Quale valenza agli accordi per separazione consensuale nella risoluzione delle questioni patrimoniali tra coniugi?
28 Ottobre 2022
Massima
All'accordo concluso dai coniugi nell'ambito del procedimento per separazione consensuale va riconosciuta valenza negoziale in quanto espressione della capacità delle parti di autodeterminarsi responsabilmente.
Conseguentemente gli stessi, pur nel rispetto dei diritti indisponibili previsti dall'ordinamento, possono liberamente concordare sia gli aspetti patrimoniali che quelli personali o relativi alla vita familiare. Tali accordi, se trasposti nel verbale di udienza acquistano valore di fede privilegiata e, in relazione al contenuto eventuale degli stessi, impediscono al giudice qualsivoglia valutazione circa il loro contenuto. Il caso
Con atto di citazione ritualmente notificato veniva introitato, innanzi al Tribunale di Reggio Emilia, apposito giudizio volto a pervenire alla pronuncia di nullità della divisione dei beni costituenti la comunione legale tra coniugi, come attuata per effetto degli accordi assunti dalle parti in sede di separazione consensuale.
Secondo la tesi attorea, infatti, tale accordo violava l'inderogabile principio della parità delle quote di cui all'art. 194 c.c. in quanto all'assegnazione in favore della ex coniuge della casa coniugale e di altro immobile unitamente agli arredi ivi presenti, si contrapponeva l'attribuzione in favore del marito della sola autovettura, mentre, prima dell'udienza presidenziale, le parti avevano proceduto alla suddivisione in parti uguali del denaro, dei titoli e i fondi di investimento.
Il Tribunale adito rigettava la proposta azione escludendo l'idoneità delle previsioni di cui all'art. 194 c.c. a limitare i poteri dispositivi delle parti e, dunque, a incidere sulla libertà delle stesse di disporre dei propri assetti patrimoniali, condannando l'attore alla rifusione delle spese di lite.
La decisione assunta in primo grado veniva impugnata dinanzi alla Corte di Appello di Bologna al fine di pervenire alla sua riforma per l'erroneità della valutazione compiuta dal Tribunale, stante -a dire dell'appellante - l'evidente sperequazione nell'attribuzione dei beni come attuata in sede di separazione consensuale dei coniugi e per l'errata applicazione delle disposizioni dell'art. 194 c.c.
La Corte territoriale, attestandosi sulle medesime posizioni assunte in primo grado, rigettava il proposto appello con condanna, anche in questo caso, alla rifusione delle spese di lite; la pronuncia veniva, quindi, impugnata dinanzi la Suprema Corte di Cassazione mediante la formulazione di due motivi di ricorso, l'uno afferente al merito della controversia, l'altro volto a pervenire, quantomeno, alla compensazione delle spese di giudizio data la particolarità della questione trattata.
In particolare, con riferimento al primo dei citati aspetti, il ricorrente evidenziava l'erroneità della pronuncia dei giudici territoriali nell'attribuire valenza confessoria alla dichiarazione resa dall'appellante in sede di comparizione personale dei coniugi, nella parte in cui quest'ultimo affermava di “aver trattenuto per sé beni di pari importo” rispetto a quelli assegnati alla ex moglie, vertendo la stessa su un aspetto insuscettibile di deroga, e, dunque, sottratto alla disponibilità delle parti per il suo carattere di inderogabilità.
Tali assunti non venivano accolti dai giudici di legittimità che rigettavano il proposto ricorso confermando l'orientamento in precedenza espresso, sia in primo che in secondo grado, anche relativamente alla condanna alla rifusione delle spese di lite, trattandosi di una valutazione rimessa al potere discrezionale del giudice del merito. La questione
La questione affrontata dalla Corte nella pronuncia in esame attiene alla valutazione dell'autonomia negoziale delle parti nella risoluzione della crisi familiare e, in particolare, alla verifica della portata delle pattuizioni rientranti nel contenuto c.d. non necessario della convenzione per separazione consensuale. Le soluzioni giuridiche
Con il proposto ricorso per Cassazione il ricorrente lamentava l'errata valutazione compiuta, sia in primo che in secondo grado, circa la legittimità degli accordi raggiunti dalle parti in sede di separazione consensuale dei coniugi, a suo dire, lesivi del principio di parità delle quote sancito dall'art. 194 c.c. e dell'inderogabilità dello stesso, insuscettibile, dunque, di essere superato per accordo tra le parti e di costituire oggetto di confessione giudiziale e/o stragiudiziale.
Tale motivo di doglianza veniva rigettato dalla Corte in quanto ritenuto infondato in considerazione della natura negoziale ormai riconosciuta all'accordo per separazione consensuale dal costante orientamento giurisprudenziale, come delineatosi nel tempo e da ultimo confermato dalle SS.UU con pronuncia n. 21761 del 2021.
