematica semplicità, sembra introdurre profili d'inaspettata innovatività e tutt'altro che esenti da aspetti di complessa problematicità.

Principio di proporzionalità ed effetto diretto

La decisione afferma, in primo luogo, che l'articolo 20 della direttiva 2014/67/UE, laddove esige che le sanzioni disposte in attuazione della direttiva medesima siano proporzionate alle violazioni per cui sono comminate, è dotato di effetto diretto.

L'assunto si pone in contrasto con quanto affermato, in relazione a sanzioni afferenti a diversa materia, da CGUE, 4 ottobre 2018 in causa C - 384/17, Link Logistik. ed in linea con quanto, in relazione alle medesime sanzioni, sostenuto, da CGUE, 12 settembre 2019, Maksimovic in cause riunite C- 64/18, C - 140/18, C- 146/18 e C - 148/18, con riferimento, oltre che alla direttiva succitata, alle prescrizioni di cui all'art. 56 TFUE.

L'assunto è sorretto da motivazione binaria.

Per un verso, la decisione osserva che, in parte qua, la Direttiva, contenendo una previsione chiara e incondizionata, è dotata di tutte le caratteristiche che ne consentono l'effetto diretto proprio delle direttive self executing, così da poter essere invocata davanti al giudice nazionale al fine della disapplicazione della normativa interna a detta previsione disallineata.

Per altro verso - in ciò assumendo rilevanza sistematica di maggior momento - considera che, vietando allo Stato membro di applicare sanzioni sproporzionate rispetto all'entità della violazione in tema distacco di lavoratori, l'articolo 20 della direttiva 2014/67 costituisce espressione del principio di proporzionalità, quale principio generale del diritto dell'Unione avente carattere imperativo, che “si impone agli Stati membri nell'attuazione di tale diritto anche in assenza di armonizzazione della normativa dell'Unione nel settore delle sanzioni applicabili” ed è specificamente sancito in materia penale dall'art. 49, paragrafo 3, della Carta di Nizza.

Se l'assunto della Corte di giustizia in merito all'articolo 20 della direttiva 2014/67 trova fondamento (anche) nel fatto che il divieto di applicazione di sanzioni sproporzionate in tema distacco di lavoratori non è altro che diretta emanazione del principio di proporzionalità, quale principio generale del diritto dell'Unione, codificato, in materia penale dall'art. 49, paragrafo 3, della Carta di Nizza, deve necessariamente inferirsi che l'assunto della Corte trascenda il ristretto campo di riferimento della menzionata disposizione (le sanzioni amministrative per violazioni in materia di distacco di lavoratori e obblighi correlativi) e si estenda in modo generalizzato ad ogni tipo di sanzione. Non diversamente delle garanzie processuali assicurate dall'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il principio di proporzionalità garantito a livello costituzionale dall'art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - pur testualmente riferentesi ai “reati” e, dunque, all'ambito penale - opera, infatti, nei confronti di qualsiasi altra espressione di pubblica potestà punitiva anche non qualificata “penale” dagli ordinamenti nazionali.

Il principio affermato dalla Corte si applica dunque, segnatamente, alle sanzioni amministrative di diritto tributario.

Del resto, con specifico riferimento al campo del diritto tributario, il principio di proporzionalità - inteso non solo in relazione specifica alla misura delle sanzioni, ma anche in relazione al meccanismo impositivo posto in essere dallo Stato, o, in altri termini, alla tutela del contribuente in particolare rispetto alla disciplina del procedimento impositivo - costituisce già da tempo, in virtù della giurisprudenza eurounitaria, uno dei cardini regolatori del sistema.

Effetto diretto del principio di proporzionalità e disapplicazione parziale

Riconosciuto che il principio di proporzionalità delle sanzioni, per come richiamato dall'articolo 20 della direttiva 2014/67, soddisfa le condizioni richieste per produrre un effetto diretto (e che conseguentemente, ove esso sia invocato da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale nei confronti di uno Stato membro che l'abbia recepito in modo non corretto, spetta al giudice predetto garantirne la piena efficacia e, qualora non sia possibile un'interpretazione conforme della normativa nazionale, procedere, di su iniziativa, alla relativa disapplicazione), la Corte afferma che, in ipotesi di normativa nazionale solo in parte contrastante con il principio di proporzionalità delle sanzioni, la disapplicazione deve (o, forse, può?) avvenire nei soli limiti necessari per consentire l'irrogazione di sanzioni proporzionate.

Poiché la Corte ha ritenuto che il criterio di proporzionalità richiamato dall'art. 20 della direttiva 2014/67 costituisce specifica emanazione del più generale principio di proporzionalità, immanente nel diritto dell'Unione e codificato in materia penale dall'art. 49, paragrafo 3, della Carta di Nizza, anche il secondo assunto della decisione appare trascendere il ristretto campo di riferimento della menzionata disposizione (le sanzioni amministrative per violazioni in materia di distacco di lavoratori e obblighi correlativi) ed estendersi, in modo generalizzato, ad ogni tipo di sanzione.

