Aggravamento della misura di prevenzione: è legittima la trasmissione a mezzo PEC?

Luigi Giordano
27 Ottobre 2022

Il Questore può avanzare una richiesta di aggravamento della misura di prevenzione a mezzo PEC? In caso di risposta positiva al primo quesito, è tenuto a inviare l'atto all'indirizzo PEC che risulta dal provvedimento del Direttore della DGSIA?
Massima

L'art. 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020, conv. in legge n. 176 del 2020, consente il deposito mediante posta elettronica certificata di tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati destinati all'autorità giudiziaria, diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2 della medesima disposizione per i quali il deposito deve avvenire esclusivamente nel portale del processo penale telematico, senza alcuna limitazione soggettiva all'uso della PEC soltanto alla Procura della Repubblica o ai difensori.

Il caso

La Corte di appello rigettava il ricorso avverso il decreto con il quale il Tribunale, su richiesta del Questore, ha aggravato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno applicata al proposto.

Avverso questo provvedimento, il proposto proponeva ricorso per Cassazione, deducendo l'istanza di aggravamento doveva essere ritenuta inammissibile perché:

  • il Questore non avrebbe potuto avanzarla a mezzo PEC, essendo l'utilizzo della modalità telematica di deposito consentito, dall'art. 24 del d.l. n. 137 del 2020, convertito in legge n. 176 del 2020, solo al pubblico ministero o ai difensori;
  • è stata inoltrata ad un indirizzo PEC che era stato assegnato all'ufficio giudiziario destinatario della richiesta, ma che non risultava nel provvedimento del Direttore della Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati (di seguito, DGSIA) ove invece era indicato un altro indirizzo.

La questione

Ai sensi dell'art. 11, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, il provvedimento di prevenzione può essere modificato, anche per l'applicazione del divieto o dell'obbligo di soggiorno, su richiesta dell'autorità proponente, quando ricorrono gravi esigenze di ordine e sicurezza pubblica o quando la persona sottoposta alla sorveglianza speciale abbia ripetutamente violato gli obblighi inerenti alla misura.

Il Questore può avanzare una richiesta di aggravamento della misura di prevenzione a mezzo PEC? In caso di risposta positiva al primo quesito, è tenuto a inviare l'atto all'indirizzo PEC che risulta dal provvedimento del Direttore della DGSIA?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso.

Quanto alla prima questione, la Corte ha osservato che l'art. 24, comma 1, del d.l. n. 137, conv. con modificazioni dalla legge n. 176 del 2020 (cd. decreto Ristori), ha previsto che “fino alla scadenza del termine di cui all' articolo 1 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, il deposito di memorie, documenti, richieste ed istanze indicate dall' articolo 415-bis, comma 3, c.p.p. presso gli uffici delle procure della repubblica presso i tribunali avviene, esclusivamente, mediante deposito dal portale del processo penale telematico individuato con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia e con le modalità stabilite nel medesimo provvedimento”.

Il deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento.

L'art. 24, comma 2, del d.l. n. 137 del 2020, inoltre, ha previsto che “Con uno o più decreti del Ministro della giustizia, saranno indicati gli ulteriori atti per quali sarà reso possibile il deposito telematico nelle modalità di cui al comma 1”.

Per questi atti, per i quali è stabilito esclusivamente il deposito nel portale, secondo l'art. 24, comma 6, del medesimo decreto-legge, non è consentito l'invio tramite PEC ed anzi, ove avvenisse, tale invio “non produce alcun effetto di legge”.

L'art. 24, comma 4, del d.l. c.d. Ristori, invece, ha disciplinato il regime di deposito per tutti gli atti diversi da quelli indicati nei commi precedenti, stabilendo che “Per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, […] è consentito il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all'art. 7 del decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44.

Questa disposizione permette il deposito di atti a mezzo PEC, “purché non sia obbligatorio il deposito nel Portale predetto, nel quale caso non produce alcun effetto di legge, come prevede l'art. 24, comma 6”.

La ratio della norma, tesa a evitare l'accesso fisico agli uffici giudiziari in periodo emergenziale per ragioni di sanità pubblica al fine di garantire il più possibile il distanziamento sociale, secondo la Corte, esclude possa essere ipotizzata una limitazione soggettiva o oggettiva circa la possibilità di deposito telematico dell'atto, della quale, del resto, non vi è traccia nella legge.

Non si evince dalla norma e anche dal complessivo esame della disciplina emergenziale, dunque, che l'art. 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020 sia funzionale al solo deposito a mezzo PEC degli atti inviati dalla Procura della Repubblica o dai difensori e non anche a quelli spediti dalla Questura e in genere dalla pubblica amministrazione o da terzi non qualificati.

