Alla Plenaria l'appellabilità delle ordinanze del giudice di primo grado con cui si pronuncia su di un'istanza di accesso proposta in corso di giudizio

Francesca Santoro Cayro
07 Novembre 2022

È deferita all'esame dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione se, nei confronti delle ordinanze con le quali il giudice di primo grado si pronuncia separatamente su di un'istanza di accesso proposta ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.a., sia ammesso l'appello dinanzi al Consiglio di Stato, prima ancora che il giudizio di primo grado sia definito con sentenza.
Il caso

Alcuni avvocati dipendenti della Consob, nel corso di un giudizio impugnatorio incardinato dinanzi al Tar del Lazio, proponevano un'istanza ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.a., chiedendo l'annullamento di una nota della medesima Autorità di parziale reiezione della richiesta di accesso da loro presentata in via amministrativa, lamentando che la documentazione di cui era stata chiesta l'ostensione fosse loro necessaria per difendersi nel merito del medesimo giudizio.

Il Tar, decidendo con separata ordinanza sulla sola istanza di accesso, la accoglieva e ordinava l'accesso a tutta la documentazione richiesta, disponendo la prosecuzione del giudizio per il resto.

La Consob proponeva appello avverso l'ordinanza, chiedendone sia la sospensione in via cautelare sia, nel merito, l'integrale riforma, e la Sezione VI del Consilio di Stato, investita dell'appello, ha rimesso all'esame dell'Adunanza Plenaria, ai sensi dell'art. 99, co. 1 c.p.a., la questione dell'appellabilità delle ordinanze rese ai sensi dell'art. 116, co. 2 c.p.a., ravvisando un contrasto giurisprudenziale sul tema.

Le soluzioni giuridiche

Ai sensi dell'art. 116, co. 2 c.p.a., in pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso avverso il diniego espresso o tacito reso sulla medesima richiesta può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati, e l'istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio.

La questione (oggi rimessa all'esame dell'Adunanza Plenaria) in ordine alla possibilità di proporre appello avverso l'ordinanza pronunciata separatamente dal giudice di primo grado su un'istanza di accesso presentata in corso di causa è da tempo oggetto di contrasto giurisprudenziale, e presuppone a monte che sia previamente definita la natura, decisoria o solamente istruttoria, di detti pronunciamenti.

Il contrasto peraltro è antecedente all'introduzione del codice del processo amministrativo, posto che il previgente art. 25, comma 5, della l. 241 del 1990 (nella formulazione risultante dalle modifiche apportate dalla l. 15 del 2005), e prima ancora l'art. 21, comma 1, della legge Tar (come modificato ad opera della l. 205 del 2000), se da un lato qualificavano espressamente tale ordinanza come “istruttoria”, disponendo che andasse presentata al Presidente, dall'altro prevedevano che la medesima fosse notificata alle altre parti del giudizio già in corso, così rinnovando l'instaurazione del contraddittorio (come fosse un rapporto processuale “nuovo”), in termini (e forme) generalmente non prescritti per le semplici o comuni istanze istruttorie.

I dubbi non sono stati fugati dalla nuova previsione dettata dal comma 2 dell'art. 116, che se, per un verso, precisa che la richiesta di accesso deve essere necessariamente “connessa” al giudizio già pendente, per altro verso, quanto alla forma della decisione, non ripropone più l'aggettivo “istruttoria” accanto al sostantivo “ordinanza”.

Un primo indirizzo giurisprudenziale (Cons. Stato, V, n. 3936 del 2019, 3028 del 2018; IV, n. 725 del 2016, III, n. 4806 del 2015) propende per l'appellabilità di tali ordinanze, ritenendo che il procedimento avviato dall'istanza avrebbe ad oggetto (solo) la sussistenza dei requisiti dell'accesso, al lume degli artt. 22 e ss. della l. 241 del 1990, prescindendo dalla necessità di valutare l'esistenza di un legame strumentale con l'oggetto e il tema probatorio del giudizio principale in corso. Quest'ultimo, dunque, diventa solo l'occasione per valutare una richiesta di accesso che l'interessato avrebbe ben potuto proporre giudizialmente anche in via autonoma.

Secondo un diverso indirizzo (Cons. Stato, V, n. 2041 del 2018, IV, n. 1878 del 2020, 5850 del 2014 e 3759 del 2013), l'appellabilità sarebbe, invece, da escludersi: valorizzando il requisito della connessione, tale lettura sottolinea come sia necessario che ricorra il presupposto della pertinenza e della strumentalità della documentazione richiesta rispetto alla decisione del giudizio principale. L'istanza di accesso, dunque, sarebbe servente e funzionale alla favorevole definizione del giudizio principale, permettendo ad esempio di proporre motivi aggiunti ovvero contribuendo all'assolvimento dell'onere della prova in ordine a quanto allegato, al pari di ogni altra istanza istruttoria.