In sintonia con i convincimenti espressi nelle conclusioni dell'Avvocato generale, la Corte rileva che la soluzione trova razionale giustificazione nel rilievo che la disapplicazione integrale della normativa sanzionatoria nazionale, che non rispetti il principio di proporzionalità, determinerebbe il venir meno tout court della sanzione (e, dunque, la completa immunità), comportando un effetto che va ben al di là delle finalità del principio stesso, mentre la disapplicazione parziale, o, meglio, la disapplicazione nei limiti della necessità di ricondurre la sanzione nell'alveo della proporzionalità, salvaguarderebbe quest'ultima e, nel contempo, eviterebbe la vanificazione dell'obiettivo legittimamente perseguito dalla previsione sanzionatoria.

Osservazioni

Quello da ultimo considerato costituisce indubbiamente il profilo di maggior interesse e, al contempo, più problematico della sentenza.

In proposito, la decisione attribuisce, in definitiva, ai giudici nazionali il potere d'individuare in concreto, previa disapplicazione pro parte della norma interna incompatibile, la sanzione proporzionata, con ciò conferendo al principio di proporzionalità rilevanza ben più ampia di quella, marginale, già riconosciutogli, nel nostro ordinamento, dalla previsione di cui all'art. 7, comma 4, d.lgs 472/1997 (per come modificato dall'art. 16, comma 2, d.lgs. 158/2015), che, in presenza di circostanze eccezionali che rendano manifesta la sproporzione tra l'entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, consente di ridurre la sanzione fino alla metà del minimo.

L'assunto non ha tardato ad ingenerare un qualche allarme con riferimento ai principi di legalità, di certezza delle situazioni giuridiche e di parità di trattamento.

Quanto al principio di legalità, in particolare, l'operazione di disapplicazione per così dire “chirurgica”, riguardando la stessa pena edittale prevista dalla norma, prima ancora della pena irrogata in concreto, pone il giudice in una posizione non solo di interprete della legge, ma, in un certo senso, anche di creatore della stessa, svincolandolo dai rigidi confini del predeterminato intervallo edittale qualora ne ravvisi il contrasto con il principio di proporzionalità.

Mentre, sino ad ora, la valutazione sulla proporzionalità è stata fondamentalmente rimessa dal legislatore, che, con l'indicazione della pena edittale, sancisce i confini della sanzione proporzionata alla violazione (lasciando al giudice solo la possibilità di muoversi all'interno di quel predefinito ambito di proporzionalità, al fine di adattare la sanzione da irrogare alle specifiche peculiarità del caso concreto), la sentenza in commento sembra aprire al singolo giudice la porta per intervenire anche sull'astratto giudizio valoriale relativo alla gravità del fatto quale presupposto dell'applicazione di una pena proporzionata. Di pari passo, tende a sfumare il carattere generale ed astratto della sanzione, con il rischio di applicazioni diseguali e conseguenti inevitabili ricadute in termini di certezza del diritto.

Come è intuitivo, per l'aspetto considerato, la decisione è destinata ad ingenerare spunti problematici soprattutto nella sua applicazione alle sanzioni penali (in materia tributaria e non), per le quali, quanto al nostro ordinamento, ben più stringenti si pongono i limiti del principio di legalità e più forti sono le esigenze di certezza del diritto e di parità di trattamento.

Si tratta, d'altro canto, di problematica di dimensione tutt'altro che trascurabile, anche in considerazione del fatto che, dopo il Trattato di Lisbona, l'Unione risulta dotata di una vera e propria potestà normativa in materia penale (si vedano, in particolare, gli artt. 82 e 83 TFUE), già esercitata con l'adozione di direttive contemplanti sanzioni anche penali. E' il caso, in particolare, della direttiva per la tutela degli interessi finanziari dell'Unione attraverso il diritto penale (c.d. Direttiva PIF), adottata nel 2017, che specificatamente riguarda anche sanzioni penali per violazioni tributarie (in particolare in materia doganale e di iva) e che, significativamente all'art. 7, nel prevedere la necessità di sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive” riproduce la stessa formulazione di cui all'art. 20 della direttiva oggetto d'interpretazione da parte della sentenza in commento.Qualora si ritenesse che la formulazione della norma della direttiva PIF sia in tutto e per tutto interpretabile come l'art. 20 della direttiva sul distacco dei lavoratori che viene in rilievo nel caso in commento, (e, onestamente, l'identità terminologica rende difficile ipotizzare il contrario) le stesse considerazioni compiute dalla Corte nella presente vicenda sarebbero applicabili, questa volta, al diritto penale formalmente, e non solo sostanzialmente, inteso. Questo vorrebbe, dire, allora, che il ruolo del giudice come delineato sopra opererebbe anche in diritto penale.

Per questo la sentenza in commento ha potenzialità dirompenti, perché potrebbe aprire scenari davvero nuovi ed interessanti nel rapporto tra giudice e norma, i quali non potrebbero non avere effetti rilevantissimi, in ultima analisi, sulla configurazione stessa del nostro sistema giuridico.