L'espressione “per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati” esprime la finalità sussidiaria e di chiusura della disposizione, che consente il deposito di ogni atto destinato agli uffici giudiziari, fatte salve le predette eccezioni per le quali è previsto il deposito esclusivamente nel portale del processo telematico.

Dunque, anche della richiesta di aggravamento di cui all'art. 11 d.lgs. 159 del 2011 può essere trasmessa a mezzo PEC dal Questore.

In relazione alla seconda questione, la Corte ha rilevato che, alla richiesta di aggravamento della misura di prevenzione proposta ex art. 11 d.lgs. n. 159 del 2011, depositata a mezzo PEC ex art. 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020, non si applicala disciplina dell'impugnazione spedita in modo telematico come stabilita dalla stessa norma nei commi 6-bis e ss.

La richiesta di aggravamento, infatti, non costituisce una impugnazione. Le disposizioni indicate, invece, si applicano solo “a tutti gli atti di impugnazione, comunque denominati” (art. 24, comma 6-quinquies, d.l. n. 137 del 2020).

Di conseguenza, non trova applicazione neppurela causa di inammissibilità dell'impugnazione inviata a mezzo PEC disciplinata dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. e), d.l. n. 137 del 2020 che ricorre “quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'articolo 309, comma 7, del codice di procedura penale dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi ed automatizzati di cui al comma 4”.

Va esclusa, pertanto, l'applicazione della cd. inammissibilità telematica, tassativamente prevista per le sole impugnazioni, in quanto disciplina specifica non applicabile al caso in esame.

Più precisamente, l'art. 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020 prevede che “Il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati e pubblicato sul Portale dei servizi telematici. Con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio”.

L'indirizzo PEC indicato dalla DGSIA ha una duplice finalità: “garantire per un verso la conoscenza pubblica dell'indirizzo autorizzato, grazie all'elenco contenuto nel richiamato allegato, per consentire l'invio corretto da parte di chi deve depositare l'atto; per altro verso, assicurare il continuo controllo di lettura da parte della cancelleria dell'ufficio giudiziario ricevente, per evitare tardive conoscenze del deposito”.

L'invio ad un indirizzo diverso da quello indicato dalla DGSIA, ancorché assegnato all'ufficio giudiziario, non determina alcuna inammissibilità dell'istanza, non essendo prevista dalla legge.

Non di meno, però, costituisce una trasmissione irregolare in quanto l'atto è trasmesso ad una casella di destinazione diverso da quella prevista dall'art. 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020. Nel caso di irregolare trasmissione il rischio della omessa o tardiva lettura dell'atto è a carico del depositante; nondimeno, se l'autorità giudiziaria ha ricevuto l'atto tempestivamente, questo ha raggiunto il suo scopo, senza alcuna lesione del diritto di difesa.

Osservazioni

La sentenza illustrata si segnala per l'accurata ricostruzione della disciplina normativa del deposito telematico degli atti processuali.

Come è noto, l'avvento della pandemia ha dato una ulteriore spinta all'impiego dell'informatica nel processo penale.

Essa si è concretizzata in un più ampio utilizzo degli strumenti telematici per le notificazioni, nella sperimentazione della trattazione del procedimento e della deliberazione collegiale a distanza e, per quello che qui interessa, nella possibilità del deposito degli atti con modalità tecnologiche.

In particolare, è stato realizzato il “Portale del processo penale telematico” per consentire l'accesso, per mezzo della rete internet, ai servizi telematici resi disponibili dal dominio giustizia per il deposito di atti, documenti e istanze. Questo portale ha segnato un importante momento di evoluzione perché, all'impiego degli strumenti informatici per eseguire le notifiche, ossia alla possibilità di adoperare la telematica per gli atti “in uscita” dagli uffici giudiziari, è stato aggiunto il loro uso anche per gli atti “in entrata” negli uffici giudiziari, specificamente per quelli provenienti dai difensori.

La decisione in esame, innanzi tutto, ha precisato che, per gli atti indicati nell'art. 24, comma 1, del d.l. n. 137, conv. con modificazioni dalla legge n. 176 del 2020 (cd. decreto Ristori) e per quelli per quelli che saranno individuati ai sensi del comma 2, il deposito nel portale costituisce la modalità esclusiva di deposito telematico, mentre l'invio tramite posta elettronica certificata non è consentito e non produce alcun effetto di legge (art. 24, comma 6, d.l. n. 137 del 2020).

Per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi dai precedenti, invece, l'art. 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020 consente il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all'art. 7 del decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44.

Purché non sia obbligatorio il deposito nel Portale predetto, la norma citata permette il deposito di atti a mezzo PEC.