Nella pronuncia in esame la Corte, nel ripercorrere l'evoluzione giurisprudenziale formatasi sul punto a partire dal tradizionale orientamento che escludeva la possibilità di accordi negoziali nella materia familiare in quanto ad essa estranei, essendo l'interesse della famiglia superiore e avulso a quello delle parti, finisce per evidenziare come gli ultimi arresti si siano attestati su posizioni diametralmente opposte, essendo stata attribuita ai coniugi la facoltà di autodeterminarsi responsabilmente. Da qui il riconoscimento della natura sostanzialmente negoziale dell'accordo di separazione consensuale, idoneo ad assumere valenza di atto pubblico ex art. 2699 c.c. se inserito nel verbale di udienza redatto dall'ausiliario del giudice e – ove implicante il trasferimento di diritti reali immobiliari - valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c.
Diretto corollario dell'affermazione di detti principi è il limitato potere di controllo sul contenuto dei citati accordi, inerente alla verifica del rispetto dei soli diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli, con esclusione – quindi – delle ulteriori pattuizioni, tra cui quelle a contenuto patrimoniale, in relazione alle quali vige il principio di autodeterminazione delle parti.
Per tali ragioni la Corte dichiarava l'infondatezza del motivo di gravame formulato, di cui evidenziava anche profili di irricevibilità in quanto afferente ad un aspetto, quale quello dell'interpretazione del contenuto di un contratto, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da idonea motivazione esente da vizi e/o errori giuridici.
Parimenti infondato veniva ritenuto l'ulteriore motivo di impugnazione formulato, legato al mancato riconoscimento di giusti motivi ai fini della compensazione delle spese di lite, connessi alle peculiarità della questione trattata, della sua complessità e delle incertezze dottrinali e giurisprudenziali ad essa collegate, trattandosi, anche in tal caso, di una valutazione ascrivibile al giudice del merito.
Osservazioni
L'elemento cardine intorno al quale ruota la decisione in esame è rappresentato dalla valutazione dei limiti che l'ordinamento e la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, riconoscono all'autonomia negoziale dei coniugi nella definizione delle problematiche connesse alla crisi familiare.
Si tratta di un aspetto che, come evidenziato dai giudici di legittimità, è andato via via evolvendosi tanto da ricomprendere non solo le questioni strettamente connesse all'ambito familiare, quali l'assegnazione della casa coniugale, l'affidamento della prole e il riconoscimento di un assegno di mantenimento nei confronti del coniuge debole e dei figli, che quelle ulteriori che pure vengono in evidenza allorchè vi sia la necessità di definire gli assetti familiari in vista di una complessiva definizione della situazione di crisi.
In tale contesto l'unico limite imposto alle parti deriva dalla tutela degli interessi pubblicistici che vengono in rilievo, quali quelli concernenti la prole e il coniuge debole, soggetti al vaglio dell'autorità giudiziaria, mentre – in virtù dell'autonomia negoziale riconosciuta alle parti – i coniugi saranno liberi di autodeterminarsi circa la previsione di pattuizioni ulteriori, ossia quelle integranti il contenuto c.d. eventuale dell'accordo separativo, nel cui ambito potranno disciplinare aspetti diversi, solitamente relativi a situazioni di carattere economico, tra cui la divisione dei beni comuni, ovvero il trasferimento degli stessi in favore di uno dei due coniugi o dei figli, finalizzati ad appianare ogni rapporto connesso alla vita matrimoniale, ed evitare l'insorgenza di future controversie.
Si tratta di pattuizioni che non sono in rapporto causale con l'accordo della crisi coniugale e che non appaiono neppure collegate ai diritti e agli obblighi che derivano dal vincolo matrimoniale, ma che risultano semplicemente assunte in occasione della separazione, rappresentando l'estrinsecazione della libera autonomia contrattuale riconosciuta ai coniugi, aventi una causa tipica di natura familiare.
La valenza di tali accordi, sempre più utilizzati dalle parti soprattutto al fine di pattuire trasferimenti immobiliari, ha portato le SS.UU ad intervenire al fine di risolvere il contrasto giurisprudenziale insorto circa l'efficacia degli accordi stessi qualora volti al trasferimento di immobili da un coniuge ad un altro.
In linea generale i giudici di legittimità ne hanno riconosciuto la valenza di atto pubblico ex art. 2699 c.c. qualora inseriti nell'ambito del verbale redatto dall'ausiliario del giudice, oltre che la loro idoneità alla trascrizione del trasferimento qualora accompagnati dall'attestazione del cancelliere che le parti abbiano reso le dichiarazioni di cui all'art. 29, comma 1 bis della lege n. 52 del 1985 come introdotto dall'art. 19, comma 4, del D.L. n. 78 del 2010, conv. Con modif. dalla legge n. 122 del 2010.
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