Fatti penalmente rilevanti e gravi illeciti professionali

03 Novembre 2022

La Terza Sezione del Consiglio di Stato torna a perimetrare il confine tra discrezionalità amministrativa e sindacato giurisdizionale in materia di valutazione dei gravi illeciti professionali. In particolare, il Collegio precisa che il sindacato giurisdizionale esteso all'accertamento del mancato esercizio del potere discrezionale, in quanto confinato entro limiti rigidi, tassativi e vincolanti non previsti dalla legge e non giustificabili sul piano logico, non integra l'eccesso di potere giurisdizionale.

La fattispecie.Il TAR della Lombardia, sede di Milano, accoglieva il ricorso proposto da una impresa avverso il provvedimento amministrativo con il quale veniva confermata, a seguito di precedente sentenza di annullamento emessa dallo stesso TAR, l'aggiudicazione alla prima classificata della procedura aperta per l'affidamento del servizio di trasporto pazienti e materiali.

Con la precedente sentenza, infatti, il TAR aveva accolto le censure proposte contro la graduatoria iniziale, imponendo la riedizione del potere alla luce dei vizi rilevati. A cagione dell'annullamento era stata rilevata, oltre all'incongruenza dell'offerta economica, la carenza di adeguata istruttoria e motivazione a supporto dell'ammissione alla gara, per violazione dell'articolo 80, comma 5, lettera c) del Codice dei contratti, in quanto l'amministrazione non avrebbe in alcun modo valutato una serie di vicende critiche che avevano caratterizzato, in distinte e precedenti commesse, i rapporti fra la prima graduata e le stazioni appaltanti venute in rapporti con la stessa.

Con successivo provvedimento la Stazione appaltante, però, si limitava a confermare la precedente graduatoria, ritenendo prima la concorrente che, ad avviso della terza in graduatoria, avrebbe dovuto essere esclusa.

Impugnato il suddetto provvedimento, il Tribunale amministrativo regionale lo annullava, disponendo che “l'Amministrazione dovrà valutare nuovamente e motivatamente – nel pieno rispetto di quanto risultante dalla presente sentenza – le offerte delle imprese”.

L'ultima statuizione del giudice di prime cure è stata impugnata dinanzi il Consiglio di Stato per ottenerne l'annullamento, perché, a dire dell'appellante, viziata da eccesso di potere giurisdizionale.

Le doglianze. Secondo la prospettazione dell'appellante, il TAR avrebbe travalicato i limiti del sindacato giurisdizionale, giungendo finanche ad “(...) ad indicare quello che dovrà essere il contenuto del provvedimento che la Stazione appaltante sarà tenuta ad adottare in esecuzione della decisione”.

Inoltre, il Giudice di prime si sarebbe addirittura sostituito al RUP della Stazione appaltante nel valutare fatti penalmente rilevanti, ancora sub iudice, in virtù dell'autonomia della valutazione penalistica rispetto a quella amministrativa.

La pronuncia del Consiglio di Stato. Convergendo con le conclusioni del primo Giudice, il Consiglio di Stato ritiene il provvedimento di esclusione carente sul piano motivazionale, in ordine alla sussistenza, in capo alla prima classificata, dei requisiti di partecipazione alla gara.

Per tale via, il Collegio precisa che la sentenza gravata ha coerentemente compiuto un sindacato di legittimità dell'operato della Stazione appaltante, alla luce dei parametri normativi, non travalicando i limiti dell'esercizio del potere giurisdizionale.

Il primo Giudice, dunque, ha correttamente operato, ritenendo viziati non singole valutazioni ma, piuttosto, criteri generali dell'attività valutativa come, ad esempio, quello relativo alla pretesa irrilevanza degli illeciti: i) commessi oltre un quinquennio antecedente la gara; ii) non accertati con sentenza di condanna, anche non definitiva; iii) non concernenti “materia di appalto analoga”.

Analogamente, anche gli ulteriori criteri che hanno attribuito rilevanza: a) al numero di gare aggiudicate dalla prima in graduatoria; b) alle misure di c.d. self-cleaning dalla stessa poste in essere e successivamente superate dall'adozione di ulteriori provvedimenti sanzionatori da parte dell'A.G.C.M.), sono affetti dai medesimi vizi.

Sulla scorta di tali premesse, il Consiglio di Stato – senza contraddire con quanto di recente affermato dalla Quinta Sezione, con sentenza n. 7823/2022, per la quale spetta alla Stazione appaltante fissare il punto di rottura dell'affidamento nel pregresso o futuro contraente – evidenzia come i rilievi censori della pronuncia impugnata non toccano il merito delle singole valutazioni o dei singoli profili tematici sui quali l'amministrazione è stata chiamata a rideterminarsi, bensì le premesse di metodo, e cioè i criteri e i parametri di riferimento generale del futuro esercizio del potere valutativo.

Più precisamente, quanto ai giudizi penali pendenti, ritenuti dal RUP della Stazione appaltante ininfluenti sulla sola base della presunzione di non colpevolezza, il Consiglio di Stato rimarca l'autonomia della valutazione penalistica rispetto a quella amministrativa.

Non vi è dubbio che la mera pendenza del giudizio penale non può costituire ragione ex se impeditiva della partecipazione di un operatore ad una procedura di gara.

Tuttavia, la mancanza di un accertamento definitivo può rilevare, nella singola vicenda, allorquando sussistano anche altri fattori quali, a titolo esemplificativo, l'assenza di risultanze istruttorie chiare o di provvedimenti che le abbiano valorizzate, ovvero di ulteriori elementi di riscontro.

Del pari, il criterio adottato dalla Stazione appaltante, di circoscrivere l'ambito di rilevanza dei contenziosi civili ed amministrativi alla cerchia degli appalti aventi oggetto “analogo”, è generico e non idoneo a supportare la determinazione a contenuto positivo adottata dall'amministrazione.

La valutazione di affidabilità soggettiva – così come quella di inaffidabilità – non può concretarsi in alcun rigido automatismo decisionale.

Infine, anche le considerazioni dubitative sviluppate dal Giudice di prime cure sull'idoneità delle misure di self-cleaning adottate dall'operatore economico risultato primo in graduatoria, non paiono scaturite da una riconsiderazione del loro contenuto, ma dalla constatazione di un fatto, ovvero la sopravvenienza di una sanzione dell'A.G.C.M. della quale la Stazione appaltante non aveva tenuto alcun conto, e dalla quale sembrava risultare che le misure adottate non fossero idonee a prevenire fatti del tipo di quelli verificatisi.

In conclusione, la pronuncia del Consiglio di Stato chiarisce che spetta, si, all'amministrazione aggiudicatrice valutare – sulla base di un'autonoma “sensibilità istituzionale” – il grado di affidabilità di un operatore economico.

Tuttavia, nell'esercizio di tale attività discrezionale, la Stazione appaltante è chiamata a bilanciare contrapposte esigenze, per cui tali valutazioni devono poggiare su criteri non generici e non apodittici.

Il principio di diritto espresso dal Collegio si apprezza particolarmente perché nel confermare i caratteri di ampiezza ed elasticità con i quali, nella materia della valutazione dei gravi illeciti professionali, deve potersi svolgere il potere valutativo della stazione appaltante, sembra precisare che le eventuali precomprensioni possedute dalla Stazione appaltante, in subiecta materia, derivategli dalla presenza sul territorio o da pregresse esperienze con i medesimi o con altri operatori economici, non possono coagularsi in giudizi preconcetti, né essere calate in rigidi sillogismi che ottundano la motivazione stessa del provvedimento di ammissione o di esclusione da una procedura di gara.

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