Per vero, l'ordinanza di rimessione qui in commento dà atto anche di un terzo orientamento giurisprudenziale, per così dire intermedio e casistico (Cons. Stato, VI, n. 6597 del 2021, III, n. 5944 del 2020, V, n. 5036 del 2020), che distingue a seconda che, di volta in volta, l'ordinanza si sia pronunciata solamente in relazione ai presupposti inerenti l'accesso in quanto tale, oppure abbia negato l'accesso considerando i documenti richiesti non utili ai fini del giudizio in corso. Nel primo caso l'ordinanza sarebbe qualificabile come avente natura decisoria, e come tale appellabile; nel secondo caso l'ordinanza avrebbe natura meramente istruttoria e non sarebbe appellabile autonomamente.

Ricostruito il variegato quadro giurisprudenziale, la Sezione remittente propende per la tesi che esclude l'appellabilità dell'ordinanza.

In particolare, al di là delle particolari modalità di presentazione dell'istanza, l'ordinanza valorizza il requisito della connessione tra l'istanza di accesso e il giudizio già in corso, che ne suggerisce pur sempre la strumentalità, e, più in generale, anche più ampie ragioni di economia processuale, l'esigenza di non differenziare troppo, nel trattamento processuale, questo tipo di istanza da quelle altre istanze o domande, pacificamente di carattere istruttorio, con le quali è richiesta nel giudizio l'ammissione di mezzi di prova o di ricerca della prova e il cui esito, per quanto spesso potenzialmente in grado di ipotecare la sorte del giudizio persino in misura maggiore, non è autonomamente ed immediatamente appellabile.

Peraltro, osserva la Sezione che la non appellabilità delle ordinanze istruttorie comunque non priverebbe di tutela la parte che ritiene di esserne stata pregiudicata, solo che questa tutela è differita al momento (eventuale) in cui, soccombente anche nel merito del giudizio, sarà possibile proporre l'appello contro la sentenza di primo grado.

Ed ancora, quanto al profilo del rapporto tra giudizio (e giudice) di primo grado e quello di appello, non solo sarebbe (meglio) fatta salva l'autonomia del giudizio (e del giudice) di primo grado, per tutta la fase istruttoria e sino al completamento di quella decisoria, ma si preverrebbe anche il rischio di impugnazioni autonome su ordinanze istruttorie che in seguito potrebbero rivelarsi comunque superflue, qualora l'esito del giudizio di primo grado fosse favorevole a prescindere.

Osservazioni

Come evidenziato nell'ordinanza di rimessione, la questione dell'appellabilità o meno dell'ordinanza involge, oltre alla corretta qualificazione della sua natura, anche altri profili.

In primo luogo, si impone una riflessione sulle modalità di esecuzione dell'ordinanza e, in particolare, nell'ipotesi in cui l'amministrazione non si conformi spontaneamente al pronunciamento giudiziale, sul rimedio esperibile dagli interessati: laddove si affermasse il carattere autonomo, e quindi decisorio, dell'ordinanza, tale rimedio sarebbe da ravvisarsi nell'ottemperanza, laddove, restando nella logica di una vicenda (essenzialmente) istruttoria ed incidentale, esso andrebbe piuttosto rinvenuto all'interno del giudizio stesso, ad esempio nella regola per cui il giudice deve trarre argomenti di prova dal comportamento, anche omissivo ovvero non collaborativo, delle parti (art. 64, comma 4, c.p.a.).

Ancora, tale questione pone all'attenzione dell'interprete temi processuali più generali, quali il rapporto tra l'istanza di accesso di cui all'art. 116, comma 2, c.p.c. e le istanze istruttorie con cui le parti possono arricchire l'istruzione probatoria nel giudizio amministrativo, sollecitando l'ammissione di mezzi di prova: su tali istanze istruttorie, come noto, il giudice si pronuncia con ordinanze che, per regola generale, non sono appellabili bensì solo revocabili (art. 177 c.p.c.). Sotto tale profilo, merita di essere vagliato, in specie, il rapporto tra l'istanza ex art. 116, comma 2, e la richiesta di documenti che la parte può rivolgere direttamente al giudice (art. 64, comma 3), alla luce delle differenze prospettate da un'autorevole dottrina tra l'acquisizione di documenti solo connessi, nel primo caso, e l'acquisizione di documenti utili per la conoscenza dei fatti controversi, invece, nel secondo caso.

Guida all'approfondimento

Sul tema si segnala F. Gaspari, “Impugnabilità della ordinanza resa dal T.A.R. ai sensi dell'art. 116, comma 2, Codice del processo amministrativo”, edita sulla rivista telematica Il diritto amministrativo – Rivista giuridica.

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