La Corte di cassazione, con la sentenza illustrata, ha escluso cheladisposizione citata possa legittimare una limitazione soggettiva o oggettiva circa la possibilità di deposito telematico dell'atto, rifiutando, in particolare, l'interpretazione proposta dal ricorrente secondo cui l'invio della PEC dovesse essere riservata solo al pubblico ministero o soltanto al difensore ovvero solo a talune tipologie di atti. Tale conclusione è stata desunta dall'interpretazione letterale della norma, che non contiene alcuna limitazione nel senso ipotizzato e dalla valorizzazione della sua ratio, in quanto tesa a evitare l'accesso fisico agli uffici giudiziari in periodo emergenziale per ragioni di sanità pubblica al fine di garantire il più possibile il distanziamento sociale.

L'espressione “per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati” contenuta nell'art. 24, comma 4, cit., pertanto, esprime la finalità sussidiaria e di chiusura della disposizione, che consente il deposito di ogni atto destinato agli uffici giudiziari, fatte salve le predette eccezioni per le quali è previsto il deposito nel portale del processo telematico.

Nella sentenza in esame, poi, la Corte ha rilevato che l'art. 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020 ha precisato che “Il deposito […] deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici”.

L'indirizzo PEC indicato dalla DGSIA garantisce la conoscenza pubblica dell'indirizzo autorizzato, grazie all'elenco contenuto nel richiamato allegato, per consentire l'invio corretto da parte di chi deve depositare l'atto ed assicura il continuo controllo di lettura da parte della cancelleria dell'ufficio giudiziario ricevente, per evitare tardive conoscenze del deposito.

L'inoltro dell'atto ad un indirizzo PEC diverso, anche se comunque assegnato all'ufficio giudiziario destinatario, integra una trasmissione irregolare. Estendendo alla fattispecie, il principio giurisprudenziale consolidato formatosi in tema di utilizzo del fax (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 1, n. 17879 del 22 marzo 2019), tuttavia, la Corte ha affermato che l'utilizzo di una modalità di deposito irregolare dell'atto non genera una nullità o una inammissibilità della istanza; più semplicemente, il soggetto che utilizza uno strumento di deposito irregolare assume il rischio che l'Autorità giudiziaria non abbia cognizione dell'atto ovvero riceva l'atto non tempestivamente.

Nel caso di specie, l'atto è stato ricevuto tempestivamente dal Tribunale, che ha provveduto sullo stesso, senza alcuna lesione per le prerogative difensive.

L'ultimo passaggio di rilievo della decisione in esame concerne l'area operativa della causa di inammissibilità di cui all'art. 24, comma 6-sexies, lett. c), d.l. n. 137 del 2020, che ricorre quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui al comma 4. La Corte ha precisato che si tratta di una causa di inammissibilità che riguarda solo il deposito a mezzo PEC dell'impugnazione. Sotto questo profilo, la sentenza è conforme all'indirizzo giurisprudenziale secondo le cause di inammissibilità previste dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. a), del d.l. n. 137 del 2020, conv. con modif. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 sono tipiche e tassative (cfr. Cass. Sez. 6, n. 40540 del 28 ottobre 2021; Cass. Sez. 1, n. 2784 del 20 dicembre 2021).

L'art. 24, comma 1, del d.l. n. 137 del 2020, come convertito dalla legge n. 176 del 2020, ha delimitato l'ambito temporale delle disposizioni emergenziali richiamando il termine previsto dall'art. 1 d.l. n. 19 del 2020, convertito nella legge n. 35 del 2020 e poi è stato fissato 31 luglio 2021 dall'art. 6 del d.l. n. 44 del 2021 e, successivamente, al 31 dicembre 2021 dall'art. 2 del d.l. 23 luglio 2021, n. 105. In seguito, l'art. 16, comma 1, d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2022, n. 15, ha esteso fino alla data del 31 dicembre 2022 l'efficacia delle norme citate.

Guida all'approfondimento

Sul tema si veda:

R. Patscot, Portale Deposito atti Penali (PPT), in ilprocessotelematico.it., 11 gennaio 2020, 1;

F. Porcu, Il “portale del processo penale telematico”: un passo in avanti (e qualche inciampo) verso la digitalizzazione, in Dir. Pen. e Processo, 2021, 10, 1399;

L. Giordano, La legge di conversione del d.l. Ristori e l'impatto sul procedimento penale, in ilprocessotelematico.it, 4 gennaio 2021;

L. Giordano, L'invio dell'impugnazione a mezzo PEC al vaglio della Corte di cassazione, in ilprocessotelematico.it, 24 novembre 2021;

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